Questa risulta una costante dei suoi versi:
“Yo soy un ser ávido y lóbrego, un profundo
Centro de gravedad de todos los misterios
dice nella poesia “Hermanos”;
“Es que yo he de ser siempre un punto alucinante
Resuene el múltiple eco del universo?”
Si interroga nel “Poema quotidiano”:
“Yo soy la roca en que será labrado
Un ideal dos veces primitivo,”
si autodefinisce in “Ararat”.
Essere avido, oscuro, centro profondo, punto allucinato e roccia non sono espressioni prese dalla letteratura, ma dall'esperienza: dall'angosciane intensitá di un uomo, di un io che si ubica, si riconosce e si compenetra nell'immensitá dell'esistente, del creato. Tuttavia, metre cerca la propria identitá, scopre altre realtá per mezzo di studi allucinanto della propria coscienza, o piuttosto, di autodefinizioni che rispondono a una piena rascendenza di se stesso.
La festa dei sensi
Trascendendo se stesso, Cortés si inventa. Lo stesso capita al suo coetaneo, al poeta messicano Ramón López Velarde, con cui puó essere comparato per il fatto che i due hanno molti elementi in comune e una equivalente altezza poetica. Entrambi, per esempio, sono eredi di Charles Baudelaire nello stabilire sottili relazioni tra le cose e impiegare l'olfatto come pochi hanno saputo farlo dopo il francese.
Nel caso del nostro poeta, questo senso risulta speciale perché egli è capace di trovare:
“Un perfume de cosas que no son de la vida” (“Me ha dicho el alma”)
e capta quello che resta proibito alla maggioranza degli uomini:
“¿Sientes? En este sitio en que estamos los dos
Huele a gas, huele a infancia y a Dios” (“La chimenea”)
Nemmeno la divina presenza puó sfuggire alla sua capacitá olfattiva. Percé essenzialmente Cortés è sensoriale. (...). nel suo contatto profondo con le cose, o meglio, con l'anima delle cose, non si tratta tanto del tatto e del gusto, quanto dell'olfatto – come si è detto – e della vista. Ma soprattutto dell'olfatto.
(...)
Il significato dell'udito, tuttavia, affonda nella capacitá di andare “oltre i sensi” che è una delle direttrici fondamentali della sua poesia. (...) così giunge a udire l'invisibile: “La morte è un silenzio (“Aniversario”) che suppone impossibilitá di esistere senza parlare e udire dal momento che la vita è suono.
Jorge Eduardo Arellano
Mexico 2009
trad. genseki
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