venerdì, maggio 31, 2013
giovedì, maggio 30, 2013
Le chiavi errate
Nel suo commento al Salterio il grande maestro alessandrino Origene (III sec.) racconta che un dotto ebreo, probabilmente un membro dell'accademia rabbinica di Cesarea, gli aveva paragonato le Sacre Scritture ad un grande palazzo con molte, moltissime stanze. Davanti ad ogni stanza c'è una chiave, ma non è quella giusta. Le chiavi di tutte le stanze sono scambiate: trovare le chiavi giuste che aprono le porte è compito di chi spiega la Bibbia.
Ravasi
Roger Scruton
Questo non altera il fatto che il matrimonio gay alimenti la propensione occulta dello Stato postmoderno a riscrivere tutti i vincoli come fossero contratti tra i vivi. È praticamente una certezza che lo Stato americano, agendo attraverso la Corte Suprema, “scoprirà” un diritto legale per il matrimonio gay, esattamente come ha scoperto diritti costituzionali per l’aborto e la pornografia, e come – quando gli sarà chiesto – scoprirà il diritto a un divorzio “senza colpevoli” così da non avere, in pratica, alcuna motivazione.
Chi si angustia per tutto ciò e vuole esprimere la sua protesta dovrà lottare contro potenti forme di censura. La gente che dissente da ciò che sta rapidamente diventando un’ortodossia nella questione dei “diritti dei gay” è regolarmente accusata di “omofobia”. In tutta l’America ci sono comitati, preposti alle nomine di candidati, che li esaminano attentamente per sospetta omofobia, e certuni vengono sommariamente liquidati una volta che sia stata formulata l’accusa: “No, non si può accettare la richiesta di quella donna di fare parte di una giuria in un processo, è una cristiana fondamentalista e omofobica”; “No, anche se è un’autorità mondiale in materia di geroglifici della 11 Dinastia, non si può farlo entrare di ruolo all’università dopo quella sua filippica omofobica di venerdì scorso”. Questa censura promuoverà la causa di chi si è impegnato a “normalizzare” l’idea dell’unione omosessuale: non sarà possibile opporsi, non più di quanto sia stato possibile opporsi alla censura femminista sulla verità della differenza sessuale. Forse, fra adulti consenzienti, solo in privato, sarà possibile coltivare il pensiero che il matrimonio omosessuale non sia affatto un matrimonio.
mercoledì, maggio 29, 2013
Se te ne vai
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Tu m'oublieras
Les paroles d'amour
ne voyag' pas
Si tu t'en vas
La mer viendra toujours vers le rivage
Les fleurs sauvages
Dans les blés lourds viendront toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Tu m'oublieras les blessures d'amour
Ne s'ouvrent pas
Si tu t'en vas
La source ira toujours grossir le fleuve
Les amours neuves
Vers les beaux jours Iront toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Tout finira
Les choses de l'amour
Ne vivent pas
Si tu t'en vas
La mort vaincra toujours la fleur de l'âge
C'est son ouvrage
Malgré l'amour
Qui meurt toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Rappelle-toi
Les paroles d'amour
Ne s'envol'nt pas
Si tu t'en vas
Au-delà de la vie vers la lumière
O? les prières
N'arrivent plus
Ell's sont perdues...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Dans ces coins-là
Nous parlerons d'amour
Comme autrefois...
Si c'est possible!
Léo Ferré
*
Léo Ferré
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Mi scorderai
Detti d'amore
Viaggiar non sanno
Se te andrai
Non cesserà giammai
L'onda del mare
Di tornare alla riva
E tra le spighe gonfie
Di spuntare il papavero
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Mi scorderai
Dolor d'amore
Non apre ferite
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Non cesserà la fonte
Di diventar torrente
E agli amori novelli
Saranno lieti i giorni
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Sarà la fine
Gioia d'amore
Non sopravvive
Se te andrai
La morte vincerà
La giovinezza
Ligia alla legge
Che fa che amore
Debba sempre morire...
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Ricorderai
I bei detti d'amore
Non volan via
Se te ne andrai
Da questa vita verso la luce
Ove la voce delle preghiere
Più non risuona
Sono perdute...
Se te andrai
Se un giorno te ne andrai
In quel cantuccio
Non cesserai
Di ragionare con me d'amore...
Sarà possibile?
Trad genseki
Si tu t'en vas un jour
Tu m'oublieras
Les paroles d'amour
ne voyag' pas
Si tu t'en vas
La mer viendra toujours vers le rivage
Les fleurs sauvages
Dans les blés lourds viendront toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Tu m'oublieras les blessures d'amour
Ne s'ouvrent pas
Si tu t'en vas
La source ira toujours grossir le fleuve
Les amours neuves
Vers les beaux jours Iront toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Tout finira
Les choses de l'amour
Ne vivent pas
Si tu t'en vas
La mort vaincra toujours la fleur de l'âge
C'est son ouvrage
Malgré l'amour
Qui meurt toujours...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Rappelle-toi
Les paroles d'amour
Ne s'envol'nt pas
Si tu t'en vas
Au-delà de la vie vers la lumière
O? les prières
N'arrivent plus
Ell's sont perdues...
Si tu t'en vas
Si tu t'en vas un jour
Dans ces coins-là
Nous parlerons d'amour
Comme autrefois...
Si c'est possible!
Léo Ferré
*
Léo Ferré
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Mi scorderai
Detti d'amore
Viaggiar non sanno
Se te andrai
Non cesserà giammai
L'onda del mare
Di tornare alla riva
E tra le spighe gonfie
Di spuntare il papavero
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Mi scorderai
Dolor d'amore
Non apre ferite
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Non cesserà la fonte
Di diventar torrente
E agli amori novelli
Saranno lieti i giorni
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Sarà la fine
Gioia d'amore
Non sopravvive
Se te andrai
La morte vincerà
La giovinezza
Ligia alla legge
Che fa che amore
Debba sempre morire...
Se te ne andrai
Se un giorno te ne andrai
Ricorderai
I bei detti d'amore
Non volan via
Se te ne andrai
Da questa vita verso la luce
Ove la voce delle preghiere
Più non risuona
Sono perdute...
Se te andrai
Se un giorno te ne andrai
In quel cantuccio
Non cesserai
Di ragionare con me d'amore...
Sarà possibile?
Trad genseki
Juan José Saer
Le vecchine di Parigi
Juan José Saer
Da: "La Pesquisa"
Juan José Saer
...perché a Parigi abbondano le vecchiette nobili, borghesi, piccolo-borghesi o proletarie, zitellone amareggiate o donne libere ostinandosi a non perdere la propria orgogliosa indipendenza, vedove di notai o di medici, di commercianti o di autisti del metro, ex bottegaie o professoresse di canto o disegno in pensione, scrittrici di romanzi nel pieno della loro attività, russe emigrate, californiane, vecchie ebree scampate alla deportazione e, persino, antiche "cocottes", obbligate a ritirarsi da un censore più severo che i buoni costumi, cioè il tempo: la luce del giorno le vede riapparire ogni mattina, impeccabili o quasi straccione, secondo la loro condizione, mentre studiano dubbiose gli scaffali multicolori dei supermercati, o, se il tempo è bello,, sulle panchine verde scuro della piazza e dei viali, sedute da sole e tese o in animata conversazione con qualche altro esemplare della propria specie, o i intente a distribuire briciole ai colombi con gesti che già sono stati immortalati dalle cartoline; alla mattina, in primavera, si possono scorgere, in déshabillé, protese verso il vuoto della finestra di un quinto o sesto piano mentre annaffiano con attenzione gerani fioriti. All'interno dei palazzi, le si vede scendere o salire le cale, lente e prudenti, con una borsa di provviste o un cagnetto nervoso, puerile e un po' ridicolo che portano in braccio e di cui parlano a volte con qualche vicino usando un gergo di analisi psicologico che nessuno psicologo oserebbe mai applicare a un essere umano. Quando sono troppo vecchie l'ospizio o la morte le diradano, senza che, tuttavia, il loro numero diminuisca, poiché nuove leve di vedove, divorziate, zitellone, dopo il lasso di tempo irreale e troppo lungo che si suole chiamare vita attiva, vengono a sostituirle, avendo ormai sepolto tutti i parenti e i conoscenti, incoscienti e rassegnate.
L'ostinazione a perdurare, ancor più misteriosa che il concorso di circostanze che mise in moto il mondo e poi anche loro - e noi con loro - le va depositando nei loro esigui appartamenti, pieni di carabattole, ricami, tovaglie ricamate prima della guerra e tappeti consumati, mobili di famiglia e bauli, cassetti pieni di medicine, di servizi di posate del secolo scorso di foto ingiallite sul marmo dei comodini. Alcune vivono ancora in famiglia, la maggioranza, però, già non ha più nessuno o preferisce vivere da sola; le statistiche - voglio che reti ben chiaro dal principio che questa narrazione è vera - hanno dimostrato che a qualunque, età, in generale le donne sopportano meglio la solitudine e sono più indipendenti degli uomini. Comunque, il fato è che sono numerose, e sebbene le statistiche hanno dimostrato che in generale i ricchi vivono più a lungo dei poveri, ve ne sono di tutte le classi sociali, e sebbene dai vestiti e dai luoghi dove vivono si possono intuire le loro origini e i mezzi di cui dispongono, tutte hanno i tratti comuni propri del loro sesso e della loro età: il passo lento, le mani rugose e piene di macchioline scure, la dignità leggermente artritica dei gesti, la malinconia evidente degli inconcepibili ultimi giorni, gli organi parsimoniosi e i riflessi indecisi e senili, per non parlare delle molteplici operazioni cesaree, estrazioni di denti e calcoli, asportazioni di seni, eliminazioni di citi e tumori, deformazioni reumatiche, disturbi neurologici, la cecità progressiva o la sordità totale, i seni che si sgonfiano e si seccano e la natiche che s disfano, infine, la leggendaria fenditura che espelle letteralmente non sol l'uomo ma il mondo, la ferita rosa che si secca, si fa spiraglio e si addormenta.
Tuttavia, se la notte le inghiotte, con lo spuntar del giorno, eccole, come dicevo, ricomparire, e quelle che non si sono lasciate corrodere dalla disperazione, dalla miseria, dalle illusioni perdute, la tristezza, fioriscono al mattino con i cappellini fuori moda, i cappottini seri, il maquillage discreto, trottando come i loro botoli o scendendo cinque o sei piani di scale per andare a comprare il mangime ai gatti o ai canarini, oppure la rivista dei programmi TV, o, perché no, talvolta al ristorante da usciranno nel primo pomeriggio per andare a visitare un conoscente all'ospedale o, molto più probabilmente, per andare al cimitero a rassettare la tomba di qualche parente, fatte quasi, da materia che furono, simbolo, idea, metafora o principio.
Certo è che sono un elemento topico di questa città, un dettaglio di colore locale, come il Louvre, L'Arco di Trionfo o i vasi di gerani alle finestre, della cui esistenza, bisogna riconoscerlo, contribuivano più di chiunque altro con gli innaffiatoi di plastica e le piccole anfore di acqua mattutina. Come premio, forse del loro lavoro volto a preservare e persino a moltiplicare uomo e mondo nella rete delle loro viscere tanto concupite, o per pura casualità, in virtù di un ordine aleatorio di tessuti, di sangue e di cartilagini, fu concesso a molte di loro di persistere un pochino di più degli altri, ai margini del tempo, come quelle "piare" del fiume ove l'acqua pare trattenersi e allisciarsi secondando una fora invisibile che frena la corrente orizzontale, ma trascina inesorabilmente e verticalmente fin sul fondo.
Benché in apparenza siano inoffensive, a volte possono risultare irritanti, oppure come se la coscienza della loro fragilità, che paradossalmente le induce a credersi invulnerabili, conferisce una certa sicurezza alle loro opinioni e convertirle in portavoce della loro epoca di modo che, in un certo senso le loro severe osservazioni sulla porta di una panetteria, le loro analisi sociologiche all'ora del te, i commenti meccanici fatti da sole ad alta voce, davanti ala televisione, rivelano di più sul presente che i discorsi dei cosiddetti politici, specialisti in scienze umane e giornalisti, la conversazione quotidiana di una anziana con il suo canarino, mentre pulisce la gabbietta, è, forse l'unico dibattito serio dei tempi moderni, e non quelli che hanno luogo nelle camere, nei tribunali o alla Sorbona.
Da: "La Pesquisa"
Trad. genseki
martedì, maggio 28, 2013
venerdì, maggio 24, 2013
Merleau-Ponty
"...impariamo a veder nuovamente il
mondo attorno a noi da cui ci eravamo distolti nella convinzione che i
nostri sensi non potessero insegnarci nulla di valido e che solo un
sapere rigorosamente oggettivo meritasse di esser preso in
considerazione...In un mondo così trasformato non siamo soli, e non
siamo soltanto tra uomini. Questo mondo si offre anche agli animali, ai
bambini, ai primitivi, ai pazzi, che lo abitano a modo loro e che
coesistono con esso" (Maurice Merleau-Ponty)
giovedì, maggio 23, 2013
Logica e simbolica
“Oggi muore una società fondata sul primato del ‘logico’... Ecco perché è
venuto il momento ... non già, come si dice spesso oggi, di ‘cambiare
paradigma’, ma di introdurre un altro paradigma e di integrarvi i
nostri. L’ipotesi, condivisa da molti e che faccio mia, è che l’epoca
attuale ci inviti a reintrodurre il simbolico, vale a dire il primato
del legame nella struttura e nella vita del reale, nel desiderio e nel
sapere umani”.
Gh. Lafont, Che cosa possiamo sperare?, Bologna , EDB, 2011, 10-11
Essere ribelli
Esistere, significa combattere ciò che mi nega. Essere ribelli non è
collezionare libri empi, sognare fantasmagorici complotti o la
resistenza partigiana nelle Cevenne. Significa essere norma per se
stessi. E attenervisi, a qualunque costo. Badare a non guarire mai dalla
propria giovinezza. Preferire inimicarsi il mondo intero, piuttosto che
strisciare. Praticare anche, come un corsaro e senza vergogna, il
diritto di preda. Saccheggiare nell’epoca tutto ciò che è possibile
convertire alla propria norma, senza fermarsi alle apparenze. Nella
sconfitta, non porsi mai il problema dell’inutilità di un combattimento
perduto. Si pensi a Padrig Pearse.
Dominique Venner
Da "eléments" via Barbadillo
mercoledì, maggio 22, 2013
Dominique Venner
“Credo che esista, sin dall’Illuminismo, una tipologia mentale di destra
e che essa sia definita dal rifiuto della tabula rasa. Ogni pensiero di
destra discende dalla sensazione che gli uomini esistano prima di tutto
in quanto portatori di un’eredità collettiva specifica. Idea rifiutata
dalla sinistra, per la quale ciascun uomo è in sé un inizio, un soggetto
autonomo che non deve niente a delle radici, a un’eredità, a una
cultura, a una storia. Al massimo gli si riconosce un condizionamento
sociale di cui è suo compito liberarsi. Liberazione è la parola-chiave
della sinistra, così come eredità (o radici) è la parola-chiave della
destra”.
Da Barbadillo
martedì, maggio 21, 2013
La morte della nonna
Quella non era la nonna. Era la sua cuffia da cerimonia con i nastri di seta
bianca, e, sotto, i suoi capelli bruno-rossicci. Ma quel naso appuntito, quelle labbra rientrate, quel mento prominente, quelle mani giunte, giallastre e diafane, che si intuivano fredde e rigide, non appartenevano a lei. Quello era un ignoto fantoccio di cera, ed il disporlo e venerarlo in quel modo, aveva un che di raccapricciante. Ed egli guardava verso la «stanza dei paesaggi», come se di là dovesse comparire da un momento all’altro la nonna vera... Ma ella non arrivava. Era morta. La morte l’aveva per sempre sostituita con questa figura di cera, che teneva le palpebre e le labbra così inesorabilmente così inaccessibilmente serrate...
Ritto sulla gamba sinistra, il ginocchio destro piegato in modo che il piede
stesse in equilibrio sulla punta, con una mano egli teneva il nodo da marinaio cheaveva sul petto, mentre l’altra pendeva rilassata. La testa con i riccioli castani che ricadevano sulle tempie, era reclinata da una parte, e, sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampegi suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampeggiavano, scrutando il volto della defunta con espressione assorta e disgustata.
Respirava lentamente, con cautela, perché ad ogni respiro si aspettava
quell’odore, quell’odore strano eppure così singolarmente familiare, che le ondate di profumo dei fiori non sempre riuscivano a soffocare. E quando gli arrivava, quando lo sentiva, le sopracciglia gli si aggrottavano di più, e le labbra per un attimo cominciavano a tremare... Infine sospirò; quel sospiro era talmente simile a un singhiozzo senza lacrime che la signora Permaneder si chinò su di lui, lo baciò e lo condusse via.
bianca, e, sotto, i suoi capelli bruno-rossicci. Ma quel naso appuntito, quelle labbra rientrate, quel mento prominente, quelle mani giunte, giallastre e diafane, che si intuivano fredde e rigide, non appartenevano a lei. Quello era un ignoto fantoccio di cera, ed il disporlo e venerarlo in quel modo, aveva un che di raccapricciante. Ed egli guardava verso la «stanza dei paesaggi», come se di là dovesse comparire da un momento all’altro la nonna vera... Ma ella non arrivava. Era morta. La morte l’aveva per sempre sostituita con questa figura di cera, che teneva le palpebre e le labbra così inesorabilmente così inaccessibilmente serrate...
Ritto sulla gamba sinistra, il ginocchio destro piegato in modo che il piede
stesse in equilibrio sulla punta, con una mano egli teneva il nodo da marinaio cheaveva sul petto, mentre l’altra pendeva rilassata. La testa con i riccioli castani che ricadevano sulle tempie, era reclinata da una parte, e, sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampegi suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampeggiavano, scrutando il volto della defunta con espressione assorta e disgustata.
Respirava lentamente, con cautela, perché ad ogni respiro si aspettava
quell’odore, quell’odore strano eppure così singolarmente familiare, che le ondate di profumo dei fiori non sempre riuscivano a soffocare. E quando gli arrivava, quando lo sentiva, le sopracciglia gli si aggrottavano di più, e le labbra per un attimo cominciavano a tremare... Infine sospirò; quel sospiro era talmente simile a un singhiozzo senza lacrime che la signora Permaneder si chinò su di lui, lo baciò e lo condusse via.
Th Mann
I Buddenbrook
mercoledì, maggio 15, 2013
Agamben su Ratzinger
Le dimissioni del papa tra teologia e politica: “Il mistero del male” di Giorgio Agamben sulla scelta radicale di Ratzinger
di Antonio Gnoli
Un oscuro teologo del IV secolo fa da sfondo dottrinale alla decisione del Papa di abdicare al suo magistero. Possibile?
Ce lo racconta con il solito raffinato incastro di testi Giorgio Agamben nel nuovo libro: Il mistero del male (Laterza).
Da
anni egli affronta il significato politico della fine dei tempi,
sfrondandolo dagli orpelli apocalittici e cogliendone il senso in una
plausibile ricerca filologica.
I testi a volte ci parlano: nella loro autorevolezza sopportano l’usura del tempo e ci indicano strade che avevamo abbandonato.
Non è questo il senso della tradizione, di quella sapienza archeologica che segna a volte il nostro agire più consapevole?
Proprio
Joseph Ratzinger, appena trentenne, pubblicò un dotto articolo per
spiegare la posizione dottrinaria di Ticonio in merito alla Chiesa.
Costui era un donatista che avendo descritto una Chiesa al tempo stesso
malvagia e giusta, seppe coglierne la struttura bipartita che comprende
in sé tanto il peccato quanto la grazia. In una prospettiva escatologica
questi due corpi della Chiesa sono destinati a convivere fino alla fine
dei tempi. Allorché il Giudizio universale dividerà definitivamente i
malvagi dai giusti, il Cristo dall’Anticristo. Fino a quel momento le
due “anime” conserveranno una loro presenza nello stesso corpo della
Chiesa. È in questo contesto teologico che Agamben colloca il gesto
rivoluzionario di Benedetto XVI. Che non è un atto di viltà – accusa già
rivolta a Celestino V – né di stanchezza, ma una meditata e sofferta
scelta dottrinaria che lo ha posto all’altezza della drammatica
situazione in cui la Chiesa si trova a vivere.
Può, infatti,
questo istituto millenario attendere che il gran conflitto tra i malvagi
e i giusti si risolva alla fine dei tempi? Ecco perché la prospettiva
escatologica va ricondotta a quella storica, il tempo dell’apocalisse al
nostro tempo. La Chiesa, ci rammenta Agamben, non può sopravvivere se
rimanda passivamente alla fine dei tempi la soluzione del conflitto che
ne dilania il “corpo bipartito”. D’altro canto, l’aver ignorato lo
sguardo escatologico ha pervertito l’azione salvifica della Chiesa nel
mondo. L’ha resa per così dire cieca e priva di scopo. Di qui gli
scandali, la corruzione e quel corredo negativo che ne hanno stravolto
l’immagine. Agamben sottrae il male al cupo dramma teologico e lo
restituisce al suo vero contesto storico, nel cui spazio ognuno è
chiamato a fare senza riserve la sua parte. Decidere, d’accordo. Ma su
cosa? E per quali opzioni o scelte?
Benedetto XVI suggerisce una
strada. La sua decisione radicale rinvigorisce l’idea di giustizia e di
legittimità. Rimette in moto una macchina politica senza la quale la
Chiesa sarebbe destinata a inabissarsi. Non è di un analogo destino che
soffre la nostra società? Ancora una volta teologia e politica
incrociano due categorie – legittimità e legalità - oggi confuse o
smarrite. La profondità della crisi che la nostra società sta
attraversando, dice Agamben, va ricondotta anche al tentativo della
modernità di far coincidere legalità e legittimità.
Una Chiesa
dei giusti non trionferà senza una lotta ai malvagi; così come una
società equa non prevarrà senza il ricorso alla giustizia che è un
concetto più profondo della legalità. Chi può avere oggi la forza di
trasferire nel profano ciò che Benedetto XVI – con il suo richiamo
all’Auctoritas (al potere spirituale) - ha svolto nell’ambito del
teologico? Le nostre vite, attraversate da crisi terribili, hanno
urgenze mondane che si scontrano con l’ideologia liberista oggi
dominante. Nota Agamben che il paradigma del mercato autoregolantesi si è
sostituito a quello della giustizia e finge di poter governare una
società sempre più ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici.
Chiamiamola pure dittatura dell’algoritmo. Ma chi oggi ha un potere
così immenso da potervi perfino abdicare? Non è da questa rinuncia che
possa nascere una nuova occasione per la politica. Perché il potere
sembra esser sfuggito dalle mani dell’uomo. Ecco il dramma storico e il
“mistero” dal quale bisogna ripartire.
Da Repubblica
Canzone erronea
Canzone erronea è il titolo dell'ultimo libro di Antonio Gamoneda. È un libro sulla vecchiaia. La traduzione èe di genseki.
*
Amo il mio corpo
Con le sue vertebre ...
Da acciai viventi, le cartilagini
Strinate, il cuore leggermente umido
I miei capelli impazziti
Nelle tue mani.
Amo anche
Il mio sangue solcato da gemiti.
Amo la calcificazione e la malinconia
Arteriale e la passione del fegato
Che ribolle nel passato e le squame
Delle mie palpebre fredde.
Amo lo stame cellulare, le feci
Bianche alla fine, l'orifizio
Dell'infelicità. i midolli
Della tristezza, gli anelli
Della vecchiaia e l'influenza
Della tenebra intestinale.
Amo i circoli
Unti del dolore e le radici
Dei tumori lividi
Amo questo corpo vecchio e la sostanza
Della sua miseria clinica.
L'oblio
Dissolve la materia pensante
Di fronte alla grandi vetrate
Della menzogna.
Tutto è ormai deciso
Non c'è causa in me. C'è solo
Stanchezza e
Un antico smarrimento:
passare
Dall'inesistenza
All'inesistenza.
È
Un sogno.
Un sogno vuoto.
Eppure accade.
Amo
Tutto quello che ho creduto
Vivente in me.
Amai le mani
Grandi di mia madre e
Quel l'antico metallo
Dei suoi occhi e quella
Stanchezza gonfia di luce
E di freddo.
Disprezzo
L'eternità.
Ho vissuto
E non so perché.
Ora
Devo amare la mia propria morte
E non so morire.
Che equivoco.
*
lunedì, maggio 13, 2013
Gamoneda
Vidi colombe. Vidi tremare le loro ali
Tra ceneri e cristalli.
Vidi
Frutti di bronzo: la loro gravità sospesa
a rami immoti.
Vidi
La passione vorticosa degli uccelli
Sulla macchina celeste dell'allegria.
Vidi
La geometria ardente del lampo.
Nella festa finale arse la porpora
Dell'ultimo giardino
Svennero
Le cifre del lampo e il bronzò si svincolò
Dai rami immoti.
Trad. genseki
Tra ceneri e cristalli.
Vidi
Frutti di bronzo: la loro gravità sospesa
a rami immoti.
Vidi
La passione vorticosa degli uccelli
Sulla macchina celeste dell'allegria.
Vidi
La geometria ardente del lampo.
Nella festa finale arse la porpora
Dell'ultimo giardino
Svennero
Le cifre del lampo e il bronzò si svincolò
Dai rami immoti.
Trad. genseki
mercoledì, maggio 08, 2013
Maritain sul matrimonio
La
verità è questa, secondo me: anzitutto l’amore come desiderio o
passione, e l’amore romantico — o quanto meno un elemento di
esso — dovrebbero, per quanto possibile, essere presenti nel
matrimonio come un primo incentivo, come punto d’avvio.… In
secondo luogo, il matrimonio, lungi dall’avere come suo scopo
precipuo quello di portare al compimento perfetto l’amore
romantico, ha da compiere nei cuori umani ben altra opera:
un’infinitamente più profonda e più misteriosa operazione di
alchimia: voglio dire che ha da trasformare l’amore romantico, o
quanto di esso esisteva all’inizio, in un vero e proprio amore
umano, reale ed indistruttibile, in un amore veramente
disinteressato, che non esclude il sesso, si capisce, ma che diviene
sempre più indipendente dal sesso, e può persino essere, nelle sue
forme più elevate, completamente libero dal desiderio e
dall'interferenza sessuale, in quanto di natura essenzialmente
spirituale: una completa ed irrevocabile donazione dell’uno
all'altro, per amore dell’altro. Così è che il matrimonio può
essere un’autentica comunità d’amore tra uomo e donna: qualcosa
di costruito non sulla sabbia, ma sulla roccia, perché poggia su di
un amore genuinamente umano, non animale, e genuinamente spirituale,
genuinamente personale: attraverso l’ardua disciplina
dell’autosacrificio ed a forza di rinunce e purificazioni.… E
allora ciascuno può diventare una specie di Angelo custode
dell’altro: preparato e pronto, proprio come un Angelo custode
deve essere, a molto perdonare all’altro: infatti la legge
evangelica del reciproco perdono bene esprime, mi pare, un’esigenza
fondamentale, che è valida non soltanto nell’ordine
soprannaturale, ma anche nell’ordine terreno e temporale, e per le
società umane di base, quali la società domestica e la società
politica. Ciascuno, in altre parole, può allora rendersi realmente
dedito al bene e alla salvezza dell’altro.
J. MARITAIN,
Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, tr. it.
Riflessioni sull’America, Morcelliana, Brescia 1960, pp. 109-110
Dal blog: http://nipotidimaritain.blogspot.it/
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