Dal "Libro del freddo"
Trad. genseki
Il vino era celeste nell'acciaio (Ah la luciditá del venerdí) e nei suoi occhi. Dolcemente andava distruggendo le cause dell'infezione: grandi fiori immobili e la lubricità, la cinta nera nel silenzio dei serpenti.
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Nella sua canzone vi erano corde senza speranza, un sole lontano di donne cieche (madri scalze nel presidio trasparente del sale).
Suonava a morte e rugiada, poi soffiava in una siringa nera, era il cantore delle ferite. La sua memoria bruciava nel paese del vento, nella bianchezza dei sanatorii sonnolenti.
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Era sagace nella prigione del freddo,
Scorse presagi nel mattino celeste; gli sparvieri fendevano l'inverno e lenti erano i ruscelli tra i fiori della neve.
Comparivano corpi femminili e ne percepiva la fertilità.
Poi giunsero mani invisibili. Con dolcezza esatta afferò quella di sua madre.
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Un tempo le mie sole passioni erano la povertà e la pioggia.
Ora sento la purezza dei limiti e la mia passione non esisterebbe se sapessi il suo nome.
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