lunedì, novembre 11, 2013
Ombre di parole
Lasciare cadere le parole
Quando si schiude uno specchio tra le foglie
Specchio d'onda
All'ombra dorata ove scorrano
I riflessi delle nuvole,
Lo scroscio delle perle che si sfilano
Dal filo sottile che sfibra la piega
Del collo
Allo stesso ritmo del sogno;
Dove tutti i suoni si spezzino
Fino al fuoco,
Al fuoco bianco
Che non cessa di ardere
Dietro ogni pupilla.
genseki
Quando si schiude uno specchio tra le foglie
Specchio d'onda
All'ombra dorata ove scorrano
I riflessi delle nuvole,
Lo scroscio delle perle che si sfilano
Dal filo sottile che sfibra la piega
Del collo
Allo stesso ritmo del sogno;
Dove tutti i suoni si spezzino
Fino al fuoco,
Al fuoco bianco
Che non cessa di ardere
Dietro ogni pupilla.
genseki
giovedì, novembre 07, 2013
mercoledì, novembre 06, 2013
lunedì, ottobre 28, 2013
Politica
I più saggi sanno che una stolta legislazione è una corda di sabbia che si sbriciola nell'attorcigliarsi; che lo Stato deve assecondare e non guidare il carattere e il progresso dei cittadini; che anche del più forte usurpatore prima o poi ci si libera; e che solo quelli che costruiscono sulle idee costruiscono per sempre; e
che la forma di governo che prevale è l'espressione del tipo di cultura che esiste nel popolo che l'abbia permessa. La legge è solo un memorandum. Nella nostra superstizione, crediamo che uno statuto abbia un suo stabile valore: ma la sua forza sta in quel tanto di vita che anima gli uomini in carne e ossa. Lo statuto sta lì a dirci: «Jeri ci siamo accordati su questo e su quello, ma che cosa pensate oggi di quest'articolo?». Il nostro statuto è una moneta sulla quale imprimiamo la nostra immagine: ma, ben presto, non la si riconosce più e, passato un certo tempo, dev'essere riportata alla zecca. La natura non è democratica, e non è neanche
monarchico-costituzionale, ma è dispotica, e non si farà aggirare né sottrarre un solo iota della sua autorità nemmeno dal più caparbio dei suoi figli; e quanto più la pubblica opinione si apre a una più acuta intelligenza delle cose, tanto più il suo codice è considerato schematico e balbettante.
Emerson
Politica
domenica, settembre 29, 2013
Dialettica
Improvvisamente, dietro qualche tetto,
l'altezza della cascata ci è apparsa obliquamente: abbiamo avanzato
verso di essa, stupiti, attraverso i prati umidi. Sul verde massiccio
laterale, una nube di goccioline disegnò un cerchio intorno a noi,
spinto dal vento creato dalla cascata. Per cogliere la cascata in una
vista d'insieme, abbiamo dovuto scendere verso il basso lungo l'erba
scivolosa fino al bordo dell'abisso in cui si riversano i flutti. Da
qui, godendo la vista della cascata, fin dove era possibile, uno
spettacolo sontuoso è venuto a coronare gli sforzi della giornata
che all'inizio erano stati penosi . Un rivolo di acqua fuggiva da una
fessura nella roccia, cadendo in verticale e rompendosi in rivoli
furiosi , rivoli che l'occhio dello spettatore incapace di fermare
il flusso di più di quanto non lo fosse di seguirlo, non cessava
tuttavia di percepire : immagine che si disfaceva ad ogni istante.
Ogni rivolo era sostituito ad ogni istante da un altro eppure, nella
cascata, lo spettatore vedeva sempre la stessa immagine, e
simultaneamente vedeva che non era la stessa. Dopo che i rivoli
lungo il pendio, hanno raggiunto le rocce sono inghiottiti da tre o
quattro fenditure e si scagliano rumorosamente in un abisso dove
l'occhio non può seguirli per l'ostacolo costituito dalle rocce. A
una certa distanza, percepivamo il fumo che sorgeva dal baratro e ci
rendemmo conto che era la schiuma creata dalla cascata.
Meiners, giustamente, aveva rivelato
l'importanza di questa cascata cosí movimentata. Ma una
rappresentazione o una pittura non possono rendere che male la
visione reale. La descrizione dà all'immaginazione la possibilità
di cogliere l'insieme a condizione di possedere già modelli simili,
ma un quadro di piccole dimensioni produrrà una debole impressione e
fornirá un piano inadeguato. La posa effettiva dell'opera non offre
all'immaginazione l'occasione adeguata, l'oggetto preso come modello
e lo coglie solo nella sua forma ridotta (...). Se mettiamo il
quadro di fronte a noi o appeso alla parete, i sensi saranno
obbligati a ridurre tutto alla nostra dimensione o a quella delle
cose circostanti sempre troppo deboli. Il quadro dovrebbe essere così
vicino agli occhi che sarebbe impossibile coglierlo tutto, perdendo
così il senso della proporzione. Ció che risulta piú interessante,
l'essenziale dello spettacolo sfuggirá anche agli schizzi migliori:
la vita eterna, la forma immobile della cascata e la mobilitá
poderosa che ne fa una cosa viva. Un'opera non puó rendere che
un'infima porzione dell'impressione totale, non puó che restituire
proporzioni proprie all'immagine secondo certe parti e certi
contorni. L'altro aspetto della contemplazione, il divenire
incessante, eterno di ogni componente, l'eterna dissoluzione di ogni
zampillo che fa oscillare l'occhio in modo tale che la vista non
conserva mai la stessa direzione, tutto ció va perduto con la forza
e la vita.
G.W.F Hegel
Da "Strass de la philosophie"
Trad. genseki
venerdì, settembre 27, 2013
Augustinus
Quam similia sint latrociniis regna absque iustitia.
Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parua regna? manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis adstringitur, placiti lege praeda diuiditur. hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, ciuitates occupet populos subiuget, euidentius regni nomen adsumit, quod ei iam in manifesto confert non dempta cupiditas, sed addita inpunitas. eleganter enim et ueraciter Alexandro illi Magno quidam conprehensus pirata respondit. nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei uideretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia id ego exiguo nauigio facio, latro uocor; quia tu magna classe, imperator.
Augustinus
De Civitate Dei
Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parua regna? manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis adstringitur, placiti lege praeda diuiditur. hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, ciuitates occupet populos subiuget, euidentius regni nomen adsumit, quod ei iam in manifesto confert non dempta cupiditas, sed addita inpunitas. eleganter enim et ueraciter Alexandro illi Magno quidam conprehensus pirata respondit. nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei uideretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia id ego exiguo nauigio facio, latro uocor; quia tu magna classe, imperator.
Augustinus
De Civitate Dei
lunedì, agosto 12, 2013
Due poesie di genseki
Il volo comincia
Dove finiscono penne e piume
Dove anche lo scheletro
È fragile carena di flauto
Poi il vento, tutto quanto,
Sará una cascata di sale
A lavare l'amaro degli occhi.
**
Lasciavi ricadere i polsi come i capelli
Ribelle al vento, ai mulinelli del silenzio
Il rame aveva abbandonato i tuoi occhi
Dal tempo delle tue nozze con la neve.
**
Dove finiscono penne e piume
Dove anche lo scheletro
È fragile carena di flauto
Poi il vento, tutto quanto,
Sará una cascata di sale
A lavare l'amaro degli occhi.
**
Lasciavi ricadere i polsi come i capelli
Ribelle al vento, ai mulinelli del silenzio
Il rame aveva abbandonato i tuoi occhi
Dal tempo delle tue nozze con la neve.
**
Antonio Gamoneda
Dal "Libro del freddo"
Trad. genseki
Il vino era celeste nell'acciaio (Ah la luciditá del venerdí) e nei suoi occhi. Dolcemente andava distruggendo le cause dell'infezione: grandi fiori immobili e la lubricità, la cinta nera nel silenzio dei serpenti.
**
Nella sua canzone vi erano corde senza speranza, un sole lontano di donne cieche (madri scalze nel presidio trasparente del sale).
Suonava a morte e rugiada, poi soffiava in una siringa nera, era il cantore delle ferite. La sua memoria bruciava nel paese del vento, nella bianchezza dei sanatorii sonnolenti.
**
Era sagace nella prigione del freddo,
Scorse presagi nel mattino celeste; gli sparvieri fendevano l'inverno e lenti erano i ruscelli tra i fiori della neve.
Comparivano corpi femminili e ne percepiva la fertilità.
Poi giunsero mani invisibili. Con dolcezza esatta afferò quella di sua madre.
**
Un tempo le mie sole passioni erano la povertà e la pioggia.
Ora sento la purezza dei limiti e la mia passione non esisterebbe se sapessi il suo nome.
**
Trad. genseki
Il vino era celeste nell'acciaio (Ah la luciditá del venerdí) e nei suoi occhi. Dolcemente andava distruggendo le cause dell'infezione: grandi fiori immobili e la lubricità, la cinta nera nel silenzio dei serpenti.
**
Nella sua canzone vi erano corde senza speranza, un sole lontano di donne cieche (madri scalze nel presidio trasparente del sale).
Suonava a morte e rugiada, poi soffiava in una siringa nera, era il cantore delle ferite. La sua memoria bruciava nel paese del vento, nella bianchezza dei sanatorii sonnolenti.
**
Era sagace nella prigione del freddo,
Scorse presagi nel mattino celeste; gli sparvieri fendevano l'inverno e lenti erano i ruscelli tra i fiori della neve.
Comparivano corpi femminili e ne percepiva la fertilità.
Poi giunsero mani invisibili. Con dolcezza esatta afferò quella di sua madre.
**
Un tempo le mie sole passioni erano la povertà e la pioggia.
Ora sento la purezza dei limiti e la mia passione non esisterebbe se sapessi il suo nome.
**
martedì, luglio 30, 2013
martedì, luglio 16, 2013
Viaggi
Sedia ove talvolta mi siedo
Piatti camicie e altri alibi ancora
La pura veritá e che non ci sono
La pura veritá è che me ne sono andato.
O, magari, saranno stati gli altri
Che se ne sono andati, mi hanno lasciato solo
Con me stesso e gli incubi che restano
Reali come un foro
Profondo come un Dio
Vediamo un po' gianni
Vediamo un po, gellman
Vediamoli, dai! Sti biglietti
Contiamo fino a cento
Cantano gli uccellini
Se guardiamo vedremo che non ci sono
Che me ne sono andato con sinceritá
Che gianni sopporta e che gelman non piange
Piattano i piatti e sediano le sedie,
Senza sosta, canaglie.
Juan Gelman
Da "Cólera buey" 1963
Trad. genseki
Piatti camicie e altri alibi ancora
La pura veritá e che non ci sono
La pura veritá è che me ne sono andato.
O, magari, saranno stati gli altri
Che se ne sono andati, mi hanno lasciato solo
Con me stesso e gli incubi che restano
Reali come un foro
Profondo come un Dio
Vediamo un po' gianni
Vediamo un po, gellman
Vediamoli, dai! Sti biglietti
Contiamo fino a cento
Cantano gli uccellini
Se guardiamo vedremo che non ci sono
Che me ne sono andato con sinceritá
Che gianni sopporta e che gelman non piange
Piattano i piatti e sediano le sedie,
Senza sosta, canaglie.
Juan Gelman
Da "Cólera buey" 1963
Trad. genseki
lunedì, luglio 15, 2013
Vetrai
Veramente mi pareva di respirare nella fornace, coi vetrai di Murano, e di non avere nella mano la penna ma un ferro, ma un ferro da soffio con in cima un vetri fuso e di non essere rischiarato dal mio quieto olio di oliva ma dalla vampa della grande ara incandescente.
Mi bisognava per creare il calice, convertir la parola in quella piccola pera di pasta rossa dal garzone aggiunta di tratto in tratto alla forma che nasce sotto i tocchi dell'ordegno.
...
Ecco alfine sul foglio di carta, il vetro che si tempera a poco a poco, quasi colorato d'un colore mattutino dal mio spirito, come da un'alba piú profonda di quella vera.
G. D'Annunzio
Da: "Il compagno dagli occhi senza ciglia"
Mi bisognava per creare il calice, convertir la parola in quella piccola pera di pasta rossa dal garzone aggiunta di tratto in tratto alla forma che nasce sotto i tocchi dell'ordegno.
...
Ecco alfine sul foglio di carta, il vetro che si tempera a poco a poco, quasi colorato d'un colore mattutino dal mio spirito, come da un'alba piú profonda di quella vera.
G. D'Annunzio
Da: "Il compagno dagli occhi senza ciglia"
Acque
Nacqui in un anno di siccitá. Quell'estate
Mia madre aspettava in casa, chiusa nel sole
Nel vento secco, incessante,
Gli uomini che ritornavano alla sera,
Portando acqua da fonti lontane
Le vene delle foglie erano secche
Avizzzite anche le radici.
Per tutta la vita ho continuato a temere il ritorno
Di quell'anno, sicuro che da qualche parte si è acquattato
Come l'anima di un nemico morto
La paura della `polvere nella bocca non mi abbandona
Sono lo sposo fedele della pioggia
Amo l'acqua di stagni e sorgenti
Il sapore di tetto dell'acqua di cisterna
Sono un uomo secco la cui sete loda
Le nuvole, la cui mente ha qualcosa di una tazza
La cosa piú dolce per me è destarmi di notte
Dopo una giornata rovente e arida
Per ascoltare la pioggia.
Wendell Berry
trad. genseki
Mia madre aspettava in casa, chiusa nel sole
Nel vento secco, incessante,
Gli uomini che ritornavano alla sera,
Portando acqua da fonti lontane
Le vene delle foglie erano secche
Avizzzite anche le radici.
Per tutta la vita ho continuato a temere il ritorno
Di quell'anno, sicuro che da qualche parte si è acquattato
Come l'anima di un nemico morto
La paura della `polvere nella bocca non mi abbandona
Sono lo sposo fedele della pioggia
Amo l'acqua di stagni e sorgenti
Il sapore di tetto dell'acqua di cisterna
Sono un uomo secco la cui sete loda
Le nuvole, la cui mente ha qualcosa di una tazza
La cosa piú dolce per me è destarmi di notte
Dopo una giornata rovente e arida
Per ascoltare la pioggia.
Wendell Berry
trad. genseki
L'upupa rossa
Ho sognato un'upupa rossa
Con la cresta d'oro fino
Ahi! Come è amaro il risveglio!
Nel ricamo mattutino
Che tesse il canto dei merli
Ai rami del brachichito.
genseki
Con la cresta d'oro fino
Ahi! Come è amaro il risveglio!
Nel ricamo mattutino
Che tesse il canto dei merli
Ai rami del brachichito.
genseki
martedì, luglio 09, 2013
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