Hegel
Lezioni sulla filosofia della religione
Parte II cap.1 Sez. prima
“Una notte, a metá del mese di Febbraio del 1927, dopo diversi giorni di bevute si alzó a mezza notte e disse a mio padre: “papá non so che cosa mi succede, ma mi sento come se non fossi io, mi sembra di essere il Papa o l'Anti-Papa. Mi vengono idee orribili, non posso dormire”. Mio padre rispose: “Figlio mio, hai mangiato qualche cosa di indigesto con tutto quello che hai bevuto in questi giorni, ti daró un purgante”. A partire da quel momento ci alzammo da letto e nessuno riuscí piú a dormire in tutta la casa. Lui iceva. “Venite qui con me che da quella parte c'è l'inferno, ci sono i dannati. Ecco il confine. Allontanatevi sorelline, venite con me qui è la Gloria”. Cosí passammo tutto il resto di quella tragica notte vivendo con lui dentro la Divina Comedia fino al mattino. Il giorno dopo furono chiamati i medici: il dottor Abraham Marín suo padrino di battesimo e il dottor Fernando Cortés Rocha, suo cugino che dichiararono che era impazzito.
p. 74
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Nella “Prefazione” al suo libro: “Il Poema quotidiano (e altre poesie) scrive Alfonso Cortés:
“Come risultato, in quei giorni della perdita dell'essere piú amato che della nostra vita, delle lotte mentali combattute e dello squilibrio economico della casa paterna, mi accadde di aver dovuto soffrire uno stato confusionale, che si avvicinava alla follia e che non era nient'altro che la teratologia che suole colpire frequentemente gli intellettuali che lavorano intensamente e profondamente. Siccome capitó a me in modo tale che provvocó non poco disordine mentale e nervoso, ebbene, dovetti sopportare in quei momenti lo spettacolo extra-naturale di una visione terrorizzante como quella che riferisce il profeta Giobbe nel suo libro, e mio padre decidette di trasferirmi alla clinica dell'Ospedale per Malati di Mente della capitale dove, dopo lunghe cure potei ritrovare la salute. (Il poema quotidiano, p. 11).
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Ernesto cardenal sostiene che la follia di Alfonso la provvocó la sua intimitá con Dio. Scrive Cardenal: “Deve essere una intimitá terribile, quella di Dio per rendere folle: - Non voglio piú sentire il solletico di Dio nel mio cervello - grida Alfonso in una delle sue poesie. ... è un tipo di follia non ancora conosciuta dalla scienza e che si chiama “solletico di Dio nel cervello”.
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Alfonso Cortés perse la ragione ma non la poesia.
Carlos Tunnermann
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Negli ultimi anni della sua vita la sua follia diventó tranquilla in modo che fu possibile che le sorelle che ebbero sempre cura di lui lo trasferissero alla sua casa di León. nei primi anni, invece, la sua follia aveva momenti di furore per cui i suoi genitori dovettero incatenarlo a un asse del tetto, tanta era la sua furia che giunse a piegare le sbarre che proteggevano la finestra. Scrive ancora Ernesto Cardenal: “ricordo i suoi occhi pallidi, celesti e la sua barba rossastra, quando con i compagni di scuola passavavamo per casa sua prendendolo il giro... allora non sapevamo e non lo sapevano nemmeno i grandi che quell'uomo era uno dei piú grandi poeti della lingua castigliana”.
A cura di genseki
genseki
Le pietre
Le pietre, ahimé, le pietre hanno un segreto
Dolor che appare come in carni vive
Quando con egoismo sofferente e discreto
Sembra che la vita abbiano a sdegno
E s'oppongano al tempo tenacemente schive
Come se volessero interromperne il regno.
Son mute e rassegnate con il vento
E con l'acqua, non nutrono altro intendimento
Che ribellarsi contro la lor sorte
E sopportar con disdegno il fato,
Ben oltre l'acqua, il vento il fuoco irato
Senz'ansia, forza, vita, senza morte.
È un prometeico supplizio senza nome,
D'essere bestia o albero peggiore
Enti di un'era all'uomo anteriore
Condannate da una vendicativa norma
In sé prigioni – forse perché un giorno
Tolsero al caos il dono della forma.
Vantando invano un simbolo vero
All'apparir del volto della luna
Indagano le cose del mistero,
Aprono al vento che audace le flagella
Le bocche atroci prive di favella
Alzano teste senza alcun pensiero.
E forse in una forma di esistenza
Piú ampia della personalitá,
Vive la natura nella loro coscienza
E ignorano, tanto a lungo han consevato
In sé gli Annali dell'Eternità,
Ch'oblio non v'è ove memoria è spenta.
La pietra viva
La pietra si sveglió (pietra pur era
Come le altre che stanno nel monte
Muschio la pelle e edera le vene)
Gli occhi dischiuse (In quell'ora rara
Che s'illumina il sole come un rogo
Per scaldar la capanna del pastore).
Ecco due passi, intanto, (Era sonora
E barbara la pendice montagnosa
Il vento pettinava la sua cupa chioma).
In tremito interiore si inquietava
La pietra fin che l'ansia
Aperta fe la bocca ai suoi pensieri:
Dove sei mai? Dove sei mai, distanza?
Irrelata de il tempo smisurato,
E quello che Dio è, sola fragranza?
Svestitemi vi prego questa tunica
Con essa l'esser mio non è che cosa,
E la forma il carcer della vita.
Trad. genski
genseki
Allah ci dice en Qur'an che Gesù, la pace sia con lui, fu un profeta ispirato da Lui, che la sua stazione spirituale è quella dello spirito santo...
Gesú è Ruh al Quddús, spirito di santitá, Gesú, inoltre perfeziona la legge e supera la religione dei predecessori, la forza dell'abitudine religiosa per mezzo dell'amore e ci permette cosí la realizzazione spirituale.
La rivelazione di Gesú nel Vangelo (Inyil) secondo i Qur'an ha come tema centrale la nascita del verbo, della parola dopo una lunga gestazione nel cuore prima che il senso si articoli nella nostra gola. La parola che emette il profeta non è solo discorso eloquente, ma il verbo creatore stesso, la parola divina capace di conformare il mondo e la visione umana, capace di articolare i nomi di Dio nel mondo visibile per poter ricordarlo. Questa parola ci prepara per l'incontro con il messagio di Muhammad, la pace sia con lui, al termine del nostro viaggio sui sentieri dei profeti e dei santi.
I Sufi dicono che svegliare Gesú nel nostro significa significa accedere al linguaggio creatore che sgorga dal cuore illuminato.
Tra i musulmani c'è una speciale venerazione per Maria, la pace sia con lei. Secondo quanto dice il Qu'ran nel sura della casa di Imrám, la madre di Maria la concepì per consacrarla al servizio divino. La sua tutela fu affidata a Zaccaria, la pace sia con lui, che era suo parente. Egli la visitava nel tempio e sempre trovava accanto a lei alimenti e provviste. Quando le domandava dadove venissero lei rispondeva: “Da Allah, certamente, egli povvede senza limite a coloro che ama”.
Il Qu'ran ci spiega anche come Maria diede alla luce un figlio, Gesú, un profeta che sará conosciuto come Isah Ibn Mariam, Al Masih, l'unto, che è un riferimento al suo lignaggio allo stesso tempo profetico e regale. La sua preminenza è valida tanto in questa vita come in quella futura, Gesú, la pace sia con lui, discendeva per linea paterna dalla casa di david, e, per parte di sua madre, Mariam, dalla casa di Aronne, la pace sia con loro. Unisce nella sua genealogia il mulk e il malakut, il cielo e la terra, mediante un barzak che solo è posibile per mezzo di una parola purificata.
Nel Qu'ran, Gesú, la pace sia con lui, ci parla fina dalla culla, perché la sua rivelazione è il verbo creatore e questo non è il discorso di un essere umano con una biografia e con una storia, bensí l parola dell'essere umano realizzato. Allo stesso modo la parola non è solo la vibrazione della gola, ma ha bisogno del fiato, del prana, del significato, per potersi articolare, così il Gesú del nostro essere non è soltanto la capacitá di comprendere e diffondere la lingua ma la possibilitá di trasmettere la rivelazione, il significato attraverso lo spirito e la compassione universali.
La adorazione umana ha bisogno della parola perché Dio organizzó la nostra natura in questo modo, la nostra natura è la stessa natura di Adamo, capace di riflettere al suo interno le luci e i suoni del mondo, le pulsioni dell'universo e il sentire di Dio.
Grazie a questa sua capacitá di nominare il mondo e riflettere così la creazione, Allah ci dice nel Qu'ran che per Lui la natura di Gesú è come quella di Adamo, la pace sia con loro.
...
Il messaggio di Gesú, ome quello di Muhammad, la pace sia con loro, è universale, per tutta l'umanitá...
La compassione che è un sentimento spirituale e un valore per tutte le religioni acquisisce cone Gesú, la pace sia con lui, una nuova potente dimensione.
Tale compassione è ralazionata con il fatto di compartire un destino, una visione, cercando di comprendere coloro che percorrono altri sentieri spirituali.
Oggi sono più necessari che mai i luoghi di contatto di incontro, angoli di mondo dai quali poter guardare il futuro con una cetta speranza collettiva. Proprio per questo avvertiamo l'immenso valore che acquisisce oggi il messaggio di Gesú.
Hashim Cabrera
Webislam 10/01/05
trad. genseki
Andiamo Agata
Non mi mentire
Si, hai capito bene
È tuo marito che te lo dice
Sono io che ti ho detto di mentire eh?
Tuo figlio, quello la
Tutti lo vedono che non è il mio
Ma con che faccia tosta vieni qui
A contarmi delle storie
Agata, andiamo tu sei nera dalla testa ai piedi
Come me
E allora! Come hai fatto a mettere al mondo un bambino bianco
E mio per di più?
Ma dai!
Mi prendi per scemo eh!
Ascolta! Il diritto di versarmi da bere ce l'hai
Ma non quello di mentire.
Agata, tuo figlio è nato da un mese
E non ha ancora deciso di prendere il colore locale
E tu vuoi dire che quello è mio figlio
Ci fai Agata? Ma dammi da bere va!
Il vino non mente!
La povera mamma me lo diceva
Figliolo tua mogli
Te en fará vedere di tutti i colori
Te lo dico io!
Di tutti i colori te en fará vedere.
Sei fortunata Agata
Sai?
Un bambino,
Che lo mandi il diavolo o il buon Dio
Che sia bianco o giallo
E persino rosso
Un bambini è sempre un bambino
C'hai una bella fortuna va!
Perché Re Salomone
Proprio lui in persona mi ha detto
Che lo devo tenere il bambino
Come fosse mio
Eh!
Ma attenta! Non mi contar più storie
Se mi fai un altro figlio, verde!
Dimmelo cheè verde, dai!
Non mi far credere che è nero.
Francis Bebey
trad. genseki
I ministri veneziani avevano reclamato presso tutte le corti contro la violenza di questi metodi, il marchese di Bedmar cercó di giustificarli; credette che fosse molto importante rovesciare le fondamenta della venerazione che tutta l'Europa da tanti secoli nutriva per questa republica, che era considerato il piú antico e il piú libero di tutti gli stati. Tale libertá era stata appena messa a prova e innalzata ancora piú in alto in occasione del conflitto con il papa da molti scritti che sembravano ancora inconfutabili anche se la parte avversa non mancava di abili pubblicisti che avevano ben saputo rispondere. L'ambasciatore si era messo a leggere queste opere e in pochi capitoli aveva saputo confutare i numerosi volumi degli autori veneziani, senza degnarsi di citarne nemmeno uno, e siccome tra questi temi non v'è niuno che un uomo abile volendo non possa rendere un garbuglio, con il fine pretestuoso di stabilire il diritto dell'Impero su Venezia, mostró che l'indipendenza di questa repubblica era chimerica e chimerico era il suo impero marittimo. Siccome per i suoi fini era molto meglio ch'egli non fosse noto come l'autore di questo libello, lo fece pubbllicare in modo cosí abile che durante tutta la sua vita non si seppe che avesse qualcosa a che fare con esso. Sembra strano che nessuno lo sospettasse; ma si deve credere che i veneziani ancora non lo conoscessero bene, i suoi modi vivaci e impulsivi, con i quali si presentava, non permettevano loro di pensare che un uomo con un carattere cosí impetuoso potesse essere l'autore di una satire di stato di gran raffinatezza e sottigliezza. L'equità e la buona fede sembravano dominare questo testo; le dichiazioni contro i delitti dei veneziani che vi si trovavano, erano sempre nei termini di una apparente moderazione, che sola bastava a renderle plausibili. Quest'opera che ebbe per titolo: “Squittinio della libertá veneta” fece molto discutere. Non sapendo chi ne fosse l'autore il sospetto cadde naturalmente sulla corte romana, per via di altri scritti simili precedenti. Gli esperti del senato credettero che tutti ne sentissero la forza quanto loro stessi; se ne spaventarono di piú di una battaglia perduta, Frate Paolo ebbe l'ordine di esaminarla. Costui, che si era preso gioco di altri scrittori del partito avverso, dichiaró che in questo caso non conveniva rispondere, perché si sarebbe potuto farlo solo spiegando cose che era meglio lasciare sepolte nelle tenebre dell'antichitá e che se, tuttavia, il senato riteneva che la dignitá della repubblica soffrisse di questo oltraggio, egli si incaricava di mettere la corte di Roma in uno stato di tale ansia difensiva, che non avrebbe piú nemmeno pensato ad attaccare. Questo parere, che fu subito accettato nel fuoco del risentimento, permise a Fra' Paolo sarpi di pubblicare la sua amata “Storia del Concilio di Trento” che altrimenti non sarebbe stata pubblicata durante la sua vita. L'anno 1616 passó senza che nessuna delle due parti conseguisse un vantaggio considerevole. Il Duca di Savoia e i Veneziani, che non volevano far correre rischi di sorta alla gloria conquistata, diedero a Gritti, ambasciatore veneto a Madrid il mandato di riaprire i negoziati. Gli Spagnoli, indignati per la resistenza incontrata avanzarono proposte tanto irragionevoli, che la cosa non ebbe seguito. Gradisca restó bloccata, si continuó a battersi per tutto l'inverno, e gli eserciti si misero in campagna, giunta la primaver, a con un ardore tale che prometteva imprese ancora più grandi di quelli dell'anno anteriore. La tregua in Olanda aveva reso inutili quasi tutte le truppe di quello stato e ridotto gli avventurieri francesi e tedeschi a cercare impiego altrove. I conti di Nassau e di Lievenstein condussero ottomila olandesi e walloni al soldo della repubblica. Gli Spagnoli si lamentarono molto con il Papa del fatto che in questo modo i Veneziani esponevano l'Italia all'infezione dell'eresia veicolata da questi uomini d'arme; ma l'ambasciatore veneziano fece presto comprendere che non era tanto la devozione religiosa che faceva parlare gli Spagnoli quanto piuttosto il timore di vedere due grandi repubbliche unire le forze contro di loro. Il marchese di Bedmar avrebbe avuto dei bei problemi se il Papa avesse obbligato i Veneziani a licenziare quegli eretici. Siccome la maggior parte degli uomini d'arme quando servono un principe straniero non hanno in vista che il loro tornaconto, egli sperava di arruolare per i suoi fini queste truppe mercenarie, con un poco di denaro e la speranza del saccheggio di Venezia. Per negoziare questo affare mise gli occhi su di un vecchio gentiluomo francese, tal Nicolas de Renault, uomo di sapere e prudenza e che era rifugiato a Venezia per qualche oscuro motivo che non si riuscí mai a scoprire. Il marchese di Bedmar lo aveva frequentato a lungo presso l'ambasciata di Francia ove risiedeva.
César Vichard Abbé de Saint-Réal.
Trad. genseki