lunedì, novembre 09, 2009
domenica, novembre 08, 2009
Far pulizia per mezzo del vuoto
Bisogna "far pulizia per mezzo del vuoto" di tutte queste vecchie teorie. Quando non c'è più nessuna discriminazione si cade nel vuoto dell'embrione del Tathagata. L'embrione del Tathagata, che non è sporcato dal minimo granello di polvere, è la manifestazione nel mondo del "re della spiritualità che invalida l'essere". Quando il Buddha dice di "non aver trovato nessuna realtá" in Dipamkara, la sua sola intenzione è quella di liberarvi dei vostri affetti e delle vostre teorie intellettuali. "L'uomo senza qualitá" è colui che ha lasciato che la superficie e il fondo si fondano fino al punto in cui le passioni spariscano nell'assenza assoluta di un punto di appogio.
Huangpo
Dialoghi
Trad. a cura di genseki
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venerdì, novembre 06, 2009
Nicola Cusano III
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genseki
Pietro
Vedo le cose che dicesti, sebbene superino le mie capacità. Infatti che cosa potrebbe saziare il desiderio della mente se non il potere stesso, il potere di ogni potere senza il quale nulla si può? Infatti se qualcosa potesse essere senza il potere stesso in che modo lo potrebbe senza potere? E se senza potere non potrebbe, così dal potere stess avrebbe ciò che può.
Non si sazia la mente se non comprende ciò di cui nulla è migliore. E questo non può essere che il potere stesso, cioè il potere di ogni potere. Vedi bene dunque che solo il potere stesso è ciò che da ogni mente è cercato, il principio del desiderio mentale, poiché di cui nulla vien prima, e il fine di quel desiderio mentale, nulla oltre il potere stesso potendo essere desiderato.
Il Cardinale.
Ottimamente. Vedi ora Pietro, quanto ti giova la consuetudine dei colloqui e la lettura dei miei opuscoli, affinché tu mi comprenda meglio. E non dubito che tu vedrai intorno al potere stesso quelle stesse cose che io vedo non appena vi applicherai la mente. Infatti presupponendo ogni domanda intorno al “può” il potere stesso non vi si può opporre nessun dubbio; nessun dubbio infatti sfiora il potere stesso.
Chi infatti si domandasse se il potere stesso sia, subito, non appena vi riflettesse, vedrebbe che la domanda non è pertinente, non potendo senza potere cercare il potere stesso. Meno ancora si può ricercare se il potere stesso sia questo o quello, giacché il potere stesso presuppone e il poter essere e il poter essere questo e quello. Così il potere stesso precede ogni dubbio che possa sorgere. Non vi è infatti nulla di più certo di quello, dal momento che il dubbio stesso non può che presupporlo, né alcunché più sufficiente o più perfetto quello può essere trovato. Così nulla può esservi aggiunto né tolto o sottratto.
mercoledì, novembre 04, 2009
Mondi intermedi
Il sonno frequenta cupe compagnie fuori dalla vita; sopra i dormienti fluttua il pensiero in decomposizione, un vapore vivo e morto si combina con il possibile che forse, in qualche modo, pensa nello spazio. Da qui i grovigli. La fitta nuvola del sogno si sovrappone alla trasparente stella dello spirito. Sopra le palpebre chiuse, dove la visione ha preso il posto della vista, una disgregazione sepolcrale di sagome e figure si dilata nell'evanescente. Una misteriosa dispersione di esistenze si mescola alla nostra vita sul bordo mortale del sonno. È nell'aria che larve e anime si intrecciano. Anche chi non sta dormendo avverte su di sé il peso di quella vita sinistra. Lo attornia una chimera, realtà intuita, e lo turba. L'uomo sveglio che cammina attraverso i fantasmi del sonno altrui, respinge confusamente forme che gli passano accanto, e ha, o crede di avere, l'orrore vago dei contatti ostili con l'invisibile, e a ogni istante avverte l'urto oscuro, l'inesprimibile incontro che dilegua. Camminare nella notte popolata di sogni è come attraversare una foresta.
I piedi
genseki
lunedì, novembre 02, 2009
Each is before, and each behind its time
domenica, novembre 01, 2009
Corpo narrato, corpo salvato
Credo che questa possa essere una delle ragioni del successo delle medicine alternative più eccentriche.
Normalmente esse fanno appello a potenti forme simboliche che si sovrappongono anche graficamente al corpo.
Questa è la funzione per esempio dei chakra che da elementi circondati da un qualche alone esoterico sono diventati parte del linguaggio e dell'immaginario di qualunque apprendista pettinatrice.
Il nostro corpo puó e debe essere letto grazie a strumenti di questo tipo. E la possibilitá di leggerlo è giá una garanzia di guarigione. Guarigione dal fatto di essere un corpo fisico. Nessuno può incontrarsi con il corpo fisico, con il reale corporale senza esserne annientato. Ammesso che sia possibile accedere al reale corporale senza l'intermediazione del linguaggio. Il corpo deve poter essere narrato perché si possa concepire che possa essere guarito. Apparentemente questa sembrerebbe anche la funzione dell'erotismo. Un corpo erotico è un corpo-linguaggio, un corpo-racconto, un corpo-parabola. Il corpo sessuato è il reale atroce che la pornografia cela facendo come se lo disvelasse. Perché la veritá del corpo è la morte e la sola certezza di immortalitá è il verbo.
genseki
sabato, ottobre 31, 2009
Apparizione
Uno di quelli che chiamano
“Tutto a un euro” fu in uno
Di questi negozi che lo avvicinò
Per la prima volta con le nocche
Pallide per la tensione
La fronte sudata e i lunghissimi capelli
Falsi come un film di Zeffirelli
Con una mano reggeva un cuore fiammeggiante
Pericolsamente vicino a tutte quelle tute di acrilico
Lo vide in mezzo ai portaincensi
Ai budda canini dai ventri dorati
Alle borsette della Pukka
Era vestito di velluto o di panno
Dapprima non udì la sua voce
Sommersa tra le grida dei guerrieri cinesi
Che si battevano su uno schermo piccolissimo
Davanti agli occhi della grassa bottegaia
Poi le sue parole si materializzarono proprio nel centro
Della sua fronte forzandola a corrugarsi:
Perché mi hai dimenticato?
Perché mi fuggi?
E non c'era dolore in quella voce
Ma uno sfrigolio come di mosche
Incenerite da una di quelle macchine azzurre
Non ti ho dimenticato – rispose,
-
Tu sei dentro di me come il dolore e la pace,
Tu sei l'Unico che mi consola ma non torneró
Sono condannato alla gnosi islamica e buddista
É lo stesso, il tuo amore mi lava nel sangue
Il tuo cuore è la lampada che rende lebbrosa la mia pelle
Tra i denti ti serro mia manna, ostia mia
Ma non posso tornare!
Continuava sfrigolando un po' sfuocato
E lui vide allora che tutti gli oggetti del negozio
Erano tumori, groppi di dolore, nodi di oppressione
E il Nemico rideva dei bambini e degli storpi
Ma era tardi anche solo per prendere un caffé con lui
Il Tram per il suburbio stava per arrivare
Comprò una bic per giustificarsi
La cassiera aveva le unghie dei piedi
Dipinte di rosa e un violoncello tatuato
Sulla caviglia appena sopra la ciabatta a forma di coniglio.
giovedì, ottobre 29, 2009
Dreiser Cazzaniga e la gioventù
genseki
mercoledì, ottobre 28, 2009
La luna
Terso serpente all'ora del caffé
Nel candore della tazzina andava
Cercando il rifugio del suo ventre amaro
Macchia, latte condensato, seme
Quel giallo di luna disciolta sulle lenzuola
Stingeva sull'estate dell'infanzia
Tiresia soleva chiamare Tersilla accorreva
Con la sua voce da opera buffa e le scarpine di velluto
Farfalletta da minuetto e baffi di crema
La luna soleva chiamarla
Tiresia accorreva
L'alone era di sangue rosa
Sul lenzuolo di altre infanzie.
genseki
Agalma
Era un gioiello musicale
Una perla di gesso, quella che teneva
Nella mano come un cristallo
Sonoro mentre andava screpolandosi
Tutto il guano depositato da eoni di invidia
Sulla pelle della sua dolcezza
Era un gioiello sonoro
Lo si sarebbe detto alato, Tiresia
Stesso lo trasse dal ventre
Della sua temporale femminilitá
Un gioello incrinato come il fischio
Della luna, come il fruscio della nebbia
Come la catastrofe del mare
Un gioiello
Tutto interiore
Interiore alla sua stessa interioritá
Risuonando in diversi firmamenti di silenzio
Per infiniti silenzi avvolgendosi
Fino a sparire nella sua assenza
Un gioello così,
Meraviglioso
Era quello che teneva, ora,
Nelle mani giunte per sempre ...
genseki
Incontri precoci con la poesia di Dreiser Cazzaniga
Comunque quei versi se li ripeteva, bambino, durante tutte le passeggiate autunnali con il suo papá. Poi venne l'infinito di Leopardi, ossessivamente rivissuto sdraiato nell'erba marcia di novembre osservando tra la nebbia il mare lontanissimo o il cielo di ardesia. Venne poi Quasimodo: quel figlio crocifisso al palo del telegrafo gli provvocava una dolcezza torbida per essere così sonoramente amato da una madre. Anche lui avrebbe voluto essere crocifisso a un palo del telegrafo per godere di una simile manifestazione di affetto. La madre di Dreiser Cazzaniga apparirá in altri ricordi e probailmente in questi rappresenta una oscura minaccia fortunosamente disinnescata. La voce di Ungaretti quella sì, era come un torrente recitando: "M'illumino di immenso" con tutte le consonanti della parola mamma così lattosamente suzionate. Che invidia! La poesia gli si faceva latte e mamma e gli apriva una possibilità di attesa.
genseki
martedì, ottobre 27, 2009
Mellin de saint-Gelais (1490-1538)
Quando verrà chiarezza
Dall'amorosa fiamma
Che liberi gli amanti
Come le loro donne
Che volga in riso i pianti
E gli invidiosi schianti.
Piaccia a Dio che quel giorno
I seguaci d'amore
Godano di piú stima
Presso le loro donne
Che i severi mariti
E i gelosi puniti
Che compilar si possa
Un apposito modulo
Per sposare colui
Che s'ama e si desidera,
Saremo allor guariti
E i gelosi puniti.
E se alcuni ostinati
Interpongono appello
dalla dama più bella
Che si trova in Parigi
Siano alfin convocati
E i gelosi umiliati.
trad genseki
lunedì, ottobre 26, 2009
Dreiser Cazzaniga
Dreiser Cazzaniga si confessa
Giunto al confine della vecchiezza Dreiser Cazzaniga sapeva alcune cose con una commendevole precisione. Una era che il suo io si faceva sempre più sfuggente. Il suo sfozo di unificare tutte le percezioni, i pensieri e le sensazioni era giunto quasi a sfinirlo, il racconto, la storia il filo conduttore che doveva unire ogni passo di lui alla luce, al pane che aveva appena comperato, alle notizie del giornale, ai ricordi suoi o di altri era degradante. Avrebbe voluto che questo barzakh mentale seguisse il suo corso, montasse e smontasse il tendone del suo barnum, senza coinvolgerlo più in nessun modo. Non essere più in nessun altro modo che una lieve sensazione di solletico, una sottile consapevolezza del fluire da qui al nulla di tutta questa luce appena civettuola, frastornata di quando in quando al movimento delle foglie scure dei bagolari. Dreiser Cazzaniga letteralmente si lasciava andare, e una delle cose cui si lasciava andare era appunto la corrente dei ricordi.
Per Dreiser Cazzaniga quasi da vecchio non aveva più nessuna importanza di chi fossero i ricordi, poteva seguire il filo di ricordi multipli come quelli della bambina caduta nel pozzo seguendo l'aquilone, o quello del guerriero dago che sentiva il freso dell'erba sulle gonadi mente accoccolato aspettava il passaggio del cervo. Legata ai ricordi era la sua seconda convinzione: l'errore, il suo grande errore di stile era stato quello di cercare la libertá tentando di fuggire alle regole più soffocanti del conformismo sociale. Questo proprio non poteva perdonarlo a quello che restava di lui. E non c'era piú rimedio, fino all'agonia. La libertá stava nel conformismo, nell'adeguamento, nel pensare con la “massa”, nel com-pensare collettivo. Insomma per essere libero avrebbe dovuto cercare di diventare un cardinale o almeno un banchiere e non un poveraccio, eccentrico con la pensione minima e un sorriso da brava persona.
Ariel Ramírez - Giuseppe Ungaretti- Sanctus
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l'uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell'amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro, incarnato nelle umane tenebre,
Fratello che t'immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l'uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D'un pianto solo mio non piamgo piú,
Ecco, Ti chiamo Santo,
Santo, Santo che soffri.
Ungarettii
da: "Mio fiume anche tu".
Il Dolore
domenica, ottobre 25, 2009
Terra maiala II
Il contadino non giunse mai ad immaginarsi che quello che si estraeva al suo lavoro era plusvalore. Si puó dire che nemmeno il proletariato privo di coscienza politica è cosciente di creare plusvalore per i suoi padroni; tuttavia questo paragone è equivoco, siccome l'operaio che vive in un'economia monetaria può essere facilmente ingannato rispetto al valore di quello che produce, mentre la relazione economica del contadino con il resto della societá è sempre stata trasparente. Da un lato la sua famiglia produceva o cercava di produrre quello di cui aveva bisogno per vivere, dall'altro, vedeva che chi non aveva lavorato si approriava di una parte del suo prodotto, del risultato del lavoro della sua famiglia. Il contadino sapeva perfettamente quell che gli si toglieva ma non lo considerava plusvalore e questo per due ragioni una materiale e l'altra epistemologica.
- Non era plusvalore perchè le necessitá della sua famiglia non erano ancora garantite;
- Un plusvalore è un prodotto finale, il risultato di un processo finito di lavoro e del compimento di certi requisiti.
Per il contadino, invece, gli obblighi imposti dalla società prendevano la forma di un ostacolo preliminare che a volte era insuperabile ma era all'altro lato rispetto a questo che operava l'altra metá dell'economia del contadino quella per cui la sua famiglia lavorava la terra per garantire le sue proprie necessitá.
Il contadino poteva pensare che le imposizini erano un dovere naturale o una ingiustizia inevitabile, ma comunque erano qualche cosa che gli toccava subire prima di iniziare la lotta per la sopravvivvenza. Se era mezzadro, la porzione del raccolto del padrone si anteponeva alle necessitá basiche della sua famiglia. Se non fosse un termine troppo soave per il lavora inimmaginabile che pesa sulle spalle del contadino, si potrebbe dire che i suoi obblighi prendono la forma di un handicap permanente. Era "nonostante" questo che la famiglia doveva iniziare la lotta contro la natura per guadagnarsi la propria sussistenza mediante il lavoro.
Così il contadino una volta superato l'handicap permanente degli obbighi sociali doveva vincere, nella metá dell'economia dedicata alla sua sussistenza tutti i rischi dell'agricoltura: cattivi raccolti, tormente, siccitá, inondazioni, piaghe, incidenti, impoverimento del suolo, pestilenze e sopratutto, stando alla base, alla frontiera, con una protezione minima, doveva sopravvivere alle catastrofi sociali, politiche e naturali: guerre, piaghe, incendi, scorrerie, etc.
La parola "sopravvissuto" ha due significati. Denota qualcuno che ha vissuto e superato momenti molto duri. Denota anche la persona che ha continuato a vivere quando altri erano morti. Quest'ultimo è il senso in cui impigo questa parola in relazione al mondo contadino. I contadini erano coloro che continuavano a lavorare, a differenza dei molti che morivano giovani, emigravano o finivano nella più totale povertá. In certi periodi i sopravvissuti erano una minoranza. Le statistiche demografiche ci danno un'idea della dimensione dei disastri. La popolazione francese nel 1320 era di diciassette milioni, poco più di un secolo dopo era di otto milioni, verso il 1550 era di nuovo di venti milioni. Quarant'anni dopo era d nuovo scesa a diciotto milioni,
John Berger
Trad genseki
venerdì, ottobre 23, 2009
Tora san II
Mia moglie e il suo amante se la spassavano su di una qualche isola greca, non sapevo ovviamente quale, e io cercavo il sorriso di Tora san nello spietato calore estivo di Tokyo in mezzo a onde di uomini di affare dalle camicie inspiegabilmente bianche e profumate, alla svolta di ogni strada.
genseki