giovedì, ottobre 30, 2008

Al di lá della vita e della morte


Le righe che seguono sono la prima parte della sola traduzione italiana, credo, di Al di là della vita e della morte di César Vallejo.

ganseki
Brughiere di jara immobili, vento legato a ogni picciolo amputato della bacca pulita che in lui gravita. Lussuria morta sulle colline onfaloidi del monte d'estate. Aspetta. No, non deve essere cosí. Cantiamo un'altra volta.

Il mio cavallo avanzava proprio da quelle parti. Dopo undici anni di assenza mi avvicinavo finalmente a Santiago, il mio paese natale. Il povero irrazionale avanzava, e, io, dal piú profondo del mio essere fino alle mie dita esauste, passando forse per quelle stesse redini ben strette, per le orecchie da quadrupede attente, e ritornando indietro attraverso l'acciottolio degli zoccoli che sembravano danzare sul posto, in misteriose evoluzioni como misurando a tentoni la strada e l'incognito, piangevo mia madre morta due anni prima che non avrebbe dovuto attendere ora il ritorno del figliolo traviato e vagabondo. Tutta la regione, il bel tempo, il color di mietura della sera di limone, e anche qualche casa colonica che la mia anima cominciava a riconoscere, tutto contribuiva ad un'incipiente estasi filiale, e quasi potevano corrugarmisi le labbra per urgare il capezzolo eternamente sempre latteo di mia madre, si sempre latteo, anche oltre la morte.
Con lei, di certo, erao passato di li da bambino. Si, certo. Ma no. Non fu con me ch'ella viaggió per queste lande. Ero troppo piccolo allora. Fu con mio padre e quanti anni fa! Ufff... Era luglio anche allora, intorno alla festa di Santiago, papá e mamma andavano sulle loro cavalcature, lui stava davanti. Il sentiero reale. Poi di colpo mio padre che aveva appena evitato un urto contro un agave inopinato da una curva:

- Attenzione! ... Signora.

Ma la mamma non ebbe tempo e fu disarcionata e cadde sulle pietre del sentiero. La riportarono in paese in barella. Io piangevo molto per mia madre e non mi dicevano che cosa le era successo. Guarí. La veglia della festa era allegra e rideva. Aveva lasciato il letto e tutto era cosí bello. E io non piangevo piú per mia madre.
Ma adesso si, adesso piangevo anche di piú ricordandola cosí, malata, prostrata, che mi voleva ancora piú bene e mi coccolava di piú e mi dava biscotti tirandoli fuori da sotto il cuscino o dal comó. Si, piangevo ancora di piú, ora, avvicinandomi a Santiago, dove solo la avrei trovata morta, seppelita sotto le brassicacee mature e rumorose di un povero cimitero.
Mia madre era morta due anni fa. La prima notizia della sua morte la ricevetti a Lima, dove seppi anche che mio padre e i miei fratelli si erano messi in viaggio verso la fattoria lontana di proprietá di uno zio, per cercare di mitigare il loro dolore per una perdita cosí orribile. Il fondo si trovava in una remotissima regione montana all'altro lato del Fiume Marañon. Da Santiago mi sarei poi recato anch'io fin lassú divorando infiniti sentieri per elevati altopiani e selve ardenti e sconosciute.
Di colpó il mio animale soffió. Un brezza leggera portava la polvere della trebbiatura di una piantagione di orzo. Poi, in prospettiva, ecco Santiago, sulla sua ripida meseta con i suoi tetti ridipinti e il sole giá orizzontale. Si vedeva ancora, verso oriente, al limite di un promontorio giallo brasile il panteon intagliato a quell'ora dalla sesta tintura pomeridiana; ma io, ormai non ce la facevo piú soffocato da atroce inconsolabile angoscia.
Giunsi al paese di notte. Svoltai l'angolo, e, entrando nella strada in cui stava casa mia, mi imbattei in una persona seduta su un banco di pietra davanti alla porta. Sola. Molto sola, tanto sola che soffocando il mistico lutto della mia anima, mi fece paura. Forse anche per la pace quasi inerte con la quale, ingommata dalla mezza forza della penombra il suo profilo si appoggiava al paramento imbiancato del muro. Una scossa perticolare dei nervi mi asciugó le lacrime. Mi feci avanti e mio fratello maggiore saltó giú dal banco, Angelo, mi accolse tra le braccia. Era tornato da pochi giorni dalla fattoria per alcuni suoi affari.
Quella notte. Dopo una cena frugale facemmo veglia fino all'alba. Visitai le stanze, i corridoi e le stalle della casa; e Angelo, anche quando faceva forzi evidenti per controllare questo mio affanno di percorrere la vecchia casona, sembrava anche godere di un tale supplizio, proprio di chi vaga per gli allucinanti domini del piú puro passato della vita.
Durante i pochi giorni del suo passaggio per Santiago, Angelo abitava da solo in casa, dove, secondo lui, tutto era restato tal quale nel momento della morte della mamma. Mi riferí anche come furono i giorni di salute che precedettero la malattia mortale e come fu la sua agonia. Quante volte un abbraccio fraterno ci fece fremere le viscere e mosse nuove gocce di tenerezza congelata e di pianto.

Ah, la dispensa dove chiedevano il pane alla mamma piangendo ipocritamente -

e aprii una porticina di semplici pannelli sconquassati.

Come in tutte le costruzioni rustiche delle montagne peruviane in cui a ogni porta corrisponde un banco di pietra, sulla soglia di quella che avevo appena varcato ve ne era uno, lo stesso della mia infanzia immemoriale, certo riparato e imbiancato molte volte da allora. Aprimmo l'umile porticina e ci sedenmmo portando con noi la lanterna occhitriste. La sua luce diede in pieno sul volto di Angelo, che si estenuava di momento in momento, col trascorrere della notte, mentre andavamo riaprendo la ferita, fino a sembrarmi quasi trasparente. Quando me en resi conto, lo accarezzai e mi misi a coprire di baci le sua guance barbute e severe che di nuovo si bagnarono di lacrime.
Un lampo di quelli che vengono da lontano, in estate , sui monti vuotó le viscere della notte. Tornai a massaggiarmi alle palpebre su Angelo. Né lui, né la lanterna, né il banco di pietra, nulla c'era piú. Nulla potevo udire. Ero come rinchiuso in una tomba...
Poi tornai a vedere mio fratello, la lanterna, il banco. Ma mi sembró di notare che l'aspetto di Angelo era come rinfrancato, rappacificato e, forse mi sbagliavo, si sarebbe detto ristabilito dal suo dolore e debolezza anteriori. Ma forse si tratta di un'illusione del mio sguardo poiché un tale cambiamento sarebbe inconcepibile.
trad genseki

1 commento:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny