Qualcosa di magnifico sta dietro un'oscura nube minacciosa; è come se il margine della nube fosse d'oro, promettendo ciò che sta dietro; io so tuttavia che la strada va attraverso la nube, e là dentro non ci sarà più niente da vedere dell'orlo dorato.[
domenica, ottobre 02, 2016
venerdì, settembre 30, 2016
Romano Guardini (1885-1968), La tecnica e l'uomo. Dalla nona lettera dal Lago di Como (1925)
La questione che mi tormentava era questa: è ancora possibile, in mezzo a tutto ciò che accade, un tipo di vita che sia completamente imperniato sulla natura dell'uomo e sull'opera dell'uomo?
Il vecchio mondo sta crollando, e intendo la parola «mondo» nella sua più ampia accezione e cioè comprendendo in essa le opere, le istituzioni, le organizzazioni e le attitudini di vita. La metà del secolo scorso segna la linea di divisione della storia (sebbene, naturalmente, le radici degli avvenimenti di allora siano da ricercarsi molto più addietro nel tempo). A quel mondo antico apparteneva una figura umana ben definita, universale, nonostante le molte e notevoli differenze. Questo tipo universale era sostenuto dall'uomo e, nella stesso tempo, gli serviva di sostegno. L'uomo stesso l'aveva creato e viveva in esso. Lo teneva, palpitante di vita, nella sua mano; era, contemporaneamente, la sua opera e la sua espressione, il suo oggetto e il suo strumento. Ciò era cultura e tutta la vera cultura che oggi ancora possediamo deriva di là.
In seguito si manifestano fatti nuovi: le cose tendono a non aver più lo stesso carattere, la stessa misura, a mutare il loro punto di partenza e i loro fini. Altre sono le forze che le muovono; le loro relazioni con la natura non sono più quelle di prima. Al contatto con il «fatto nuovo» che si introduce nella storia, tutto l'antico ordine di cose si sgretola. L'uomo che gli apparteneva e del quale noi tutti portiamo, più o meno, qualcosa nel sangue, diventa un senza patria. Dirò di più: egli si riduce in se stesso poiché il mondo ora in procinto di scomparire non esisteva che in virtù di lui ed egli, a sua volta, non esisteva che per mezzo di questo mondo. Il fatto nuovo non è penetrato come elemento di rottura soltanto nell'ordine obiettivo, in quanto frutto di una cultura obiettiva, ma anche e soprattutto nell'essere umano vivente. La comparsa della tecnica è prima di tutto un fenomeno che ha intaccato l'intimo dell'uomo. Per questo ci troviamo nella condizione di senza patria, per questo ci siamo ridotti in uno stato di barbarie. Per lo meno, le cose stanno così se osserviamo noi stessi partendo dall'«antico», poiché questo passato sente sfasciarsi il suo mondo e insieme con quello sente andare in rovina se stesso. E le cose stanno veramente così, se consideriamo le realtà nuove che ci pervengono, che arrivano in noi e al di fuori di noi, poiché tutto — almeno finora — è caos.
Dunque, in quanto la questione, coscientemente o incoscientemente, fa derivare l'idea dei valori umani dall'antico tipo di umanità, la risposta da darle dovrebbe essere un rifiuto categorico. Tutto ciò che vi è di nuovo toglie all'uomo dell'antica cultura la possibilità di essere. Si potrà cercare di attenuare gli effetti di questa evoluzione ma non la si potrà arrestare.
Qui è bene approfondire questo pensiero: se oggi abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a una distruzione, è perché un essere e un fatto di tipo nuovo sono penetrati, modificandola brutalmente, nell'antica immagine del mondo e dell'uomo. Questo elemento nuovo opera in maniera distruttiva perché incontra un uomo che non è fatto per lui.
Più precisamente: è caotico e agisce da distruttore perché l'uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora. Questo «nuovo» esercita un'azione distruttiva perché non si è ancora riusciti a renderlo umano. È un assalto di forze rese libere che non sono state ancora domate; materie prime che non sono state ancora selezionate, che non sono state ancora portate a una forma spirituale vivente, che non sono ancora alla portata umana. Ora il farsi padrone di queste materie prime e di queste forze, il raccoglierle, il dar loro una forma, il metterle in rapporto, tutto ciò per cui si crea un «mondo», una «cultura», non è in potere dell'uomo che faceva parte di quel mondo antico al quale si era conformato. Gli mancano, per essere all'altezza di tutto ciò, la scala delle misure, l'immagine anticipatrice, la forza. Restando fermi sul campo anticamente occupato, la battaglia per la cultura vivente sarebbe perduta e da questo passato non ci potremmo attendere altro se non una profonda confusione. La lotta potrà essere ripresa soltanto su un altro piano. Il mondo della tecnica e le sue forze scatenate non potranno essere dominati che da un nuovo atteggiamento che ad esse si adatti e sia loro proporzionato. L'uomo è chiamato a fornire una nuova base di intelligenza e di libertà che siano, però, affini al fatto nuovo, secondo il loro carattere, il loro stile e tutto il loro orientamento interiore. L'uomo dovrà porre il suo vivo punto di partenza, dovrà innestare la sua leva di comando là, dove nasce il nuovo evento. Ma questo «nuovo» è costituito solo da modificazioni entro un contesto di fondamenti permanenti o, al contrario, possiamo scorgere in esso il segno di un rinnovamento storico?
In caso valga quest'ultima ipotesi - e sono convinto che essa sia quella giusta - dobbiamo darle la nostra adesione. Conosco il prezzo di questo consenso. Coloro che ingenuamente hanno già optato per il nuovo e coloro ai quali son facili i rapidi mutamenti di orientamento tacceranno le riflessioni esposte in queste lettere di romanticismo retrogrado, di asservimento al passato. Di buon grado lasciamo loro l'occasione di compiacersene soddisfatti. Noi però osserviamo che si può aderire ai fatti della storia con libera scelta, con una vera e propria decisione: perché essa proviene da un cuore che sa. E ciò ha il suo peso. Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto. Non dobbiamo irrigidirci contro il «nuovo», tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell'evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire.
E, in fondo, noi non vogliamo che sia altrimenti. Il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere, esteriore a noi stessi. Noi stessi siamo il nostro tempo! Nostro sangue e nostra anima, questo è il nostro tempo. Siamo in rapporto col tempo come lo siamo con noi stessi, lo amiamo e lo lodiamo in un medesimo sentimento. E ciascuno sta in rapporto al tempo secondo la propria attitudine: irriflessivo se è irriflessivo verso se stesso, risoluto, se tale è verso se stesso.
Noi amiamo la forza intensa di questo tempo e la sua volontà di assumere le proprie responsabilità. Amiamo la risolutezza con cui affronta i rischi delle soluzioni estreme. La nostra anima non rimane insensibile davanti allo spettacolo di valori che cercano di farsi strada e di affermarsi. Noi proviamo commozione per tutto ciò pur avvertendone il lato discutibile, pur restando ancora sensibili alla deliziosa attrattiva del passato. Bisogna aver lucidamente considerato ciò che si sta per intraprendere, se si vuol trovar la forza di sacrificare con cuore saldo l'indicibile nobiltà del passato.
E neppure si deve pensare che questa evoluzione sia anticristiana. Tale può essere, talvolta, la mentalità che le presiede, ma non l'evoluzione in se stessa. Anzi, la scienza, la tecnica e tutto ciò che da esse deriva sono state rese possibili soltanto per mezzo del Cristianesimo. Solamente un uomo, la cui anima si sapeva salva per la presenza immediata di Dio e per la dignità del Battesimo, un uomo giunto così alla convinzione di essere diverso da tutto il resto della natura, poteva rompere il legame che ad essa lo univa: il che è proprio ciò che ha fatto l'uomo dell'epoca della tecnica. L'uomo dell'antichità vi avrebbe intravisto una àâñéò dalla quale doversi allontanare con orrore. Soltanto l'uomo al quale la unione con Dio ha conferito il senso dell'assoluto, al quale le parabole del tesoro nel campo, della perla preziosa e l'insegnamento della necessità di perdere la propria vita hanno fatto apprendere l'esistenza di qualcosa per la quale si deve rinunciare a tutto il resto - solamente quest'uomo ha saputo essere capace di una decisione così estrema com'è, appunto, quella che informa la scienza moderna, la quale vuole la verità anche se questa verità abbia a rendere la vita impossibile; di una decisione che anima la tecnica la quale vuole l'opera e dovrebbe, mediante una trasformazione del mondo, coinvolgere tutta l'esistenza umana. Soltanto un uomo che ha attinto dalla fede cristiana nella vita eterna l'incrollabile certezza che il suo essere è indistruttibile, ha potuto trovare in se stesso la fiducia indispensabile a una tale impresa. Ma, veramente, le forze di cui parliamo sono sfuggite dalla mano della personalità vivente, o si dovrebbe dire piuttosto che è la mano che non le ha più sapute trattenere? Che se le è lasciate sfuggire? E che per questo esse sarebbero cadute sotto il giogo demoniaco del numero, della macchina, della volontà di potenza?...
Per poter renderci padroni del «nuovo», dobbiamo in giusto modo penetrarlo. Dobbiamo dominare le forze scatenate onde farle attendere alla elaborazione di un ordine nuovo, che sia riferito all'uomo. Ma, in ultima analisi, questa opera non può compiersi ove si prendano come punto di partenza i problemi tecnici; essa è resa possibile solo partendo dall'uomo vivente. Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono essere risolti se non procedendo dall'uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove, di una capacità di assumere forme nuove e di crearne. La sua costituzione dev'essere tale, che debba trovare il mondo nuovo già nelle fibre del suo essere e nella forma stessa della presa con cui ne afferra le strutture. Per imponente che sia la mole del sapere accumulato, per quanto gigantesco sia l'apparato economico e politico, per quanto potente sia la tecnica, tutto ciò non rappresenta ancora nient'altro che pura materia prima, se misurato col metro di una scienza, di una economia, di una politica e di una tecnica viventi. Non abbiamo bisogno di ridurre la tecnica, ma, al contrario, di accrescerla. O meglio: ciò che ci occorre è una tecnica più forte, più ponderata, più «umana». Ci occorre più scienza, ma che sia più spiritualizzata, più sottomessa alla disciplina della forma; ci occorre più energia economica e politica, ma che sia più evoluta, più matura, più cosciente delle proprie responsabilità, che discerna il particolare nei complessi di cui esso fa parte. Ora, tutto ciò sarà possibile soltanto quando l'uomo vivente farà risaltare se stesso nell'ambito della natura delle cose, quando riferirà questa natura a se stesso e potrà così creare a nuovo un «mondo».
Questo «mondo» dobbiamo estrarlo da un immenso accumulo di forze e di sostanze di ogni genere. Una volta l'uomo aveva come primo obiettivo quello di affermarsi di fronte alla natura che lo minacciava da ogni parte, perché egli non l'aveva ancora dominata, ed era quindi per lui soltanto caos.
Così si cominciò ad osservare il comandamento: «Lavorate la terra e fate che essa vi sia sottomessa». Il caos - «caos» dal punto di vista dell'uomo - prese forma e divenne il mondo dell'uomo. Via via che ciò andava attuandosi, ossia man mano che l'uomo entrava in possesso della terra e si affermava contro di essa e in essa, egli liberava proprio con la sua stessa azione forze nuove, non ancora soggiogate dalla sua attitudine personale e dalla forma del mondo novellamente creato. Queste forze andarono crescendo e oggi, scatenate, hanno provocato un nuovo caos. Nella parabola della storia siamo ritornati esattamente al punto in cui si trovò l'uomo primitivo quando ebbe da affrontare il suo primo compito, quello di creare un «mondo». Siamo di nuovo minacciati da tutte le parti da un caos che, questa volta, noi stessi abbiamo provocato.
In primo luogo, dunque: bisogna dire «sì» al nostro tempo. Il problema non sarà risolto con un tornare indietro, né con un capovolgimento o con un differimento; e neppure con un semplice cambiamento o miglioramento. Si avrà la soluzione soltanto andandola a cercare molto in profondità.
Dev'essere possibile inoltrarsi nella via della presa di coscienza, sino a giungere alla mèta, per moto interiore e non per pressioni o limitazioni esteriori. E deve essere possibile, nello stesso tempo, conseguire una nuova sicurezza interiore, che non sia legata a quanto va consumato ed arso in quella presa di coscienza; un atteggiamento di rispetto che sostenga questo nuovo sapere; una ingenuità nuova nella coscienza; una capacità di credere, anche nella scepsi.
Deve essere possibile lasciar cadere le illusioni e veder tracciati rigorosamente i limiti della nostra esistenza, ma acquisire, nel contempo, una nuova infinità avente la sua origine nello spirito.
Deve essere possibile risolvere il problema del dominio sulla natura nella misura che si è mostrata; ma, nello stesso tempo, dare all'anima una nuova sfera di libertà, restituire alla vita una inesauribile sicurezza in se stessa e acquistare un atteggiamento, una mentalità, un nuovo ordine per valutare in maniera vivente il sublime e l'abbietto, il lecito e l'illecito, la responsabilità, i limiti, ecc., superando il pericolo derivante dalle forze naturali sbrigliate al loro arbitrio, capaci di ogni distruzione.
Deve essere possibile veder scomparire l'antica aristocrazia del piccolo numero e accettare il fatto della massa, quel fatto per cui ciascuno di questa folla di individui ha diritto alla vita e ai beni; ma articolare, nello stesso tempo, la massa in se stessa e giungere ad una nuova gerarchia del valore e dell'essere umano.
Deve essere possibile seguire la tecnica nella strada su cui essa persegue uno scopo che abbia veramente un significato, permettere alle forze di tale tecnica di sviluppare tutto il loro dinamismo, anche se ciò dovesse sconvolgere l'antico ordine con le sue strutture; ma, nello stesso tempo, creare un ordine nuovo, un nuovo cosmo che dovrà sortire da una umanità portatasi a livello di queste forze.
da Lettere dal Lago di Como. La tecnica e l'uomo , tr. it. di Giulietta Basso, Morcelliana, Brescia 19932 , pp. 92-100.
mercoledì, settembre 28, 2016
Credo in Deum patrem omnipotentem
Et in Christum Iesum, filium Dei.
Qui natus de Spiritu Sancto ex María Virgine
Et crucifixus sub Pontio Pilato et mortuus est et sepultus,
Et resurrexit die tertia vivus a mortuis,
Et ascendit in caelis,
Et sedit ad dexteram patris,
Venturus iudicare vivos et mortuos
Et in Spiritum Sanctum et sanctam ecclesiam,
Et carnis resurrectionem.
giovedì, settembre 15, 2016
Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo
Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo: Si se pregunta a bocajarro en qué consiste el cristianismo (como a los rabinos célebres de la Mishná les preguntó un curioso por la esencia de la Torá, pero exigiendo que la respuesta no durara más que el tiempo en que él fuera capaz de sostenerse a la pata coja), habrá que decir: Consiste en …
martedì, luglio 05, 2016
Orazione
È un'orazione anche questo incresparsi
Di albe , di piume, di panni stesi
Di nebbia,
Ogni tuo respiro,
L'estinzione dei versanti,
Il rovescio di pioggia
Sul bosco stremato
E il disperdersi del ricordo
Di tutti questi doni.
genseki
Di albe , di piume, di panni stesi
Di nebbia,
Ogni tuo respiro,
L'estinzione dei versanti,
Il rovescio di pioggia
Sul bosco stremato
E il disperdersi del ricordo
Di tutti questi doni.
genseki
Madre della gloria
Omelia
per la dormizione della Vergine Maria
Oggi
entra nelle sublimi regioni, oggi si presenta nel tempio celestiale
l'unica Vergine santa, colei che con tanto sforzo coltivó la
verginitá che giunse a posssederla nello stesso grado che il fuoco
piú puro, posto che, mentre tutte le donne la perdono nel dare alla
luce, Ella restó vergine prima del parto, durante il parto e dopo il
parto.
Oggi
l'arca viva consacrata al Dio vivente, Colei che portó in seno il
suo proprio Artefice, riposa nel tempio del Signore, tempio non
edificato da mani umane.
Danza
Davide suo antenato e avo di Dio e con lui formano un coro gli
angeli, applaudono gli arcangeli, celebrano le virtú, esultano i
principati, si dilettano le dominazioni, si rallegrano le potestá,
fanno festa i troni, i cherubini cantano lodi e annunciano la sua
gloria i serafini. E non è un onore di poca importanza, posto che
glorificano la madre della gloria.
Oggi
la santissima colomba, l'anima semplice e innocente consacrata allo
Spirito Santo, uscí volando dall'arca, ovver dal corpo che aveva
generato Dio e gli aveva dato la vita, per riposare ai suoi piedi,
essendo giunta al mondo intellegibile fissó la sua sede nella terra
dell'ereditá suprema, quella terra in cui non si trova nessuna
impuritá.
Oggi
il Cielo si apre al Paradiso spirituale del nuovo Adamo nel quale
siamo liberati dalla condanna, in cui è piantato l'albero della
vita, coperta la nostra nuditá. Ormai non ci mancano gli abiti, non
siamo privati dello splendore dell'immagine divina, non siamo
spogliati della copiosa grazia dello Spirito. Ormai non ci lamentiamo
piú della nuditá antica, dicendo: mi hanno tolto la tunica, come
potró ponermela? Nel primo Paradiso fu aperta l'entrata al serpente,
mentre noi, per aver ambito la falsa divinitá che ci prometteva,
fummo comparati al bestiame. Il Figlio Unigenito di Dio stesso, che è
Dio consustanziale al Padre, si fece uomo originandosi da questa
terra purissima che è la Vergine. In questo modo, io che sono solo
uomo, ho ricevuto la divinitá, mortale fui rivestito di immortalitá
e mi spogliai della tunica di pelle. Rifiutando la corruzione mi sono
rivestito di incorrutibilitá, grazia alla divinizzazione che ho
ricevuto.
Oggi
la Vergine Inmacolata, che non ha conosciuto nessuna delle colpe
terrene, ma si è nutrita dei pensieri celestiali, non è tornata
alla terra, siccome Ella era un cielo vivente, si trova nei
tabernacoli celestiali. Infatti, chi peccherebbe contro la veritá
chiamandola cielo? Almeno si puó dire, se si comprende bene quello
he signica, che è superiore ai cieli per i uoi incomparabili
privilegi. Posto che Colui che produsse e conserva i cieli,
l'Artefice di tutte le cose create – tanto delle terrene come delle
celestiali, che cadono o no nel nostro spazio visuale, - Colui che
non è contenuto in nessun luogo, si incarnó e si fece bambino in
Lei senza opera d'uomo, e la trasformó nel bellissimo tabernacolo di
questa unica divinitá che contiene tutte le cose, totalmente
raccolto in Maria senza soffrire nessuna passione, e allo stesso
tempo stando completamente fuori, perché non puó essere contenuto.
Oggi
la Vergine, tesoro della vita, abisso della grazia – non saprei
come esprimermi con le mie labbra audaci e tremanti – ci viene
nascosta da una morte vivificante. Ella che ha generato il
distruttore della morte, la vede giungere senza timore, se morte
chiamar si puó questa partenza luminosa, piena di vita e di santitá.
Colei che ha dato la vita al mondo, come puó sottomettersi alla
morte? Ella, peró ha obbedito alla legge imposta dal Signore e, come
figlia di Adamo, soffre a sentaza pronunciata contro il adre. Suo
Figlio, che è la Vita stessa, non la ha rifiutata, e quindi è
giusto che lo stesso accada alla Madre del Dio vivo.
Avendo
Dio detto, in relazione al primo uomo: che egli non allunghi la mano
all'albero della vita e, mangiando di esso, viva per sempre. Perché
non dovrá vivere eternamente colei che generó colui che è la Vita
eterna e infinita, quella Vita che non ebbe inizio né fine?
(…)
Se il corpo santo e incorruttibile che Dio, in Lei, aveva unito alla
sua persona, è resuscitato dal sepolcro il terzo giorno, è giusto
che Ella pure fosse sottratta al sepolcro e riunita con suo Figlio. Ê
giusto che proprio come Lui era disceso verso di Lei, Ella fosse
elevata a un tabernacolo piú alto e prezioso, il cielo stesso.
Conveniva
che Colei cha aveva albergato nel suo seno il Verbo di Dio, fosse
collocata nelle divine dimore di suo Figlio; cosí come il Signore
disse che desiderava stare in compagnia di coloro che appartenevano
al Padre, conveniva anche che la Madre abitasse nel palazzo del
Figlio, nella dimora del Signre, negli atri della casa del nostro
Dio. Dato che se ivi si trova l'abitazione di tutti quelli che vivono
in allegria, dove dovrebbe trovarsi chi è la Causa della nostra
allegria?
Conveniva
che il corpo di colei che aveva conservato la verginitá senza
macchia nel parto, fosse conservato dopo la morte.
Conveniva
che colei che aveva tenutio in grembo il creatore fattosi bambino
abitasse nei tabernacoli divini.
Conveniva
che la Sposa eletta dal Padre, vivesse nelle dimore del Cielo.
Conveniva
che Colei che contempló suo Figlio sulla Croce, e ebbe il cuore
trafitto dal pugnale del dolore che non aveva provato nel parto, lo
contemplasse seduto alla destra del Padre.
Conveniva,
infine, che la Madre di Dio possedesse tutto quello che il Figlio
possedeva e fosse onorata da tutte le creature.
Giovanni
Damasceno
trad genseki
giovedì, giugno 30, 2016
Julián Marias
Hay
que intentar, si se quiere comprender una filosofía, situarse dentro
de ella, de tal manera que al exponerla nos parezca justificada. No
es menester —y sería un profundo error— tratar de mostrar la
deficiencia o falsedad de una doctrina sin tratar primero de
entenderla. Hay que hacer el intento de justificarla, de presentarla
desde dentro, no para después salirse de ella y refutarla —palabra
antipática si las hay—, sino más bien para seguir dentro de ella
y, al intentar tomarla en serio y pensarla a fondo, ver si
efectivamente nos lleva a alguna parte o si tropezamos con alguna
dificultad que nos obliga a ir más allá.
Julián Marías
Ju
giovedì, giugno 23, 2016
Aleksandr Solzhenitsyn
Ho trascorso tutta la mia vita sotto un regime comunista, e vi diró che una societá senza alcuna scala legale oggettiva è una realtá terribile. Ma una societá senza nessun'altra scala che quella legale non è neppure degna dell'uomo.
Aleksandr Solzhenitsyn
mercoledì, giugno 22, 2016
Marx
Marx
Miseria della filosofia
*
Posto che noi avessimo prodotto come uomini: ognuno di noi avrebbe doppiamente affermato nella propria produzione sé stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato la mia individualità, la sua peculiarità nella mia produzione e quindi avrei già goduto di un estrinsecarsi individuale di vita nel corso dell'attività, sia nell'osservare l'oggetto avrei provato la gioia individuale di sapere la mia personalità come potenza concreta, sensibilmente contemplabile e quindi elevata sopra tutti i dubbi. 2) nel tuo godimento e nel tuo uso del mio prodotto avrei immediatamente il godimento sia della coscienza di aver soddisfatto nel mio lavoro un bisogno umano, sia di avere oggettivato l'essere umano, e quindi di avere procurato al bisogno d'un altro essere umano l'oggetto ad esso corrispondente, 3) di essere stato per te il mediatore tra te e la specie e quindi di essere saputo e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte necessaria di te stesso, e quindi di sapermi confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore, 4) di aver creato nella mia estrinsecazione individuale di vita immediatamente la tua estrinsecazione di vita, e quindi di avere confermato e realizzato nella mia attività individuale la mia vera essenza, il mio essere umano e il mio essere comunitario. Le nostre produzioni sarebbero altrettanti specchi nei quali si rifletterebbe luminosamente il nostro essere.
Marx
Appunti su James Mill
martedì, giugno 14, 2016
Ratzinger
In a 1969 German radio broadcast, Father Joseph Ratzinger said :
Let us, therefore, be cautious in our prognostications. What St. Augustine said is still true : man is an abyss ; what will rise out of these depths, no one can see in advance. And whoever believes that the Church is not only determined by the abyss that is man, but reaches down into the greater, infinite abyss that is God, will be the first to hesitate with his predictions, for this naïve desire to know for sure could only be the announcement of his own historical ineptitude.
If today we are scarcely able any longer to become aware of God, that is because we find it so easy to evade ourselves, to flee from the depths of our being by means of the narcotic of some pleasure or other. Thus our own interior depths remain closed to us.
From the crisis of today the Church of tomorrow will emerge — a Church that has lost much. She will become small and will have to start afresh more or less from the beginning. She will no longer be able to inhabit many of the edifices she built in prosperity. As the number of her adherents diminishes, so it will lose many of her social privileges.
It will be seen much more as a voluntary society, entered only by free decision. As a small society, it will make much bigger demands on the initiative of her individual members.
Undoubtedly it will discover new forms of ministry and will ordain to the priesthood approved Christians who pursue some profession. In many smaller congregations or in self-contained social groups, pastoral care will normally be provided in this fashion.
Along-side this, the full-time ministry of the priesthood will be indispensable as formerly.
But in all of the changes at which one might guess, the Church will find her essence afresh and with full conviction in that which was always at her center : faith in the triune God, in Jesus Christ, the Son of God made man, in the presence of the Spirit until the end of the world.
In faith and prayer she will again recognize the sacraments as the worship of God and not as a subject for liturgical scholarship.
The Church will be a more spiritual Church, not presuming upon a political mandate, flirting as little with the Left as with the Right.
It will be hard going for the Church, for the process of crystallization and clarification will cost her much valuable energy. It will make her poor and cause her to become the Church of the meek.
When the trial of this sifting is past, a great power will flow from a more spiritualized and simplified Church.
Men in a totally planned world will find themselves unspeakably lonely. If they have completely lost sight of God, they will feel the whole horror of their poverty. Then they will discover the little flock of believers as something wholly new. They will discover it as a hope that is meant for them, an answer for which they have always been searching in secret.
And so it seems certain to me that the Church is facing very hard times. The real crisis has scarcely begun. We will have to count on terrific upheavals.
But I am equally certain about what will remain at the end : not the Church of the political cult, which is dead already, but the Church of faith. It may well no longer be the dominant social power to the extent that she was until recently ; but it will enjoy a fresh blossoming and be seen as man’s home, where he will find life and hope beyond death.
mercoledì, giugno 01, 2016
Hans Urs Von Balthasar
Il
cristiano che è interrogato e che interroga è più che mai isolato.
Finora c’era sempre un punto di contatto per il dialogo religioso,
sembrava almeno che ci fosse un fondo comune di certezza, e la
discussione riguardava solo diffenze secondarie. La posizione di
Paolo sull’areopago, dopo una passeggiata mattutina attraverso i
templi ed i santuari di Atene, ci appare addirittura invidiabile. I
suoi interlocutori sono ‘religiosissimi’, non solo vedono la
divinità in azione dovunque nell’universo, ma non hanno alcuna
difficoltà a credere conmaggior
o minor sicurezza ogni specie di rivelazioni particolari e
riconoscono ilculto, che lo stato decreta loro. Non si tratta più,
per cosi dire, che di svelare il ‘Dio ignoto’ e di provare che la
sua manifestazione nella morte e risurrezione di Cristo non ha
paragone con gli altri.
Oggi
si esige che tutti, anche tu che così a lungo, troppo a lungo, hai
guardato in direzione di Dio, girino in senso radicalmente inverso:
conversione al mondo. Non rientra infatti 1
questo nella tua stessa logica cristiana? I primi discepoli
non sono mandati dal loro Maestro in tutto il mondo? Contraddici a te
stesso se tu solo, mentre tutti guardano in avanti, guardi fisso
all’indietro.
Il
cristiano si guarda attorno in cerca di aiuto; ciò che una volta lo
avvolgeva come un abito che forniva protezione e calore è scomparso
ed egli si sente penosamente nudo. Si sente come un fossile di epoche
tramontate.
Da: "Chi è il cristiano?"
lunedì, maggio 30, 2016
La Coscienza
Dal testo di Romano Guardini: La coscienza
Abbiamo
dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto
esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni.
Che i diversi interessi del mondo spirituale esigono di volta in
volta un diverso modo diparlare e di ascoltare; richiedono uno spazio
interiore diverso, nel quale possano svolgersi questo parlare e
questo ascoltar
Il
bene non diventa realtà, se non lo attuo.
Il
bene non è una legge morta. È la vita infinita che vuol essere
inserita in questa realtà. Nella sua pura essenza questa vita è per
noi inesprimibile; appunto perché è infinita e nello stesso tempo
semplicissima. Ma essa vuole assumere una figura terrena, umana. È
ciò che avviene nell’azione morale. L’attività morale ha in sé
qualche cosa di misterioso
Nell’attività
morale si tratta di render reale, umanamente reale quello che ancora
non lo è. Si tratta di dar forma terrena a qualche cosa di eterno e
di infinito.
Ma
poi, con le opere, dobbiamo trasfondere il bene nella realtà,
altrimenti esso resta aspirazione infeconda. Bisogna che ne
imprimiamo la forma nella materia nella realtà che ci circonda:
nella situazione. Ciò vuol dire che dobbiamo afferrare ciò che è
nuovo; quello che qui mi sta attorno: uomini, avvenimenti, cose,
circostanze. Tutto ciò arriva, diviene, si articola, qui, adesso - e
in questo momento bisogna che lo afferri. Devo vedere: che cosa
importa per me tutto questo che mi circonda? A quali cose devo
rivolgere il mio sguardo? Il mio giudizio? Che cos’è qui il bene?
Vedere, giudicare, deliberare, fare tutto ciò;chiaramente,
magnanimamente, ponderatamente, risolutamente; con atto energico e
netto, che abbia sangue e colore, lo slancio del cuore e la sicurezza
della mano -questo significa fare il bene. Agire moralmente significa
quindi creare qualche cosa; non in pietra o in colore o in suono, ma
nella materia reale della vita.
La
vita morale è disertata su larga scala. Le forze creatrici si sono
trasferite al servizio di un’arte raffinata, di un’attività
politica sfrenata, di un’economia pura o di qualsiasi altra cosa. È
tempo che riconosciamo di nuovo che l’attività morale è una
creazione e vi convogliamo di nuovo le vive energie morali.
Così
la coscienza è anche la porta, per la quale l’eterno entra nel
tempo. È la culla della storia. Solo dalla coscienza sgorga
«storia», la quale significa ben altro che non un processo
naturale. Storia significa che, in seguito a libera opera umana,
qualche cosa di eterno entra nel tempo.
Ogni
situazione si presenta una unica volta. Per cui anche quello che deve
avvenire in essa non è mai avvenuto e non tornerà più. Bisogna
dunque che venga divinato e plasmato per la prima volta.
La
coscienza è dunque l’organo per l’eterna esigenza del bene, che
deve venir attuato: la coscienza è per l’uomo come una finestra
aperta sull’eternità. Una finestra però che allo stesso tempo dà
anche sul coro so del tempo e sugli avvenimenti quotidiani. La
coscienza è l’organo, che trae l’interpretazione del
comandamento del bene, eterno e sempre nuovo, dai fatti concreti;
l’organo col quale sempre di nuovo si riconosce in qual modo il
bene eterno ed infinito debba venir attuato nella specificazione del
tempo. È un obbedire e al tempo
stesso
un creare; un comprendere e un giudicare; un penetrare e un decidere.
Da
questa prigionia in me stesso io mi libero soltanto se trovo un
punto, che non sia il mio «io»; una «altezza al di sopra di me».
Un qualche cosa di solido e operante che si affermi nel mio interno.
Ed eccoci arrivati al nocciolo della nostra odierna considerazione,
cioè alla realtà religiosa.
Quel
«bene», del quale abbiamo parlato, che cos’è veramente?
Non
una «legge», che penda affissa da qualche parte. Non una semplice
idea.
Non
un concetto campato in aria. No, esso è qualche cosa di vivo.
Diciamolo senz’ambagi: è la pienezza di valore dello stesso Dio
vivente. La santità
del Dio vivente: ecco il bene.
Mi
ricordo ancora il luogo, ove un bel mattino mi si affacciò questo
concetto così semplice e pur così celato e sottile: Quando io
dicessi: «l’amore»... e questo amore divenisse pieno e perfetto
in forza, in purezza, in misura, in durata e profondità e quanto al
suo oggetto; ed ora, assolutamente pieno e perfetto incominciasse ad
esistere in sé, divenisse persona; diventasse l’amore stesso per
essenza - che sarebbe questo amore? il Dio vivente! Questa intuizione
mi rese raggiante di gioia!... Il valore, la fedeltà, l’onore, la
bontà, la giustizia, la misericordia... in una parola: «il bene»,
nella sua infinitezza e nella sua pura semplicità - tutto ciò è la
santità vivente di Dio e nient’altro.
La
coscienza è l’organo per il bene; ed è l’organo per Iddio.
Inderogabile
ed essenziale caratteristica della legge morale si è che mi «venga
incontro»; che non sia dunque per me l’«io» stesso.
Là,
dove il nostro essere confina, quasi a dire, col nulla, sta la mano
di Dio e ci regge. Là egli ci parla. Non come una forza
indeterminata o una semplice legge. Non come alcunché di
impersonale, ma come un «io», al quale è possibile rispondere con
un «tu». Dio parla dunque dentro di noi. Ma questo stesso Dio è il
Creatore e il Signore del mondo.
Ovunque
viva un uomo, ivi, in lui, è il centro del mondo.
L’uomo
non ha soltanto un’essenza, comune a tutti i suoi simili; egli ha
di più.
L’essenza
dell’uomo porta in ogni singolo l’impronta terminale di unicità:
è «nome». Tutte le altre cose si trovano già nel tipo della
specie. L’uomo solo è a
priori «singolo». Ma lo è, perché ha rapporto
immediato con Dio. Tutte le cose del mondo sono intrecciate nel
contesto dell’universo e negli ordinamenti della specie; e anzi, in
misura totale. Anche l’uomo vi è inserito, ma solo con una parte
del suo essere.
L’uomo
dunque non ha soltanto un’essenza determinata, ma porta anche un
nome. L’atto divino della creazione, dal quale ho ricevuto la mia
realtà, fu un atto di denominazione.
Non
sono soltanto individuo, ma anche persona. Non porto in me soltanto
un’essenza generica, ma un’essenza che ha l’impronta
dell’unicità: porto un nome. Questo nome l’ho da Dio. Sono nel
mondo, ma non mi confondo con esso. Con ciò che ho di intimo vengo
immediatamente da Dio e sto in rapporto diretto con Lui. Egli mi ha
creato come questa determinata persona. Questo nome che mi ha imposto
non è racchiuso nella natura generica «uomo». Non si sperde
nell’articolazione dell’universo, e Dio solo lo sa. Perciò io
posso conoscere il mio nome, conoscere cioè quello che ho di più
mio, solo ricavandolo di là, dove è custodito, cioè da Dio. I vari
strati del mio essere possono essere portati alla condizione di
realtà cosciente con maggiore o minore facilità. Quanto più nobili
e più profondi, tanto più difficilmente. L’ultimo diventa reale
soltanto nell’incontro con Dio.
Così
pregava Newman: «Ho bisogno che Tu m’istruisca, giorno per giorno,
su ciò che è l’esigenza e la necessità di ogni giorno.
Concedimi, o Signore, la chiarezza della coscienza, la quale sola può
sentire e comprendere la Tua ispirazione. I miei orecchi sono sordi;
non so percepire la Tua voce. I miei occhi sono offuscati; non so
vedere i Tuoi segni. Tu solo puoi affinare il mio orecchio, acuire il
mio sguardo e purificare e rinnovare il mio cuore. Insegnami a star
seduto ai Tuoi piedi e a prestar ascolto alla Tua parola. Amen».
La
forma più ovvia del raccoglimento sarebbe certo l’ordine.
Ordine della vita e del lavoro
quotidiani, degli oggetti in camera e in casa, delle occupazioni nel
corso della giornata e dei giorni; della lettura, dei pensieri e così
via.
L’ordine
raccoglie.
Raccoglimento
significa qui che sappiamo, una buona volta, non tanto fare, quanto
vivere. Avere un’esistenza tranquilla. Un’esistenza piena, libera
dall’ossessione del fare e del volere.
Noi
tendiamo sempre ad una mèta, poi ad un’altra ulteriore, e cosi di
seguito. Sempre verso qualche cosa che non esiste. Sbrighiamo una
cosa e la gettiamo dietro le spalle. Viviamo gli avvenimenti,
rapidamente e già essi non sono più.
Cosi
viviamo sempre scivolando fra quello che non è più e quello che non
è ancora.
Raccoglimento
significa qui creare il presente, sostare e divenir presenti.
martedì, maggio 24, 2016
Wendell Berry
Dai miei anni di collegio
e dalle mie letture venni a conscenza dei diversi nomi che alla fine
di una serie di domande o in periodi di sconcerto sono attribuiti a
Dio: la prima causa, il primo mobile, la forza vitale, la mente
universale, il princpio primo, il motore immobile, la provvidenza, Io
stesso ho usato questi nomi discutendo con altri o con me stesso o
cercando di darmi una spiegazione.
Ora posso dire che tutti
questi nomi non spiegano nulla. Non sono di maggior utilitá che
evoluzione o selezione naturale o Big Bang. Quello che questi nomi
fanno è avvolgerci con la lunghezza e la profonditá dei nostri
stessi pensieri e aspirazioni., Penso che ho conosciuto la tentazione
della semplice ragione, di credere solo in quanto si puó provare,
fino a che non avanzai la supposizione che non si trattase dei nomi
veri.
Ho immaginato che il vero
nome possa essere Padre e ho immaginato che cosa implica: l'amore, la
compassione, l'offesa, la ferita, la delusione, la rabbia,, le
lacrime, il perdono, la sofferenza fino alla morte. Se il mio amore
potrebbe spingere il mio pensiero oltre il limite del mondo e del
tempo, potrei forse non comprendere come la divina onnipotenza possa
essere scagliata in questo mondo dalla stessa forza del suo amore?
Potrei forse non vedere come egli puó, volendo conoscere la sua
creatura per compassione soltanto, prendere carne mortale, divenire
uomo, camminare tra di noi, assumere la nostra natura e il nostro
destino, la sofferenza, la debolezz e la nostra morte?
Potrei immaginare un
padre che è un poco come la chioccia che distende le ali prima della
tempesta o al crepuscolo prima della notte sui piú piccoli di Port
Williams perché vengano a ripararsi, alcuni accorrono, altri no.
Posso immaginare Port Williams cavalcare la sua onda nel tempo, sotto
il cielo, le sue fiammlele che risplendono, escono fuori mentre le
sue vite attraversano nascita, piacere, dolore, morte. Posso
immaginare Dio che guarda giú, verso di loro, verso le loro vite che
vivono nel suo spirito, che respirano per il suo respiro, che
conoscono grazie alla Sua luce, ma vivono la loro vita,
(inevitabilmente) ognuno secondo la sua volontá. Il Suo corpo dato
per essere spezzato.
Wendell Berry
trad. genseki
giovedì, maggio 19, 2016
Elisa, vita mia
¿Quién me dijera, Elisa, vida mía,
cuando en aqueste valle al fresco viento
andábamos cogiendo tiernas flores,
que había de ver, con largo apartamiento,
5- venir el triste y solitario día
que diese amargo fin a mis amores?
Garcilaso de la Vega
cuando en aqueste valle al fresco viento
andábamos cogiendo tiernas flores,
que había de ver, con largo apartamiento,
5- venir el triste y solitario día
que diese amargo fin a mis amores?
Garcilaso de la Vega
mercoledì, maggio 18, 2016
Il giardino di Asolo
Era questo giardino vago molto e di maravigliosa bellezza; il quale, oltre ad un bellissimo
pergolato di viti, che largo e ombroso per lo mezzo in croce il dipartiva, una medesima via dava a gl'intranti
di qua e di là, e lungo le latora di lui ne la distendeva; la quale, assai spaziosa e lunga e tutta di
viva selce soprastrata, si chiudeva dalla parte di verso il giardino, solo che dove facea porta nel pergolato,
da una siepe di spesissimi e verdissimi ginevri, che al petto avrebbe potuto giugnere col suo sommo
di chi vi si fosse accostar voluto, ugualmente in ogni parte di sé la vista pascendo, dilettevole a riguardare.
Dall'altra onorati allori, lungo il muro vie più nel cielo montando, della più alta parte di loro
mezzo arco sopra la via facevano, folti e in maniera gastigati, che niuna lor foglia fuori del loro ordine
parea che ardisse di si mostrare; né altro del muro, per quanto essi capevano, vi si vedea, che dall'uno
delle latora del giardino i marmi bianchissimi di due finestre, che quasi ne gli stremi di loro erano, larghe
e aperte, e dalle quali, perciò che il muro v'era grossisimo, in ciascun lato sedendo si potea mandar
la vista sopra il piano a cui elle da alto riguardano. Per questa dunque così bella via dall'una parte entrate
nel giardino le vaghe donne co' loro giovani caminando tutte difese dal sole, e questa cosa e quell'altra
mirando e considerando e di molte ragionando, pervennero in un pratello che 'l giardin terminava, di
freschissima e minutissima erba pieno e d'alquante maniere di vaghi fiori dipinto per entro e segnato;
nello stremo del quale facevano gli allori, senza legge e in maggior quantità cresciuti, due selvette pari
e nere per l'ombre e piene d'una solitaria riverenza; e queste tra l'una e l'altra di loro più a drento davan
luogo ad una bellissima fonte, nel sasso vivo della montagna, che da quella parte serrava il giardino,
maestrevolmente cavata, nella quale una vena non molto grande di chiara e fresca acqua, che del monte
usciva, cadendo e di lei, che guari alta non era dal terreno, in un canalin di marmo, che 'l pratello divideva,
scendendo, soavemente si facea sentire e, nel canale ricevuta, quasi tutta coperta dall'erbe, mormorando
s'affrettava di correre nel giardino.
Pietro Bembo
kenneth Rexroth
Indigeni di
camere ammobiliate
le nostre ore
miglori le passammo
a spese dei
contribuenti
nei parchi
pubbllici di quattro cittá
Forese era
peggio, il livello,
l'erba ben
alimentata, il sollevarsi
ritmico della
braccia infantili
una brillante
palla rossa che seguiva
una linea di
sorrisi
i vestiti
dell bambine
come fiori di
giacinto
nell'agosto
incipiente, le fontane
scoiattoli
addomesticati, piccioni
passeri e
altre
infinite,
memorabili cose.
trad. genseki
martedì, maggio 17, 2016
Blanchot
So - lo so -
che colui al quale stavano giá puntando i fucili i tedeschi, che attendevano ormai solo l'ordine finale, sperimentó allora un sentimento
di leggerezza straordinario, una specie di beatitudine (non di
felicitá, comunque), una allegria ovrana? L'incontro della morte con
la morte?
Non cercheró
di analizzare in vece sua quasto sentimento di leggerezza. Chissá fu
repentinamente invincibile, forsse un sentiment di compassione per
l'umanitá sofferente, la fortuna di non essere immortale, di non
essere eterno. Da allora fu legato alla morta da una amicizia
surretizia.
Blanchot
L'istante
della mia morte
Mani
Muovendo le
nostre mani unite
oltre il
lago, come in volo,
fino al bosco
oscuro, sulle cime degli abeti,
appena
distinguiamo gli steli delle graminacee
non è che un
prato
e noi due
distesi -
quando
ritornano a posarsi,
intrecciate
le nostre braccia
come rami di
un vecchio melo -
accarrezzano
le nostre ombre
sono le
nostre mani
Le carezze di
altri.
genseki
Blanchot
Sperimento
vivendo un piacere illimitato e proveró morendo una soddisfazione
infinita.
Blanchot
La follia della luce
trad genseki
lunedì, maggio 16, 2016
Kenneth Rexroth
Sei mesi
eterni come un sogno
cosí
impotente...
la tua sosta
sulla scala del metro
ondeggi,
sorridi e discendi
un istante
tra risveglio e risveglio
hai sorriso
per ondeggiare ancora
a due isolati
da un bulevard nebbioso di Chicago?
Quante
dinastie tramontarono nel frattempo?
Quanto tempo
impiegó l'altra mano
A compiere il
suo periplo?
trad genseki
,
Kennet Rexroth
Piú tardi
quando nell'acqua gaia
Esplose il
loto rosso, e il verde perfetto
smaltó
alberi ed erba, “io solo, competamente solo,
galleggiando”
restai pensoso sull'acqua dello stagno.
Quando il
sole basso penetró coi raggi cremisi
gli
interstizi del loto splendente; cosciente
del giungere,
nella profondita degli anni, di un tempo
in cui queste
lagune questi alberi scuri
lo specchio
scorrevole di questo crepuscolo su cui navigammo
saranno
spazzati da un'onda gigante fuori dalla memoria
in una
pomeriggio normale, ancora lontano -
immensa, in
vertigine e orrore.
trad. genski
giovedì, maggio 12, 2016
Piove, nel caffé
La bellezza
della figlia del re viene dall'interno (Salmo 45,14)
Piove ai
vetri del caffé le gocce
Raccontano
dell'abbandono, del pericolo
Ê un limbo
questo dove ci scaldiamo
Alle
frottole, alla musica scadente,
all'odore del
riso che si tosta.
Usciremo
prima o poi nella nebbiolina
Tra i
richiami dei merli fitti fitti
Il piede del
vesante fiorito di cardi
Si scuote al
passo dei lupi
Cominciamo a
salire, inzuppiamo
Le scarpe e
le calze nell'erba bagnata
anche questo
lo accettiamo nel suo nome
È poca cosa
e presto sapremo
Su quale cima
si erge il cippo
Su quale la
croce
E vi
riposeremo finalmente.
genseki
martedì, maggio 03, 2016
Inno alla Madre
ora sei benedetta tra le spighe
e marci sulle orme dei santi
eucalipti dorati ti danno ombra
germoglio di madreperla
la tua anima bambina
tu agnella impigliata tra le spine
Il tuo antico dolore instancabile
cesella ora le gioie che ti adornano
e i raggi della luna ti incoronano
verdi scintille i tuoi occhi come
foglie
é Sion la tua dimora, tra le tende
dei beduini che salgono al santuario
crescono i virgulti sui tuoi passi
sciolti
e l'olio profumato ti impregna i
capelli.
Sei una carezza ora alla mia fronte
Perdonami per quello che MI HAI FATTO.
giovedì, aprile 21, 2016
giovedì, marzo 17, 2016
Cori descrittivi di stati d'animo di Didone
Dileguandosi l'ombra,
In lontananza d'anni,
Quando non laceravano gli affanni,
L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.
Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:
Il cuore roso, sgombra!
Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.
Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
n sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.
III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
.
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e mi hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
VII.
Nella tenebra muta
Cammini in campi vuoti dogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.
X.
Non odi del platano
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?
Il mio declino abbellirò stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
XIII.
Sceso dall'incantevole sua cuspide
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
Spargendosi nelle ore, nei minutì
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
Per patirne l'estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,
Opachi, senza raggi.
XV.
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
XIX.
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
In lontananza d'anni,
Quando non laceravano gli affanni,
L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.
Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:
Il cuore roso, sgombra!
Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.
Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
n sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.
III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
.
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e mi hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
VII.
Nella tenebra muta
Cammini in campi vuoti dogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.
X.
Non odi del platano
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?
Il mio declino abbellirò stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
XIII.
Sceso dall'incantevole sua cuspide
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
Spargendosi nelle ore, nei minutì
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
Per patirne l'estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,
Opachi, senza raggi.
XV.
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
XIX.
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
da Co
Benedizione del viaggiatore, San Patrizio
Possa la strada venirti incontro;
possa il vento soffiare
sempre alle tue spalle;
possa il sole splendere
sempre sul tuo viso
e la pioggia cadere
soffice sul tuo giardino
e fino a che non ci
incontreremo di nuovo
possa Dio tenerti
nel palmo della Sua mano
possa il vento soffiare
sempre alle tue spalle;
possa il sole splendere
sempre sul tuo viso
e la pioggia cadere
soffice sul tuo giardino
e fino a che non ci
incontreremo di nuovo
possa Dio tenerti
nel palmo della Sua mano
mercoledì, marzo 09, 2016
Per Marcos
Per Marcos che é nato il 5 di Marzo.
Quando un giorno ti lascia
Pensa all'altro che spunta.
Ê sempre pieno di promesse il nascere
Sebbene sia straziante
E l'esperienza d'ogni giorno insegna
Che nel legarsi, sciogliersi o durare
Non sono i giorni se non vano fumo.
Ungaretti
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