giovedì, gennaio 29, 2009
Conclusione per i combattenti
Panait Istrati
Panait Istrati nacque a Braila in Romania nel 1884. Dopo una vita di vagabondaggi e di miseria pubblica il romanzo Kyra Kyralina (in francese) il cui successo fa di lui uno scrittore popolare. Nel 1928 intraprende un viaggio attraverso l'URSS, al di fuori dei circuiti ufficiali.Negli scritti che raccontano questo viaggio, pubblicati nel 1929 Istrati denuncia lo sfruttamento implacabile dei lavoratoti nella URSS. Il suo destino è allora segnato. Il "Gorki balcanico" diventa dall'oggi al domani un "nazionalista antisemita" e un ·"cane rabbioso". Attraverso le lettere e gli articoli di quegli anni si puó seguire ancora la battaglia disperata di Istrato contro le calunnie e l'isolamento. Sfinito da questa lotta senza speranza Istrati muore in Romania, dove era ritornato, nell'anno 1935.
Di Istrati si è detto che non volle essere nè di sinistra nè di destra e restare equidistante tra fascismo e comunismo.
Conclusione per i combattenti
Solo è combattente, ai miei occhi colui che subordina i propri interessi individuali agli interessi dell'umanitá migliore che verrá.
Io credo in questa umanitá. Oggi essa esiste come il sole esiste durante la notte. Piú di una volta il mio fango la ha sfiorata. Piú di una volta, nelle mie innumerevoli ore di desolazione, la sua mano mi ha sollevato da terra.
Tutto quello che ho fatto di bene e di bello, lo devo a lei. Non ho fatto solo cose buone e belle. Ho avuto la mia parte di fango, ce l'ho ancora e continuerò ad averla. Sono infelice, peró, quando essa mi sommerge e muoio di felicitá quando afferro un raggio di luce della bella umanitá.
Per questo ad essa voglio consacrare tutte le mie forze, aiutare tutti coloro che lottano per essa.
Io non credo piú in nessun "credo". Non voglio piú ascoltare quello che gli uomini dicono, ma guardare solo quello che fanno:
Mostratemi quello a cui potete rinunciare nella vostra vita e vi dirò qual è il valore che date alla vita altrui.
Noi sfuggiamo all'avvilimento soltanto se fondiamo la nostra esistenza on tutto ciò che vive. È solo così che diventiamo liberi: sentendo tutto ció che fa bene e ció che fa male intorno a noi.Conclusioni per combattenti
Una fiamma dopo mille altre si è spenta su un vasto paese ricco di speranze. Ora in quelle contrade resta solo il soffio freddo dell'egoismo che gela la vita.
Ma è sempre la terra da dove sgorgano le fiamme piú belle che riscaldano l'umanitá. Per questo essa è sacra e ricca di futuro.
Aiutiamola ad aprire il suo ventre generoso alla nostra anima assettata di bene e di bello.
Andiamo verso l'altra fiamma.
Io credo in questa umanitá. Oggi essa esiste come il sole esiste durante la notte. Piú di una volta il mio fango la ha sfiorata. Piú di una volta, nelle mie innumerevoli ore di desolazione, la sua mano mi ha sollevato da terra.
Tutto quello che ho fatto di bene e di bello, lo devo a lei. Non ho fatto solo cose buone e belle. Ho avuto la mia parte di fango, ce l'ho ancora e continuerò ad averla. Sono infelice, peró, quando essa mi sommerge e muoio di felicitá quando afferro un raggio di luce della bella umanitá.
Per questo ad essa voglio consacrare tutte le mie forze, aiutare tutti coloro che lottano per essa.
Io non credo piú in nessun "credo". Non voglio piú ascoltare quello che gli uomini dicono, ma guardare solo quello che fanno:
Mostratemi quello a cui potete rinunciare nella vostra vita e vi dirò qual è il valore che date alla vita altrui.
Noi sfuggiamo all'avvilimento soltanto se fondiamo la nostra esistenza on tutto ciò che vive. È solo così che diventiamo liberi: sentendo tutto ció che fa bene e ció che fa male intorno a noi.Conclusioni per combattenti
Una fiamma dopo mille altre si è spenta su un vasto paese ricco di speranze. Ora in quelle contrade resta solo il soffio freddo dell'egoismo che gela la vita.
Ma è sempre la terra da dove sgorgano le fiamme piú belle che riscaldano l'umanitá. Per questo essa è sacra e ricca di futuro.
Aiutiamola ad aprire il suo ventre generoso alla nostra anima assettata di bene e di bello.
Andiamo verso l'altra fiamma.
trad. genseki
mercoledì, gennaio 28, 2009
Lucian Blaga
Lucian Blaga, da bambino, fino all'etá di quattro anni, aveva rifiutato di pronunciare parole, cioè di entratre nel mondo delle parole attraverso le parole, questo rifiuto è diventato, piú tardi, per lui sinonimo di peccato originale.
Scrisse nella poesia "Biografia":
Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
La neve dell'essere occupa il posto delle parole.
*
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Giovanotto che caplesti l'erba del mio eremitaggio
È ancora lontano il crepuscolo?
Vorrei morire all'alba
Con le serpi schiacciate
Dai bastoni dei pastori.
Como loro mi contorsi nella polvere
Come loro ho strisciato sotto il sole.
*
Ferma Signore lo scorrerere del tempo
Io so, so che senza la morte
Non ci sarebbe nemmeno l'amore.
Tuttavia, signore, vengo a pregarti.
Ferma l'orologio con il quale misuri
Il tempo
Delle nostre chimere.
Trad genseki
Scrisse nella poesia "Biografia":
Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
La neve dell'essere occupa il posto delle parole.
*
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Giovanotto che caplesti l'erba del mio eremitaggio
È ancora lontano il crepuscolo?
Vorrei morire all'alba
Con le serpi schiacciate
Dai bastoni dei pastori.
Como loro mi contorsi nella polvere
Come loro ho strisciato sotto il sole.
*
Ferma Signore lo scorrerere del tempo
Io so, so che senza la morte
Non ci sarebbe nemmeno l'amore.
Tuttavia, signore, vengo a pregarti.
Ferma l'orologio con il quale misuri
Il tempo
Delle nostre chimere.
Trad genseki
martedì, gennaio 27, 2009
Il giorno della memoria
Il Mondo è fondato sulla dimenticanza. Se non esistesse la dimenticanza non esisterebbe nemmeno il mondo.
Il desiderio di Dio, il ricordo del Gudizio, l'ebrezza spirituale sono gli architetti del mondo che deve venire.Se l'insieme degli uomini volgesse il viso verso il mondo di lá, noi tutti andremmo verso di esso e nessuno rimarrebbe.
Dio Altissimo vuole, invece, che si resti qui, e che i due mondi sussustano entrambi. Per questo ha incaricato due funzionari, la trascuratezza e la vigilanza, perché le due abitazioni restino in ordine
Rûmî
***
A prima vista appare poco chiaro perché Dio abbia creato la dimenticanza. Ma il significato è questo: se non ci fosse la dimenticanza, l'uomo penserebbe continuamente alla propria morte e non costruirebbe case e non intraprenderebbe nulla. Perció Dio ha posto negli uomini la dimenticanza. Perció un angelo è incaricato di insegnare al bambino così che non dimentichi nulla, e un altro angelo è incaricato di battergli sulla bocca perchè dimentichi quello che ha imparato
Martin Buber
Racconti dei Chassidim
***
Il patrimonio della memoria è un ostacolo all'unione con Dio mediante la Speranza.
Edith Stein
Scientia Crucis
***
Sembrerrebbe che i due Angeli vadano onorati: quello della meomoria e quello della dimenticanza: è possibile forse l'odio ove non vi sia memoria dell'offesa? Oso risondere no. Forse l'odio si annida della memoria e si nutre della dimenticanza. Krishnamurti soleva sostenere, invece, che ove non vi è libertá dal conosciuto là dove non vi è amore. Il conosciuto è tale nella memoria. L'amore è sempre abbandonare.
Al giorno della memoria sarebbe, allora, lecito e racomandabile affiancare un giorno della dimenticanza o della purificazione.
Il karma del passato si tagli in un solo colpo.
genseki
I dadi eterni
Da “Gli araldi neri”
Mio Dio, resto piangendo l'essere che vivo
Mi duole aver gustato del tuo pane
Ma questo povero fango pensieroso
Crosta non è in fermento al tuo costato:
Le tue Marie non partono!
Dio mio, se mai tu fossi stato un uomo
Sapresti oggi esser Dio,
Ma tu te ne sei stato sempre bene,
Non senti niente della tua creazione:
È l'uomo che ti soffre ed egli è Dio!
Oggi ci sono fiamme nei miei occhi
Di stregone dannato
Vieni Dio mio con tutte le tue torce
E giocaremo con il vecchio dado.
E forse a dar la sorte
O giocator di tutto l'universo,
Sorgeranno le occhiaie della Morte
Come due assi funebri di fango.
Dio mio, in questa notte sorda, oscura,
Piú giocar non potrai, perché la Terra
È un dado corroso, arrotondato
A forza di ruotare senza meta
E fermarsi non può che nel gran vuoto
Il vuoto dell'immensa sepoltura.
Vallejo
trad genseki
Mio Dio, resto piangendo l'essere che vivo
Mi duole aver gustato del tuo pane
Ma questo povero fango pensieroso
Crosta non è in fermento al tuo costato:
Le tue Marie non partono!
Dio mio, se mai tu fossi stato un uomo
Sapresti oggi esser Dio,
Ma tu te ne sei stato sempre bene,
Non senti niente della tua creazione:
È l'uomo che ti soffre ed egli è Dio!
Oggi ci sono fiamme nei miei occhi
Di stregone dannato
Vieni Dio mio con tutte le tue torce
E giocaremo con il vecchio dado.
E forse a dar la sorte
O giocator di tutto l'universo,
Sorgeranno le occhiaie della Morte
Come due assi funebri di fango.
Dio mio, in questa notte sorda, oscura,
Piú giocar non potrai, perché la Terra
È un dado corroso, arrotondato
A forza di ruotare senza meta
E fermarsi non può che nel gran vuoto
Il vuoto dell'immensa sepoltura.
Vallejo
trad genseki
lunedì, gennaio 26, 2009
La preghiera dell'ateo
Unamuno capovolge la prova di Anselmo. Il fatto che Dio possa essere pensato come dotato di ogni perfezione lo condanna all'inesistenza. L'inesistenza peró come è declinata nella tradizione apofatica. Inesistenza in quanto assoluta trascendenza, incommensurabile con quell'altra inesistenza, tragica per Unamuno, dell'uomo.
Dio è inesistente per l'uomo perché l'esistenza divina lo trascende in modo assolutamente radicale.
Si intravede nel testo di Unamuno l'ereditá di Ibn Arabi.
La traduzione non è all'altezza del testo.
genseki
Odi la prece mia, Dio inesistente
E nel tuo nulla accogli il mio lamento
Tu che l'uomo meschino mai non privi
Della consolazione dell'inganno
Al nostro anelo concedi alimento.
Quanto più dalla mente ti allontani
Mi sovvengo dei placidi consigli
Con cui la tata addolciva notti tristi.
Che grande sei Dio mio! Sei tanto grande
Che non sei che un'idea; è troppo angusta
La realtá nostra che tanto si espande
Per contenerti. Ed io soffro al tuo fianco
Dio inestistente, perché se Tu esistessi
Esisterei allora anch'io davvero.
Unamuno
trad genseki
sabato, gennaio 24, 2009
César Vallejo come l'ho conosciuto II
Quando ebbi finito di mettere a posto tutte le mie cose mi disse ancora:
- Molti bambini preferiscono sedersi piú in fondo perché non gli piace rispondere alle domande. Tu, peró sarai un bravo alunno, non è vero?
Io non sapevo niente dei piccoli trucchi dei bambini, cosí non capivo bene che cosa volesse dire e risposi ingenuamente:
- Si, la mia mamma si è raccomandata che studi molto...
Egli sorrise lasciando intravedere denti bianchissimi e poi mi accompagnó verso la porta. Chiamó uno dei ragazzetti che stavano ggiocando e gli disse:ç
- Questo è uno nuovo, accompagnalo a giocare...
Quindi se ne andó e vennero altri bambini, che tutti si misero ad osservarmi con curiositá, sorridendo: !Montanaro burino! Commentò uno notando le mie guance rosse dato che gli abitanti della costa per lo piú sono pallidi. Gli altri scoppiarono a ridere. Il bambino che doveva portarmi a giocare disse con calma:
- Sai giocare ad acchiappare?
Io gli dissi di no e egli sentenzió:
- Sei nuovo, chiaro che non sai giocare...
Mi lasciarono per continuare ad acchiapparsi, io ero molto confuso e il rumore della ricreazione mi intontiva.
Cercai con lo sguardo il maestro e alla fine lo trovai accanto alla porta, secco secco e scuro mentre parlava con un altro professore grasso e dai baffi diritti, un buon uomo che anch'io avrei finito per chiamare Champollion, come da alcune generazioni facevano tutti gli alunni. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e me ne andai a zonzo. Attraversando una porta entrai in un grande cortile dove vi erano studenti piú grandicelli. Nessuno mi guardava e nessuno mi diceva nulla. Era li che doveva trovarsi mio zio. C'erano molti cortili, molte aule, molti archi. Le pareti erano dipinte di rosso chiaro, quasi rosa come per temperare la severitá di un edificio che in altri tempi era stato un convento. Suonó la campana e io non sapevo più ritornare in classe. Ero perduto de entrai per sbaglio in un'altra. Proprio Vallejo venne a recuperami. Si era accorto della mia assenza e si era messo a cercarmi di aula in aula, mi prese per mano e mi portó con lui. Ricordo ancora la sensazione che mi produsse la sua mano grande, fredda e nodosa, stringendo la mia timida e scivolosa per la tensione. Volli liberarla ma egli la trattenne. Mentre camminavamo per gli ampi corridoi desertimi andava dicendo senza che io mi azzardassi a rispondere:
- perché ti sei messo a camminare? Sei restato solo?. Un bimbetto come te non deve allontanarsi dalla sua aula e dal suo cortile. Questa scuola è moltogrande... Sei triste?
Giungemmo alla nostra aula e mi condusse al mio banco. Si mise dietro la sua cattedra che stava alla stessa altezza dei nostri banchi e molto vicina ad essi di modo che ci parlava proprio a fianco. Fu allora che mi resi conto che il maestro no si tagliava i capelli come tutti gli altri uomini ma che portava una grande chioma liscia, abbondante e negrissima. Senza sapere a che attribuirlo chiesi a voce bassa al mio compagno di banco:
- perché porta i capelli così?
- È un poeta, mi sussurró.
La personallitá di Vallejo cominciava a sembrarmi in po' misteriosa e cominciai a farmi qualche domanda a cui non sapevo rispondere. Egli mi scosse dalle mie perplessitá dando due colpi sulla cattedra con il righello. Era il suo modo di richiamare l'attenzione. Annunció che stava per dettare la lezione di geografia e imbricando le dite in modo da simulare la forma della terra con le sue mani scure e magre disse:
- Bambini, la terra è rotonda come una arancia... proprio questa terra in cui viviamo e che ci sembra piatta è rotonda.
Ciro Alegria
trad genseki
- Molti bambini preferiscono sedersi piú in fondo perché non gli piace rispondere alle domande. Tu, peró sarai un bravo alunno, non è vero?
Io non sapevo niente dei piccoli trucchi dei bambini, cosí non capivo bene che cosa volesse dire e risposi ingenuamente:
- Si, la mia mamma si è raccomandata che studi molto...
Egli sorrise lasciando intravedere denti bianchissimi e poi mi accompagnó verso la porta. Chiamó uno dei ragazzetti che stavano ggiocando e gli disse:ç
- Questo è uno nuovo, accompagnalo a giocare...
Quindi se ne andó e vennero altri bambini, che tutti si misero ad osservarmi con curiositá, sorridendo: !Montanaro burino! Commentò uno notando le mie guance rosse dato che gli abitanti della costa per lo piú sono pallidi. Gli altri scoppiarono a ridere. Il bambino che doveva portarmi a giocare disse con calma:
- Sai giocare ad acchiappare?
Io gli dissi di no e egli sentenzió:
- Sei nuovo, chiaro che non sai giocare...
Mi lasciarono per continuare ad acchiapparsi, io ero molto confuso e il rumore della ricreazione mi intontiva.
Cercai con lo sguardo il maestro e alla fine lo trovai accanto alla porta, secco secco e scuro mentre parlava con un altro professore grasso e dai baffi diritti, un buon uomo che anch'io avrei finito per chiamare Champollion, come da alcune generazioni facevano tutti gli alunni. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e me ne andai a zonzo. Attraversando una porta entrai in un grande cortile dove vi erano studenti piú grandicelli. Nessuno mi guardava e nessuno mi diceva nulla. Era li che doveva trovarsi mio zio. C'erano molti cortili, molte aule, molti archi. Le pareti erano dipinte di rosso chiaro, quasi rosa come per temperare la severitá di un edificio che in altri tempi era stato un convento. Suonó la campana e io non sapevo più ritornare in classe. Ero perduto de entrai per sbaglio in un'altra. Proprio Vallejo venne a recuperami. Si era accorto della mia assenza e si era messo a cercarmi di aula in aula, mi prese per mano e mi portó con lui. Ricordo ancora la sensazione che mi produsse la sua mano grande, fredda e nodosa, stringendo la mia timida e scivolosa per la tensione. Volli liberarla ma egli la trattenne. Mentre camminavamo per gli ampi corridoi desertimi andava dicendo senza che io mi azzardassi a rispondere:
- perché ti sei messo a camminare? Sei restato solo?. Un bimbetto come te non deve allontanarsi dalla sua aula e dal suo cortile. Questa scuola è moltogrande... Sei triste?
Giungemmo alla nostra aula e mi condusse al mio banco. Si mise dietro la sua cattedra che stava alla stessa altezza dei nostri banchi e molto vicina ad essi di modo che ci parlava proprio a fianco. Fu allora che mi resi conto che il maestro no si tagliava i capelli come tutti gli altri uomini ma che portava una grande chioma liscia, abbondante e negrissima. Senza sapere a che attribuirlo chiesi a voce bassa al mio compagno di banco:
- perché porta i capelli così?
- È un poeta, mi sussurró.
La personallitá di Vallejo cominciava a sembrarmi in po' misteriosa e cominciai a farmi qualche domanda a cui non sapevo rispondere. Egli mi scosse dalle mie perplessitá dando due colpi sulla cattedra con il righello. Era il suo modo di richiamare l'attenzione. Annunció che stava per dettare la lezione di geografia e imbricando le dite in modo da simulare la forma della terra con le sue mani scure e magre disse:
- Bambini, la terra è rotonda come una arancia... proprio questa terra in cui viviamo e che ci sembra piatta è rotonda.
Ciro Alegria
trad genseki
venerdì, gennaio 23, 2009
Dedicato all'UAAR
La negazione dell'esistenza di Dio non è evidentemente esclusiva dell'ateismo come ci spiega Tomaso con limpida concisione:
Deus non est existens, sed supra existentia, tu dicitE in altro luogo:
Dionysius. Ergo non est intelligibilis, sed supra omnem
intellectum.
Deus non sic diciturr non existens quasi nullo modo sit
existens, sed quia supra omne existens, inquantum est suum esse. (Summa T. I,
12;1)
Cioè di Dio si non esiste ma è oltre l'esistenza in quanto è l'essere di ogni esistenza.
Quindi il polemico slogan dell'ateobus di Genova potrebbe esssere, senza problemi, sottoscritto, con ogni probabilitá dallo stessissimo Tomaso.
genseki
Quindi il polemico slogan dell'ateobus di Genova potrebbe esssere, senza problemi, sottoscritto, con ogni probabilitá dallo stessissimo Tomaso.
genseki
Colui che conosce
Colui che conosce non puó essere conosciuto dall'oggetto della sua conoscenza.
Non si tratta quindi di conoscere il mondo ma di lasciarsi conoscere da esso.
genseki
L'Assoluto
Nel pensiero di Ibn Arabi l'assolutamente Assoluto (haq) si situa sul piano dell'unitá e non è mai svelato. Ovvero è inaccessibile per l'uomo e resta tale anche nel momento piú alto dell'unione mistica, nella Rivelazione e nella gnosi assoluta.
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.
genseki
giovedì, gennaio 22, 2009
Ibn Arabi
Posto che null'altro esiste nel vero senso della parola, eccetto l'assoluto, un autentico conoscitore di Dio non vede, nelle forme molteplici che la manifestazione di Dio, giacché sa che Egli si manifesta in tutte le cose. In questa maniera, qualunque sia l'oggetto del suo culto sempre adora Dio. Ciò può essere inteso anche nel modi seguente: le forme divergenti del molteplice all'interno dell'Uno sono o spirituali come gli angeli, o visibili e sensibili esternamente come il cielo e la terra e tutte le cose materiali che si trovano nel mezzo. Quelle si possono comparare alle facoltá spirituali contenute nel corpo di un uomo, queste alle membra di quello stesso corpo.
L'esistenza di questa molteplicitá nell'uomonon impedisce che egli possagga una unitá.a cura di genseki
mercoledì, gennaio 21, 2009
Miguel de Unamuno
Questi due passi tratti dalla "Vida de Don Quixote" di Unamuno sarebbero una buona risposta alla ineffabile societá di atei che ha impostato la campagna sull'esistenza di Dio sugli autobus genovesi. Se fossero in grado, e non sono, di essere coscienti di quello che pensano
genseki
Se esistessero davvero soffrirebbero di esistere e non si accontenterebbero dell'esistenza.
genseki
Se esistessero davvero soffrirebbero di esistere e non si accontenterebbero dell'esistenza.
Se in veritá esistessero realmente nel tempo e nello spazio, soffrirebbero di non essere nell'eternitá e nell'infinito. E questa sofferenza, questa passione che non è altra cosa cosa che la passione di Dio in noi, la nostra temporalitá, farebbe loro spezzare tutti quegli insifficienti passaggi logici con i quali tentano di legare i loro insufficienti ricordi con le loro insufficienti speranze, l'illusione del loro passato con quella del loro avvenire.
*
Non c'è nessun avvenire; non c'è mai nessun avvenire. Quello che chiamate avvenire è solo una grande menzogna. Oggi è l'autentico avvenire. Che ne sará di noi domani? Non c'è domani?
Che ne sará di noi oggi? Ecco la unica domanda.
Dalla "Vida de Don Quixote"
trad. genseki
Dalla "Vida de Don Quixote"
trad. genseki
martedì, gennaio 20, 2009
Paths of Glory La scena finale
Il filmato è una breve e terribile illustrazione di quanto espresso da Alain nel post precedente.
genseki
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
I brani seguenti non sono aforismi, anche se possono averne la tagliente secchezza, si tratta, invece, di brani tratti dall'opera “Mars ou la guerre jugée”, del filosofo francese Alain credo inedita in italiano.
In essa troviamo una delle analisi piú attente della guerra moderna (si riferisce alla Prima Guerra Mondiale) in tutto la sua efficace brutalitá.
Logica de efferatezza, economia e morale del sacrificio, psicologia e fisiologia si intersecano nell'edificio efferato dell'ideologia di guerra.
Alain partecipó alla Prima Guerra Mondiale all'etá di 46 anni come telefonista di artiglieria.
La guerre est toujours oubliée.
La guerra è sempre dimenticata
*
La guerre dépasse toujours les prévisions et le possible.
La guerra supera sempre le previsioni e il possibile
*
Il en faut jamais laisser entendre, ni en permettre de croire que la guerre soit compatible , en un sens quelconque, avec la justice et l'humanité.
Non bisogna mai far credere e neppure permettere che si creda che la guerra sia compatibile, in un senso qualsiasi, con la giustizia e con l'umanitá.
*
Aux premiers actes del la guerre, les fins trascendants périssent aussitôt, comme étrangers en cette mécanique ajustée pour se passer de tout, et même du courage.
Fin dalle prime mosse della guerra, i fini trascendenti periscono come estranei a questa meccanica concepita proprio per fare a meno di tutto e anche del coraggio.
*
La colère fille de la peur, n'attend pas l'ennemi pour combattre.
Ainsi la violence s'exerce d'abord contre elle-même, et toujours contre elle même...
(en guerre) l'ennemi n'est en vérité qu'un prétexte pour se nuire à soi-même.
Qui veut la guerre est en guerre avec soi.
La collera figlia della paura, non ha bisogno del nemico per combattere.
Così la violenza si esercita prima di tutto contro di sè, e sempre contro di sè...
(in guerra) il nemico è soltanto un pretesto per fare del mae a se stessi.
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
*
Le pouvoir par ses ruses fait de toute guerre sa guerre. Dans le combat, ce qu'il y a de fureur contre les maîtres lointains et contre les féroces spectateurs, qui peut le savoir? Le gladiateur croyai égorger César peut-être.
Il potere grazie alle sue astuzie fa di ogni guerra la sua guerra. Quanto sia il furore che nella guerra è diretto contro i padroni lontani e contro i feroci spettatori chi mai lo puó sapere? Il gladiatore credeva, forse, di sgozzare Cesare.
*
Contrairement à l'impression que produit la parade le grand corps des combattants est écervelé: un monstre où la tête en sent pas le corps et le tyrannise sans être instruite par lui.
Contrariamente all'impressione che produce la parata il grande corpo dei combattenti è un organo convulso e senza cervello: un mostro la cui testa non ha il sentimento del suo corpo e lo tirannizza senza ricevere stimoli da esso.
L'homme humilié méthodiquement si borne qu0il soit finit par sentir sa puissance d'oser, en accord enfin avec les opinions, les exemples et les ordres...” Quand vient le moment de dépasser en courage ce chef si habile à mépriser, le troufion le saisit de toute son âme. Il force ainsi l'estime qu'on lui refuse par une auadace qui paraîtra surhumaine parce que l'homme aura perdu tout souci de se conserver.
C'est ainsi, du sommet au bas de l'echelle, toujours le chef méprise pour meu bander l'énergie de revanche des subordonnés et on voit ainsi “le plus humble et le plus méprisé courir devant comme l'art militaire l'exige”
L'uomo metodicamente umiliato, per quanto limitato egli sia, finisce per sentire la sua capacitá di osare, in accordo, infine, con le opinioni, gli esempi, gli ordini...” Quando viene il momento i superare in coraggio questo capo così abile a disprezzare, il marmittone lo afferra con tutta l'anima. Forza allora la stima che gli si rifiuta con una audacia che sembrerá sovrumana perché l'uomo avrá ormai perduto ogni preoccupazione di conservazione.
É cosí che dalla sommitá al fondo della scala, il capo disprezza per meglio mettere in tensione l'energia di rivincita dei subordinato e si vede cos`”il piú umile e disprezzato correre davanti a tutto come lo esige l'arte militare.
*
Il film di Syanley Kubrik “Paths of Glory” sembra l'illustrazione cinematografica perfetta delle idee di Alain.
Il film di Syanley Kubrik “Paths of Glory” sembra l'illustrazione cinematografica perfetta delle idee di Alain.
a cura di genseki
lunedì, gennaio 19, 2009
Lucian Blaga
Canto per l'anno 2000
L'avvoltoio che lassú si affanna
Sará estinto ormai da molti anni.
Vicino a Sibiu, nel verde manto
Solo le querce saranno rimaste
Forse un viandante mi ricorderá
O uno straniero nel tempo futuro?
No, nessuno racconterá di me.
Perchè si finirebbe per dire così:
Soleva passare di qua
Contemporaneo alle farfalle e a Dio.
trad. genseki
L'avvoltoio che lassú si affanna
Sará estinto ormai da molti anni.
Vicino a Sibiu, nel verde manto
Solo le querce saranno rimaste
Forse un viandante mi ricorderá
O uno straniero nel tempo futuro?
No, nessuno racconterá di me.
Perchè si finirebbe per dire così:
Soleva passare di qua
Contemporaneo alle farfalle e a Dio.
trad. genseki
Kodo Sawaki e Daichi
Kodo Sawaki
Il vecchio albero morto nel cuore del monte
Sporge il suo tronco sul dirupo scosceso
Lucidato dai venti
Dalle piogge dilavato
Spogliato dal temporale.
Due mila inverni sono passati su di lui
E hanno lasciato solo l'essenza
Di quello che fu un albero.
Eppure anche se lo tagliassimo
A colpi d'ascia,
Questa essenza noi non sapremmo ritrovarla.
Splendido
Anche se non ha né fiori né foglie
Se non ha rami, scorza né linfa
Completamente secco
Pura essenza concentrata
Di secoli di espeienza.
L'oscuritá dell'ombra dei pini
Dipende dalla luce della luna.
*
Daichi
Il Drago celeste si rivela con un ruggito
Sulla casa del monte
Non c'è modo di passare
Non si puó varcare
La porta:
Tendi l'orecchio:
C'è solo il vento
Apri gli occhi:
Ecco la chiara luna.
Quanti però
Vengono fin quassú
Per affacciarsi da questo balcone.
Trad a cura di genseki
Il vecchio albero morto nel cuore del monte
Sporge il suo tronco sul dirupo scosceso
Lucidato dai venti
Dalle piogge dilavato
Spogliato dal temporale.
Due mila inverni sono passati su di lui
E hanno lasciato solo l'essenza
Di quello che fu un albero.
Eppure anche se lo tagliassimo
A colpi d'ascia,
Questa essenza noi non sapremmo ritrovarla.
Splendido
Anche se non ha né fiori né foglie
Se non ha rami, scorza né linfa
Completamente secco
Pura essenza concentrata
Di secoli di espeienza.
L'oscuritá dell'ombra dei pini
Dipende dalla luce della luna.
*
Daichi
Il Drago celeste si rivela con un ruggito
Sulla casa del monte
Non c'è modo di passare
Non si puó varcare
La porta:
Tendi l'orecchio:
C'è solo il vento
Apri gli occhi:
Ecco la chiara luna.
Quanti però
Vengono fin quassú
Per affacciarsi da questo balcone.
Trad a cura di genseki
sabato, gennaio 17, 2009
Della Virtú
Michel De Montaigne
De la vertu
Il me semble que la vertu est chose, et plus noble, que les inclinations à la bonté, qui naissent en nous. Les âmes reglées d'elles mêsmes et bien nées, elles suivent mesme train et représentent en leur action mesme visage que les vertueueses. Mais la vertu somme je en sçais quoy de plus grand et de plus actif, que de se laisser par un douce complexion, doucement et paisiblement conduire à la suite de la raison. Celuy qui d'une douceur et facilité naturelle mespriseroit les offenses reçeues, feroit chose très belle et digne de louange: mais celuy qui picqué et outré jusques au vif d'une offence s'armeroit des armes de la raison contre ce furieux appetit de vengeance, et après un grand conflict, s'en rendroit enfin maistre, feroit sand doute beaucoup plus. Celuy-là feroit bien, et cestuy-ci vertueusement: l'une action se pourrait dire bonté, l'autre vertu. Car il semble que le nom de la vertu presuppose de la difficulté et du contraste, et qu'elle en peut s'exercer sans partie. C'est à l'aventure pourquoi nous nommons Dieu bon, fort, libéral et juste, mais nous en le nommons pas vertueux. Ses opérations sont toutes naïfves et sans effort
Montaigne
Les essais
Chapitre XII De la Cruauté
Parmi essere la virtú cosa piú nobile di quanto non siano le inclinazioni verso la bonta che sorgono in noi. Le anime ben organizzate in se medesime e bennate menano lo stesso treno di vita e mostrano nell'agir loro il volto istesso delle virtuose. Tuttavia la virtù aggrega un non so che di piú grande e di piú attivo che il mero lasciarsi condurre da una complessione dolce, pacificamente e mollemente, al seguito della ragione non sia.
Colui che con dolce facilitá naturale disprezzasse le offese ricevute farebbe, egli è certo, cosa bellissima e degna di essere commendata; ma colui che, ferito e oltraggiato da una qualche offesa nella sua carne viva si armasse con le armi della ragione contra la furiosa brama di vendetta, e dopo aspra pugna ne uscisse vincitore, certamente farebbe cosa ancora maggiore. Quegli farebbe bene, questi virtuosamente: quell'azione la si potrebe nomare bontà, l'altra virtú. Egli mi pare, infatti, che il nome di virtú presupponga difficoltá e contrasto, e che essa virtú non possa darsi senza urto. Per questo forse avviene che si chiami Dio buono, forte, liberale e giusto, ma non virtuoso. Le sue azioni sono senza calcolo e senza sforzo.
Trad genseki
De la vertu
Il me semble que la vertu est chose, et plus noble, que les inclinations à la bonté, qui naissent en nous. Les âmes reglées d'elles mêsmes et bien nées, elles suivent mesme train et représentent en leur action mesme visage que les vertueueses. Mais la vertu somme je en sçais quoy de plus grand et de plus actif, que de se laisser par un douce complexion, doucement et paisiblement conduire à la suite de la raison. Celuy qui d'une douceur et facilité naturelle mespriseroit les offenses reçeues, feroit chose très belle et digne de louange: mais celuy qui picqué et outré jusques au vif d'une offence s'armeroit des armes de la raison contre ce furieux appetit de vengeance, et après un grand conflict, s'en rendroit enfin maistre, feroit sand doute beaucoup plus. Celuy-là feroit bien, et cestuy-ci vertueusement: l'une action se pourrait dire bonté, l'autre vertu. Car il semble que le nom de la vertu presuppose de la difficulté et du contraste, et qu'elle en peut s'exercer sans partie. C'est à l'aventure pourquoi nous nommons Dieu bon, fort, libéral et juste, mais nous en le nommons pas vertueux. Ses opérations sont toutes naïfves et sans effort
Montaigne
Les essais
Chapitre XII De la Cruauté
Parmi essere la virtú cosa piú nobile di quanto non siano le inclinazioni verso la bonta che sorgono in noi. Le anime ben organizzate in se medesime e bennate menano lo stesso treno di vita e mostrano nell'agir loro il volto istesso delle virtuose. Tuttavia la virtù aggrega un non so che di piú grande e di piú attivo che il mero lasciarsi condurre da una complessione dolce, pacificamente e mollemente, al seguito della ragione non sia.
Colui che con dolce facilitá naturale disprezzasse le offese ricevute farebbe, egli è certo, cosa bellissima e degna di essere commendata; ma colui che, ferito e oltraggiato da una qualche offesa nella sua carne viva si armasse con le armi della ragione contra la furiosa brama di vendetta, e dopo aspra pugna ne uscisse vincitore, certamente farebbe cosa ancora maggiore. Quegli farebbe bene, questi virtuosamente: quell'azione la si potrebe nomare bontà, l'altra virtú. Egli mi pare, infatti, che il nome di virtú presupponga difficoltá e contrasto, e che essa virtú non possa darsi senza urto. Per questo forse avviene che si chiami Dio buono, forte, liberale e giusto, ma non virtuoso. Le sue azioni sono senza calcolo e senza sforzo.
Trad genseki
venerdì, gennaio 16, 2009
Il Re Mesa
Lo spirito del Re Mesa continua a vivere in Medio Oriente, come se tre millenni non fossero passati, immenso fossile rapace dalle ali insanguinate, dall'odore di marcio e polvere da sparo
Iscrizione
(IX secolo avanti Cristo)
Son io colui che regna, Mesa, Figliol di Chemos
Ho abbattuto il bosco dei grandi pini scuri
Baal Meon ho edificato dalle mura di legno
dai muri di mattoni forte cittá africana
Ho detto: che ogni uomo scavi presso la casa
Una grande cisterna se no sia imprigionato
Per le piogge che cadono nei mesi dell'inverno,
Perché gli armenti possano pascolare sicuri,
Ho lasciato alle mandrie un gran campo murato:
Io ho fatto la porta e ho fatto la torretta
Astarte è la sovrana io guerreggio per Ella
Il Dio Chemos mio padre ha lottato al mio fianco
Quando da Gad cacciai Omri Re di Giudea
Ho costruito Aroer rocca delle piú forti
Le genti mi lodavano perché ero un Re buono;
Regnavo sull'armata immensa di Dibon
Che beve mentre canta all'ombra della morte
Mescendo sangue d'aquila con latte di cammella
Io, Giustiziere e Principe alla luce di Chemos,
E di Bal e di Dagon e di Astarte lunare
Ho scavato da Ur a Tiro gallerie
Chemos m'h detto: “Togli Nebo a Israele”
Io che sempre ho compiuto il volere del cielo
Ora chiudo i miei occhi in questo pozzo scuro
Sappiate che dovete venerar questa stele
Davanti a questa tomba bruciare i vostri aromi
Perché io ho trucidato gli abitanti di Nebo
Ne ho nutrito i corvi che volan tra le nubi,
Ho venduto al mercato le donne tutte nude,
Gravato col bottino quattrocento elefenti
E infine ho crocifisso tutti i bimbi e i lattanti,
Con la destra ha spazzato le razze miserabili.
Alle cittá ho attribuito, di nuovo i nomi antichi.
Victor Hugo
La Légende des Siècles
trad. genseki
mercoledì, gennaio 14, 2009
Per Maresa II
Quella che segue è la traduzione della piccola meraviglia di Du Bellay che Maresa ha copiato in "stanzas". Traduco, per possedere questi e altri versi, nel senso metaforicamente piú perverso, per penetrarli e godere della mia nuova pronuncia dentro il loro ritmo:
Offerta di un bracciante ai venti
A voi stormo lieve
Che con le ali liete
I cieli trascorrete.
E con un fruscio breve
le verdi chiome ombrose
D'un fremito scuotete.
Offro un bel mazzolino
Di gigli e di violette
Di rose novellette,
Fresche rose vermiglie
Nuovamente dischiuse,
E un vago gelsomino.
Dolcemente spirate
Su queste terre arate
E su questo soggiorno.
Mentre io mi tormento
A vagliare il frumento
Nel calore del giorno.
J. Du Bellay
***
trad. genseki
Questo spirito è uno spirito senza spirito
Il Maestro Hungpo disse:
È meglio onorare un solo adepto del non spirito che tutti i Buddha di tutti gli spazi. Perché? Perché il non spirito è l'assenza di ogni stato dello spirito particolare.La sostanza di ciò che è così ha un duplice aspetto: dentro è immobile come pietra o legno; fuori non incontra ostacolo come se si trattasse dello spazio vuoto. Quivi non si trova nè soggetto nè oggetto, non luogo nè direzione, non aspetto nè forma, non guadagno nè perdita. Coloro che hanno fretta non osano impegnarsi in questo cammino. Hanno paura di cadere nel vuoto senza la possbilitá di trovare ove agrapparsi. Poi, avendo scrutato l'abisso, si tirano indietro e, tutti allo stesso modo, partono alla ricerca di conoscenze e di opinioni. Ecco perché coloro che ricercano conoscenze e opinioni sono in numero maggiore delle piume ma coloro che su risvegliano alla Via, rari come le corna
Manjusri corrisponde al principio ultimo e Samantabhadra alla pratica. Il principio ultimo è il principio della vacuitá che nulla puó ostruire e la pratica, la pratica inesauribile che consiste nel separarsi dai caratteri particolari. Avalokitesvara rappresenta la grande compassione e Mahastamaprapta la grande conoscenza. Quanto a Vimalakirti, ovvero “Pura Fama”, “puro” designa l'essenza dello spirito e “Fama” i suoi attributi. Siccome essenza e attributi non sono distinti si parla di “Pura Fama”.
Insomma, ogni uomo possiede ció che esprimono i grandi Bodhisattva: semplicemente lo spirito uno al quale deve risvegliarsi. I diseepoli attuali non si risvegliano rivolgendosi al proprio spirito ma attaccandosi ai caratteri particolari. Si appropriano di oggetti esterni al loro spirito che è come se in fin dei conti dessero le spalle alla Via.
Il Buddha dice che le sabbie del Gange non si inorgogliscono per essere caplestate dai Buddha, dai Bodhisattva, da Indra o da Brahma e gli altri dei e non si sdegnano quando lo sono da bufali, capre, insetti, formiche. Queste sabbie non desiderano tesori preziosi né incensi raffinati e disprezzano gli escrementi e le altre forme di sporcizia. Allo stesso modo questo spirito è uno spirito senza spirito.
Oltre tutti i caratteri particolari, gli esseri viventi e i Buddha non sono piú differenti gli uni dagli altri e basta conoscere questo non spirito per raggiungere il risveglio.
È meglio onorare un solo adepto del non spirito che tutti i Buddha di tutti gli spazi. Perché? Perché il non spirito è l'assenza di ogni stato dello spirito particolare.La sostanza di ciò che è così ha un duplice aspetto: dentro è immobile come pietra o legno; fuori non incontra ostacolo come se si trattasse dello spazio vuoto. Quivi non si trova nè soggetto nè oggetto, non luogo nè direzione, non aspetto nè forma, non guadagno nè perdita. Coloro che hanno fretta non osano impegnarsi in questo cammino. Hanno paura di cadere nel vuoto senza la possbilitá di trovare ove agrapparsi. Poi, avendo scrutato l'abisso, si tirano indietro e, tutti allo stesso modo, partono alla ricerca di conoscenze e di opinioni. Ecco perché coloro che ricercano conoscenze e opinioni sono in numero maggiore delle piume ma coloro che su risvegliano alla Via, rari come le corna
Manjusri corrisponde al principio ultimo e Samantabhadra alla pratica. Il principio ultimo è il principio della vacuitá che nulla puó ostruire e la pratica, la pratica inesauribile che consiste nel separarsi dai caratteri particolari. Avalokitesvara rappresenta la grande compassione e Mahastamaprapta la grande conoscenza. Quanto a Vimalakirti, ovvero “Pura Fama”, “puro” designa l'essenza dello spirito e “Fama” i suoi attributi. Siccome essenza e attributi non sono distinti si parla di “Pura Fama”.
Insomma, ogni uomo possiede ció che esprimono i grandi Bodhisattva: semplicemente lo spirito uno al quale deve risvegliarsi. I diseepoli attuali non si risvegliano rivolgendosi al proprio spirito ma attaccandosi ai caratteri particolari. Si appropriano di oggetti esterni al loro spirito che è come se in fin dei conti dessero le spalle alla Via.
Il Buddha dice che le sabbie del Gange non si inorgogliscono per essere caplestate dai Buddha, dai Bodhisattva, da Indra o da Brahma e gli altri dei e non si sdegnano quando lo sono da bufali, capre, insetti, formiche. Queste sabbie non desiderano tesori preziosi né incensi raffinati e disprezzano gli escrementi e le altre forme di sporcizia. Allo stesso modo questo spirito è uno spirito senza spirito.
Oltre tutti i caratteri particolari, gli esseri viventi e i Buddha non sono piú differenti gli uni dagli altri e basta conoscere questo non spirito per raggiungere il risveglio.
trad genseki
Huangopo "I Dialoghi" cap. II
martedì, gennaio 13, 2009
lunedì, gennaio 12, 2009
Tucidide a Gaza
DIALOGO DEGLI ATENIESI E DEI MELI
(Tucidide V 84 114)
Il dialgo si svolge nell'anno 416 a.C. a Melo, isola delle cicladi legata a Sparta per la discendenza da una stirpe comune
Gli ateniesi propongono ai Meli di sottomettersi e di pagare un tributo al loro impero
Melo si trova davanti a un’alternativa:
accettare il dominio e salvarsi, o resistere, cosa che avrebbe causato l’assedio, la conquista e la distruzione della città.
Gli ateniesi propongono ai Meli di sottomettersi e di pagare un tributo al loro impero
Melo si trova davanti a un’alternativa:
accettare il dominio e salvarsi, o resistere, cosa che avrebbe causato l’assedio, la conquista e la distruzione della città.
Nelle pagine seguenti di Tucidide è delineata una situazione astrattamente molto simile a quello che accade oggi in Gaza.
Certo il lucido, tagliente realismo degli ambasciatori ateniesi è a un altro livello stilistico e intellettuale rispetto all'ipocrita, ripugnante, ingiustificabile vittimismo dei dirigenti israeliani.
Certo il destino dei Meli appare meno brutale alla fine di quello che attende i palestinesi. I bambini in special modo non sono bruciati vivi nelle loro scuole ma venduti come schiavi. Si puó discutere su quale delle due sventure sia meno ignobile.
Tuttavia si propone qui, forse per la prima volta il dilemma, se la resistenza disperata per la dignitá e per "l'onore" sia alla fine morale. Se piegarsi alla forza da parte del piú debole e quindi aderire liberamente alla necessitá non sia la vera forma che in questa circostanza assume la libertá.
Su questo dilemma va giudicata Hamas. E il giudizio è terribilmente difficile.
Come i Meli i Palestinesi non hanno amici. Né gli arabi, né gli spartani lo sono. Come i Meli anch'essi sono messi davanti alla scelta tra la sottomissione e la distruzione.
Come i Meli esssi sembrano aver scelto la distruzione.
Certamente l'Impero ateniese era un momento della storia, lo Stato di Israele solo pura negativitá. Ma l'analogia resta.
84, 1 Nell’estate seguente Alcibiade giunse per mare ad Argo con venti navi e arrestò trecento Argivi sospetti di favoreggiamento per Sparta: gli Ateniesi li deportarono nelle isole vicine loro suddite. E gli Ateniesi fecero una spedizione contro l’isola di Melo con trenta navi loro, sei di Chio, due di Lesbo, e con 1200 opliti, 300 arcieri e 20 arcieri a cavallo venuti da Atene, 1500 opliti circa venuti dagli alleati e dagli isolani.
2 I Meli infatti sono coloni dei Lacedemoni e non volevano sottostare ad Atene come gli altri isolani, ma dapprima se ne stavano tranquilli in quanto neutrali, poi, costretti dagli Ateniesi che ne devastavano la terra, si volsero aguerra aperta.
3 Invasa la terra e accampatisi con questi contingenti, gli strateghi Cleomede di Licomede e
Tisia di Tisimaco, prima di colpire il territorio, inviarono ambasciatori per intavolare una discussione. Ma i Meli non li condussero davanti al popolo, bensì li invitarono a parlare su quegli affari, per i quali erano venuti, stando davanti ai magistrati e agli oligarchi.
Tisia di Tisimaco, prima di colpire il territorio, inviarono ambasciatori per intavolare una discussione. Ma i Meli non li condussero davanti al popolo, bensì li invitarono a parlare su quegli affari, per i quali erano venuti, stando davanti ai magistrati e agli oligarchi.
85 E gli ambasciatori ateniesi così parlarono: «Dal momento che la discussione non ha luogo in presenza del popolo, evidentemente perché esso resti ingannato non potendo udire, in un discorso continuato, argomenti persuasivi e inconfutabili una volta per tutte (abbiamo capito, infatti, che questo è lo scopo per cui ci avete condotto in disparte di fronte agli oligarchi), voi che siete qui seduti cercate di agire in modo ancor più sicuro. Rispondete punto per punto, e neppure voi con un discorso continuato, ma replicando subito a quelle frasi che a vostro parere sono inesatte. E dapprima diteci se vi piace la proposta che vi facciamo».
86 E i consiglieri Meli risposero: «La ragionevolezza dell’informarci tranquillamente a vicenda non incontra il nostro biasimo, ma i preparativi di guerra, che sono già qui presenti e non tarderanno a mostrarsi, ci appaiono discordanti da tutto ciò. Vediamo che voi siete venuti qui a giudicare ciò che diremo, e che la conclusione della discussione, se, come è naturale, noi avremo la meglio in difesa del diritto e perciò non cederemo, ci porterà la guerra, mentre ci porterà la schiavitù se ci faremo persuadere».
ATENIESI 87 «Se siete venuti qui con noi per far calcoli sui vostri sospetti per il futuro, o per qualche altro scopo che non sia quello di prendere per la città, sulla base delle circostanze presenti e di ciò che sta sotto i vostri occhi, una deliberazione che la salvi, smetteremo di parlare; se invece siete venuti proprio per questo, parliamone».
MELI 88 «È naturale e comprensibile per persone che si trovano in questa situazione volgersi a
considerare tante cose, sia con parole che con supposizioni. Pure, la presente riunione è stata indetta per discutere della nostra salvezza, e la discussione si svolga, se vi piace, nel modo in cui ci invitate a discutere».
MELI 90 «A nostro parere, almeno, è utile (è necessario infatti usare questo termine, dal momento che avete proposto di parlare dell’utile invece che del giusto) - è utile che noi non distruggiamo questo bene comune ma che sia salvaguardato il diritto che spetta a colui che di volta in volta si trova in mezzo ai pericoli, e che sia avvantaggiato colui che riesce a persuadere un altro anche senza raggiungere i limiti dell’esattezza più rigorosa. E questo fatto non è meno utile nei vostri riguardi, in quanto in caso di insuccesso sarete d’esempio agli altri a prezzo di una severissima punizione».
ATENIESI 91, 1 «Ma noi non temiamo la fine del nostro impero se anche dovesse finire, perché non sono terribili per i vinti quelli che come i Lacedemoni comandano ad altri (e del resto la presente contesa non riguarda noi e i Lacedemoni), bensì i soggetti, qualora di propria iniziativa assalgano chi comanda e lo sottomettano.
2 E su questa questione ci sia permesso di correre rischi: ma che noi siamo qui per favorire il
nostro impero e che per salvare la nostra città ora vi facciamo questi discorsi, tutto ciò ve lo mostreremo, intenzionati a comandare a voi senza spendere fatica e a salvarvi con vantaggio di entrambi».
nostro impero e che per salvare la nostra città ora vi facciamo questi discorsi, tutto ciò ve lo mostreremo, intenzionati a comandare a voi senza spendere fatica e a salvarvi con vantaggio di entrambi».
MELI 92 «E come può derivare dell’utile a noi dall’essere vostri schiavi, come a voi dal
comandarci? ».
ATENIESI 93 «Perché a voi toccherebbe obbedire invece di subire la sorte più atroce, mentre noi , se non vi distruggessimo, ci guadagneremmo».
MELI 94 «E non potreste accettare che noi, restando in pace, fossimo amici invece che nemici, ma alleati di nessuna delle due parti? ».
ATENIESI 95 «No, perché la vostra ostilità non ci danneggia tanto quanto la vostra amicizia, manifesto esempio per i sudditi della nostra debolezza mentre l’odio lo è della nostra potenza».
MELI 96 «È così che vedono la giustizia i vostri sudditi, sì da porre sullo stesso piano quei popoli
che non hanno niente a che fare con voi e quelli che, vostri coloni per la maggior parte e vostri ribelli in un certo numero, sono stati da voi assoggettati? ».
ATENIESI 97 Sì, perché credono che né gli uni né gli altri manchino di giustificazioni per se stessi, e credono che alcuni di loro possano salvarsi grazie alla loro potenza, mentre noi non li assaliamo per paura. Sicché, oltre a farci comandare a un maggior numero di persone, voi con la vostra sottomissione ci fornireste un motivo di sicurezza, tanto più se, isolani e per giunta più deboli di altri, voi foste sconfitti da un popolo dominatore del mare».
MELI 98 «E nell’altro caso non credete di trarne sicurezza? Giacché, come voi ci avete distolto dal discorrere della giustizia e ci avete consigliato di obbedire a ciò che è utile per voi, così noi, mostrandovi il nostro vantaggio, dobbiamo cercare di persuadervi che il nostro utile può coincidere col vostro. E in realtà tutti coloro che ora sono neutrali, come non ve li renderete nemici allorché, guardando a quanto avviene a noi, penseranno che un giorno voi assalirete anche loro? In tal caso, che altro farete se non accrescere il numero dei vostri nemici e persuadere i riluttanti ad esserlo, anche se ora non ne hanno alcuna intenzione?».
ATENIESI 99 «No, perché noi non consideriamo pericolosi coloro che, abitatori di qualche parte della terraferma, grazie alla loro intatta libertà si guarderanno bene dallo stare sulla difensiva nei nostri riguardi; al contrario, noi temiamo quelli che, da qualche parte, sono isolani e non soggetti al nostro impero, come voi, insieme con coloro che ormai sono esasperati dalla costrizione del nostro dominio. Perhé costoro, abbandonandosi a calcoli errati, potrebbero numerosissime volte esporre se stessi e noi a un manifesto pericolo».
3
MELI 100 «Certo, se voi affrontate tali pericoli perché il vostro impero non abbia mai fine, e se i
vostri sudditi li affrontano per liberarsene, per noi che siamo ancora liberi sarebbe grande viltà e debolezza non affrontare ogni rischio prima di essere schiavi».
ATENIESI 101 «No, se la vostra deliberazione sarà ispirata a saggezza: ché per voi la lotta ora non è su un piano di parità, per decidere della vostra valentia, e cioè perché non siate tacciati di un’onta; ora piuttosto si decide la salvezza, cioè di non opporsi a chi è molto più forte».
MELI 102 Ma noi conosciamo le vicende della guerra, che talvolta danno una sor te comune alle
due parti avverse più di quanto ci si potrebbe aspettare dalla disparità delle forze; e per noi il cedere immediatamente ci priva di ogni speranza, mentre con l’agire c’è ancora qualche speranza di restare ritti in piedi».
ATENIESI 103, 1 «Ma la speranza, che incoraggia al pericolo, se anche danneggia quelli che vi si
affidano in una situazione di abbondanza, pure non li rovina. Ma quelli che tentano la sorte con tutte le loro sostanze (ché la speranza è per sua natura prodiga), la conoscono subito appena scivolano: essa però non lascia indietro qualche occasione perché uno possa poi stare attento, una volta che l'ha conosciuta.
2 E voi, che siete deboli e vi potete permettere una sola gettata di dadi, non vogliate subire questo danno o rendervi simili a molti uomini che, pur potendo salvarsi con mezzi umani, una volta che la speranza di manifesti aiuti li abbia abbandonati in mezzo alla sventura, si volgono alla speranza di ricevere soccorsi invisibili, e cioè alla mantica e ai vaticini e a tutte le altre cose di questo genere che affliggono gli uomini insieme cole speranze.
MELI 104 «Certo anche noi, siatene sicuri, pensiamo che è difficile lottare contro le vostre forze e
contro la sorte, se essa non sarà favorevole. Pure, noi confidiamo di non essere da meno per quanto riguarda la sorte che ci manderà la divinità, giacché noi, pii, ci opponiamo a persone ingiuste, e abbiamo fiducia chl l’inferiorità delle nostre forze sarà compensata dall’alleanza coi Lacedemoni, i quali saranno costretti ad aiutarci se non altro per dovere di consanguineità e per sentimento dell’onore. E insomma, la nostra audaci non ci sembra del tutto infondata».
ATENIESI 105 1 «Ma per quanto riguarda la devozione dei sentimenti verso la divinità, neppure noi crediamo di essere da meno, perché noi non pretendiamo né portiamo ad effetto alcuna cosa che devii dalle umane credenze nei confronti della divinità o dai desideri degli uomini nei confronti di se stessi.
2 Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comanda: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi., ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni dellastessa nostra potenza.
3 E così nei confronti della divinità, per quanto è probabile, non crediamo di essere inferiori a voi; quanto alla convinzione che avete nei riguardi dei Lacedemoni, per cui confidate che accorreranno in vostro aiuto per un sentimento d'onore, noi, pur considerando beata la vostra inesperienza, non invidiamo la vostra pazzia. 4 I Lacedemoni, di solito, sono valorosi quando sono chiamati in causa loro stessi con le loro consuetudini patrie, ma sul loro modo di trattare gli altri, sebbene vi sia molto da dire, pure in breve si potrebbe mostrare che costoro, nel modo più evidente tra tutti gli uomini che conosciamo, considerano onesto ciò che è piacevole e giusto ciò che è utile. Eppure, una tale convinzione non reca vantaggio agli irrazionali tentativi di salvezza a cui ora vi volgete».
MELI 106 «Ma noi abbiamo fiducia che per via dell’utile che ne deriva i Lacedemoni non vorranno, col tradire i Meli loro coloni, diventare infidi a quei Greci che sono favorevoli a loro e utili a quelli che sono loro nemici».
ATENIESI 107 «Non credete che l’utilità si accompagni alla sicurezza, mentre il giusto e l’onesto si compiono con pericolo (cosa che, solitamente, i Lacedemoni non osano fare)? ».
4
MELI 108 «Ma noi crediamo che loro tanto più affronteranno il pericolo per noi e lo
considereranno meno grave di quello affrontato per altri, in quanto noi siamo situati vicino alle azioni militari del Peloponneso e siamo più fidati di altri per via della consanguineità che si rivela nel nostro modo di pensare».
ATENIESI 109 «Ma la sicurezza, ai soccorritori, non è data dal benvolere di chi li ha chiamati in aiuto, ma solo dalla propria eventuale superiorità nell’agire, e a questo i Lacedemoni badano più degli altri (per sfiducia nel proprio apparato militare assalgono i vicini ricorrendo perfino all’aiuto di molti alleati), sicché non è probabile che compiano la traversata per arrivare fino a un'isola mentre noi siamo signori del mare».
MELI 110, 1 «Essi però potrebbero anche delegare altri a farlo, e vasto è il mare di Creta, in cui la cattura di qualcuno da parte di chi ne ha il controllo è più difficile di quanto non lo sia la salvezza di chivuole passare inosservato.
2 E se fallissero in questo intento, potrebbero anche rivolgersi contro la vostra terra e contro quegli alleati che vi sono rimasti e che Brasida non ha assalito; e le difficoltà allora non sorgerebbero tanto per una terra che non vi riguarda, quanto per la difesa del vostro suolo e di quello degli alleati».
ATENIESI 111, 1 «Ma una di queste eventualità non si potrà realizzare se non dopo che voi avrete sperimentato la vostra sorte e imparerete che gli Ateniesi non si sono mai ritirati da un assedio per timore di altri.
2 E noi riflettiamo che, pur avendo detto di volerci consultare per provvedere alla vostra salvezza, in questa discussione voi non avete detto ancora niente che possa dare agli uomini la fiducia di potersi salvare. Al contrario, le vostre maggiori forze sono rappresentate da speranze di cose di là da venire, mentre le forze che sono qui presenti sono insufficienti a vincere quelle schierate di fronte. E voi mostrate grande irragionevolezza se, dopo averci congedati, non prenderete qualche decisione più equilibrata di questa.
3 Che certo non vi volgerete a quel sentimento di onore, il quale procura grandi rovine agli uomini quando sorge in mezzo ai pericoli più evidenti e dall’esito più vergognoso. Infatti a molti, che pur prevedevano a che cosa andavano incontro, il cosiddetto sentimento dell’onore, sorretto dalla forza di un nome ingannevole, trascinò con sé, una volta che le suddette persone furono vinte da quella parola, il destino di piombare volontariamente nelle sciagure più atroci e di attirarsi per colpa della loro stessa irragionevolezza una vergogna più vergognosa che se fosse dipesa dalla sorte. 4 Ma da questo avvenire, se la vostra decisione sarà saggia, voi vi guarderete, e non considererete sconveniente essere vinti dalla più potente città, la quale vi sollecita a obbedire alle sue moderate richieste, a divenirne alleati conservando la vostra terra (pur essendo
sottomessi a un tributo) e, quando vi si concede la scelta tra la guerra e la sicurezza, a non intestardirvi nella soluzione peggiore. Coloro che non cedono a chi è pari di forze, si comportano al meglio di fronte ai più forti e sono moderati verso i più deboli, costoro ottengono i più grandi successi. 5 Riflettete dunque, anche dopo la nostra partenza, e ricordatevi più volte che state per prendere una decisione che riguarda la vostra patria, la quale è una sola e la cui salvezza dipende da un’unica decisione, a seconda che essa sia quella giusta o meno».
sottomessi a un tributo) e, quando vi si concede la scelta tra la guerra e la sicurezza, a non intestardirvi nella soluzione peggiore. Coloro che non cedono a chi è pari di forze, si comportano al meglio di fronte ai più forti e sono moderati verso i più deboli, costoro ottengono i più grandi successi. 5 Riflettete dunque, anche dopo la nostra partenza, e ricordatevi più volte che state per prendere una decisione che riguarda la vostra patria, la quale è una sola e la cui salvezza dipende da un’unica decisione, a seconda che essa sia quella giusta o meno».
112, 1 Gli Ateniesi abbandonarono la discussione: i Meli, trattisi in disparte, poiché le loro vedute erano pressappoco simili alle risposte date nel dibattito, così risposero:
2 «Le nostre convinzioni non sono mutate, o Ateniesi, né in così breve tempo priveremo della sua libertà una città abitata già da settecento anni, ma fiduciosi nella sorte che ci manda la divinità, la quale ha sempre salvato la città fino ai nostri giorni, fiduciosi inoltre nel soccorso degli uomini e dei Lacedemoni, cercheremo di salvarci.
3 Noi vi proponiamo di esservi amici, e nemici di nessuna delle due parti in lotta, e vi invitiamo a ritirarvi dalla nostra terra dopo aver concluso un trattato che sembri essere utile sia a noi che a voi».
113 Così dunque risposero i Meli; gli Ateniesi, sciogliendo ormai il convegno, dissero: «Certo, a giudicare da vostre decisioni, voi, soli tra tutti quelli che conosciamo, considerate più sicuro il futuro del presente e, per il fatto che lo desiderate, contemplate l’incerto come se si stesse già realizzando e, gettandovi nelle braccia dei Lacedemoni e delle speranze e della sorte, quanto più siete pieni di fiducia, tanto più conoscerete gravi sciagure».
114, 1 E gli ambasciatori ateniesi tornarono al loro esercito: gli strateghi ateniesi, poiché i Meli non cedevano, si dettero subito alle operazioni belliche e, essendosi diviso il lavoro città per città, assediarono tutto all'intorno i Meli.
2 E in seguito gli Ateniesi, dopo aver lasciato per terra e per mare una guarnigione composta dai loro soldati e da quelli degli alleati, si ritirarono con il grosso dell'esercito. Quelli lasciati a Melo, rimanendo sul posto, continuavano l'assedio.
(…)
(…)
116, 3 Arrivò da Atene un altro esercito al comando di Filocrate di Demea, e i Meli ormai erano stretti da assedio a tutta forza; verificatosi anche un tradimento, si arresero agli Ateniesi a condizione che questi decidessero dei Meli secondo la loro discrezione.
4 E gli Ateniesi uccisero tutti i Meli adulti che catturarono e resero schiave le donne e i bambini; abit arono quindi loro stessi la località, dopo avervi inviato cinquecento
coloni.
coloni.
Simone Weil a Gaza
Questi pensieri tratti dai quaderni di Simone Weil possono aiutare a intendere quello che sta accadendo in questi giorni in Palestina e che sta accadendo da secoli in angolo di questa terra impregnata di sangue:
Lo sventurato, non trovando né pietá, né simpatia non ne capisce il perché. Crede che se fosse lui al posto degli spettatori avrebbe pietá, perché immaginandosi al loro posto si inventa come spettacolo una sventura immaginaria in cui niente ostacoli la pietá.
Basta leggere i quotidiani di tutti i paesi sviluppati o ascoltare le notizie. I palestinesi non hanno diritto alla pietá.
Due pensieri alleviano un po' la sventura. Che essa finirá quasi subito, oppure che non finirá mai. Ma non si puó pensare che essa è, semplicemente. Questo è insostenibile.
In queste parole forse si puó intravedere il senso della resistenza disperata degli abitanti di Gaza e dei militanti di Hamas
***
La sofferenza non è nulla al di fuori del rapporto tra il paasato e il futuro, ma per l'uomo cosa c'è di più reale di questo rapporto? La realtá stessa.
***
Coloro cui era stata distrutta la cittá e che venivano condotti in schiavitú non avevano piú né passato né futuro: di quale oggetto potevano riempire il loro pensiero? Di menzogne e delle più infime, pronti, forse a rischiare la crocifissione per rubare un pollo piú che un tempo la morte in combattimento per difendere la loro cittá.
Nessuno compiangeva uno schiavo (un palestinese di Gaza); dunque egli poteva diffondere a sé il male che soffriva, solo con la cattiveria (lancio di missili Kassam), poiché gli era impossibile far soffrire gli altri per pietá.
Al di sotto di un certo livello questo desiderio di diffondere il male al di fuori di se sparisce e la sventura rende docili.
Questo grado estremo di sventura sembrerebbe essere l'obiettivo che Israele intende disumanamente raggiungere e che fino ad oggi non ha potuto conseguire.
***
Le perti in verde sono di genseki, le azzurre di Simone Weil dai Quaderni vol II pagg. 47-49 a cura di G. Gaeta.
sabato, gennaio 10, 2009
Stephan Hermlin
Gli Uccelli e il test nucleare
Riportano i quotidiani che per l'influsso
Degli esperimenti con le bombe all'idrogeno
Gli uccelli migratori hanno variato
Le loro rotte per i mari del sud.
Per mari e per savane gli spinse
Il bisogno di vita, sui venti
Come sordi e ciechi, da tempi immemorabili
Alla ricerca di cibo e di un nido.
Non gli trattenne tuono né tifone
Neppure le reti dei cacciatori;
quando gli chiamava
Il grido stridulo a lanciarsi verso una stessa meta
Su uno stesso cammino
Sempre per il medesimo tragitto.
Essi che non temevano pioggia e tempesta
Videro un giorno in pieno mezzogiorno
Il volto atroce di una luce altissima
Questo gli spinse a cercare altre rotte
Verso nuove terre piú accoglienti
Che questo cambio scuota i vostri cuori.
Trad genseki
Riportano i quotidiani che per l'influsso
Degli esperimenti con le bombe all'idrogeno
Gli uccelli migratori hanno variato
Le loro rotte per i mari del sud.
Per mari e per savane gli spinse
Il bisogno di vita, sui venti
Come sordi e ciechi, da tempi immemorabili
Alla ricerca di cibo e di un nido.
Non gli trattenne tuono né tifone
Neppure le reti dei cacciatori;
quando gli chiamava
Il grido stridulo a lanciarsi verso una stessa meta
Su uno stesso cammino
Sempre per il medesimo tragitto.
Essi che non temevano pioggia e tempesta
Videro un giorno in pieno mezzogiorno
Il volto atroce di una luce altissima
Questo gli spinse a cercare altre rotte
Verso nuove terre piú accoglienti
Che questo cambio scuota i vostri cuori.
Trad genseki
venerdì, gennaio 09, 2009
L'albero di Gaza
A Gaza c'é un albero
un albero pieni di frutti
sono i frutti del sonno
non dormito
da tante palpebre sbarrate
palpebre spietate
son frutti senza ombra
frutti maturati alla linfa
di cenere
gabbiani senza occhi
vi pongono il loro nido
si nutrono del siero
dei sogni disossati
non un'ala si muove
nè foglia stormisce
aspettano una pioggia
che non venga dal cielo
ma cada dalla terra
dalle ossa dei morti
dalla carne disfatta
alle radici dei cardi
cada verso le nuvole
e sollevi dal fango
le palpebre sbarrate
e le ditta annerite.
un albero pieni di frutti
sono i frutti del sonno
non dormito
da tante palpebre sbarrate
palpebre spietate
son frutti senza ombra
frutti maturati alla linfa
di cenere
gabbiani senza occhi
vi pongono il loro nido
si nutrono del siero
dei sogni disossati
non un'ala si muove
nè foglia stormisce
aspettano una pioggia
che non venga dal cielo
ma cada dalla terra
dalle ossa dei morti
dalla carne disfatta
alle radici dei cardi
cada verso le nuvole
e sollevi dal fango
le palpebre sbarrate
e le ditta annerite.
Gilles de Rais IV
Il grande Usuraio del tempo, Giovanni V Duca di Bretagna rifiutó di pubblicara nei suoi stati l'editto che fece tuttavia notificare, sottobanco a coloro tra i suoi sudditi che facevano affari con Gilles. Nessuno, quindi, osava piú comprare terre da Gilles per paura di attirarsi la collera del Re e l'dio del Duca, Giovanni V, restó il solo possibile compratore e fissó lui il prezzo. Questo spiega anche il furore di Gilles contro la sua famiglia che aveva sollecitato le lettere reali – e perché egli non si occupó piú, per tutta la sua vita di sua moglie e di sua figlia che relegó in un vecchio castelle a Pouzages.
La domanda sul perché e per quali motivi Gilles lasció la corte, mi sembra trovare risposta in questi stessi fatti. È evidente che giá da molto tempo, ancor prima che il Maresciallo si autoconfinasse nei suoi feudi, Carlo VII era assalito dalle suppliche della mogliee degli altri parenti di Gilles; d'altra parte, i cortigiani dovevano detestare il giovanotto a causa delle sue ricchezze e del suo fasto; quello stesso Re che abbandonó deliberatamente Giovanna d'Arco quando ritenne che non fosse piú utile, trovava un'occasione di vendicarsi su Gilles dei servizi che egli gli aveva reso. Quando aveva bisogno di denaro per le sue truppe, allora non si dava troppo pensiero del fatto che il Maresciallo fosse troppo prodigo! Ora che lo vedeva mezzo rovinato, gli rimproverava i suoi sperperi, e non gli risparmiava biasimo e minaccia. Si capisce che Gilles abbia lasciato quella corte senza nessun rimpianto. Ma c'è dell'altro. La stanchezza di una vita nomade, il disgusto degli accampamenti che probabilmente lo avevano colto; ebbe certamente fretta di concentrarsi in una atmosfera pacifica accanto ai suoi libri. Sembra che soprattutto la passione per l'alchimia l'abbia interamente dominato e che egli abbia abbandonato tutto a causa di essa. Bisogna, infatti notare che egli amó davvero in se stessa, quella scienza che lo precipitó della demonomania, quando sperava di produrre oro e di salvarsi quindi dalla miseria che lo assediava, la amó quando ancora era ricco. Fu, infatti, verso il 1426 quando il denaro scorreva a fiumi verso i suoi scrigni, che egli tentó, per la prima volta la riuscita della grande opera.
Eccolo, finalmente, a Tiffauges che sará il teatro dei suoi primi delitti di sadismo e di magia assassina.
Mancano i documenti per unire le due parti della sua vita cosí bizzarramente separate ma vi sono molte piste possibili. Quest'uomo era un vero mistico. Ha vissuto gli avvenimenti piú straodrdinari che la storia abbia mai mostrato. La frequentazione di Giovanna d'Arco ha certamente reso piú acuti i suoi slanci verso Dio. Ora dal misticismo esaltato al satanismo esasperato, non v'è che un passo. Nell'aldilá tutto si tocca. Egli ha trasferito la furia della preghiera nel mondo del suo inverso. In questo fu spinto dal gruppo di preti sacroleghi, dimanipolatori di metalli e di evocatori di demoni che lo corcondava a Tiffauges.
Fu Giovanna d'Arco che infiammó quest'anima smisurata, disposta a tutto alle orge di santitá come agli oltraggi del delitto. Poi non ci fu transizione: non appena morì Giovanna, egli cadde nelle mani degli stregoni che erano i piú squisiti scellerati e i letterati pi´raffinati. Coloro che lo frequentarono a Tiffauges erano ferventi latinisti, prodigiosi conversatori, possessori di arcani dimenticati, detentori di vecchi segreti. Gilles si trovava, evidentemente meglio con loro che con Dunois e La Hire.
Traduzione e montaggio a cura di genseki
giovedì, gennaio 08, 2009
mercoledì, gennaio 07, 2009
Gaspard de la nuit
Il Mercante di Tulipani
Il tulipano è tra i fiori ciò che tra gli uccelli è il pavone.
L'uno non ha profumo, l'altro non ha voce.
L'uno va orgoglioso della sua veste, l'altro della sua coda.
Nessun rumore se non il fruscio dei fogli di carta velina sotto le dita del dottor Huylten, che non alzava gli occhi salla sua bibbia fiorita di gotiche miniature se non per ammirare l'oro e la porpora dei due pesciolini prigionieri degli umidi fianchi d'un boccale.
Si aprirono scorrendo i battenti: era un mercante di fiori, che con le braccia cariche di vasi di tulipani si scusó di interrompere la lettura di un personaggio tanto sapiente.
“Maestro, disse, ecco il tesoro dei tesori, la meraviglia delle meraviglie, un bulbo come solo en fioriscono una volta ogni anni nei serragli dell'imperatore di Costantinopoli!
Un tulipano! Esclamó il vecchio corrucciato, un tulipano! Simbolo dell'orgoglio e della lussuria che hanno generato nella sventurata cittá di Wittemberg la detestabile eresia di Lutero e di Melantone!
Mastro Huylten chiuse la fibbia del fermaglio della sua bibbia pose gli occhiali nel loro astuccio e tiró le tende della finestra, per lasciar vedere, alla luce del sole, un fiore della passione con la sua corona di spine, la sua spugna, i suoi chiodi e le cinque piaghe di Nostro Signore.
Il mercante di tulipani si inchinó rispettosamente e, in silenzio, sconcertato dallo sguardo inquisitorio del duca d'Alba, il cui ritratto, capolavoro di Holbein, pendeva alla parete.
Louis Bertrand
Trad. genseki
Il tulipano è tra i fiori ciò che tra gli uccelli è il pavone.
L'uno non ha profumo, l'altro non ha voce.
L'uno va orgoglioso della sua veste, l'altro della sua coda.
Nessun rumore se non il fruscio dei fogli di carta velina sotto le dita del dottor Huylten, che non alzava gli occhi salla sua bibbia fiorita di gotiche miniature se non per ammirare l'oro e la porpora dei due pesciolini prigionieri degli umidi fianchi d'un boccale.
Si aprirono scorrendo i battenti: era un mercante di fiori, che con le braccia cariche di vasi di tulipani si scusó di interrompere la lettura di un personaggio tanto sapiente.
“Maestro, disse, ecco il tesoro dei tesori, la meraviglia delle meraviglie, un bulbo come solo en fioriscono una volta ogni anni nei serragli dell'imperatore di Costantinopoli!
Un tulipano! Esclamó il vecchio corrucciato, un tulipano! Simbolo dell'orgoglio e della lussuria che hanno generato nella sventurata cittá di Wittemberg la detestabile eresia di Lutero e di Melantone!
Mastro Huylten chiuse la fibbia del fermaglio della sua bibbia pose gli occhiali nel loro astuccio e tiró le tende della finestra, per lasciar vedere, alla luce del sole, un fiore della passione con la sua corona di spine, la sua spugna, i suoi chiodi e le cinque piaghe di Nostro Signore.
Il mercante di tulipani si inchinó rispettosamente e, in silenzio, sconcertato dallo sguardo inquisitorio del duca d'Alba, il cui ritratto, capolavoro di Holbein, pendeva alla parete.
Louis Bertrand
Trad. genseki
Lamento per Gaza e per noi stessi
Certamente, se avesse vissuto fino ad oggi,il cuore di César Vallejo sarebbe ora a Gaza. Sarebbe a Gaza e saprebbe trovare le parole necessarie, quelle sole possibili, per spiegare a tutti noi che la scheggia che antra nelle palme e nel costato dei bambini di Gaza, quella scheggia di metallo ci sta trafiggendo tutti, ci colpirá tutti, presto o tardi. No, ci ha già colpiti, ci ha colpiti proprio adesso. Ha ucciso prima di tutto le nostre parole e ci ha condannato alla sete; alla sete del bicchiere e non dell'acqua.
Come possiamo bere se i bambini di Gaza hanno sete?
genseki
César Vallejo
Oggi una scheggia la ha ferita
Oggi una scheggia l'ha ferita
Una scheggia le è caduta accanto, ha colto
Accanto, forte colpo al modo suo
di essere al suo famoso centesimo
Che dolore la sorte!
Che dolore la porta,
Che dolore la fascia, che la
Asseta e l'affligge
L'asseta del bicchiere non del vino.
Oggi ha perduto aria la vicina
Di nascosto fumo del suo dogma;
Oggi l'ha ferita una scheggia.
L'immensitá la insegue
Con distanza superficiale ad ampio anello
Oggi la vicina, poveretta, ha perso vento
Dalla guancia, dal nord, dalla guancia, dall'est
Oggi l'ha ferita una scheggia.
Chi comprerá nei giorni aspri e perituri
Un tocchettino di caffelatte?
Chi senza di lei, abbasserá la sua traccia, fino a far luce?
Chi, poi sará il sabato alle sette?
Tristi sono le schegge che ci feriscono
Proprio
qui
Esattamente!
Oggi ha ferito la compagna di viaggio
Una fiamma spenta dall'oracolo – poverina -
Una scheggia.
Che dolore il dolore il dolor giovine
Dolor bambino il doloraccio, il colpo
Sulle mani
Asseta, affligge
Asseta del bicchiere e non del vino.
Poverina!
trad. genseki
martedì, gennaio 06, 2009
Margherita di Navarra
Addio all'addio
Addio all'oggetto che per primo fece
Volgersi a lui la forza dei miei occhi
Dolce postura, onesto portamento
Armato a punto in ogni giostra e gioco
Che nessun occhio puó trovar riposo
Del mio piú degno. Addio gentil audacia:
Se di nascosto si reo non foste stato
Giammai grazia migliore avrei incontrato.
Addio vi dico o dolcissimo sguardo
Che cor non fu che non ne fosse colto,
D'occhi si belli e graziosi tanto
Che ad amarli i miei furon costretti
Ahi! Troppo presto vidi il raggio estinto
Ed oscurato dal furore piú fosco
Addio a quegli occhi che non sapevo falsi
Fino a celare dentro il miele il tosco.
Addio ancora al parlare gentile.
Sempre a proposito prudente e saggissimo,
Tenero con l'amico e sempre audace
Ove era uopo mostrare un altro volto.
Addio all'accento, al volto ed alla voce
Che mi hanno vinto e l'intelletto e il senso;
Or che il sermone vostro fu dettato
Peggio che morto con rimpianto vi penso.
Addio alla mano che spesso ho toccata
Come fosse, davvero perfettissima
Dentro la quale la mia si addormentava
Senza ferire d'onestá la legge.
Ora che siete contro me levata,
E l'amor convertite in crudeltate
Addio alla mano, ove ormai piú non vedo
La stimmata d'onore e di lealtate.
...
Addio all'addio che spesso mi deste,
Quando lungi da me ve en andavate
A fedeltá che serbar prometteste
Alle promesse che era meglio tacere
Poiché menzogna veggo rivelare
Il voler vostro e il segreto mal celato
Addio all'addio sovente taciuto
Di cui aumenta memoria il rimpianto.
Addio al core che credevo buono,
Giusto, leale a nessuno eguale
Sol d'una cosa perdono vi chieggo
de è davervi creduto verace
addio al trono su cui onesto amore
regnar dovea ma or veggo amor folle
condurre un gioco che troppo è mutevole.
Addio a quel cuore che al final del gioco
Inflisse al mio morte senza speranza
Per ferma fede de amore durevole
Altre parole piú non posso scrivere.
Marguerite de Navarre
trad. genseki
Addio all'oggetto che per primo fece
Volgersi a lui la forza dei miei occhi
Dolce postura, onesto portamento
Armato a punto in ogni giostra e gioco
Che nessun occhio puó trovar riposo
Del mio piú degno. Addio gentil audacia:
Se di nascosto si reo non foste stato
Giammai grazia migliore avrei incontrato.
Addio vi dico o dolcissimo sguardo
Che cor non fu che non ne fosse colto,
D'occhi si belli e graziosi tanto
Che ad amarli i miei furon costretti
Ahi! Troppo presto vidi il raggio estinto
Ed oscurato dal furore piú fosco
Addio a quegli occhi che non sapevo falsi
Fino a celare dentro il miele il tosco.
Addio ancora al parlare gentile.
Sempre a proposito prudente e saggissimo,
Tenero con l'amico e sempre audace
Ove era uopo mostrare un altro volto.
Addio all'accento, al volto ed alla voce
Che mi hanno vinto e l'intelletto e il senso;
Or che il sermone vostro fu dettato
Peggio che morto con rimpianto vi penso.
Addio alla mano che spesso ho toccata
Come fosse, davvero perfettissima
Dentro la quale la mia si addormentava
Senza ferire d'onestá la legge.
Ora che siete contro me levata,
E l'amor convertite in crudeltate
Addio alla mano, ove ormai piú non vedo
La stimmata d'onore e di lealtate.
...
Addio all'addio che spesso mi deste,
Quando lungi da me ve en andavate
A fedeltá che serbar prometteste
Alle promesse che era meglio tacere
Poiché menzogna veggo rivelare
Il voler vostro e il segreto mal celato
Addio all'addio sovente taciuto
Di cui aumenta memoria il rimpianto.
Addio al core che credevo buono,
Giusto, leale a nessuno eguale
Sol d'una cosa perdono vi chieggo
de è davervi creduto verace
addio al trono su cui onesto amore
regnar dovea ma or veggo amor folle
condurre un gioco che troppo è mutevole.
Addio a quel cuore che al final del gioco
Inflisse al mio morte senza speranza
Per ferma fede de amore durevole
Altre parole piú non posso scrivere.
Marguerite de Navarre
trad. genseki
lunedì, gennaio 05, 2009
Denis Diderot e lo zen
Smarrito di notte in un'immensa foresta non ho che una modesta lanterna per orientarmi. Sopraggiunge uno sconosciuto che mi dice: "Amico mio, per trovare meglio la strada soffia sulla fiammella". Lo sconosciuto è un teologo.
Denis Diderot
***
Un antico Buddha, uno di quei vecchi maestri cinesi dalle vesti macchiate e dagli occhi cisposi disse:
Smarrito di notte in un'immensa foresta non ho che una modesta lanterna per orientarmi. Sopraggiunge uno sconosciuto che mi dice: "Amico mio per trovare meglio la strada soffia sulla fammella". Lo sconosciuto è un Buddha.
Soffia sulla fiammella del tuo Io e sarai una sola cosa con la notte, con il nulla, oltre ogni discriminazione tra luce e tenebre tra te e gli alberi nell'unitá che viene prima dell'uno.
genseki
domenica, gennaio 04, 2009
martedì, dicembre 30, 2008
O fonti secche o arido vapore
O fonti secche o arido vapore
Pietra che manchi al piede
all'occhio al fuoco
Occhio che cieco anneghi di vedere
Parole di dolore
Non ne trovo
Prima della parola maledetti
Vi maledica il suono dal silenzio
La luce vi maledica dalla notte
Prima di spazio e tempo maledetti
O fonti secche o arido vapore
Pietra che manchi al piede
Voce all'odio
genseki
Gramsci e la fine della storia
Scrive Gramsci nelle pagine dei Quaderni dedicate alla filosofia di Benedetto Croce:
“La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo [...]. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario».
L'unificazione culturale del genere umano corrisponde in questo testo alla sparizione delle contraddizioni. Tuttavia la sparizione delle contraddizioni non puó che significare anche contemporaneamente la sparizione della dialettica dal momento che non vi è dialettica ove non è contaddizione. Se, tuttavia, come pare, anche nel pensiero di Gramsci la dialettica è la legge che governa la realtá umana e quella naturale, quale tipo di realtá sarebbe quella senza dialettica? Una realtá certamente non piú umana. Non piú umana in che senso? Certamente non nel senso di una realtá piú naturale. Che cosa allora? Qualche cosa che si situa al di lá del reale, nell'elemento dell'ultrareale che non è né trascendente né immanente e che quindi non non è né puó essere neppure anteriore piuttosto che posteriore. Infatti se non vi è contraddizione, ció che resta abolito è la negazione. Non puó evidentemente darsi negazione senza che inmediatamente si dia contraddizione e all'inverso ove non vi sia contraddizione non vi è possilitá di negazione. Senza negazione non si puó parlare di “punto di partenza” e neppure di principio. Perché vi sia partenza o perché vi sia inizio, è infatti necessario che vi sia negazione di uno stato che è appunto quello anteriore alla partenza o all'inizio e che nello stesso tempo è interno ad entrambi. Non so se si potrebbe dire attuale a tutti e due. L'unificazione del genere umano non può dunque essere considerata un punto di arrivo o di partenza se non in senso assolutamente relativo o metaforico.
In queste linee, tuttavia, Gramsci sembrerebbe voler far consistere la differenza tra idealismo e materialismo proprio in una opposta concezione del punto di arrivo e di quello di partenza. Gli idealisti sarebbero quelli che considerano lo spirito come il punto di partenza e i materialisti coloro che lo considerano un punto di arrivo,
Tuttavia se lo spirito, sarebbe meglio dire, il regno dello spirito realizzato è concepito da Gramsci come il regno della non contraddizione allora anche la contraddizione partenza-arrivo è tolta e con essa la contraddizione tra idealismo e materialismo che appunto non puó sussistere che in senso soltanto relativo.
D'altra parte la relazione dialettica tra partenza e arrivo è tale per cui l'arrivo è concepibile solo come legato alla partenza. In questo senso Gramsci sembrerebbe volerci dire che il materialismo è necessariamente legato all'idealismo e che non puó essere concepito se non in relazione dialettica con esso.
genseki
lunedì, dicembre 29, 2008
Etienne de la Boétie
Sonetto
Lasso per quanti giorni, lasso per quante notti
Vissi lungi del loco ove il cor mio dimora
Venti giorni costretto in oscura dimora
Un secolo mi parve di sofferenze a fiotti.
Solo porto la colpa o cattivo, infelice
Del sospirare invano, di ció che m'addolora:
Perché mal consigliato ho lasciato in mal'ora
Colei che in nessun luogo mai lasciare mi lice.
Ho vergoga che omai la pelle scolorata
Veggasi pel dolore di rughe come arata:
Ho vergogna che infine l' inumano dolore
Tinga il capo anzitempo con il bianco colore
Ancora son minore pel computo degli anni
Eppur sono giá vecchio per quello degli affanni.
trad. genseki
Lasso per quanti giorni, lasso per quante notti
Vissi lungi del loco ove il cor mio dimora
Venti giorni costretto in oscura dimora
Un secolo mi parve di sofferenze a fiotti.
Solo porto la colpa o cattivo, infelice
Del sospirare invano, di ció che m'addolora:
Perché mal consigliato ho lasciato in mal'ora
Colei che in nessun luogo mai lasciare mi lice.
Ho vergoga che omai la pelle scolorata
Veggasi pel dolore di rughe come arata:
Ho vergogna che infine l' inumano dolore
Tinga il capo anzitempo con il bianco colore
Ancora son minore pel computo degli anni
Eppur sono giá vecchio per quello degli affanni.
trad. genseki
martedì, dicembre 23, 2008
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