mercoledì, giugno 22, 2016
Marx
Marx
Miseria della filosofia
*
Posto che noi avessimo prodotto come uomini: ognuno di noi avrebbe doppiamente affermato nella propria produzione sé stesso e l'altro. Io avrei 1) oggettivato la mia individualità, la sua peculiarità nella mia produzione e quindi avrei già goduto di un estrinsecarsi individuale di vita nel corso dell'attività, sia nell'osservare l'oggetto avrei provato la gioia individuale di sapere la mia personalità come potenza concreta, sensibilmente contemplabile e quindi elevata sopra tutti i dubbi. 2) nel tuo godimento e nel tuo uso del mio prodotto avrei immediatamente il godimento sia della coscienza di aver soddisfatto nel mio lavoro un bisogno umano, sia di avere oggettivato l'essere umano, e quindi di avere procurato al bisogno d'un altro essere umano l'oggetto ad esso corrispondente, 3) di essere stato per te il mediatore tra te e la specie e quindi di essere saputo e sentito da te stesso come un'integrazione del tuo proprio essere e come una parte necessaria di te stesso, e quindi di sapermi confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore, 4) di aver creato nella mia estrinsecazione individuale di vita immediatamente la tua estrinsecazione di vita, e quindi di avere confermato e realizzato nella mia attività individuale la mia vera essenza, il mio essere umano e il mio essere comunitario. Le nostre produzioni sarebbero altrettanti specchi nei quali si rifletterebbe luminosamente il nostro essere.
Marx
Appunti su James Mill
martedì, giugno 14, 2016
Ratzinger
In a 1969 German radio broadcast, Father Joseph Ratzinger said :
Let us, therefore, be cautious in our prognostications. What St. Augustine said is still true : man is an abyss ; what will rise out of these depths, no one can see in advance. And whoever believes that the Church is not only determined by the abyss that is man, but reaches down into the greater, infinite abyss that is God, will be the first to hesitate with his predictions, for this naïve desire to know for sure could only be the announcement of his own historical ineptitude.
If today we are scarcely able any longer to become aware of God, that is because we find it so easy to evade ourselves, to flee from the depths of our being by means of the narcotic of some pleasure or other. Thus our own interior depths remain closed to us.
From the crisis of today the Church of tomorrow will emerge — a Church that has lost much. She will become small and will have to start afresh more or less from the beginning. She will no longer be able to inhabit many of the edifices she built in prosperity. As the number of her adherents diminishes, so it will lose many of her social privileges.
It will be seen much more as a voluntary society, entered only by free decision. As a small society, it will make much bigger demands on the initiative of her individual members.
Undoubtedly it will discover new forms of ministry and will ordain to the priesthood approved Christians who pursue some profession. In many smaller congregations or in self-contained social groups, pastoral care will normally be provided in this fashion.
Along-side this, the full-time ministry of the priesthood will be indispensable as formerly.
But in all of the changes at which one might guess, the Church will find her essence afresh and with full conviction in that which was always at her center : faith in the triune God, in Jesus Christ, the Son of God made man, in the presence of the Spirit until the end of the world.
In faith and prayer she will again recognize the sacraments as the worship of God and not as a subject for liturgical scholarship.
The Church will be a more spiritual Church, not presuming upon a political mandate, flirting as little with the Left as with the Right.
It will be hard going for the Church, for the process of crystallization and clarification will cost her much valuable energy. It will make her poor and cause her to become the Church of the meek.
When the trial of this sifting is past, a great power will flow from a more spiritualized and simplified Church.
Men in a totally planned world will find themselves unspeakably lonely. If they have completely lost sight of God, they will feel the whole horror of their poverty. Then they will discover the little flock of believers as something wholly new. They will discover it as a hope that is meant for them, an answer for which they have always been searching in secret.
And so it seems certain to me that the Church is facing very hard times. The real crisis has scarcely begun. We will have to count on terrific upheavals.
But I am equally certain about what will remain at the end : not the Church of the political cult, which is dead already, but the Church of faith. It may well no longer be the dominant social power to the extent that she was until recently ; but it will enjoy a fresh blossoming and be seen as man’s home, where he will find life and hope beyond death.
mercoledì, giugno 01, 2016
Hans Urs Von Balthasar
Il
cristiano che è interrogato e che interroga è più che mai isolato.
Finora c’era sempre un punto di contatto per il dialogo religioso,
sembrava almeno che ci fosse un fondo comune di certezza, e la
discussione riguardava solo diffenze secondarie. La posizione di
Paolo sull’areopago, dopo una passeggiata mattutina attraverso i
templi ed i santuari di Atene, ci appare addirittura invidiabile. I
suoi interlocutori sono ‘religiosissimi’, non solo vedono la
divinità in azione dovunque nell’universo, ma non hanno alcuna
difficoltà a credere conmaggior
o minor sicurezza ogni specie di rivelazioni particolari e
riconoscono ilculto, che lo stato decreta loro. Non si tratta più,
per cosi dire, che di svelare il ‘Dio ignoto’ e di provare che la
sua manifestazione nella morte e risurrezione di Cristo non ha
paragone con gli altri.
Oggi
si esige che tutti, anche tu che così a lungo, troppo a lungo, hai
guardato in direzione di Dio, girino in senso radicalmente inverso:
conversione al mondo. Non rientra infatti 1
questo nella tua stessa logica cristiana? I primi discepoli
non sono mandati dal loro Maestro in tutto il mondo? Contraddici a te
stesso se tu solo, mentre tutti guardano in avanti, guardi fisso
all’indietro.
Il
cristiano si guarda attorno in cerca di aiuto; ciò che una volta lo
avvolgeva come un abito che forniva protezione e calore è scomparso
ed egli si sente penosamente nudo. Si sente come un fossile di epoche
tramontate.
Da: "Chi è il cristiano?"
lunedì, maggio 30, 2016
La Coscienza
Dal testo di Romano Guardini: La coscienza
Abbiamo
dimenticato che quanto riflette lo spirito è di una nobiltà molto
esigente e che il comprenderlo è possibile solo a certe condizioni.
Che i diversi interessi del mondo spirituale esigono di volta in
volta un diverso modo diparlare e di ascoltare; richiedono uno spazio
interiore diverso, nel quale possano svolgersi questo parlare e
questo ascoltar
Il
bene non diventa realtà, se non lo attuo.
Il
bene non è una legge morta. È la vita infinita che vuol essere
inserita in questa realtà. Nella sua pura essenza questa vita è per
noi inesprimibile; appunto perché è infinita e nello stesso tempo
semplicissima. Ma essa vuole assumere una figura terrena, umana. È
ciò che avviene nell’azione morale. L’attività morale ha in sé
qualche cosa di misterioso
Nell’attività
morale si tratta di render reale, umanamente reale quello che ancora
non lo è. Si tratta di dar forma terrena a qualche cosa di eterno e
di infinito.
Ma
poi, con le opere, dobbiamo trasfondere il bene nella realtà,
altrimenti esso resta aspirazione infeconda. Bisogna che ne
imprimiamo la forma nella materia nella realtà che ci circonda:
nella situazione. Ciò vuol dire che dobbiamo afferrare ciò che è
nuovo; quello che qui mi sta attorno: uomini, avvenimenti, cose,
circostanze. Tutto ciò arriva, diviene, si articola, qui, adesso - e
in questo momento bisogna che lo afferri. Devo vedere: che cosa
importa per me tutto questo che mi circonda? A quali cose devo
rivolgere il mio sguardo? Il mio giudizio? Che cos’è qui il bene?
Vedere, giudicare, deliberare, fare tutto ciò;chiaramente,
magnanimamente, ponderatamente, risolutamente; con atto energico e
netto, che abbia sangue e colore, lo slancio del cuore e la sicurezza
della mano -questo significa fare il bene. Agire moralmente significa
quindi creare qualche cosa; non in pietra o in colore o in suono, ma
nella materia reale della vita.
La
vita morale è disertata su larga scala. Le forze creatrici si sono
trasferite al servizio di un’arte raffinata, di un’attività
politica sfrenata, di un’economia pura o di qualsiasi altra cosa. È
tempo che riconosciamo di nuovo che l’attività morale è una
creazione e vi convogliamo di nuovo le vive energie morali.
Così
la coscienza è anche la porta, per la quale l’eterno entra nel
tempo. È la culla della storia. Solo dalla coscienza sgorga
«storia», la quale significa ben altro che non un processo
naturale. Storia significa che, in seguito a libera opera umana,
qualche cosa di eterno entra nel tempo.
Ogni
situazione si presenta una unica volta. Per cui anche quello che deve
avvenire in essa non è mai avvenuto e non tornerà più. Bisogna
dunque che venga divinato e plasmato per la prima volta.
La
coscienza è dunque l’organo per l’eterna esigenza del bene, che
deve venir attuato: la coscienza è per l’uomo come una finestra
aperta sull’eternità. Una finestra però che allo stesso tempo dà
anche sul coro so del tempo e sugli avvenimenti quotidiani. La
coscienza è l’organo, che trae l’interpretazione del
comandamento del bene, eterno e sempre nuovo, dai fatti concreti;
l’organo col quale sempre di nuovo si riconosce in qual modo il
bene eterno ed infinito debba venir attuato nella specificazione del
tempo. È un obbedire e al tempo
stesso
un creare; un comprendere e un giudicare; un penetrare e un decidere.
Da
questa prigionia in me stesso io mi libero soltanto se trovo un
punto, che non sia il mio «io»; una «altezza al di sopra di me».
Un qualche cosa di solido e operante che si affermi nel mio interno.
Ed eccoci arrivati al nocciolo della nostra odierna considerazione,
cioè alla realtà religiosa.
Quel
«bene», del quale abbiamo parlato, che cos’è veramente?
Non
una «legge», che penda affissa da qualche parte. Non una semplice
idea.
Non
un concetto campato in aria. No, esso è qualche cosa di vivo.
Diciamolo senz’ambagi: è la pienezza di valore dello stesso Dio
vivente. La santità
del Dio vivente: ecco il bene.
Mi
ricordo ancora il luogo, ove un bel mattino mi si affacciò questo
concetto così semplice e pur così celato e sottile: Quando io
dicessi: «l’amore»... e questo amore divenisse pieno e perfetto
in forza, in purezza, in misura, in durata e profondità e quanto al
suo oggetto; ed ora, assolutamente pieno e perfetto incominciasse ad
esistere in sé, divenisse persona; diventasse l’amore stesso per
essenza - che sarebbe questo amore? il Dio vivente! Questa intuizione
mi rese raggiante di gioia!... Il valore, la fedeltà, l’onore, la
bontà, la giustizia, la misericordia... in una parola: «il bene»,
nella sua infinitezza e nella sua pura semplicità - tutto ciò è la
santità vivente di Dio e nient’altro.
La
coscienza è l’organo per il bene; ed è l’organo per Iddio.
Inderogabile
ed essenziale caratteristica della legge morale si è che mi «venga
incontro»; che non sia dunque per me l’«io» stesso.
Là,
dove il nostro essere confina, quasi a dire, col nulla, sta la mano
di Dio e ci regge. Là egli ci parla. Non come una forza
indeterminata o una semplice legge. Non come alcunché di
impersonale, ma come un «io», al quale è possibile rispondere con
un «tu». Dio parla dunque dentro di noi. Ma questo stesso Dio è il
Creatore e il Signore del mondo.
Ovunque
viva un uomo, ivi, in lui, è il centro del mondo.
L’uomo
non ha soltanto un’essenza, comune a tutti i suoi simili; egli ha
di più.
L’essenza
dell’uomo porta in ogni singolo l’impronta terminale di unicità:
è «nome». Tutte le altre cose si trovano già nel tipo della
specie. L’uomo solo è a
priori «singolo». Ma lo è, perché ha rapporto
immediato con Dio. Tutte le cose del mondo sono intrecciate nel
contesto dell’universo e negli ordinamenti della specie; e anzi, in
misura totale. Anche l’uomo vi è inserito, ma solo con una parte
del suo essere.
L’uomo
dunque non ha soltanto un’essenza determinata, ma porta anche un
nome. L’atto divino della creazione, dal quale ho ricevuto la mia
realtà, fu un atto di denominazione.
Non
sono soltanto individuo, ma anche persona. Non porto in me soltanto
un’essenza generica, ma un’essenza che ha l’impronta
dell’unicità: porto un nome. Questo nome l’ho da Dio. Sono nel
mondo, ma non mi confondo con esso. Con ciò che ho di intimo vengo
immediatamente da Dio e sto in rapporto diretto con Lui. Egli mi ha
creato come questa determinata persona. Questo nome che mi ha imposto
non è racchiuso nella natura generica «uomo». Non si sperde
nell’articolazione dell’universo, e Dio solo lo sa. Perciò io
posso conoscere il mio nome, conoscere cioè quello che ho di più
mio, solo ricavandolo di là, dove è custodito, cioè da Dio. I vari
strati del mio essere possono essere portati alla condizione di
realtà cosciente con maggiore o minore facilità. Quanto più nobili
e più profondi, tanto più difficilmente. L’ultimo diventa reale
soltanto nell’incontro con Dio.
Così
pregava Newman: «Ho bisogno che Tu m’istruisca, giorno per giorno,
su ciò che è l’esigenza e la necessità di ogni giorno.
Concedimi, o Signore, la chiarezza della coscienza, la quale sola può
sentire e comprendere la Tua ispirazione. I miei orecchi sono sordi;
non so percepire la Tua voce. I miei occhi sono offuscati; non so
vedere i Tuoi segni. Tu solo puoi affinare il mio orecchio, acuire il
mio sguardo e purificare e rinnovare il mio cuore. Insegnami a star
seduto ai Tuoi piedi e a prestar ascolto alla Tua parola. Amen».
La
forma più ovvia del raccoglimento sarebbe certo l’ordine.
Ordine della vita e del lavoro
quotidiani, degli oggetti in camera e in casa, delle occupazioni nel
corso della giornata e dei giorni; della lettura, dei pensieri e così
via.
L’ordine
raccoglie.
Raccoglimento
significa qui che sappiamo, una buona volta, non tanto fare, quanto
vivere. Avere un’esistenza tranquilla. Un’esistenza piena, libera
dall’ossessione del fare e del volere.
Noi
tendiamo sempre ad una mèta, poi ad un’altra ulteriore, e cosi di
seguito. Sempre verso qualche cosa che non esiste. Sbrighiamo una
cosa e la gettiamo dietro le spalle. Viviamo gli avvenimenti,
rapidamente e già essi non sono più.
Cosi
viviamo sempre scivolando fra quello che non è più e quello che non
è ancora.
Raccoglimento
significa qui creare il presente, sostare e divenir presenti.
martedì, maggio 24, 2016
Wendell Berry
Dai miei anni di collegio
e dalle mie letture venni a conscenza dei diversi nomi che alla fine
di una serie di domande o in periodi di sconcerto sono attribuiti a
Dio: la prima causa, il primo mobile, la forza vitale, la mente
universale, il princpio primo, il motore immobile, la provvidenza, Io
stesso ho usato questi nomi discutendo con altri o con me stesso o
cercando di darmi una spiegazione.
Ora posso dire che tutti
questi nomi non spiegano nulla. Non sono di maggior utilitá che
evoluzione o selezione naturale o Big Bang. Quello che questi nomi
fanno è avvolgerci con la lunghezza e la profonditá dei nostri
stessi pensieri e aspirazioni., Penso che ho conosciuto la tentazione
della semplice ragione, di credere solo in quanto si puó provare,
fino a che non avanzai la supposizione che non si trattase dei nomi
veri.
Ho immaginato che il vero
nome possa essere Padre e ho immaginato che cosa implica: l'amore, la
compassione, l'offesa, la ferita, la delusione, la rabbia,, le
lacrime, il perdono, la sofferenza fino alla morte. Se il mio amore
potrebbe spingere il mio pensiero oltre il limite del mondo e del
tempo, potrei forse non comprendere come la divina onnipotenza possa
essere scagliata in questo mondo dalla stessa forza del suo amore?
Potrei forse non vedere come egli puó, volendo conoscere la sua
creatura per compassione soltanto, prendere carne mortale, divenire
uomo, camminare tra di noi, assumere la nostra natura e il nostro
destino, la sofferenza, la debolezz e la nostra morte?
Potrei immaginare un
padre che è un poco come la chioccia che distende le ali prima della
tempesta o al crepuscolo prima della notte sui piú piccoli di Port
Williams perché vengano a ripararsi, alcuni accorrono, altri no.
Posso immaginare Port Williams cavalcare la sua onda nel tempo, sotto
il cielo, le sue fiammlele che risplendono, escono fuori mentre le
sue vite attraversano nascita, piacere, dolore, morte. Posso
immaginare Dio che guarda giú, verso di loro, verso le loro vite che
vivono nel suo spirito, che respirano per il suo respiro, che
conoscono grazie alla Sua luce, ma vivono la loro vita,
(inevitabilmente) ognuno secondo la sua volontá. Il Suo corpo dato
per essere spezzato.
Wendell Berry
trad. genseki
giovedì, maggio 19, 2016
Elisa, vita mia
¿Quién me dijera, Elisa, vida mía,
cuando en aqueste valle al fresco viento
andábamos cogiendo tiernas flores,
que había de ver, con largo apartamiento,
5- venir el triste y solitario día
que diese amargo fin a mis amores?
Garcilaso de la Vega
cuando en aqueste valle al fresco viento
andábamos cogiendo tiernas flores,
que había de ver, con largo apartamiento,
5- venir el triste y solitario día
que diese amargo fin a mis amores?
Garcilaso de la Vega
mercoledì, maggio 18, 2016
Il giardino di Asolo
Era questo giardino vago molto e di maravigliosa bellezza; il quale, oltre ad un bellissimo
pergolato di viti, che largo e ombroso per lo mezzo in croce il dipartiva, una medesima via dava a gl'intranti
di qua e di là, e lungo le latora di lui ne la distendeva; la quale, assai spaziosa e lunga e tutta di
viva selce soprastrata, si chiudeva dalla parte di verso il giardino, solo che dove facea porta nel pergolato,
da una siepe di spesissimi e verdissimi ginevri, che al petto avrebbe potuto giugnere col suo sommo
di chi vi si fosse accostar voluto, ugualmente in ogni parte di sé la vista pascendo, dilettevole a riguardare.
Dall'altra onorati allori, lungo il muro vie più nel cielo montando, della più alta parte di loro
mezzo arco sopra la via facevano, folti e in maniera gastigati, che niuna lor foglia fuori del loro ordine
parea che ardisse di si mostrare; né altro del muro, per quanto essi capevano, vi si vedea, che dall'uno
delle latora del giardino i marmi bianchissimi di due finestre, che quasi ne gli stremi di loro erano, larghe
e aperte, e dalle quali, perciò che il muro v'era grossisimo, in ciascun lato sedendo si potea mandar
la vista sopra il piano a cui elle da alto riguardano. Per questa dunque così bella via dall'una parte entrate
nel giardino le vaghe donne co' loro giovani caminando tutte difese dal sole, e questa cosa e quell'altra
mirando e considerando e di molte ragionando, pervennero in un pratello che 'l giardin terminava, di
freschissima e minutissima erba pieno e d'alquante maniere di vaghi fiori dipinto per entro e segnato;
nello stremo del quale facevano gli allori, senza legge e in maggior quantità cresciuti, due selvette pari
e nere per l'ombre e piene d'una solitaria riverenza; e queste tra l'una e l'altra di loro più a drento davan
luogo ad una bellissima fonte, nel sasso vivo della montagna, che da quella parte serrava il giardino,
maestrevolmente cavata, nella quale una vena non molto grande di chiara e fresca acqua, che del monte
usciva, cadendo e di lei, che guari alta non era dal terreno, in un canalin di marmo, che 'l pratello divideva,
scendendo, soavemente si facea sentire e, nel canale ricevuta, quasi tutta coperta dall'erbe, mormorando
s'affrettava di correre nel giardino.
Pietro Bembo
kenneth Rexroth
Indigeni di
camere ammobiliate
le nostre ore
miglori le passammo
a spese dei
contribuenti
nei parchi
pubbllici di quattro cittá
Forese era
peggio, il livello,
l'erba ben
alimentata, il sollevarsi
ritmico della
braccia infantili
una brillante
palla rossa che seguiva
una linea di
sorrisi
i vestiti
dell bambine
come fiori di
giacinto
nell'agosto
incipiente, le fontane
scoiattoli
addomesticati, piccioni
passeri e
altre
infinite,
memorabili cose.
trad. genseki
martedì, maggio 17, 2016
Blanchot
So - lo so -
che colui al quale stavano giá puntando i fucili i tedeschi, che attendevano ormai solo l'ordine finale, sperimentó allora un sentimento
di leggerezza straordinario, una specie di beatitudine (non di
felicitá, comunque), una allegria ovrana? L'incontro della morte con
la morte?
Non cercheró
di analizzare in vece sua quasto sentimento di leggerezza. Chissá fu
repentinamente invincibile, forsse un sentiment di compassione per
l'umanitá sofferente, la fortuna di non essere immortale, di non
essere eterno. Da allora fu legato alla morta da una amicizia
surretizia.
Blanchot
L'istante
della mia morte
Mani
Muovendo le
nostre mani unite
oltre il
lago, come in volo,
fino al bosco
oscuro, sulle cime degli abeti,
appena
distinguiamo gli steli delle graminacee
non è che un
prato
e noi due
distesi -
quando
ritornano a posarsi,
intrecciate
le nostre braccia
come rami di
un vecchio melo -
accarrezzano
le nostre ombre
sono le
nostre mani
Le carezze di
altri.
genseki
Blanchot
Sperimento
vivendo un piacere illimitato e proveró morendo una soddisfazione
infinita.
Blanchot
La follia della luce
trad genseki
lunedì, maggio 16, 2016
Kenneth Rexroth
Sei mesi
eterni come un sogno
cosí
impotente...
la tua sosta
sulla scala del metro
ondeggi,
sorridi e discendi
un istante
tra risveglio e risveglio
hai sorriso
per ondeggiare ancora
a due isolati
da un bulevard nebbioso di Chicago?
Quante
dinastie tramontarono nel frattempo?
Quanto tempo
impiegó l'altra mano
A compiere il
suo periplo?
trad genseki
,
Kennet Rexroth
Piú tardi
quando nell'acqua gaia
Esplose il
loto rosso, e il verde perfetto
smaltó
alberi ed erba, “io solo, competamente solo,
galleggiando”
restai pensoso sull'acqua dello stagno.
Quando il
sole basso penetró coi raggi cremisi
gli
interstizi del loto splendente; cosciente
del giungere,
nella profondita degli anni, di un tempo
in cui queste
lagune questi alberi scuri
lo specchio
scorrevole di questo crepuscolo su cui navigammo
saranno
spazzati da un'onda gigante fuori dalla memoria
in una
pomeriggio normale, ancora lontano -
immensa, in
vertigine e orrore.
trad. genski
giovedì, maggio 12, 2016
Piove, nel caffé
La bellezza
della figlia del re viene dall'interno (Salmo 45,14)
Piove ai
vetri del caffé le gocce
Raccontano
dell'abbandono, del pericolo
Ê un limbo
questo dove ci scaldiamo
Alle
frottole, alla musica scadente,
all'odore del
riso che si tosta.
Usciremo
prima o poi nella nebbiolina
Tra i
richiami dei merli fitti fitti
Il piede del
vesante fiorito di cardi
Si scuote al
passo dei lupi
Cominciamo a
salire, inzuppiamo
Le scarpe e
le calze nell'erba bagnata
anche questo
lo accettiamo nel suo nome
È poca cosa
e presto sapremo
Su quale cima
si erge il cippo
Su quale la
croce
E vi
riposeremo finalmente.
genseki
martedì, maggio 03, 2016
Inno alla Madre
ora sei benedetta tra le spighe
e marci sulle orme dei santi
eucalipti dorati ti danno ombra
germoglio di madreperla
la tua anima bambina
tu agnella impigliata tra le spine
Il tuo antico dolore instancabile
cesella ora le gioie che ti adornano
e i raggi della luna ti incoronano
verdi scintille i tuoi occhi come
foglie
é Sion la tua dimora, tra le tende
dei beduini che salgono al santuario
crescono i virgulti sui tuoi passi
sciolti
e l'olio profumato ti impregna i
capelli.
Sei una carezza ora alla mia fronte
Perdonami per quello che MI HAI FATTO.
giovedì, aprile 21, 2016
giovedì, marzo 17, 2016
Cori descrittivi di stati d'animo di Didone
Dileguandosi l'ombra,
In lontananza d'anni,
Quando non laceravano gli affanni,
L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.
Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:
Il cuore roso, sgombra!
Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.
Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
n sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.
III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
.
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e mi hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
VII.
Nella tenebra muta
Cammini in campi vuoti dogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.
X.
Non odi del platano
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?
Il mio declino abbellirò stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
XIII.
Sceso dall'incantevole sua cuspide
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
Spargendosi nelle ore, nei minutì
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
Per patirne l'estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,
Opachi, senza raggi.
XV.
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
XIX.
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
In lontananza d'anni,
Quando non laceravano gli affanni,
L'allora, odi, puerile
Petto ergersi bramato
E l'occhio tuo allarmato
Fuoco incauto svelare dell'Aprile
Da un'odorosa gota.
Scherno, spettro solerte
Che rendi il tempo inerte
E lungamente la sua furia nota:
Il cuore roso, sgombra!
Ma potrà, mute lotte
Sopite, dileguarsi da età, notte?
Il.
La sera si prolunga
Per un sospeso fuoco
E un fremito nell'erbe a poco a poco
Pare infinito a sorte ricongiunga.
Lunare allora inavvertita nacque
Eco, e si fuse al brivido dell'acque.
Non so chi fu più vivo,
n sussurrio sino all'ebbro rivo
O l'attenta che tenera si tacque.
III
Ora il vento s'è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido
.
Il grido, sola, del mio cuore ,
Grido d'amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e mi hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.
VII.
Nella tenebra muta
Cammini in campi vuoti dogni grano:
Altero al lato tuo più niuno aspetti.
VIII.
Viene dal mio al tuo viso il tuo segreto;
Replica il mio le care tue fattezze;
Nulla contengono di più i nostri occhi
E, disperato, il nostro amore effimero
Eterno freme in vele d'un indugio.
X.
Non odi del platano
Foglia non odi a un tratto scricchiolare
Che cade lungo il fiume sulle selci?
Il mio declino abbellirò stasera;
A foglie secche si vedrà congiunto
Un bagliore roseo.
XIII.
Sceso dall'incantevole sua cuspide
Se ancora sorgere dovesse
Il suo amore, impassibile farebbe
Numerare le innumere sue spine
Spargendosi nelle ore, nei minuti.
Spargendosi nelle ore, nei minutì
XIV
Per patirne la luce,
Gli sguardi tuoi, che si accigliavano
Smarriti ai cupidi, agl'intrepidi
Suoi occhi che a te non si soffermerebbero
Mai più, ormai mai più.
Per patirne l'estraneo, il folle
Orgoglio che tuttora adori,
A tuoi torti con vana implorazione
La sorte imputerebbero
Gli ormai tuoi occhi opachi, secchi;
Ma grazia alcuna più non troverebbero,
Nemmeno da sprizzarne un solo raggio,
Od una sola lacrima,
Gli occhi tuoi opachi, secchi,
Opachi, senza raggi.
XV.
Non vedresti che torti tuoi, deserta,
Senza più un fumo che alla soglia avvii
Del sonno, sommessamente.
XIX.
Deposto hai la superbia negli orrori,
Nei desolati errori.
da Co
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