mercoledì, marzo 04, 2009

La vergogna e la pietá

Questo è un testo abbasanza noto di Pietro Colletta, dalla “Storia del reame di Napoli”

di esso parla Cesare Abba nel suo memoriale garibaldino pare che lo leggesse il Padre Canata nel Liceo Scolopico di Carcare.

Il contrasto tra l'abiezione, l'indifferenza e lo spettacolo è qui rapresentata con una precisione geometrica che ne fa qualche cosa di piú e di diverso da un testo di propaganda o di battaglia culturale anticlericale, ne fa una riflessione lucida su come la violenza e il dolore inflitto distruggano e le vittime e i carnefici, spoglino entrambi di qualsiasi dignitá. Gli inquisitori e gli eretici sono ridotti a grige comparse dementi bloccate nella confabulazione piú viscosa, triturate dalla tautologia, sfigurate dala perversione sistematica di ogni parola.

Tutti sono macchine che producono non senso. Passa nella mente di chi legge l'alito cinerino e morbido della demenza. Quello che resta è vergogna una vergogna piú profonda di ogni possibile pietá.

genseki


In dieci anni, dal 1720 al 30, non avvennero in Napoli cose memorabili, fuorché tremuoti, eruzioni volcaniche, diluvi ed altre meteore distruggitrici. Ma nella vicina Sicilia; l' anno 1724,fatto atroce apportò tanto spavento al regno, che io credo mio debito narrarlo a fine che resti saldo nella memoria di chi leggerà; e i Napoletani si confermino nell'odio giusto alla In- quisizione, oggidì che, per l'alleanza dell'imperio assoluto al sacerdozio, la superstizione, l'ipocrisia, la falsa venerazione del- l'antichità spingono verso tempi e costumi abborriti, e vedesi quel tremendo Uffizio, chiamato Santo, risorgere, in non pochi luoghi d'Italia, tacito, ancora discreto, ma per tornare, se for- tuna lo aiuta, sanguinario e crudele quanto ne' tristi secoli di universale ignoranza.
ndarono soggetti al Santo Uffizio, l'anno 1699, fra' Romualdo laico agostiniano e suora Geltrude bizzoca di san Benedetto: quegli per “quietismo, molinismo, eresia”; questa per orgoglio, vanità, temerarietà, ipocrisia”.
Ambo folli, però che il frate, con molte sentenze contraria a' dogmi o alle pratiche del cristianesimo, diceva ricever angeli messaggeri da Dio, parlar con essi, esser egli profeta, essere infallibile: e la Geltrude, tener commercio di spirito e corporale con Dio, essere pura e santa, aver inteso dalla Vergine Maria non far peccato godendo in oscenità col confessore; ed altri assai sconvolgimenti di ragione. I santi inquisitori ed i teologi del Santo Uffizio avevano disputato più volte con quei miseri, che ostinati, come mentecatti, ripetevano deliri ed eresie.
Chiusi nelle prigioni, la donna per venticinque anni, il frate per diciotto, (attesoché gli altri sette li passò a penitenza ne' conventi di san Domenico) tollerarono i martori più acerbi, la tortura, il flagello, il digiuno, la sete; e alla fine giunse il sospirato mamento del supplicio.
Avvegnaché gli inquisitori condannarono entrambo alla morte, per sentenze confermate dal vescovo di Albarracìn, stanziato a Vienna, e dal grande inquisitore delle Spagna; dopo di che il devoto imperatore Carlo VI comandò che quelle condanne fossero eseguite con la pompa dell' Atto-di-fede.
Le quali sentenze amplificavano il santissimo tribunale, la “dolcezza”, la “mansuetudine”, la “benignità” de' santi inquisitori: e incontro a sensi tanto umani e pietosi la malvagità, la irreligione, la ostinatezza de' due colpevoli. Poi dicevano la necessità di mantenere le discipline della sacrosanta cattolica religione, spegnere lo scandalo, e vendicare lo sdegno de' cristiani.
Il dì 6 di aprile di quell'anno 1724, nella piazza di Sant'Erasmo, la maggiore della città di Palermo, fu preparato il supplizio. Vedevi nel mezzo croce altissima di color bianco e da' lati due roghi chiusi, alto ciascuno dieci braccia, coperti da macchina di legno a forma di palco, alla quale ascendevasi per gradinata; un tronco sporgeva dal coperchio di ogni rogo: altari da luogo in luogo e tribune riccamente ornate stavano disposte ad anfiteatro dirimpetto alla croce; e nel mezzo, edificio più alto, più vasto, ricchissimo di ornamenti per velluti, nastri dorati ed emblemi di religione. Questo era per gli inquisitori; le altre logge per il vicerè, l'arcivescovo, il senato: e per i nobili, il clero, i magistrati, le dame della città: il terreno per il popolo.
A' primi albori le campane suonavano a penitenza: poi si mossero le processioni di frati, di preti, di confraternite; che traversando la città, fatto il giro attorno alla croce, si schierarono all'assegnato luogo. Popolata la piazza si dalla prima luce, riempivano le tribune genti che, a corpi o spicciolate, con abiti di gala,venivano al sacrificio: era pieno lo spettacolo; si attendevano le vittime.
Già scorso di due ore il mezzo del giorno, mense innumerevoli ed abbondanti coprirono le tribune, così che la scena preparata e mestizia mutò in allegrezza. Fra' quali tripudi giunse prima la misera Geltrude legata sopra un carro, con vesti luride, chiome sparse e gran berretto di carta che diceva il nome, scritto con dipinte fiamme d'inferno.
Convoiavano il carro,tirato da bovi neri e preceduto da lunga processione di frati,molti principi e duchi sopra cavalli superbi; e dietro cavalcati a mule bianche, seguivano i tre padri inquisitori. Giunto il corteggio, e consegnata la donna ad altri frati domenicani e teologi per le ultime e finte pratiche di conversione, ricomparve corteggio simile al primo per frate Romualdo: ed allora gli inquisitori nella magnifica ordinata tribuna.

Compiute le formalità, bandito ad alta voce l'ostinato proponimento d' colpevoli, lette le sentenze in latino, prima la donna salì sul palco; e due frati manigoldi la legarono al tronco, e diedero fuoco alle chiome, imbiotate innanzi di unguenti resinosi acciò le fiamme durassero vive attorno al capo: indi bruciarono le vesti, anch'esse intrise nel catrame, e partirono.
La misera rimasta sola sul palco, mentre gemeva e le ardevano intorno e sotto i piedi le fiamme, cadde col coperchio del rogo; scomparso il corpo, rimasero ai sensi degli spettatori i gemiti di lei; le fiamme, il fumo, che andavano ad oscurare l'alta croce di Cristo svergognata.
Così fra' Romualdo morì nell'altro rogo, dopo aver visto il martirio della compagna.
Tra gli spettatori notatasi un drappello sordido, mesto, di ventisei prigioni del Santo Uffizio, voluti presenti alla cerimonia: soli fra tutti che piangessero di quei casi, perciocché gli altri, sia per viltà, o ignoranza, o religion false, o empia superstizione, applaudivano l'infame olocausto……
…Descrisse quell'atto in grosso volume Antonio Mongitore……

venerdì, febbraio 27, 2009

La morte - Carmelo Bene - Unamuno

Io non diró che siano le dottrine piú o meno poetiche e non-filosofiche che esporró quelle che mi fanno vivere, oso tuttavia affermare che è il mio anelo di vivere e di vivere per sempre che me le ispira. E se grazie ad esse potró corroborare e sostenere questo stesso anelo che forse sta venendo a mancare in altri, avró fatto opera umana o perlomeno avró vissuto. In una parola: con la ragione, contro la ragione o senza la ragione, io non ho voglia di morire. E, quando alfin morró, se é per sempre, non mi saró ucciso io, cioé non mi saró lasciato morire, sará il destino umano che mi avrá ucciso.
Unamuno
Del Sentimento Tragico della Vita
trad. genseki

giovedì, febbraio 26, 2009

Trilce XV

Quella che segue è ancora una poesia di quello che potremmo chiamare il “ciclo della madre” in Trilce.

La rielaborazione della perdita e del lutto comporta l'assunzione dell'infanzia, un viaggio nel proprio passato, nel vuoto, negli inferi della personalitá che va formandosi e deformandosi. da questa discesa nell'abisso della terra la madre va mergendo come l'asse portante, che permette la coerenza el ricordo e la continuitá dell'io. La madre è colonna e colonnato e arco: asse e protezione. L'icona della madre è quella della Vergine, madre di dio padre. Nella mitologia familiare di Vallejo, oltre ogni etnicismo e senza tirare in ballo la psicanalisi, il padre è fratello e in parte anche figlio.

Se la madre assume la forma icona della Vergine Maria, il padre è il Padre e il Cristo contemporanemente.

L'immortalitá è propria della madre, affermata e riaffermata nelle forma di una immanenza e di una quiddità assolute: “cosí...così” che ritmano il rifiuto di qualsiasi orizzonte di trascendenza. L'immortalitá della madre è assolutamente carnale, corporale e architettonica.

genseki


Trilce XV


Madre, domani verró a Santiago

Per bagnarmi nel tuo pianto benedetto

Ora che vado riordinando piaghe e delusioni

Di false faccende.


Mi aspetterá il tuo arco di stupore,

Le tue colonne d'ansie tonsurate

Che finiscono con la vita e col cortile

Il corridoio tutto stucchi e gale;

Mi aspetterá il seggiolone aio

Quell'affare a ganasce di dinastico cuoio

Che con cinghie e laccetti stringe stretto

Natiche pronipoti.


Sto setacciando i miei piú puri affetti

Sto trivellando, non odi la sonda?

Non odi le campane strepitanti?


La tua formula d'amore sto plasmando

Per ciascuno dei vuoti del suolo

Per tutte le cinture piú distanti

E per le citazioni piú distinte.


Cosí morta immortale, cosí

Sotto l'arcata doppia del tuo sangue

Ove passar si debe con riguardo

Con un riguardo tale che mio padre

Persino lui si fece mezzo uomo

Fino ad essere il primo dei tuoi figli.


Cosí morta immortale,

Nel colonnato delle tue ossa

Che non cadrebbe neppure per le lacrime

E nel cui fianco non poté insinuare

Il destino nessuna delle dita

Così, madre immortale, cosí.


trad genseki

mercoledì, febbraio 25, 2009

Gilles de Rais

Tutte le teorie moderne dei vari Lombroso e Maudsely non sono sufficienti a spiegare i crimini innumerevoli e i singolari abusi del Maresciallo. Classificarlo nel gruppo dei monomaniaci sarebbe stato giusto, se con questa parola si classificano tutti coloro che hanno una idea fissa. Infatti, ognuno di noi è monomaniaco, a partire dal commeciante che pensa solo al suo interesse, fino all'artista assorbito nella concezione di un'opera, Perché, tuttavia. il Maresciallo fu momomane, come lo divenne? Ecco ció che tutti i Lombroso della terra ignorano. Le lesioni dell'encefalo non significano assolutamente niente in queste faccende. Si tratta semplicemente di coneguenze, di effetti derivati di una causa che dovrebbe essere spiegata e che nessun materialista sa spiegare. È davvero un po' troppo facile affermare che una perturbazione dei lobi crebrali produce assassini o sacrileghi; gli alienisti famosi dei nostri giorni pretendono che l'analisi del cervello di una folle riveli una lesione o una alterazione della materia grigia, e se così fosse? Resterebba da spiegare, per una donna affetta da demonomania, se la lesione si è prodotta perché ella è demonome o al contrario ...


Nel quindicesimo secolo le due tendenze estreme dell'anima furono rappresentate da Giovanna d'Arco e dal Maresciallo de Rais. Non vi é alcuna ragione per affermare che Gilles fosse piú folle della Pulzella i cui meravigliosi eccessi non hanno relazione alcuna con manie e deliri.


Quando gli esperimenti alchemici e le evocazioni diaboliche falliscono Prelati, Blanchet e tutti i maghi e stregoni che circondano il Maresciallo ammettono che per agganciare Satana, Gilles avrebbe dovuto cedergli o l'anima o la vita o commettere crimini.

Gilles rifiuta di alienare la sua esistenza e di abbandonare l'anima, ma pensa senza orrore agli assassinii. Quest'uomo, tanto valoroso sui campi di battaglia, tanto coraggioso quando difende e accompagna Giovanna d'Arco, trema davanti al iavolo, ha paura quando pensa alla vita eterna, quando pensa a Cristo. E lo stesso vale per i suoi complici; per essere sicuro che essi non riveleranno i rivoltanti abomini che il castello nasconde, fa loro giurare il segreto sui santi evangeli, sicuro che nessuno di loro romperá il giuramento, perché, nl medio Evo , il piú impavido dei banditi non oserebbe assumere su di sé irremissibile misfatto di ingannare Dio!.

Comunque resta il fatto che mentre gli alchimisti abbandonano i loro fornelli impotenti, Gilles si abbandona a orge spaventevoli e la sua carne arsa dalle essenze disordinate delle bevute dei piatti, entra in eruzione, bolle e tumultua.

Non vi erano donne nel castello; Gilles sembra aver esecrato il sesso a Tiffauges. Dopo le bagasce degl accampamenti le prostitute della corte di carlo VII, sembra che lo abbia colto il disprezzo per le forme femminili. Come coloro il cui ideale di concupiscenza si altera e si svia, giunge a essere disgustato dalla delicatezza della pelle e dall'odore della donna che tutti i sodomiti detestano.

Egli conduce alla depravazione i ragazzi del coro della sua cappella, li aveva scelti “belli come angeli”. Furono i sol che egli amó e i soli che nei raptus omicidi risparmió.

Ma presto questa salsa di eiaculazioni infantili gli parve insipida. La legge del satanismo che vuole che l'eletto del male scenda fino all'ultimo scalino la spirale del peccato, era ancora una volta, in vigore. L'anima di Gilles doveva riempirsi di pus, perché in quel rosso tabernacolo decorato di ascessi potasse abitare compiaciuto l'Infimo!

Le litanie della foia si innalzarono nel vento salato dei macelli. la prima vittima di illes fu un bambinello il cui nome si ignora. Lo sgozzó, gli taglió le mani, gli estrasse il cuore, gli strappó gli occhi e li portó nella stanza di Prelati. Entrambi gli offrirono a con suppliche appassionate al diavolo che tacque. Gilles esasperato fuggí e Prelati avvolse i poveri resti in un lenzuolo e tremando fu, nella notte a seppellirli in terra consacrata accanto a una cappella dedicata a San Vincenzo.

Il sangue di quel fanciullo che Gilles aveva conservato per scrivere le su formule di evocazione e i suoi grimori, fu seme orribile e presto Gilles poté mietere e immagazinare la piú esorbitante messe di crimini che si conosca.

Dal 1432 al 1440, cioé negli otto anni che vanno dal ritiro del Maresciallo alla sua morte, gli abitanti dellAnjou, del Poitou, della Bretagna, errano singhiozzand sulle strade. Tutti i bambini scompaiono; i pastorelli sono rapiti nei campi, le bambine all'usicta da scuola, i ragazzetti che vanno a giocare a palla nelle stradine o si rincorrono all'orlo dei boschi, non tornano piú.

Nel corso di un'inchiesta ordinata dal Duca di Bretagna, gli scribi di Jean Touscheronde, commissario del Duca, redigono liste interminabili di bambini scomparsi.

Perduto, a ochebernart, il figlio di Donna Péronne “che andava a scuola e imparava molto bene” dice la madre.

Perduto a Sain-étienne de Monluc, il figlio di Guillaume Brice “poveretto che chiedeva l'elemosina”.

Perduto a Machecol, il figlio di Georget le Barbier “che fu visto, un certo giorno cogliere pere dietro il Palazzo Rondeau e che poi non fu piú visto”.

Perduto a Thonaye, il figlio di Mathelin Thouars “che si lamenta e piange e il figlio aveva dodici anni”.

A Machecoul ancora, il giorno di Pentecoste, i coniugi Sergent lasciano a casa il loro figliuolo di otto anni e al ritorno dai campi “non ritrovano piú il bambino di otto anni e molto se en meravigliano e soffrono”.


Huysmans

Là-bas

Trad e montaggio genseki

Credo Signore, aiuta la mia incredulitá

... allora il padre del'epilettico o indemoniato rispose con queste dense, eterne parole “Credo, Signore, aiuta la mia incredulitá!”. Credo, Signore, socorri la mia incredulitá! Potrebbe sembrare una contraddizione, se egli crede, se ha fiducia, perché dovrebbe chiedere al Signore che venga in suo soccorso, in soccorso della sua mancanza di fede? Tuttavia questa contraddizione è quella che da il suo valore umano piú profondo al grido che sale dalle viscere del padre dell'indemoniato. La sua fede è una fede a base di incertezza. Perché crede, cioè, perché vuole credere, perché ha bisogno che suo figlio si curi, chede al Signore che venga in aiuto della sua incredulitá, del suo dubbio che effettivamente tal cura possa darsi. Tal è la fede umana.

... Una fede assurda, senza ombra di incertezza, una fede da carbonai stupidi, si unuce all'incredulitá assurda, all'incredulitá senz'ombra di incertezza, all'incredulitá degli intellettuali afflitti da stupiditá affettiva ...

L'incertezza, il dubbio, la voce della ragione, era l'abisso, il “gouffre” terribile davanti al quale tremava Pascal. E fu questo a condurlo a formulare la sua terribile sentenza: “il faut s'abêtir” bisogna instupidire.

Per disperazione, si afferma, per disperazione si nega, e per essa ci si astiene dall'affermare e al negare...

Unamuno
Il Sentimento Tragico della Vita

trad genseki

martedì, febbraio 24, 2009

Unamuno II

Unamuno I

I sogni piú folli della fantasia contengono un fondamento razionale, chissá se tutto quello che un uomo non è giá accaduto, sta accadendo adesso, o accadrá fores, prima poi in un mondo o nell'altro. Le combinazioni, appunto, sono infinite. Solo resta da sapere se tutto quello che si puó immaginare è anche possibile.

Unamuno
Il Sentimento Tragico della vita
Trad. genseki



Sembra quasi che questa frase sia il nodo a partire dal quale si è sviluppata tutta l'opera del Borges. quanto Borges debe davvero a Unamuno. Moltissimo a giudicare da questo testo e dalla vicenda altalenante di giudizi ora radicalmente critici ora entusiasti che l'argentino disseminó sul conto del basco. Indizi o depistaggi o entrambe le cose. Borges pare intraprendere con Unamuno un gioco di riflessi e di paradossi che moltiplica il grande gioco di inganni che entrambi questi autori ingaggiano con l'anima dei loro lettori Una delle carte dei tarocchi puó riassumere questa relazione in una sola immagine: il bagatto e una figura dell'antropologia culturale classica: il “trickster”, lo psicocopompo ingannatore.


genseki

lunedì, febbraio 23, 2009

César vallejo come l'ho conosciuto

Prosegue la traduzione del testo di Ciro Allegria sul suo incontro con Vallejo. È poco versimile che queste righe corrispondano davvero ai suoi ricordi di bambino. Il ritratto di Vallejo pare piuttosto conformarsi a un'iconografia agiografica probabilmente già cosolidata: quella del dolorismo indigeno cosmico che probabilmente ha avuto soprattutto la funzione di dissinnescare le potenzialitá di un Vallejo ribelle, dialettico, tagliente e rivoluzionario che a me pare piú verosimile.
genseki

Parlava lentamente, come fischiando le esse, che così son soliti parlare i natuvi di Santiago de Chuco, tato che si distinguono proprio per questa caratteristica dagli altri abianti di quella regione.

Poi si alzó per diegnare la terra sulla lavagna e per tutta la durata della classe ci ripeté che era rotonda e che questa on era la sola cosa sorpendente ma che anche girava su se stessa. Come prova portó il sorgere e il tramontare del sole, il modo in cui appaiono e scompaiono le navi nel mare d altre ancora. Io senplicemente restavo stupefato che questo mond in cui viviamo fose rotondo e girasse su se stesso e anche di quante cose sapesse il mio maestro. Quando la campana suonó annunciando la ricreazione César Vallejo si pulì il gesso dalle mani, si pettinó con le dita della mano, e suscí. Si mise sulla porta come se conversasse con gli altri maestri. Dico questo percé aveva un aspetto molto distratto.

Di nuovo in aula per l'ora di studio, poi ci sarebbe stata quella di lettura. C'era da ripassare la lezione. Mi chiamó accanto a sé e aprí il libro nella sezione del paperottolo. Ebbi fiducia in quello che sapevo e dissi:

questa parte l'ho giá fatta da temp. Anche quella di Rosaria e Pepito. Io lo so tutto questo libro.

Vallejo mi guardó con curiositá.

Sai ancje scrivere?

Quando risposi di si mi chiese di scrivere il mio nome e poi anche il suo. Non sapevo se si scrivesse con V o con B mi decisi per la prima e per fortuna ci azzeccai. Mi fece provare cn altre parole e con una lunga frase.

Sembrava divertirsi. Poi mi chiese:

Sai giá leggere e scrivere, perché ti hanno meso in prima.

Perché non so nient'altro.

Allora mi disse di andare a sedermi. Cercai di fare un po' di conversazione con il mio compagno di banco ma questi mi sussurró che era proibito parlare durante l'ora di studio.

Guardai allora il mio maestro.

César Vallejo, e questa mi sembró sempre che fosse la prima volta che lo vidi – teneva le mani sul tavolo e volgeva il viso verso la porta. Sotto gl abbondanti capelli la sua faccia mostrava tratti duri e definiti. Il naso era energico e il mento, ancora piú energico, risaltava nella parte inferiore come una ghiglia. I suoi occhi oscuri, non ricordo se fossero grigi o neri brillavano come se fossero pieni di lacrime.
Il suo vestito era vecchio e liso. e stringendo la apertura molle del colletto una cravattina di cuoio pendeva annodata sommariamente. Si mise a fumare e continuava a guardare verso la porta da cui entrava la luce chiara di aprile. Pensava o sognava non si sa che cosa. Da tutto il suo essere emanava una grande tristezza, mai ho visto un uomo che sembrasse piú triste, il suo dolore era contemporanemaente una condizione segreta e manifesta che finí per contagiarmi. Una qualche pena strana e inesplicabile mi colse. Anche se a prima vista poteva sembrare tranquillo, in quell'uomo vi era qualche cosa di straziato che io con la mia pronta sensibilitá di bambino percepivo e intendevo in tutta pienezza. Di colpo pensai ai miei lari, alle montagne che avevo attraversato e alla vita che avevo lasciato alle spalle. Tornando a esaminare i tratti del mio maestro li trovai simili a quelli di Cayetano Oruna, peone della nostra fattoria che chiamavamo Cayo, Certo questi era piú alto e ben piantato ma il volto e l'aria tra solenne e triste di amendue avevano gran somiglianza.. L'uomo Vallejo venne a me come un messaggio della terra e continuai a osservarlo, Gettó via la sigaretta, si toccó la fronte, lisció ancora una volta la chioma scura e si rimise tranquillo. La sua bocca si contraeva in un rictus doloroso. Cayo e lui, La personalitá di vallejo, tuttavia inquietava al solo vederla, Ero definitivamente scosso e sopettai che tanto soffrire e irradiare tristezza aveva qualche cosa da fare con il mistero della poesia. Di colpo si voltó e mi guardó, poi guardó tutti i bambini che stavano leggendo nei loro libri, io lo aprii, il mio libro. Non riuscivo a vedere le lettere e volevo piangere

Fu cosí che incontrai César Vallejoj e cosí lo vidi, per la prima volta.

Ciro Allegria
trad. genseki

sabato, febbraio 21, 2009

Supplica

Alla poesia chiedo
Solo ancora uno sforzo
Lo sforzo di accompagnarmi
In questa solitudine
Lo sforzo di starmi accanto
Nel rapido – spero -
Spogliarmi dell'ultima
Veste dell'anima
Dell'anima stessa
Foglia diletta
Al vento, al deserto
Consacrata, al fuoco
Abbandonata
In questo denso
Perdermi dentro
Perdermi dentro
Allo Stesso.

genseki

venerdì, febbraio 20, 2009

Anno dopo anno

Anno dopo anno
L'amore
Diventa cosí grande
Che ci brucia
Incenerisce i sogni
Incenerisce i gesti
Ci lascia con tizzoni di speranza
Anno dopo anno
L'amore
Non è più un girasole
Ma una stella
Non possiamo fissarlo
Ma ci annienta.

29.07.2001

genseki

Essere pronti

La questione essenziale alla fine è questa: se dovesi venire a morire adesso, sarei pronto? La risposta a questa domanda rivela quanto davvero resta di serio nelle mie parole, nelle mie riflessioni, nella maniera di vivere giorno per giorno.

Quanto resta di me? Temo moltissimo. moltissimo di viscoso e iterativo, moltissimo di corrosivo e di torbido.

Tutto questo si cela dietro la pigrizia. La pigizia non è solo pigrizia, è, soprattutto sopravvalutazione di se stessi.

Eppure essere pronto a morire, lo vedo con chiarezza, significa essere pronto ad ogni istante a vivere per davvero senza il peso dell'istante precedente, senza il peso pesantissimo di tutti gli istanti precedenti che si sono susseguiti.

Essere pronto a morire. Ora. Deporre finalmente il fardello tanto gravoso degli istanti passati, con l'infinitá dei loro pensieri e delle volizioni. A questo si riduce tutto il resto: la pratica, la ragione, lo spirito, la fede.

Mi pare che praticare la disponibilitá alla morte, o alla vita sia soprattuto praticare la concentrazione.

Concentrarsi, diventare densi, impenetrabili, comprimere la propria massa nello spazio piú ristretto possibile. È forse questa una maniera di conseguire una tale meta?

Davvero non sono mai stato tanto intimo con la morte come spesso lo ho creduto, questa intimitá non si trova nella vorticosa coscienza dell'impermanenza e neppure nell'intuizione nullificante dell'infinito. Quell'intuizione insopportabile che suole visitarmi nei momenti del dormiveglia. No È tra un istante e l'altro, nella coscienza del loro tracorrere che si educa questa intimitá. Naturalmente anche nella scelta per la solitudine.

Finire probabilmente è piú facile di quello che sembra, è la fine che ci forma conformente ad essa. Succede da sola e quando succede siamo fatti, forse anche inmediatamente, adeguati allla sua modalitá.

O forse, essere pronti a morire, significa proprio accettare di non poter mai essere del tutto pronti, accettare che non si puó essere pronti a morire piuttosto che a vivere perché, appunto, si tratta di vivere. Vivere la propria morte. Vivere la morte. Vivere la morte come un momento della vita.


genseki

giovedì, febbraio 19, 2009

Schoenberg Pierrot lunaire no. 8 Nacht

La viola da gamba


Egli riconobbe con assoluta certezza, la pallida figura
del suo intimo amico Jean-Gaspard Debureau, il gran pagliaccio dei Funamboli, che lo guardava con un'espressione indefinibile di malizia mista a benignitá

Théophile Gautier

Onuphrius

Au clair de la lune
Mon am Pierrot
Prête-moi ta plume
Pour écrire un mot.

Ma chandelle est morte
Je n'ai plus de feu
Ouvre-moi la porte
Pour l'amour de Dieu

Il Maestro di cappella quasi non ebbe il tempo di interrogare l'archetto della viola che questa gli rispose con un gorgoglío buresco di lazzi e di tremoli come se avesse nella pancia un'indigestione di commedia italiana.


Era dapprima Donna barbara che rimproverava quelllo sciocco di Pierrot per aver lasciato cadere la scatola di parrucche di Madame Cassandra e sparso tutta la cipria sul pavimento.


Ecco, allora Madame Cassandra che raccoglie con devozione la sua parrucca E Arlecchino che stampa una pedata nelle natiche a quel belinone, e Colombina asciugrasi una lacrima dal tanto ridere e Pierrot distendere sul volto una smorfia tutta infarinata.


Subito dopo, peró, al chiar di luna, Arlecchino la cui candela era morta supplicava il suo amico Pierrot di aprire la porta per accenderla, mentre il fedifrago trafigava l scrigno del vegliardo e la bella.

*

- Al diavolo Job Hans il liutaio che mi ha venduto questa corda! - esclamó il Maestro di cappella riponendo la viola polverosa nel polveroso suo astuccio.

- La corda si era spezzata.

Trad. genseki


Ovunque il luogo stesso della via

Nulla vi è nella nostra buddhitá fondamentale che non sia vuoto aperto e tranquillo, chiarezza meravigliosa di felicitá piena ove spontaneamente immergesi la realizzazione profonda e spontanea.

Ivi tutto appare perfettamente compiuto, nulla manca. Se si praticasse con coraggio per tre incommensurabili kalpa, salendo tutti gli scalini dell'ascesa, nell'istante brevissimo del risveglio,si sarebbe testimoni della propria buddhitá originaria e spontanea e nulla piú. I meriti accumulati in interi kalpa son come le illusioni del sogno. Per questo il Tathagatha dichiara: “Nel risveglio supremo, effettivamente, non ho trovato nulla. Se vi avessi trovato qualche cosa, allora il Buddha Dipamkara non avrebbe profetizzato la mia venuta. E ancora: “questa realtá è pura eguaglianza senza alto né basso, Risveglio!”

Ecco il nostro spirito in primoridale purezza: nessuna differenza tra gli esseri viventi e i Buddha, tra le montagne e i fiumi del mondo, tra ció che ha forma e ció che forma non ha, e la totalità degli universi di tutti gli spazi vi forma eguaglianza perfetta sena i caratteri particolari di “stesso” e di “altro”.

Questo spirito primridalmente puro è sempre nella pienezza e la sua luminositá rende chiare tutte le cose. Siccome non lo hanno raggiunto le persone comuni lo confondono con la loro coscienza ordinaria. La loro coscienza ordinaria è oscura de essi non percepiscono la chiaritá fondamentale dl loro essere fondamentale. Perché quando si salta direttamente nel non spirito, l'essere fondamentale si manifesta da sé come la grande ruota del sole che sale nello spazio vuoto illuminando tutti gli orizzonti senza incontrare ostacoli. Così, l'adepto che conosce solo la sua coscienza la rifiuta, per praticare davvero, ma cosí si chiude il varco per entrare nello spirito e non lo puó piú cogliere. Riconoscete il vostro spirito fondamentale nella vostra coscienza ordinaria perché se esso non è la vostra coscienza ordinaria, nemmeno è da essa separato. Solo vi basta cessare di teorizzare sulla vostra coscienza ordinaria, di non pensare niente di essa, di non separarvene per cercare lo spirito e di non rifiuarla in nome di un metodo. Nulla di mediato e nulla di inmediato, nulla che resti o s'aggrappi, in ogni caso solo libertá, ovunque il luogo stesso della via.

mercoledì, febbraio 18, 2009

Léo Ferré - Requiem (1975)

Il paese del passato

Quella che si stende davanti a me, da ora in poi, non è piá la contrada del futuro, la contea dell'avvenire. Di qua in avanti, anche se potrebbe parere piú corretto scrivere, da qua indietro, si apre il vasto paese del passato. Anche quello che resta di futuro, in realtá assomiglia sempre di piú ad un angolo di passato. Magari una locanda con il muro esterno coperto di vite canadese e l'insegna “Al porvenir” o il punto di confluenza tra due fiumi, in mezzo a uno sterminato canneto, certamente non ad una autostrada.

A questo paese appartengo, adesso con soddisfatta convinzione. In fondo, sono io che lo ho fatto! È cosa mio. Sono opera mia le sue parti deserte e l'abiezione e anche le grandi pianure e i fianchi dei monti coperti di selve luminose. Senza rimorsi mi riprometto di ripercorrerlo minziosamente per cartografarne il senso e il destino.

martedì, febbraio 17, 2009

Sulla povertá

Sempre mi è piaciuto stare nel mondo senza molti schermi, con il minimo di protezione e di difesa necessarie per non mortificarsi. Mi piace provare il fredo quando fa freddo e il caldo quando fa caldo, affrontare la resistenza della materia nella forma di salita, di peso, di graffio, di declivio, anche di caduta, di punture di insetto che asume di volta in volta. non mi pare di aver viitato una cittá se non mi ci sono sfinito i piedi e consumate le suole. Godo di essere disponibile, direi aperto alle sensazioni tutte, piú che alle sensazioni al mondo stesso che è ciò che connette le sensazioni tra di loro e con il soggetto e permette appunto l'ogettivitá. Tutto questo credo di poter chiamarlo, riassumendo: “Amore per la povertá.

Il modo piú facile per essere vivi nel mondo è una certa forma di povertá, una forma che concide con disponibilitá e apertura, se si vuole anche con fiducia. Certamente nel campo di questo concetto di povertá non entra il tratto distintivo della mancanza.

La povertà scelta e non subita, la povertá non ascetica e non mortificante non coincide con la sobrietà e la temperanza,

Si tratta, piuttosto di una temperanza con disponibilitá con totale apertura.

La scomparsa della povertá dall'orizzonte del pensiero etico e religioso coincide con l'uscita dell'uomo dal mondo e con la sua entrata nell'universo della merce.

Bruckner Symphony No.8 - Finale (1/3), Giulini

Michel de Montaigne

Mon monde est failly, ma forme expirée, je suis tout du passé.
***
Il mio mondo è tramontato, la mia forma scaduta. Tutto intero appartengo al passato.
Michel de Montaigne
Essais III, cap. X
Trad genseki

Alla fine

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Alla fine


Fu allora che lo trovammo
Intrecciato alle radici del lentisco
Tra i ciuffi della bellota irsuta
Lo scheletro dell'aquila
Non scafo per fendere le nubi
Simile invece a un cesto intessuto
Di vimini bianchi sfiniti
Preparato per avvolgere
Il risultato di qualche Opera
Alchemica dimenticata.
O forse si, uno scafo
Ma remoto, da ogni idea di spuma
E di flutto
Con timide dita lo ripulimmo
Dalla terra secca
E dagli aghi di pino
Per un momento ci parve di sentire
Pietá per il dolore del volo.

*

Perché certamente il volo
È un'altra dimensione del pensiero
Come, per esempio,
L'esperienza di essere sorretti,
Sollevati, sostenuti costantemente
Dalla forza stessa del mondo.

Questa esperienza manca al nostro pensiero
Schiacciati come siamo al duro suolo
Dalla ferrea gravitá
Lanciamo il nostro spirito come fuoco d'artificio
Verso il cielo
Perchè fiorisca
-hanabi-

In veritá


genseki

venerdì, febbraio 13, 2009

Englaro

La vita è tale, dal punto di vista dello spirito, come un tessuto di relazioni. Lo spirito è Logos e il Logos è mediazione manifesta, cioè relazione.
Un corpo immobile alimentato artificialmente è in gran parte, se non totalmente fuori da questo tessuto. Non entra in relazione se non come oggetto, come cosa che il discorso di altri soggetti manipola e usa. Come un cadavere.
La disponibilitá, la passivitá al discorso di altri soggetti e proprio quello che lo rende ancora piú morto, chè morto in effetti non è.
Il discorso di chi lo vuole vivo è proprio quel discorso, quella parola che lo situa nella morte, che lo strappa dall'ultima posibile relazione, dall'ultimo possibile riconoscimento: la pietá; e lo rende osceno.
Questo corpo è condannato alla materia proprio da coloro che credono farsi portatori della voce dello spirito.

genseki

La nottola di Minerva

Comprendere ció che è, questo è il compito della filosofia; perché vciò che è, è la ragione. In quanto all'individuo, ognuno è figlio del suo empo, e la filosofia proprio il tempo afferrato nel suo concetto. È insensato credere che qualche filosofia possa precorrere il presente. Quando dice una parola sulla teoria che spiega come debe essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo ardi: perché pensare il mndo accade sempre dopo che la realtá ha compiuto il suo processo di formazione e si trova realizzzata. Quando la filosofia sbozza a chiaroscuro un aspetto della vita, questo, giá invecchiato, in penombra, non può essere ringiovanito. ma solo riconsciuto: la nottola di Minerva inizia il suo volo al cadere il crepuscolo.

Hegel

Filosofia del Diritto
Introduzione

trad. genseki

Al calar del sole si leva in volo la nottola di Minerva, quando l'allungarsi delle ombre vela la molteplicità delle forme. Vola col cuore gonfio di nostalgia, la nostalgia per il mondo screziato delle apparenze multiformi. Quello che il suo volo lascia dietro di sè nel penetrare l'ombra che scende è il manto di Gerione della luce e dell'ombre che non conosce, cui volta le spalle e che le punge il cuore di rimpianto.

Se vola lo deve a questo vuoto rimpianto. È questa nostalgia che la sostiene e la guida nella notte tra i profili grigi di tutte le cose.

Così la nottola della filosofia sta sospesa tra due mondi, pur movendosi dall'uno all'altro perché il grigio è possibile solo la ove vi fu colore.



giovedì, febbraio 05, 2009

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Storia della calligrafia cinese - Ouyang Xun (557-641)





Fu un calligrafo importante della dinastia Sui ma le sue opere erano rigorosamente anonime. Solo intorno ai sessantanni quando fu chiamato a corte dall'imperatore calligrafo Taizong il suo nome fu registrato nei documenti ufficiali accanto alle opere corrispondenti.
Dei suoi lavori alcuni sono sopravissuti nella incisi in steli come “Hua Du Shi Bei” in memoria del monaco Yong Chan e “Cheng Gong Bei” che è la descrizione del paesaggio in cui sorgeva il palazzo Jin Cheng.
Calligrafó inoltre numerosi sutra tra cui spicca il “Sutra del Cuore”, il testo piú importante del buddismo chan: “La forma è vacuitá, la vacuitá è forma.
Le calligrafie dei sutra risalgono alla sua vecchiaia. Le produsse all'etá di quasi settant'anni. Sono andate tutte perdute per l'usura del tempo e per l'uso e solo possiamo contemplare alcune copie a inchiostro tratte dagli originali.
Notevole è anche la calligrafia di nove ballate del regno di Chu del poeta Qu Yuan. Si tratta di testi ricchi di colore e di figure retoriche, immaginazione e mistero.
La calligrafia di Ouyang Xun è stata il modello dello stile regolare e per secoli è stata oggetto di studio e di riproduzione per gli studenti.

Le due riproduzioni sono la prima e la seconda parte del "Sutra del Cuore"


a cura di genseki

mercoledì, febbraio 04, 2009

Yuyos

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Gilles de Rais V

Sono nato sotto una tale stella che nessuno mai potrá fare ció che ho fatto io

Questi maghi, che tutti i biografi sono concordi nel rappresentare, secondo me a torto, come volgari parassiti e delle canaglie, erano, in fin dei conti, la nobiltá spirituale del quindicesimo secolo. Non avendo trovato posto nella Chiesa, ove non avrebbero accettato niente di meno che la porpora o il soglio non restava loro altra possibilitá che rifugiarsi presso un gran signore come Gilles, forse il solo, in quel tempo che fosse abastanza istruito e intelligente per comprenderli. Riassumendo, un misticismo naturale da una parte e la frequentazione quotidiano con sapienti ossessionati dal satanismo. Una miseria crescente all'orizzonte che l'intervento diabolico avrebbe potuto scongiurare, una curiositá folle, forse, per le scienze oscure; tutto questo spiega che, poco a poco, mano a mano che il legami con il mondo degli alchimisti e degli stregoni si stringe, egli si getti nell'occulto e sia spinto ai crimini piú inverosimili.
D'altra parte, per quanto riguarda i bambini sgozzati, cosa che non accadde inmediatamente, perché Gilles violentó e uccise i bambini solo dopo che l'alchimia si dimostrò vana, egli non differisce sensibilmente dai baroni del tempo suo.
Certo egli li supera nel fasto del vizio e nell'opulenza dell'omicidio ecco tutto. ... I principi a quei tempi erano dei massacratori spaventosi. Vi è un Signore di Giac che avvelena la moglie , la getta sul cavallo e la trascina al galoppo per cinque leghe, fino alla morte. Vi è un altro ...che afferra il padre, lo trascina scalzo nella neve, poi lo getta tranquillamente, fino alla morte in una prigione sotterranea. E quanti altri ...
Non pare che durante le battaglie e le razzie il Maresciallo si sia macchiato di delitti seri, certo aveva un gusto singolare per la forca, amamva far impiccare tutti i francesi rinnegati sorpresi nei ranghi degli inglesi o nelle cittá poco fedeli al Re. Il gusto per questo supplizio non lo abbandona nel castello di Tiffauges.
Infine per concludere si deve aggiungere a tutte queste cause un orgoglio formidabile, un orgoglio che lo spinge a dire, durante il processo: “sono nato sotto una tale stella che mai nessuno potrá fare mai ciò che ho fatto io”.
Eccoci giunti, tuttavia, al momento in cui Gilles de Rais inizia la ricerca della Grande Opera. Non è difficile immaginarsi le conoscenze che possiede relativamente al modo di trasformare i metalli in oro. L'alchimia era già molto sviluppata un anno prima della sua nascita. Gli scritti di Alberto il Grande, Arnaud de Villeneuve, Ramón Llull erano nella mani degli ermetici. I manoscritti di Nicalas Flamel circolavano; non v'è dubbio che Gilles , andava matto per i libri rari, li abbia potuti acquistare; aggiungiamo che a quel tempo, l'editto di Carlo V vietava sotto pena di prigione e di morte i lavori alchemici e che la bolla “Sponde pariter quans non exhibent” che il Papa Giovanno XXII fulminó contro gli alchimisti era ancora in vigore. Queste opere erano quindi proibite e conseguentemente introvabili; è comunque certo che Gilles le ha lungamente studiate, ma tra studiarle e comprenderle il cammino è lungo.
Questi libri costituivano, in effetti il piú incredibile abracadabra, il grimorio più astruso. Tuto era allegoria, metafore bizzarre e oscure,emblemi incoerenti, parabole confuse, enigmi pieni di cifre!
...

martedì, febbraio 03, 2009

Natura morta con olive e un limone

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Una silenziosa coincidenza

Huangpo

Senza accedere direttamente al non spirito gli adepti potrebbero praticare per interi Kalpa senza giungere mai al termine della Via. Incatenati alle buone azioni proprie dei tre veicoli, non possono liberarsi. Per certificare questo spirito il tempo necessario puó variare. Vi è chi giunge al non-spirito dopo aver ascoltato l'insegnamento appena un istante, vi sono altri che lo realizzano solo al termine dei dieci aspetti della fede, delle dieci attivitá, delle dieci stazioni e delle dieci dediche, e vi è chi lo raggiunge approdando alla decima terra. Restate nel non spirito piú a lungo che potete. Allora non ci sará piú nulla da coltivare, nulla da attestare.
Davvero non vi è nulla che possa essere trovato, eppure la realtá non è il nulla. Colui che vi giunge in un istante e colui che vi giunge alla decima terra hanno esattamente lo stesso merito, non è che uno sia piú superficiale e l'altro piú profondo, il fatto è che se non si giunge al non-spirito non si fa altro che darsi da fare inutilmente per interi kalpa.
Fare il bene o fare il male significa attaccarsi a cose particolari. Produrre male essendone coscienti significa subire il samsara per niente, fare il bene essendone coscienti significa affaticarsi molto per poco vantaggio. Tutto questo non si potrá mai paragonarlo con la possibilitá di riconoscere il proprio metodo spirituale solo con l'ascoltarmi.
Questo metodo è lo spirito, al di fuori dello spirito, infatti, non vi è metodo.
Questo spirito è il metodo, al di fuori del metodo, infatti, non vi è spirito.
Anche se naturalmente questo spirito è non-spirito, il non-spirito non ha tuttavia un'esistenza propriamente detta. Condurre lo spirito verso il non-spirito significa continuare ad attribuire una esistenza al non-spirito.
Basta una silenziosa coincidenza perché il dialogo interiore si interrompa, per questo si è detto che:

Quando la strada è bloccata
Le attivitá mentali cessano.

Questo spirito è la nostra buddità pura e primordiale, la stessa che possiedono tutti gli uomini. Tutto ció che formicola e ha un'anima forma una sola sostanza con i Buddha e i Bodhisattva. È solo perché noi erriamo nell'atto di differenziare che noi finiamo per creare ogni sorta di azioni che generano reazioni.

Trad a cura di genseki

lunedì, febbraio 02, 2009

Le cinque dita della mano


Una famiglia onesta in cui non vi sono mai stati fallimenti,
e nella quale nessuno si è mai impiccato.
(La Parenté de Jean de Nivelle)


*


Il pollice è un grasso oste fiammingo, dall'umore beffardo e salace che fuma, sulla soglia all'insegna della doppia bara di marte.


L'indice è sua moglie, secca come lo stoccafisso, che fin dalla mattina schiaffeggia la sguattera di cui è gelosa e accarezza la bottiglia di cui è innamorata.


Il medio è il figlio, un compagnone tagliato giú a colpi d'accetta che sarebbe un soldato se non fosse birraio e sarebbe un cavallo se non fosse un uomo.


L'anulare è la figliola lesta lesta e tutta pepe che vende ricami alle signore e lesina sorrisi ai cavalieri.


Il mignolo è il beniamino della famiglia, marmocchio piagnone, che si dondola appeso alla gonna della madre come all'artiglio di una orchessa.


Le cinque dita della mano sono la più mirabolante violaccia a cinque petali che mai abbiano ricamatoaiuola della nobile cittá di Harlem.


Louis Bertrand

trad. genseki

venerdì, gennaio 30, 2009

cynarart 2

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Cynarart

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Ramón Llull



La leggenda vuole che Ramón Llull maiorchino, amante della poesia trovadorica e dei suoi riti si innamorasse, sul cammino che menava alla chiesa , di una bellissima dama. Costei non disdegnosa della passione che il poeta le mostrava con il contegno e lo sguardo lo incoraggiò a seguirla per i viottoli della città e giunta alla sua casa lo fece introdurre nel giardino da una serva fedele e dal giardino all'intimitá delle sue stanze.
La dama si spoglió davanti al trovatore de egli poté vedere i seni il cui molle ondeggiare aveva cullato la sua tenera immaginazione: erano sfigurati da un tumore. Ramón corse fuori nella notte e si precipitó nella chiesa silente cercando la consolazione della bellezza autentica e permanente.
In realtá Ramón aveva moglie e figli quando decise di abbandonare la vita mondana per dedicarsi alla divulgazione del suo pensiero che egli definiva Ars ricevuto per illuminazione divina e volto alla conversione degli infedeli al cristianesimo.

genseki


Il libro dell'amico e dell'amato


Si tratta di una raccolta di aforismi religiosi contenuta nel Libro di Evast e Blaquerne che, sul modello dei mistici sufi condensa in tanti versetti quanti sono i giorni dell'anno il senso del cammino spirituale del Monaco Blaquerne.


***


2. Le strade per le quali l'Amico va cercando l'Amato sono lunghe, pericolose, piene di dubbi, di sospiri e pianti, ma illuminate dall'amore.


4. L'Amico piangeva dicendo: fra quanto tempo cesseranno le tenebre sul mondo e saranno cancellate le vie dell'inferno? E quando accadrá che l'acqua che scorre sempre verso il basso si muova in senso inverso? Quando gli innocenti saranno piú numerosi dei colpevoli? Quando sará glorificato l'Amico che muore per il suo Amato?


5.Dice l'Amico all'Amato: O Tu che riempi il sole di splendore riempi d'amore anche il mio cuore; risponde l'Amato: senza perfezione d'amore non ci sarebbero lacrime negli occhi tuoi e Tu non saresti giunto fin qui per contemplare l'Amato.


6. L'Amato volle mettere alla prova l'Amico per valutare il grado di perfezione del suo amore e gli domandò quale fosse la differenza tra la presenza e l'assenza dell'Amato. Rispose l'Amico: la stessa che passa tra ignoranza e conoscenza, tra oblio e ricordo.


7. Domandó l'Amato all'Amico: ti ricordi di qualche cosa che io ti ho donato e a causa della quale tu ora mi ami? Si, rispse l'Amico perché non faccio differenza tra i dolori e i piaceri che mi doni.
8. Dimmi Amico – disse l'Amato – potrai sopportare che raddoppi il tuo dolore.
Si, se raddoppierai anche il mio amore.


9. Disse l'Amato all'Amico: Ora sai che cosa è l'amore? Rispose l'Amico, se non sapessi che cosa è l'amore certo saprei cosa sono il tormento, la tristezza e il dolore.


trad genseki

giovedì, gennaio 29, 2009

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Conclusione per i combattenti


Panait Istrati


Panait Istrati nacque a Braila in Romania nel 1884. Dopo una vita di vagabondaggi e di miseria pubblica il romanzo Kyra Kyralina (in francese) il cui successo fa di lui uno scrittore popolare. Nel 1928 intraprende un viaggio attraverso l'URSS, al di fuori dei circuiti ufficiali.Negli scritti che raccontano questo viaggio, pubblicati nel 1929 Istrati denuncia lo sfruttamento implacabile dei lavoratoti nella URSS. Il suo destino è allora segnato. Il "Gorki balcanico" diventa dall'oggi al domani un "nazionalista antisemita" e un ·"cane rabbioso". Attraverso le lettere e gli articoli di quegli anni si puó seguire ancora la battaglia disperata di Istrato contro le calunnie e l'isolamento. Sfinito da questa lotta senza speranza Istrati muore in Romania, dove era ritornato, nell'anno 1935.
Di Istrati si è detto che non volle essere nè di sinistra nè di destra e restare equidistante tra fascismo e comunismo
.


Conclusione per i combattenti


Solo è combattente, ai miei occhi colui che subordina i propri interessi individuali agli interessi dell'umanitá migliore che verrá.
Io credo in questa umanitá. Oggi essa esiste come il sole esiste durante la notte. Piú di una volta il mio fango la ha sfiorata. Piú di una volta, nelle mie innumerevoli ore di desolazione, la sua mano mi ha sollevato da terra.
Tutto quello che ho fatto di bene e di bello, lo devo a lei. Non ho fatto solo cose buone e belle. Ho avuto la mia parte di fango, ce l'ho ancora e continuerò ad averla. Sono infelice, peró, quando essa mi sommerge e muoio di felicitá quando afferro un raggio di luce della bella umanitá.
Per questo ad essa voglio consacrare tutte le mie forze, aiutare tutti coloro che lottano per essa.
Io non credo piú in nessun "credo". Non voglio piú ascoltare quello che gli uomini dicono, ma guardare solo quello che fanno:
Mostratemi quello a cui potete rinunciare nella vostra vita e vi dirò qual è il valore che date alla vita altrui.
Noi sfuggiamo all'avvilimento soltanto se fondiamo la nostra esistenza on tutto ciò che vive. È solo così che diventiamo liberi: sentendo tutto ció che fa bene e ció che fa male intorno a noi.Conclusioni per combattenti
Una fiamma dopo mille altre si è spenta su un vasto paese ricco di speranze. Ora in quelle contrade resta solo il soffio freddo dell'egoismo che gela la vita.
Ma è sempre la terra da dove sgorgano le fiamme piú belle che riscaldano l'umanitá. Per questo essa è sacra e ricca di futuro.
Aiutiamola ad aprire il suo ventre generoso alla nostra anima assettata di bene e di bello.
Andiamo verso l'altra fiamma.


trad. genseki

mercoledì, gennaio 28, 2009

Lucian Blaga

Lucian Blaga, da bambino, fino all'etá di quattro anni, aveva rifiutato di pronunciare parole, cioè di entratre nel mondo delle parole attraverso le parole, questo rifiuto è diventato, piú tardi, per lui sinonimo di peccato originale.
Scrisse nella poesia "Biografia":

Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
La neve dell'essere occupa il posto delle parole.

*

Il vecchio monaco sussurra sulla soglia

Il vecchio monaco sussurra sulla soglia
Giovanotto che caplesti l'erba del mio eremitaggio
È ancora lontano il crepuscolo?

Vorrei morire all'alba
Con le serpi schiacciate
Dai bastoni dei pastori.
Como loro mi contorsi nella polvere
Come loro ho strisciato sotto il sole.

*

Ferma Signore lo scorrerere del tempo
Io so, so che senza la morte
Non ci sarebbe nemmeno l'amore.
Tuttavia, signore, vengo a pregarti.
Ferma l'orologio con il quale misuri
Il tempo
Delle nostre chimere.

Trad genseki

Recuerdos de luz y de viento

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martedì, gennaio 27, 2009

Il giorno della memoria

Il Mondo è fondato sulla dimenticanza. Se non esistesse la dimenticanza non esisterebbe nemmeno il mondo.
Il desiderio di Dio, il ricordo del Gudizio, l'ebrezza spirituale sono gli architetti del mondo che deve venire.
Se l'insieme degli uomini volgesse il viso verso il mondo di lá, noi tutti andremmo verso di esso e nessuno rimarrebbe.
Dio Altissimo vuole, invece, che si resti qui, e che i due mondi sussustano entrambi. Per questo ha incaricato due funzionari, la trascuratezza e la vigilanza, perché le due abitazioni restino in ordine

Rûmî

***

A prima vista appare poco chiaro perché Dio abbia creato la dimenticanza. Ma il significato è questo: se non ci fosse la dimenticanza, l'uomo penserebbe continuamente alla propria morte e non costruirebbe case e non intraprenderebbe nulla. Perció Dio ha posto negli uomini la dimenticanza. Perció un angelo è incaricato di insegnare al bambino così che non dimentichi nulla, e un altro angelo è incaricato di battergli sulla bocca perchè dimentichi quello che ha imparato

Martin Buber
Racconti dei Chassidim

***

Il patrimonio della memoria è un ostacolo all'unione con Dio mediante la Speranza.

Edith Stein
Scientia Crucis

***

Sembrerrebbe che i due Angeli vadano onorati: quello della meomoria e quello della dimenticanza: è possibile forse l'odio ove non vi sia memoria dell'offesa? Oso risondere no. Forse l'odio si annida della memoria e si nutre della dimenticanza. Krishnamurti soleva sostenere, invece, che ove non vi è libertá dal conosciuto là dove non vi è amore. Il conosciuto è tale nella memoria. L'amore è sempre abbandonare.
Al giorno della memoria sarebbe, allora, lecito e racomandabile affiancare un giorno della dimenticanza o della purificazione.
Il karma del passato si tagli in un solo colpo.
genseki

Anton Bruckner - Symphony n. 8, Furtwängler 4 (1/3)

I dadi eterni

Da “Gli araldi neri”

Mio Dio, resto piangendo l'essere che vivo
Mi duole aver gustato del tuo pane
Ma questo povero fango pensieroso
Crosta non è in fermento al tuo costato:
Le tue Marie non partono!

Dio mio, se mai tu fossi stato un uomo
Sapresti oggi esser Dio,
Ma tu te ne sei stato sempre bene,
Non senti niente della tua creazione:
È l'uomo che ti soffre ed egli è Dio!

Oggi ci sono fiamme nei miei occhi
Di stregone dannato
Vieni Dio mio con tutte le tue torce
E giocaremo con il vecchio dado.
E forse a dar la sorte
O giocator di tutto l'universo,
Sorgeranno le occhiaie della Morte
Come due assi funebri di fango.

Dio mio, in questa notte sorda, oscura,
Piú giocar non potrai, perché la Terra
È un dado corroso, arrotondato
A forza di ruotare senza meta
E fermarsi non può che nel gran vuoto
Il vuoto dell'immensa sepoltura.

Vallejo

trad genseki

lunedì, gennaio 26, 2009

La preghiera dell'ateo


Unamuno capovolge la prova di Anselmo. Il fatto che Dio possa essere pensato come dotato di ogni perfezione lo condanna all'inesistenza. L'inesistenza peró come è declinata nella tradizione apofatica. Inesistenza in quanto assoluta trascendenza, incommensurabile con quell'altra inesistenza, tragica per Unamuno, dell'uomo.
Dio è inesistente per l'uomo perché l'esistenza divina lo trascende in modo assolutamente radicale.
Si intravede nel testo di Unamuno l'ereditá di Ibn Arabi.
La traduzione non è all'altezza del testo.
genseki

Odi la prece mia, Dio inesistente
E nel tuo nulla accogli il mio lamento
Tu che l'uomo meschino mai non privi
Della consolazione dell'inganno
Al nostro anelo concedi alimento.
Quanto più dalla mente ti allontani
Mi sovvengo dei placidi consigli
Con cui la tata addolciva notti tristi.
Che grande sei Dio mio! Sei tanto grande
Che non sei che un'idea; è troppo angusta
La realtá nostra che tanto si espande
Per contenerti. Ed io soffro al tuo fianco
Dio inestistente, perché se Tu esistessi
Esisterei allora anch'io davvero.

Unamuno
trad genseki

sabato, gennaio 24, 2009

César Vallejo come l'ho conosciuto II

Quando ebbi finito di mettere a posto tutte le mie cose mi disse ancora:

- Molti bambini preferiscono sedersi piú in fondo perché non gli piace rispondere alle domande. Tu, peró sarai un bravo alunno, non è vero?

Io non sapevo niente dei piccoli trucchi dei bambini, cosí non capivo bene che cosa volesse dire e risposi ingenuamente:

- Si, la mia mamma si è raccomandata che studi molto...

Egli sorrise lasciando intravedere denti bianchissimi e poi mi accompagnó verso la porta. Chiamó uno dei ragazzetti che stavano ggiocando e gli disse:ç

- Questo è uno nuovo, accompagnalo a giocare...

Quindi se ne andó e vennero altri bambini, che tutti si misero ad osservarmi con curiositá, sorridendo: !Montanaro burino! Commentò uno notando le mie guance rosse dato che gli abitanti della costa per lo piú sono pallidi. Gli altri scoppiarono a ridere. Il bambino che doveva portarmi a giocare disse con calma:

- Sai giocare ad acchiappare?

Io gli dissi di no e egli sentenzió:

- Sei nuovo, chiaro che non sai giocare...

Mi lasciarono per continuare ad acchiapparsi, io ero molto confuso e il rumore della ricreazione mi intontiva.
Cercai con lo sguardo il maestro e alla fine lo trovai accanto alla porta, secco secco e scuro mentre parlava con un altro professore grasso e dai baffi diritti, un buon uomo che anch'io avrei finito per chiamare Champollion, come da alcune generazioni facevano tutti gli alunni. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e me ne andai a zonzo. Attraversando una porta entrai in un grande cortile dove vi erano studenti piú grandicelli. Nessuno mi guardava e nessuno mi diceva nulla. Era li che doveva trovarsi mio zio. C'erano molti cortili, molte aule, molti archi. Le pareti erano dipinte di rosso chiaro, quasi rosa come per temperare la severitá di un edificio che in altri tempi era stato un convento. Suonó la campana e io non sapevo più ritornare in classe. Ero perduto de entrai per sbaglio in un'altra. Proprio Vallejo venne a recuperami. Si era accorto della mia assenza e si era messo a cercarmi di aula in aula, mi prese per mano e mi portó con lui. Ricordo ancora la sensazione che mi produsse la sua mano grande, fredda e nodosa, stringendo la mia timida e scivolosa per la tensione. Volli liberarla ma egli la trattenne. Mentre camminavamo per gli ampi corridoi desertimi andava dicendo senza che io mi azzardassi a rispondere:

- perché ti sei messo a camminare? Sei restato solo?. Un bimbetto come te non deve allontanarsi dalla sua aula e dal suo cortile. Questa scuola è moltogrande... Sei triste?

Giungemmo alla nostra aula e mi condusse al mio banco. Si mise dietro la sua cattedra che stava alla stessa altezza dei nostri banchi e molto vicina ad essi di modo che ci parlava proprio a fianco. Fu allora che mi resi conto che il maestro no si tagliava i capelli come tutti gli altri uomini ma che portava una grande chioma liscia, abbondante e negrissima. Senza sapere a che attribuirlo chiesi a voce bassa al mio compagno di banco:

- perché porta i capelli così?
- È un poeta, mi sussurró.

La personallitá di Vallejo cominciava a sembrarmi in po' misteriosa e cominciai a farmi qualche domanda a cui non sapevo rispondere. Egli mi scosse dalle mie perplessitá dando due colpi sulla cattedra con il righello. Era il suo modo di richiamare l'attenzione. Annunció che stava per dettare la lezione di geografia e imbricando le dite in modo da simulare la forma della terra con le sue mani scure e magre disse:

- Bambini, la terra è rotonda come una arancia... proprio questa terra in cui viviamo e che ci sembra piatta è rotonda.

Ciro Alegria
trad genseki

venerdì, gennaio 23, 2009

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Dedicato all'UAAR



La negazione dell'esistenza di Dio non è evidentemente esclusiva dell'ateismo come ci spiega Tomaso con limpida concisione:


Deus non est existens, sed supra existentia, tu dicit
Dionysius. Ergo non est intelligibilis, sed supra omnem
intellectum.



E in altro luogo:


Deus non sic diciturr non existens quasi nullo modo sit
existens, sed quia supra omne existens, inquantum est suum esse. (Summa T. I,
12;1)



Cioè di Dio si non esiste ma è oltre l'esistenza in quanto è l'essere di ogni esistenza.
Quindi il polemico slogan dell'ateobus di Genova potrebbe esssere, senza problemi, sottoscritto, con ogni probabilitá dallo stessissimo Tomaso.
genseki

Colui che conosce

Colui che conosce non puó essere conosciuto dall'oggetto della sua conoscenza.
Non si tratta quindi di conoscere il mondo ma di lasciarsi conoscere da esso.

genseki

L'Assoluto

Nel pensiero di Ibn Arabi l'assolutamente Assoluto (haq) si situa sul piano dell'unitá e non è mai svelato. Ovvero è inaccessibile per l'uomo e resta tale anche nel momento piú alto dell'unione mistica, nella Rivelazione e nella gnosi assoluta.
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.

genseki

giovedì, gennaio 22, 2009

Ibn Arabi

Posto che null'altro esiste nel vero senso della parola, eccetto l'assoluto, un autentico conoscitore di Dio non vede, nelle forme molteplici che la manifestazione di Dio, giacché sa che Egli si manifesta in tutte le cose. In questa maniera, qualunque sia l'oggetto del suo culto sempre adora Dio. Ciò può essere inteso anche nel modi seguente: le forme divergenti del molteplice all'interno dell'Uno sono o spirituali come gli angeli, o visibili e sensibili esternamente come il cielo e la terra e tutte le cose materiali che si trovano nel mezzo. Quelle si possono comparare alle facoltá spirituali contenute nel corpo di un uomo, queste alle membra di quello stesso corpo.
L'esistenza di questa molteplicitá nell'uomonon impedisce che egli possagga una unitá.

a cura di genseki

mercoledì, gennaio 21, 2009

Virtú


Virtus omnis est purificatio quaedam

Plotino

Silvae


Le forêts futures se balancent imperceptibles aux forêts vivantes.

Maurice de Guérin

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Miguel de Unamuno


Questi due passi tratti dalla "Vida de Don Quixote" di Unamuno sarebbero una buona risposta alla ineffabile societá di atei che ha impostato la campagna sull'esistenza di Dio sugli autobus genovesi. Se fossero in grado, e non sono, di essere coscienti di quello che pensano
genseki

Se esistessero davvero soffrirebbero di esistere e non si accontenterebbero dell'esistenza.

Se in veritá esistessero realmente nel tempo e nello spazio, soffrirebbero di non essere nell'eternitá e nell'infinito. E questa sofferenza, questa passione che non è altra cosa cosa che la passione di Dio in noi, la nostra temporalitá, farebbe loro spezzare tutti quegli insifficienti passaggi logici con i quali tentano di legare i loro insufficienti ricordi con le loro insufficienti speranze, l'illusione del loro passato con quella del loro avvenire.


*


Non c'è nessun avvenire; non c'è mai nessun avvenire. Quello che chiamate avvenire è solo una grande menzogna. Oggi è l'autentico avvenire. Che ne sará di noi domani? Non c'è domani?

Che ne sará di noi oggi? Ecco la unica domanda.

Dalla "Vida de Don Quixote"
trad. genseki

martedì, gennaio 20, 2009

Paths of Glory La scena finale

Il filmato è una breve e terribile illustrazione di quanto espresso da Alain nel post precedente.
genseki

Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso




I brani seguenti non sono aforismi, anche se possono averne la tagliente secchezza, si tratta, invece, di brani tratti dall'opera “Mars ou la guerre jugée”, del filosofo francese Alain credo inedita in italiano.
In essa troviamo una delle analisi piú attente della guerra moderna (si riferisce alla Prima Guerra Mondiale) in tutto la sua efficace brutalitá.
Logica de efferatezza, economia e morale del sacrificio, psicologia e fisiologia si intersecano nell'edificio efferato dell'ideologia di guerra.
Alain partecipó alla Prima Guerra Mondiale all'etá di 46 anni come telefonista di artiglieria.


La guerre est toujours oubliée.


La guerra è sempre dimenticata
*
La guerre dépasse toujours les prévisions et le possible.


La guerra supera sempre le previsioni e il possibile
*
Il en faut jamais laisser entendre, ni en permettre de croire que la guerre soit compatible , en un sens quelconque, avec la justice et l'humanité.


Non bisogna mai far credere e neppure permettere che si creda che la guerra sia compatibile, in un senso qualsiasi, con la giustizia e con l'umanitá.
*
Aux premiers actes del la guerre, les fins trascendants périssent aussitôt, comme étrangers en cette mécanique ajustée pour se passer de tout, et même du courage.


Fin dalle prime mosse della guerra, i fini trascendenti periscono come estranei a questa meccanica concepita proprio per fare a meno di tutto e anche del coraggio.
*
La colère fille de la peur, n'attend pas l'ennemi pour combattre.
Ainsi la violence s'exerce d'abord contre elle-même, et toujours contre elle même...
(en guerre) l'ennemi n'est en vérité qu'un prétexte pour se nuire à soi-même.
Qui veut la guerre est en guerre avec soi.


La collera figlia della paura, non ha bisogno del nemico per combattere.
Così la violenza si esercita prima di tutto contro di sè, e sempre contro di sè...
(in guerra) il nemico è soltanto un pretesto per fare del mae a se stessi.
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
*
Le pouvoir par ses ruses fait de toute guerre sa guerre. Dans le combat, ce qu'il y a de fureur contre les maîtres lointains et contre les féroces spectateurs, qui peut le savoir? Le gladiateur croyai égorger César peut-être.


Il potere grazie alle sue astuzie fa di ogni guerra la sua guerra. Quanto sia il furore che nella guerra è diretto contro i padroni lontani e contro i feroci spettatori chi mai lo puó sapere? Il gladiatore credeva, forse, di sgozzare Cesare.
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Contrairement à l'impression que produit la parade le grand corps des combattants est écervelé: un monstre où la tête en sent pas le corps et le tyrannise sans être instruite par lui.
Contrariamente all'impressione che produce la parata il grande corpo dei combattenti è un organo convulso e senza cervello: un mostro la cui testa non ha il sentimento del suo corpo e lo tirannizza senza ricevere stimoli da esso.


L'homme humilié méthodiquement si borne qu0il soit finit par sentir sa puissance d'oser, en accord enfin avec les opinions, les exemples et les ordres...” Quand vient le moment de dépasser en courage ce chef si habile à mépriser, le troufion le saisit de toute son âme. Il force ainsi l'estime qu'on lui refuse par une auadace qui paraîtra surhumaine parce que l'homme aura perdu tout souci de se conserver.
C'est ainsi, du sommet au bas de l'echelle, toujours le chef méprise pour meu bander l'énergie de revanche des subordonnés et on voit ainsi “le plus humble et le plus méprisé courir devant comme l'art militaire l'exige”

L'uomo metodicamente umiliato, per quanto limitato egli sia, finisce per sentire la sua capacitá di osare, in accordo, infine, con le opinioni, gli esempi, gli ordini...” Quando viene il momento i superare in coraggio questo capo così abile a disprezzare, il marmittone lo afferra con tutta l'anima. Forza allora la stima che gli si rifiuta con una audacia che sembrerá sovrumana perché l'uomo avrá ormai perduto ogni preoccupazione di conservazione.
É cosí che dalla sommitá al fondo della scala, il capo disprezza per meglio mettere in tensione l'energia di rivincita dei subordinato e si vede cos`”il piú umile e disprezzato correre davanti a tutto come lo esige l'arte militare.

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Il film di Syanley Kubrik “Paths of Glory” sembra l'illustrazione cinematografica perfetta delle idee di Alain.


a cura di genseki