"...impariamo a veder nuovamente il
mondo attorno a noi da cui ci eravamo distolti nella convinzione che i
nostri sensi non potessero insegnarci nulla di valido e che solo un
sapere rigorosamente oggettivo meritasse di esser preso in
considerazione...In un mondo così trasformato non siamo soli, e non
siamo soltanto tra uomini. Questo mondo si offre anche agli animali, ai
bambini, ai primitivi, ai pazzi, che lo abitano a modo loro e che
coesistono con esso" (Maurice Merleau-Ponty)
venerdì, maggio 24, 2013
giovedì, maggio 23, 2013
Logica e simbolica
“Oggi muore una società fondata sul primato del ‘logico’... Ecco perché è
venuto il momento ... non già, come si dice spesso oggi, di ‘cambiare
paradigma’, ma di introdurre un altro paradigma e di integrarvi i
nostri. L’ipotesi, condivisa da molti e che faccio mia, è che l’epoca
attuale ci inviti a reintrodurre il simbolico, vale a dire il primato
del legame nella struttura e nella vita del reale, nel desiderio e nel
sapere umani”.
Gh. Lafont, Che cosa possiamo sperare?, Bologna , EDB, 2011, 10-11
Essere ribelli
Esistere, significa combattere ciò che mi nega. Essere ribelli non è
collezionare libri empi, sognare fantasmagorici complotti o la
resistenza partigiana nelle Cevenne. Significa essere norma per se
stessi. E attenervisi, a qualunque costo. Badare a non guarire mai dalla
propria giovinezza. Preferire inimicarsi il mondo intero, piuttosto che
strisciare. Praticare anche, come un corsaro e senza vergogna, il
diritto di preda. Saccheggiare nell’epoca tutto ciò che è possibile
convertire alla propria norma, senza fermarsi alle apparenze. Nella
sconfitta, non porsi mai il problema dell’inutilità di un combattimento
perduto. Si pensi a Padrig Pearse.
Dominique Venner
Da "eléments" via Barbadillo
mercoledì, maggio 22, 2013
Dominique Venner
“Credo che esista, sin dall’Illuminismo, una tipologia mentale di destra
e che essa sia definita dal rifiuto della tabula rasa. Ogni pensiero di
destra discende dalla sensazione che gli uomini esistano prima di tutto
in quanto portatori di un’eredità collettiva specifica. Idea rifiutata
dalla sinistra, per la quale ciascun uomo è in sé un inizio, un soggetto
autonomo che non deve niente a delle radici, a un’eredità, a una
cultura, a una storia. Al massimo gli si riconosce un condizionamento
sociale di cui è suo compito liberarsi. Liberazione è la parola-chiave
della sinistra, così come eredità (o radici) è la parola-chiave della
destra”.
Da Barbadillo
martedì, maggio 21, 2013
La morte della nonna
Quella non era la nonna. Era la sua cuffia da cerimonia con i nastri di seta
bianca, e, sotto, i suoi capelli bruno-rossicci. Ma quel naso appuntito, quelle labbra rientrate, quel mento prominente, quelle mani giunte, giallastre e diafane, che si intuivano fredde e rigide, non appartenevano a lei. Quello era un ignoto fantoccio di cera, ed il disporlo e venerarlo in quel modo, aveva un che di raccapricciante. Ed egli guardava verso la «stanza dei paesaggi», come se di là dovesse comparire da un momento all’altro la nonna vera... Ma ella non arrivava. Era morta. La morte l’aveva per sempre sostituita con questa figura di cera, che teneva le palpebre e le labbra così inesorabilmente così inaccessibilmente serrate...
Ritto sulla gamba sinistra, il ginocchio destro piegato in modo che il piede
stesse in equilibrio sulla punta, con una mano egli teneva il nodo da marinaio cheaveva sul petto, mentre l’altra pendeva rilassata. La testa con i riccioli castani che ricadevano sulle tempie, era reclinata da una parte, e, sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampegi suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampeggiavano, scrutando il volto della defunta con espressione assorta e disgustata.
Respirava lentamente, con cautela, perché ad ogni respiro si aspettava
quell’odore, quell’odore strano eppure così singolarmente familiare, che le ondate di profumo dei fiori non sempre riuscivano a soffocare. E quando gli arrivava, quando lo sentiva, le sopracciglia gli si aggrottavano di più, e le labbra per un attimo cominciavano a tremare... Infine sospirò; quel sospiro era talmente simile a un singhiozzo senza lacrime che la signora Permaneder si chinò su di lui, lo baciò e lo condusse via.
bianca, e, sotto, i suoi capelli bruno-rossicci. Ma quel naso appuntito, quelle labbra rientrate, quel mento prominente, quelle mani giunte, giallastre e diafane, che si intuivano fredde e rigide, non appartenevano a lei. Quello era un ignoto fantoccio di cera, ed il disporlo e venerarlo in quel modo, aveva un che di raccapricciante. Ed egli guardava verso la «stanza dei paesaggi», come se di là dovesse comparire da un momento all’altro la nonna vera... Ma ella non arrivava. Era morta. La morte l’aveva per sempre sostituita con questa figura di cera, che teneva le palpebre e le labbra così inesorabilmente così inaccessibilmente serrate...
Ritto sulla gamba sinistra, il ginocchio destro piegato in modo che il piede
stesse in equilibrio sulla punta, con una mano egli teneva il nodo da marinaio cheaveva sul petto, mentre l’altra pendeva rilassata. La testa con i riccioli castani che ricadevano sulle tempie, era reclinata da una parte, e, sotto le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampegi suoi occhi bruno-dorati, circondati di ombre azzurrine, lampeggiavano, scrutando il volto della defunta con espressione assorta e disgustata.
Respirava lentamente, con cautela, perché ad ogni respiro si aspettava
quell’odore, quell’odore strano eppure così singolarmente familiare, che le ondate di profumo dei fiori non sempre riuscivano a soffocare. E quando gli arrivava, quando lo sentiva, le sopracciglia gli si aggrottavano di più, e le labbra per un attimo cominciavano a tremare... Infine sospirò; quel sospiro era talmente simile a un singhiozzo senza lacrime che la signora Permaneder si chinò su di lui, lo baciò e lo condusse via.
Th Mann
I Buddenbrook
mercoledì, maggio 15, 2013
Agamben su Ratzinger
Le dimissioni del papa tra teologia e politica: “Il mistero del male” di Giorgio Agamben sulla scelta radicale di Ratzinger
di Antonio Gnoli
Un oscuro teologo del IV secolo fa da sfondo dottrinale alla decisione del Papa di abdicare al suo magistero. Possibile?
Ce lo racconta con il solito raffinato incastro di testi Giorgio Agamben nel nuovo libro: Il mistero del male (Laterza).
Da
anni egli affronta il significato politico della fine dei tempi,
sfrondandolo dagli orpelli apocalittici e cogliendone il senso in una
plausibile ricerca filologica.
I testi a volte ci parlano: nella loro autorevolezza sopportano l’usura del tempo e ci indicano strade che avevamo abbandonato.
Non è questo il senso della tradizione, di quella sapienza archeologica che segna a volte il nostro agire più consapevole?
Proprio
Joseph Ratzinger, appena trentenne, pubblicò un dotto articolo per
spiegare la posizione dottrinaria di Ticonio in merito alla Chiesa.
Costui era un donatista che avendo descritto una Chiesa al tempo stesso
malvagia e giusta, seppe coglierne la struttura bipartita che comprende
in sé tanto il peccato quanto la grazia. In una prospettiva escatologica
questi due corpi della Chiesa sono destinati a convivere fino alla fine
dei tempi. Allorché il Giudizio universale dividerà definitivamente i
malvagi dai giusti, il Cristo dall’Anticristo. Fino a quel momento le
due “anime” conserveranno una loro presenza nello stesso corpo della
Chiesa. È in questo contesto teologico che Agamben colloca il gesto
rivoluzionario di Benedetto XVI. Che non è un atto di viltà – accusa già
rivolta a Celestino V – né di stanchezza, ma una meditata e sofferta
scelta dottrinaria che lo ha posto all’altezza della drammatica
situazione in cui la Chiesa si trova a vivere.
Può, infatti,
questo istituto millenario attendere che il gran conflitto tra i malvagi
e i giusti si risolva alla fine dei tempi? Ecco perché la prospettiva
escatologica va ricondotta a quella storica, il tempo dell’apocalisse al
nostro tempo. La Chiesa, ci rammenta Agamben, non può sopravvivere se
rimanda passivamente alla fine dei tempi la soluzione del conflitto che
ne dilania il “corpo bipartito”. D’altro canto, l’aver ignorato lo
sguardo escatologico ha pervertito l’azione salvifica della Chiesa nel
mondo. L’ha resa per così dire cieca e priva di scopo. Di qui gli
scandali, la corruzione e quel corredo negativo che ne hanno stravolto
l’immagine. Agamben sottrae il male al cupo dramma teologico e lo
restituisce al suo vero contesto storico, nel cui spazio ognuno è
chiamato a fare senza riserve la sua parte. Decidere, d’accordo. Ma su
cosa? E per quali opzioni o scelte?
Benedetto XVI suggerisce una
strada. La sua decisione radicale rinvigorisce l’idea di giustizia e di
legittimità. Rimette in moto una macchina politica senza la quale la
Chiesa sarebbe destinata a inabissarsi. Non è di un analogo destino che
soffre la nostra società? Ancora una volta teologia e politica
incrociano due categorie – legittimità e legalità - oggi confuse o
smarrite. La profondità della crisi che la nostra società sta
attraversando, dice Agamben, va ricondotta anche al tentativo della
modernità di far coincidere legalità e legittimità.
Una Chiesa
dei giusti non trionferà senza una lotta ai malvagi; così come una
società equa non prevarrà senza il ricorso alla giustizia che è un
concetto più profondo della legalità. Chi può avere oggi la forza di
trasferire nel profano ciò che Benedetto XVI – con il suo richiamo
all’Auctoritas (al potere spirituale) - ha svolto nell’ambito del
teologico? Le nostre vite, attraversate da crisi terribili, hanno
urgenze mondane che si scontrano con l’ideologia liberista oggi
dominante. Nota Agamben che il paradigma del mercato autoregolantesi si è
sostituito a quello della giustizia e finge di poter governare una
società sempre più ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici.
Chiamiamola pure dittatura dell’algoritmo. Ma chi oggi ha un potere
così immenso da potervi perfino abdicare? Non è da questa rinuncia che
possa nascere una nuova occasione per la politica. Perché il potere
sembra esser sfuggito dalle mani dell’uomo. Ecco il dramma storico e il
“mistero” dal quale bisogna ripartire.
Da Repubblica
Canzone erronea
Canzone erronea è il titolo dell'ultimo libro di Antonio Gamoneda. È un libro sulla vecchiaia. La traduzione èe di genseki.
*
Amo il mio corpo
Con le sue vertebre ...
Da acciai viventi, le cartilagini
Strinate, il cuore leggermente umido
I miei capelli impazziti
Nelle tue mani.
Amo anche
Il mio sangue solcato da gemiti.
Amo la calcificazione e la malinconia
Arteriale e la passione del fegato
Che ribolle nel passato e le squame
Delle mie palpebre fredde.
Amo lo stame cellulare, le feci
Bianche alla fine, l'orifizio
Dell'infelicità. i midolli
Della tristezza, gli anelli
Della vecchiaia e l'influenza
Della tenebra intestinale.
Amo i circoli
Unti del dolore e le radici
Dei tumori lividi
Amo questo corpo vecchio e la sostanza
Della sua miseria clinica.
L'oblio
Dissolve la materia pensante
Di fronte alla grandi vetrate
Della menzogna.
Tutto è ormai deciso
Non c'è causa in me. C'è solo
Stanchezza e
Un antico smarrimento:
passare
Dall'inesistenza
All'inesistenza.
È
Un sogno.
Un sogno vuoto.
Eppure accade.
Amo
Tutto quello che ho creduto
Vivente in me.
Amai le mani
Grandi di mia madre e
Quel l'antico metallo
Dei suoi occhi e quella
Stanchezza gonfia di luce
E di freddo.
Disprezzo
L'eternità.
Ho vissuto
E non so perché.
Ora
Devo amare la mia propria morte
E non so morire.
Che equivoco.
*
lunedì, maggio 13, 2013
Gamoneda
Vidi colombe. Vidi tremare le loro ali
Tra ceneri e cristalli.
Vidi
Frutti di bronzo: la loro gravità sospesa
a rami immoti.
Vidi
La passione vorticosa degli uccelli
Sulla macchina celeste dell'allegria.
Vidi
La geometria ardente del lampo.
Nella festa finale arse la porpora
Dell'ultimo giardino
Svennero
Le cifre del lampo e il bronzò si svincolò
Dai rami immoti.
Trad. genseki
Tra ceneri e cristalli.
Vidi
Frutti di bronzo: la loro gravità sospesa
a rami immoti.
Vidi
La passione vorticosa degli uccelli
Sulla macchina celeste dell'allegria.
Vidi
La geometria ardente del lampo.
Nella festa finale arse la porpora
Dell'ultimo giardino
Svennero
Le cifre del lampo e il bronzò si svincolò
Dai rami immoti.
Trad. genseki
mercoledì, maggio 08, 2013
Maritain sul matrimonio
La
verità è questa, secondo me: anzitutto l’amore come desiderio o
passione, e l’amore romantico — o quanto meno un elemento di
esso — dovrebbero, per quanto possibile, essere presenti nel
matrimonio come un primo incentivo, come punto d’avvio.… In
secondo luogo, il matrimonio, lungi dall’avere come suo scopo
precipuo quello di portare al compimento perfetto l’amore
romantico, ha da compiere nei cuori umani ben altra opera:
un’infinitamente più profonda e più misteriosa operazione di
alchimia: voglio dire che ha da trasformare l’amore romantico, o
quanto di esso esisteva all’inizio, in un vero e proprio amore
umano, reale ed indistruttibile, in un amore veramente
disinteressato, che non esclude il sesso, si capisce, ma che diviene
sempre più indipendente dal sesso, e può persino essere, nelle sue
forme più elevate, completamente libero dal desiderio e
dall'interferenza sessuale, in quanto di natura essenzialmente
spirituale: una completa ed irrevocabile donazione dell’uno
all'altro, per amore dell’altro. Così è che il matrimonio può
essere un’autentica comunità d’amore tra uomo e donna: qualcosa
di costruito non sulla sabbia, ma sulla roccia, perché poggia su di
un amore genuinamente umano, non animale, e genuinamente spirituale,
genuinamente personale: attraverso l’ardua disciplina
dell’autosacrificio ed a forza di rinunce e purificazioni.… E
allora ciascuno può diventare una specie di Angelo custode
dell’altro: preparato e pronto, proprio come un Angelo custode
deve essere, a molto perdonare all’altro: infatti la legge
evangelica del reciproco perdono bene esprime, mi pare, un’esigenza
fondamentale, che è valida non soltanto nell’ordine
soprannaturale, ma anche nell’ordine terreno e temporale, e per le
società umane di base, quali la società domestica e la società
politica. Ciascuno, in altre parole, può allora rendersi realmente
dedito al bene e alla salvezza dell’altro.
J. MARITAIN,
Reflections on America, Charles Scribner’s Sons, New York 1958, tr. it.
Riflessioni sull’America, Morcelliana, Brescia 1960, pp. 109-110
Dal blog: http://nipotidimaritain.blogspot.it/
martedì, maggio 07, 2013
Libertà e legge naturale
La cultura contemporanea afferma una libertà assoluta, mediante la quale l'uomo deve realizzare sé stesso. Non esiste, quindi, una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone non solo alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni che considerano che nella nostra natura si trova iscritta una linea determinata di comportamento, il senso stesso del nostro essere. La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Al contrario se siamo solo prodotti dell'evoluzione, siamo liberi da autodefinirci. Esiste allora, come diceva Sartre, una libertà nel senso che "io non sono definito": nella mia situazione, devo inventare quello che è l'uomo. Nella visione cristiana, al contrario, l'esistenza dell'uomo - dell'uomo e della donna - è portatrice di un'idea di Creatore, un Creatore che ha un progetto per il mondo, che esprime idee incarnate nella realtà del mondo.
La relazione di fedeltà tra l'uomo e la donna rivela che sono fatti uno per l'altro, in una unità profonda di corpo e di spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L'elevazione di reazioni fisiche al livello di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana relativa alla sessualità.
Ratzinger
Intervista a Le Figaro magazine
Vita e pensiero
In realtà esiste una parentela molto grande tra vita e pensiero: nell'organismo vivente, tutta la materia vivente coopera alla vita; non si tratta soltanto delle strutture più appariscenti, più nette, che nel corpo dirigono la vita: il sangue, la linfa, i tessuti congiuntivi prendono parte alla vita; un individuo non è soltanto una collezione di organi uniti in sistemo; è fatto anche da ciò che non è organo, né struttura della materia vivente in quanto costituente un ambiente associato per gli organi; la materia vivente è lo sfondo degli organi; è quella che li collega gli uni con gli altri e fa di essi un organismo; è essa che mantiene gli equilibri fondamentali, termici, chimici, su cui gli organi provocano variazioni brusche ma limitate; gli organi partecipano al corpo. Questa materia vivente è lungi dall'essere pura indeterminazione e pura passività, Non è neppure pura aspirazione cieca: è veicolo di energia informata. ...
Senza sfondo del pensiero non ci sarebbe un essere pensante, ma una serie slegata di rappresentazioni discontinue. Questo sfondo è l'ambiente mentale associato alle forme. È il termine medio tra la vita e il pensiero cosciente, come l'ambiente associato all'oggetto tecnico è un termine medio tra il mondo naturale e le strutture fabbricate dell'oggetto tecnico. Possiamo creare esseri tecnici perché abbiamo in noi un gioco di relazioni e un rapporto materia forma che è molto analogo a quello che istituiamo nell'oggetto tecnico.
Gilbert Simondon
"Du mde d'exixtence des objets techniques"
Trad, genseki
domenica, aprile 28, 2013
Tradizione
Concludendo e
riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione
di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il
fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre
le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto
dell’eternità.
Ratzinger
sabato, aprile 27, 2013
Arte e appaenza
L'arte, si dice, è il regno dell'immaginazione libera. Le produzioni ne sono dunque arbitrarie e fortuite, È vero che l'arte consiste nell'apparenza; tuttavia tutto ciò che è deve anche apparire. La verità e l'essenza non ci sarebbero se non apparissero; e, se l'arte è un'illusione, il mondo esterno e quello interno (le cose particolari, i nostri interessi, le nostre inclinazioni individuali; insomma la vita di tutti i giorni), lo sono ancora di più. In relazione al pensiero, non vi è dubbio che l'arte sia apparenza. È inferiore al pensiero per l'espressione; tuttavia lascia intravedere il pensiero, l'idea; e non il mondo sensibile tale quale è, immediatamente nascosto al pensiero. L'arte, del resto, non si distingue che per il modo del suo apparire.
Hegel
Estetica
Libro I
Trad. genseki
venerdì, aprile 26, 2013
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