Le arance si avvolgevano in gomitoli di sillabe calde
Si avvolgevano in luminosi fili liquidi in gomitoli sonori
Ma furono le palme a nitrire per prime scuotendo le criniere
Taglienti come spade mentre la cittá tardava a svegliarsi
Dal sogno delle frane di nebbia.
Il suo occhio verde
Il solo
Gonfio d'acqua e di sali di cromo
Mi catturó poi nella sua orbita
Con tanta voglia di vomitare e un gomitolo di vapore
Nelle schegge di quelle che furono le mie viscere
e che io continuavo a stringere con dita convulse
Fusoliere gomitoli di criniere nella luce fresca
Della nebbia e delle arance
Conficcandomele nei polpastrelli
Sotto le unghie
Perché franava la mia vista
Nel burrone
Definitivamente sprovvista d'altro suono.
...
lunedì, ottobre 13, 2008
Paco Yunque - Ultima parte
Yunque lo avrebbe deto alla mamma e se Umbertino lo picchiava lo avrebbe detto al maestro, ma il maestro non gli faceva niente all'Umbertino. Allora lo avrebbe detto a Paco Farina. Disse a Paco Farina:
A te ti picchia l'Umbertino?
A me? Che ci provi soltanto! Gli do un pugno sul muso, io che gli faccio sputare sangre! Ma guard un po'! Che ci provi soltanto! Che ci provi e vedrá! Lo dio alla mamma! E verrá mio papá e gli dará un pugno sul naso a lui a suo padre e a tutti quanti!
Paco Yunque ascoltava spaventato quello che diceva Paco Farina. Davvero avrebbe picchiato Umertino? E suo papá avrebbe picchiato sul serio il signor Grieve? Paco Yunque non poteva crederlo, l'Umbertino non lo picchiava nessuno. Se Farina lo picchiava sarebbe venuto il padrone a picchiare Farina e anche il papá di Farina. Il padrone avrebbe picchiato tutti. Perché faceva paura a tutti. Perché il signor Grieve era molto duro e stava sempre comandando. E tutti quelli che andavano a casa sua avevano paura e obbedivano sempre al padrone e alla padrona. Insomma il signor Grieve era piú forte del maestro e di tutti quanti gli altri. Paco Yunque guardava il mestro che scriveva alla lavagna. Chi era il maestro? Perché era tanto serio e faceva tanta paura? Yunque continuava a guardarlo. Non era come suo padre e il signor Grieve. Sembrava cme quegli altri signori che venivano a casa a parlare con il apdrone. Aveva la nuca arrossata e il suo naso sembrava moccio di tacc
Tunque comnichino. Le sue scarpe facevano risss-risss-risss-risss quando camminava molto.
Yunque cominciava a essere inquieto. Quando era l'ora di andare a casa? L'umnertino lo avrebbe picchiato all'uscita dalla scuola. E la mamma di Paco Yunque gli avrebbe detto all'Umbertino: “No signorino, per favore non picchi Paquito. Non sia tanto cattivo. E nient'altro”. Paco avrebbe avuto le gambe piene di lividi per i calci dell'Umbertino e si sarebbe messo a piangere. Perché all'Umbertino non gli avrebbe fatto niente nessuno. E il padrone e la padrona amavano molto Umbertino e Paco Yunque aveva molta pena perché l'Umbertino o picchiava molto. A tutti, ma propio a tutti, facevano parua, Umbertino e i suoi genitori. Tutti, tutti, tutti. Anche il maestro, la cuoca, sua figlia. Mamma. Venanzio con il so grembiale. La Maria che lava gli orinali. Ruppe un orinale in tre grandi pezzi. Il padrone picchiava anche il padre di Paco Yunque? Che cosa brutta era questa del padrone e dell'Umbertino. Quando avrebbe finito, il maestro, di scrivere alla lavagna?
Bene! - disse il maestro, smettendo di scrivere. - Ecco qua l'esercizio scritto. Adeeso tirate fuori tutti il quaderno e copiate quello che sta sulla lavagna. Bisogna copiarlo esattamente uguale.
Nel quaderno? - domandó timidamente Paco Yunque.
Si, nel quaderno – rispose il maestro. - Lei sa scrivere un po'?
Sissignore papá mi ha insegnato in campagna.
Molto bene. Tutti a copiare, allora.
I bambini tirarorno fuori i loro quaderni e si misero a copiare l'esercizio che il professore aveva scritto sulla lavagna.
Non dovete stancarvo – diceva il maestro. Bisogna scrivere poco a poco, per non sbagliare.
Umberto Grieve domandó:
Si tratta dell'esercizio scritto dei pesciolini?
Si, forza, tutti a copiare.
L'aula si fece silenziosa. Si poteva udire il fruscio delle matite. Anche il maestro si sdette in cattedra e si mise a scrivere su certi suoi quaderni.
Umberto Grieve, invece di copiare il suo esercizio, si mise a scarabocchiare sul suo quaderno. Lo riempí completamente di disegnini di pesci, di pupazzetti, e di quadrettini. Nell'ultima pagina disegnó questa figura:
Dopo un po' il maestro si fermó e chiese:
- Allora, avete finito?
Bene – disse il maestro – scrivete ben chiaro il nome in fodo alla copia.
Proprio in quel momento suonó la campana della ricreazione.
I bambini cominciarono subito a far gazzarra e uscirono correndo in cortile.
Paco Yunque aveva copiato molto bene il suo esercizio e andó in cortile con il suo libro, il quaderno e il lapis.
Nel cortile arrivó subito Umberto Grieve e afferró Paco Yunque per un braccio dicendogli con collera:
Vieni a giocare.
Lo spnse con forza in mezzo al cerchio e fece cadere il libro, il quaderno e il lapis.
Yunque faceva quello che gli ordinava Grieve, ma era tutto rosso e vergognoso perché glin altri bambini vedevano come lo trattava Umberto. Paco Yunque aveva tanta voglia di piangere.
Paco Farina, i due Zuniga e altri bambini circondavano Umberto Grieve e Paco Yunque. Il bambino magrolino e pallido raccolse il libro, il quaderno e il lapis di Yunque, ma Umberto Grieve glieli strappó via con la forza, dicendogli:
Lasciali! Non ti immischiare, Paco Yunque è il mio servo!
Umberto Grieve portó in classe le cose di Paco Yunque e le mise nella sua cartella. Poi ritornó nel cortile per giocare con Paco Yunque. Lo prese alla nuca e lo fece piegare e mettersi a quattro zampe.
Resta così, tranquillo e non muoverti finché io non te lodica.
Umberto Grieve si ritiró a una certa distanza e si mise a correre da lì per saltare su Paco Yunque con una mano appoggiata sulle sue spalle e dandogli un violentissimo calcio nel sedere. Tornó ad allontanarsi e a saltare su paco Yunque dandogli un altro calcio. Stette a giocare cosí a lungo, Furono piú o meno venti salti e venti calcioni.
Poii, di colpo si udí un pianto. Era Yunque che stava piangendo per i calcioni dell'Umbertino. Allora Paco Farina uscí dal cerchio che avevano formato i bambini e si piantó davanti a Paco Yunque dicendogli:
No! No! Non ti lascio saltare sopra Paco Yunque!
Umberto Grieve rispose minaccioso:
Oh! Paco Farina! Ti spacco la faccia!
Farina peró non si muoveva e restava teso davanti a Grieve dicendogli:
Siccome è il tuo servo lo picchi, gli salti sopra e lo fai piangere, salta e vedrai!
I due fratelli Zuniga abraccaiarono Paco Yunque e gli dicevano di non piangere e lo consolavano:
Perché lasci che ti tratti cosí? Picchialo! Saltagli sopra anche tu! Perché lo lasci fare? Non essere vigliacco! Basta! Non piangere! Adesso andiamo a casa!
Paco Yunque contunuava a piangere e le sue lacrime sembravano affogarlo.
Si formó un gruppo attorno a Paco Yunque e un altro attorno a Umberto Grieve e a Paco Farina.
Grieve diede uno spintone brutale a Farina e lo buttá a terra. Giunse un alunno piú grande, del secondo anno e difese Farina, dando un calcio a Grieve e un altro alunno ancora maggiore, uno del terzo difese Grieve dando uno sberlone furioso a quello del secondo. Per un certo tempo piovvero calci e ceffoni tra i bambini, una vera rissa.
Suonó la campana e tutti i bambini ritornarono nelle loro aule.
Paco Yunque lo trascinarono per le braccia i fratelli Zuniga.
Nell'aula di Prima regnava un gran chiasso, quando entró il maestro tutti tacquero di colpo. Il maetro li vide tutti molto seri e disse con voce militare:
Seduti
Rumore di banchi cartelle e tutti gli alunni già stavano seduti.
Allora il maestro si sedette ala sua cattedra e chiamó i bambini in ordine alfabetico perché consegnassero le copie con gli esercizi scritti sui pesci. Mano a mano che il maestro riceveva le copie le andava leggendo e scrivevav i voti in alcuni libri con una matita.
Umberto Grieve si avvicinó al banco di Paco Yunque e gli restituí il linro, il quaderno e la matita. Prima, peró, aveva strappato la pagina sulla quale stava l'esercizio di paco Yunque e vi aveva messo la firma.
Quando il maestro disse: - Umberto Grieve -, questo presentó l'esercizio di Paco Yunque come se fosse il suo.
E quando il maestro disse. - Paco Yunque -, egli si mise a cercare nel suo quaderno la pagina sulla quale aveva scritto il suo esercizio e non la trovó.
La ha persa o non ha fatto proprio l'esercizio? - chiese il maestro.
Paco Yunque non sapeva che cosa era capitato alla pagina del suo quaderno e pieno di vergogna, restó in silenzio e abbassó il capo.
Bene, - disse il maestro e annotó in uno dei suoi libri la mancanza di Paco Yunque.
Poi vennero tuti gli altri a consegnare ciascuno il proprio esercizio. Quando il maestro ebbe visto il lavoro di tutti, ecco, improvvisamente entrare il Direttore della Scuola.
Il maestro e i bambini si misero in piedi con rispetto. Il Direttore guardó come se fosse arrabbiato gli alunni e disse ad alta voce:
Seduti!
Poi chiese al maestro.
Lei sa giá chi è l'alunno migliore di questa classe, hanno giá fatto l'esercizio settimanale di classificazione?
Si, Signore, hanno appena finito di farlo e Umberto Grieve ha avuto il voto più alto.
Dov'é il suo esercizio?
Eccolo qua, signor Direttore.
Il maestro cercó tra i fogli degli alunni e trovó l'esercizio firmato da Umberto Grieve. Lo diede al Direttore che esaminó a lungo la copia.
Molto bene – disse il Direttore, contento-
Salì in cattedra e guardó severamente gli alunni. Poi disse con la sua voce un poco roca ma energica:
Di tutti gli esercizi che avete fatto, il migliore è quello di Umberto Grieve. Cosí il nome di questo bambino sará scritto nel Tabellone d'Onore di questa settimana, come l'alunno migliore del primo anno. Venga fuori Umberto Grieve.
Tutti i bambini guardarono ansiosi Umberto Grieve che uscì pavoneggiandosi e si fermó dritto e orgoglioso davanti alla cattedra del maestro. Il Direttore gli diede la mano e gli disse:
Molto bene, Umberto Grieve, felicitazioni. Tutti i bambini dovrebbero essere così. Molto bien.
Si rivolse, poi, agli altri alunni e disse loro:
Tutti voi dovete fare come Umberto Grieve. Devono essere buoni alunni come lui. Devono studiare e applicarsi come lui. Devono essere seri, educati e rispettosi come lui. E cosí facendo riceverete tutti un premio alla fine dell'anno e anche i vostri nomi saranno scritti nel tabellone d'onore della Scuola come quello di Umberto Grieve. Speriamo che la settimana prossima ci sia un altro alunno che si comporti bene e faccia un buon esercizio come quello che ha fatto Umberto Grieve. Lo spero proprio.
Il direttore restó un po' in silenzio. Tutti gli alunni erano pensierosi e guardavano Umberto Grieve con ammirazione! Che forte l'Umberto! Che buon esercizio ha fatto!
Proprio buono! Il migliore di tutti! Anche se arriva tardi! E se picchia tutti! Peró lo vedevano coi loro occhi! Aveva stretto la mano al direttore! Umberto Grieve, il migliore di tutti quelli di Prima.
Il Direttore si congedó dal maestro, fece un cenno agli alunni che restarono immobili per salutarlo e uscí:
Poi il maestro disse:
Seduti!
Rumore di banchi. Gli alunni stavano seduti.
Il maestro ordinó a Grieve di ritornare al suo posto. Umberto Grieve, molto allegro, tornó al suo posto e passando davanti a Paco farina gli fece una linguaccia.
Paco Farina diss a bassa voce a Paco Yunque:
Guarda, il maestro sta scrivendo il tuo nome nel suo libro, perché non hai presentato l'esercizio. Guardalo! Ti dará una punizione, resterai qui a scuola senza poter ritornare a casa. Perché hai strappato il tuo quaderno? Dove lo hai messo?
Paco Yunque non rispondeva niente e restava con la testa bassa.
Eddai! - Ripeteva Paco Farina – Rispondi! Perché non rispondi? Dove lo hai lasciato l'esercizio?
Paco farina si chinó per sbirciare il volto di Paco Yunque e vide che stava pinagendo.
Piantala! Non pinagere! Non devi star male! Vieni andiamo a giocare con la mia scacchiera! Ci sono le torri nere! Piantala! Non fare lo scemo! Non piangere.
Paco Yunque continuava a piangere accoccolato.
giovedì, ottobre 09, 2008
Cesare
Morire di giovedi, Cesare
Nell'acquazzone, a Parigi
Perchè non si ha piú la forza
Di trascinare tante stanze d'albergo
Nelle tasche del cappotto
E nemmeno di trascinare le tasche
Piene di pezzetti di rabbia e di mondo
Torsoli di dolore
Morire di sera a Parigi, un giovedi
Mentre piove
E la tua cagnetta bianca
Rabbiosa morde quello che resta della tua caviglia
Perché hai impegnato tutte le tue ossa
Per comprare quel tavolo di noce
Al quale apparire seduto per sempre
In camicia perfettamente bianca
Mentre scrivi versi su giovedi
e su quelli che muoiono soli
Nell'acquazzone, a Parigi
Perchè non si ha piú la forza
Di trascinare tante stanze d'albergo
Nelle tasche del cappotto
E nemmeno di trascinare le tasche
Piene di pezzetti di rabbia e di mondo
Torsoli di dolore
Morire di sera a Parigi, un giovedi
Mentre piove
E la tua cagnetta bianca
Rabbiosa morde quello che resta della tua caviglia
Perché hai impegnato tutte le tue ossa
Per comprare quel tavolo di noce
Al quale apparire seduto per sempre
In camicia perfettamente bianca
Mentre scrivi versi su giovedi
e su quelli che muoiono soli
Sestri
Di Sestri ora ricordo tante corde
Corde di canapa, corde vere, secche o umide
Amiche del palmo della mano
Fino a ferirlo
Di Sestri ricordo corde e corde
Non quelle dei panni stesi
Solide corde intrecciate, invece,
Come devevano essere i capelli delle paesane
Quando l'uomo ancora esisteva e a Sestri c'erano fiumi
Uno si chiamava Chiaravagna
Che scendevano tra le canne e i fichi fino alla riva del mare
Io non mi ricordo i fiumi, mi ricordo di corde e corde
Anche esse serpeggianti come gli orbetti dei torrentelli
E la luce ricordo
Tra corda e corda
Lavare una a una le crose
Appena sveglia liberata dal lenzuolo azzurro del mare
Corde di canapa, corde vere, secche o umide
Amiche del palmo della mano
Fino a ferirlo
Di Sestri ricordo corde e corde
Non quelle dei panni stesi
Solide corde intrecciate, invece,
Come devevano essere i capelli delle paesane
Quando l'uomo ancora esisteva e a Sestri c'erano fiumi
Uno si chiamava Chiaravagna
Che scendevano tra le canne e i fichi fino alla riva del mare
Io non mi ricordo i fiumi, mi ricordo di corde e corde
Anche esse serpeggianti come gli orbetti dei torrentelli
E la luce ricordo
Tra corda e corda
Lavare una a una le crose
Appena sveglia liberata dal lenzuolo azzurro del mare
mercoledì, ottobre 08, 2008
andava spegnendosi in me
Genova e la sua leggenda andavano spegnendosi in me
Non si ramificavano in episodi secondari non mettevano
Foglie né gemme resinose.
Soltanto il mare restava, restava laggiú lontano e definito
Come un mattone immenso di cobalto e di rame
Pesante sul destino di tutti coloro che respirano
Rendendo lenti, e viscosi gli aloni di tutte le anime
Genova e la sua leggenda si spegnevano
Si spegnevano in me in una fugace rincorsa di platani
In alberi maestri abbandonati nei campi di giugno
In un mare di grano, in ondeggianti sottovesti bianche
Avanzavano gli ultimi mattini di Genova con passo
Da top model dimentichi di blasoni e di grifoni
Di spille da balia e di cammei
E anche io andavo spegnedomi nei viaiai delle risacche
Mi spegnevo in Genova e in me lasciando che mare
E schiuma scalzassero il grande fico dell'orto
Sotto il quale sedeve Bertin il patriarca fumando con un grillo
Sulla spalla respirando con profonda soddisfazione
L'odore del fruttosio e quello del letame.
Non si ramificavano in episodi secondari non mettevano
Foglie né gemme resinose.
Soltanto il mare restava, restava laggiú lontano e definito
Come un mattone immenso di cobalto e di rame
Pesante sul destino di tutti coloro che respirano
Rendendo lenti, e viscosi gli aloni di tutte le anime
Genova e la sua leggenda si spegnevano
Si spegnevano in me in una fugace rincorsa di platani
In alberi maestri abbandonati nei campi di giugno
In un mare di grano, in ondeggianti sottovesti bianche
Avanzavano gli ultimi mattini di Genova con passo
Da top model dimentichi di blasoni e di grifoni
Di spille da balia e di cammei
E anche io andavo spegnedomi nei viaiai delle risacche
Mi spegnevo in Genova e in me lasciando che mare
E schiuma scalzassero il grande fico dell'orto
Sotto il quale sedeve Bertin il patriarca fumando con un grillo
Sulla spalla respirando con profonda soddisfazione
L'odore del fruttosio e quello del letame.
Soria della Calligrafia Cinese
Breve documentario della televisione cinese dove si parla anche di Wang Xizhi e della sua calligrafia nel parco delle peonie
Storia della calligrafia cinese Zhi Yong (VI sec. d.C.)
Zhi Yong fu discendente di settima generazione del grande mestro Wang Xizhi. Non seguì la tradizione della sua famiglia i cui componenti erano tutti grandi funzionari dello stato o uomini politici ma preferí entrare in un monastero.
Nella torre del monastero Yong Xin Shi nella cittá di Wu Xing nello Zhe Jiang per trenta anni, senza interruzione si dedicó a studiare il Xingshu Qianziwen dell'avo Wang Xizhi e si dice che giunse a copiarlo fino a ottocento volte.
Distibuiva le copie che realizzava nei monasteri lungo lo Yangzi perchè serviseero da modello per tutti coloro che si dedicavano a questa arte.
Attraverso questo duro esercizio giunse ad assimilare perfettamente la maestria e la purezza ineguagliabili di questo testo il cui titolo significa: “Poema di mille caratteri”. Si tratta di un'opera composta durante il regno dell'Imperatore Wu di Liang da Yin Tie Shi e Chu Xin-tu che trassero mille caratteri dalle opere di Wang Xizhu e li ricopiarono poi uno ad uno su fogli separato. Questi fogli furono poi riuniti in modo da formare un poema dotato di senso di versi cuadrisillabi rimati.
Il piú grande calligrafo dell'epoca che era Xiao Cu-yun, realizzó una copia del poema sulla carta e questa copia fu poi incisa su una stele per ordine dell'Imperatore.
Tutto questo lavoro ricevette come ricompensa il sigillo imperiale con il carattere Chi.
Il carattere fu apposto sulla prima edizione cartacea.
Il sigillo contenente il carattere Chi significa che la calligrafia realizzata contiene innovazioni sia nella composizione sia nel tratto.
Nessuno dei mille caratteri del poema si ripete nel testo.
Zhi Yong è considerato come un anello di passaggio tra la calligrafia tradizionale creata dal suo antenato Wang Xizhi e quella della dinastia Tang..
Dei suoi caratteri è stato detto che sembrano caduti dal cielo senza lasciare tracce del movimento del pennello.
Ci sono giunte solo due copie delle sue opere che si trovano oggi in una collezione privata di Kyoto.
A cura di genseki
martedì, ottobre 07, 2008
Cesar Vallejo - Poeta Peruano, parte 1
Questa è la prima parte di un documentario sulla vita di Cesar Vallejo. Il post precedente è il seguito del racconto Paco Yunque
Paco Yunque
Farina disse a Paco Yunque:
Tuo papa non c'ha il grano?
Paco Yunque ci pensò su e si ricordó di aver visto una volta sua mamma con qualche peseta in mano e disse a Farina:
Anche mia mamma c'ha il grano.
Quanto? - chiese Farina.
Anche quattro peseta.
Farina disse al maestro a voce alta:
Paco Yunque dice che anche sua mamma c'ha i soldi.
Bugia! - rispose Umberto Grieve – Paco Yunque dice le bugie, sua mama fa la serva a lla mia e non c'ha niente.
Il professre prese il gesso e si mise a scrivere alla lavagna dando le spalle ai bambini.
Umberto Grieve, aprofittando del fatto di non esssere visto dal professore, fece un saltó, diede uno strattone ai capelli di Paco e ritornó di gran carriera al suo banco. Paco Yunque si mise a piangere.
Che cosa succede – disse il professore, girandosi per vedere quello che succedeva.
Paco Farina disse:ç
Grieve gli ha tirato i capelli, signor maestro.
Nossignore – disse Grieve -. Non sono stato io. Se non mi sono mosso!
Bene, bene! - Disse il maestro - Silenzio! Stia zitto Paco Yunque! Silenzio
Continuó a scrivere sulla lavagna e poi chiese a Grieve:
A tirarlo fuori dell'acqua, che cosa gli capita al pesce?
Se en va a vivere nel mio salotto – rispose Grieve.
E i bambini giù a ridere di 'sto Grieve che non sapeva un tubo. Paensava solo a casa sua, al suo salotto, al suo papá e alla sua grana. Diceva sempre fesserie.
Vediamo un po', Paco Yunque -, disse il professore – Che cosa capita al pesce se lo tiriamo fuori dall'acqua?
Paco Yunque, che stava ancora un po' piangendo per lo strattone ai capelli che gli aveva dato Grieve, ripeté tutto d'un fiato quello che aveva detto il professore:
Fuori dall'acqua i pesci muoiono perché gli manca l'aria.
Esatto! Diceva il maestro -, molto bene.
Si rimise a scrivere alla lavagna.
Umberto Grieve colse l'occasione un'altra volta e andó a dare un pugno in bocca a Paco Farina, poi con un salto tornó al suo posto. Farina invece di mettersi a piangere come Paco Yunque disse ad alta voce al maestro:
Signor maestro, Umberto Grieve mi ha appena picchiato!
È cosí Signore! È proprio cosí - dicevano i bambini tutti insieme.
Un brusio terribile cresceva nell'aula.
Il maestro diede un pugno sulla cattedra e disse:
Silenzio!
Nell'aula si fece silenzio e ogni alunn stava nel suo banco serio e ben diritto, guardando ansiosamente il maestro. Questi sono i casini dell'Umberto Grieve! Ecco quello che capitava per colpa sua! Stiamo a vedere adesso come va a finire con il mestro che era tutto rosso di rabbia e per colpa di quel Grieve!
Che caos è questo ? - chiese il maestro a Paco Farina.
Paco Farina, con gli occhi brillanti di rabbia diceva:
Umberto Grieve mi ha dato un pugno e io non gli ho fatto niente.
È cosí, Grieve?
Nossignore – disse Umberto Greieve -. -Non lo ho picchiato io.
Il maestro guardó tutti gli alunni sena sapere che pesci pigliare- Chi dei due diceva la veritá? Farina o Grieve?
Chi lo ha visto? Chiese il maestro a Farina.
Tuttti, Signor Maestro? Anche Paco Yunque lo ha visto.
È vero quello che dice Farina? Chiese il maestro a Yunque.
Paco Yunque guardó Umberto Grieve e non osó ripspondere, perché se diceva di si, Umbertino lo avrebbe picchiato all`uscita. Yunque non disse niente e abasso il capo.
Farina disse:
Yunque non dice niente, Signor maestro, perché Umberto Grieve lo picchia, perché è il suo servo e vive in casa sua.
Il maestro chiese agli altri bambini:
Chi altri ha visto quello che dice Farina?
Io signor Maestro! Io! Io!
Il maestro tornó a domandare a Grieve.
Allora è proprio cosí, ha picchiato Farina?
No, Signor Maestro, non che non l'ho picchiato.
Attento a mentire Grieve, Un bambino perbene non deve dire le bugie!
No, Signore, non l'ho picchiato.
Va bene, Le credi, so che Lei non dice bugie, mai. Bene. Peró stia attento da ora in poi.
Il maestro si mise a passeggiare, pensoso, e tutti gli alunni continuavano circospetti e diritti nei loro banchi.
Paco Farino borbottava come se volesse mettersi a piangere:
Non lo castigano perché suo papá è ricco, Lo vado a dire alla mamma.
Il maestro udí e si piantó incollerito davanti a Farina dicendogli ad alta voce:
Ma cosa dice. Umberto Grieve è un buon alunno. Non dice le bugie, non disturba nessuno. Per questo non lo punisco. Qui tutti i bambini sono uguali, figli di ricchi e figli di poveri. Castigo anche i figli dei ricchi. Se ripete queste cose lo castigheró con due ore di reclusione. Mi ha capito bene?
Paco Farina e Paco Yunque curvarono la schiena. Sapevano tutti e due che Umberto Grieve gli aveva picchiati e che era un gran bugiardo.
Il maestro riprese a scrivere alla lavagna.
Perché non hai detto al maestro che Umberto Grieve mi ha picchiato?
Perché cosí poi mi picchia.
Perché non lo dici a tua mamma?
Cosí mi picchia anche lei e la padrona si irrita.
Mentre il maestro scriveva alla lavagna. Umberto Grieve faceva i disegnini sul quaderno.
Paco Yunque stava pensando a sua mamma. Poi si ricordo della padrona e di Umbertino. Lo avrebbero picchiato a casa? Yunque guardava gli altri bambini che non picchiavano né Yunque né Farina e nessuna altro e non volevano neppure trascinarlo al loro banco come voleva fare Umbertino. Perché Umbertino faceva cosí con lui?
giovedì, ottobre 02, 2008
Storia della calligrafia cinese - Wang Xizhi (303 - 379)
Discendendente da una famiglia nobile del Nord della Cina, devota al taoismo, non giunse mai ad occupare cariche importanti nell'amministrazione, tutte le sue ambizioni le poneva nell'arte.
La sua carriera professionale la inizió nella grande biblioteca imperiale ma viaggio molto, anche in luoghi remoti dell'impero, per svolgere missioni e compiere incarichi di non soverchia importanza.
Alla vita nei grandi centri amministrativi e del potere preferì sempre la calma della natura.
Nel 355 si dimise da funzionario per stabilirsi nella cittá di Kuaiji dove aveva svolto il suo ultimo incarico.Non ci sono giunti esemplari originali della sua calligrafia, le copie in pietra, tuttavia, furono modelli sublimi per secoli.
Il padre lo avvió a questa disciplina, egli con gli zii era calligrafo e uomo di stato. Undici generazioni della famiglia Wang si distinsero nell'amministrazione e nella calligrafia.
Wang Xizhi e il suo circolo di amici erano soliti discutere di temi inerenti al buddismo e al taoismo, comporre poesie, musica e realizzare calligrafie, immersi nella natura.
Il circolo passó alla storia grazie a una calligrafia che Wang Xizhi realizzó alla fine di uno di questi incontri nel "Padiglione delle Orchidee", in essa narra come il gruppo di amici seduti sulle due sponde di un ruscelletto discutessero di filosofia. Avevano deciso che chi fosse capace di cogliere una delle coppe di vino che le camare lasciavano in balia della corrente su foglie di loto dovesse comporre una poesia.
Le principali opere di Wang Xizhi sono:
Shi Qu Tie di 23 fogli che reca il sigillo di approvazione imperiale dell'imperatore Taizong
Yue Yi Lun
Huang Jing Jing
Dong Fang Shi Hu Zan
Lang Ting Shu calligrafia del padiglione delle peonie.
A cura di genseki
mercoledì, ottobre 01, 2008
Gramsci e l'islam II
Assenza di un clero regolare che serva da trait-d'union tra l'Islam teorico e le credenze popolari. Bisognerebbe studiare bene il tipo di organizzazione ecclesiastica dell'Islam e l'importanza culturale delle universitá teologiche (come quella del Cairo) e dei dottori. Il distacco trai intellettuali e popolo deve essere molto grande, specialmente in certe zone del mondo musulmano: cosí è spiegabile che le tendenze politeiste del folklore rinascano e cerchino di adattarsi al quadro generale del monoteismo maomettano ...
Il fenomeno dei santi è specifico dell'Africa settentrionale ma ha una certa diffusione anche in altre zone. Esso ha la sua ragione di essere nel bisogno (esistente anche nel Cristianesimo) popolare di trovare intermediari tra la divinitá e gli uomini; gli intellettuali (sacerdoti o dottori) avrebbero dovuto mantenere questo legame attraverso i libri sacri; ma tal forma di organizzazione religiosa tende a diventare razionalistica e intelletualistica (cfr. il protestantesimo che ha avuto questa linea di sviluppo) , mentre il popolo primitivo tende a un misticismo prprio, rappresentato dall'unione con la divinitá con la mediazione dei santi (il protestantesimo non ha e non puó avere santi e miracoli); il legame tra gli intellettuali dell'Islam e il popolo divenne solo il “fanatismo” che non puó essere che momentaneo, limitato, ma che accumula masse psichiche di emozioni e di impulsi che si prolungano in tempi anche normali. (Il cattolicesimo agonizza per questa ragione: che non puó creare, periodicamente, come nel passato, ondate di fanatismo; negli ultimi anni, dopo la guerra, ha trovato dei sostituti, le cerimonie collettive eucaristiche che si svolgono con splendore fiabesco e suscitano relativamente un certo fanatismo: anche prima della guerra qualche cosa di simile suscitavano, ma in piccolo, su scala localissima, le così dette missioni, la cui attivitá culminava nell'erezione di un'immensa croce con scene violente di penitenza, ecc.)
Questo movimento nuovo dell'Islam è il sufismo. I santi musulmani sono uomini privilegiati che possono, per speciale favore entrare in contatto con Dio, acquistando una perenne virtù miracolosa e la capacitá di risolvere i problemi e i dubbi teologici della ragione e della coscienza. Il sufismo organizzatosi a sistema de esternatosi nelle scuole sufiche e nelle confraternite sufiche e nelle confraternite religiose, sviluppó una vera teoria della santitá e fissó una vera gerarchia di santi. L'agiografia popolare è più semplice di quella sufica. Sono santi per il popolo i piú celebri fondatori o capi di confraternite religiose; ma anche uno sconosciuto, un viandante che si fermi in una localitá a compiere opere di ascetismo e benefici portentosi a favore delle popolazioni circostanti, può essere proclamato santo dalla pubblica opinione, Molti santi ricordano i vecchi idoli delle relligioni vinte dall'Islam.
Quaderno 5 (IX) 46 bis
martedì, settembre 30, 2008
Calligrafia
Il giorno 19 del secondo mese dell'era Dali ho avuto occasione di assistere, presso l'intendente Yuan Chui a Guizhou, alla rappresentazione della "Danza della Spada" eseguita dalla dodicesima Signora Li originaria di Linying. Pieno di ammirazione per la alta qualitá della sua arte gli chiesi chi fosse stato il suo maestro. Mi rispose: - sono discepola della Signora Gongsun. Mi ricordai, allora, che nel terzo anno dell'era Kaiyuan, quando ero ancora bambino, vidi danzare la Signora Gongsun a Yancheng. I suoi movimenti, gli ampi mulinelli si inanellavano in una metamorfosi continua caratterizzata da un ritmo virile e involvente e questo faceva di lei la migliore danzatrice della sua epoca. Tra tutte le danzatrici delle due scuole di corte Yichun e Liyuan, fin dai Tempi del Grande Imperatore Saggio e del Grande Conquistatore, non si faceva che parlare di lei, si discuteva slo della sua arte e della sua bellezza. Adesso che ho i capelli bianchi e che anche la sua discepola non è più giovanissima, il nostro incontro mi ha rivelato che la grande tradizione comporta un solo lignaggio.
Emozionato per l'evocazione del tempo passato ho composto il "Canto della danza della spada".Un tempo Zhang Xu eccelleva nella calligrafia; avendo ammirato a piú riprese la "Danza della spada di Xiha" eseguita dalla signora Gongsun, la sua scrittura proggredí enormemente. Possiamo immaginare in che modo il suo stile emozionante e potente si sia ispirato all'arte della grande danzatrice.
Du Fu
trad genseki
lunedì, settembre 29, 2008
Lankavatara Sutra
La parola e la Realtá
Le parole e i discorsi sono prodotti dalla legge di causa e di effetto e sono condizionati reciprocamente da essa – non possono esprimere la Realtá. Anzi, nella Realtá non ci sono differenze che possano essere discriminate e non c'è niente che possa essesre proclamato o affermato relativamente ad essa. La Realtá è uno stato di estasi sublime, non è uno stato di discriminazione e di parola e non si puó entrare in questo stato per mezzo di semplici dichiarazioni intorno ad esso.
Le parole e i discorsi sono prodotti dalla legge di causa e di effetto e sono condizionati reciprocamente da essa – non possono esprimere la Realtá. Anzi, nella Realtá non ci sono differenze che possano essere discriminate e non c'è niente che possa essesre proclamato o affermato relativamente ad essa. La Realtá è uno stato di estasi sublime, non è uno stato di discriminazione e di parola e non si puó entrare in questo stato per mezzo di semplici dichiarazioni intorno ad esso.
*
venerdì, settembre 26, 2008
Frammento della consapevolezza dell'Uno
Riposavano così un corpo su di un altro
Minerali e unghie, branchie e capelli misurandosi riposavano
Sopprattutto là dove apparivano le lande delle crepe
E la densitá dei corpi rendeva massima la distanza
Riposavano cosí nel corpo a corpo, mano per occhio
Dente per coltello avvolti nell'alone dei fiati
poteva capitare che generassero campi di piume
per il resto riposavano uno sull'altro
ogni abito sul suo monaco, ogni piaga a portata del suo dito
ogni crepa nella sua guaina, ogni corpo disabitato
accanto al fagottino dei suoi panni.
Minerali e unghie, branchie e capelli misurandosi riposavano
Sopprattutto là dove apparivano le lande delle crepe
E la densitá dei corpi rendeva massima la distanza
Riposavano cosí nel corpo a corpo, mano per occhio
Dente per coltello avvolti nell'alone dei fiati
poteva capitare che generassero campi di piume
per il resto riposavano uno sull'altro
ogni abito sul suo monaco, ogni piaga a portata del suo dito
ogni crepa nella sua guaina, ogni corpo disabitato
accanto al fagottino dei suoi panni.
giovedì, settembre 25, 2008
L'eone dogmatico IV
Lucian Blaga
La dialettica
La dialettica antica, di Eraclito è troppo metaforica, quella diProclo troppo mitologica per servire da modelli decisivi di questo specie di pensiero: sceglieremo, invece, alcuni esempi del filosofo che portó il pensiero dialettico ad un livello tale che difficilmente sará possibile che possa proggredire ulteriormente. ... Solo in Hegel appare la dialettica per quanto possibile libera da contaminazione con altre forme di pensieri e pienamente cristallizzata dal punto di vista metodologico. ...
Quello che interessa soprattutto in uno studio dedicato al pensiero dogmatico è l'idea hegeliana di concetto concreto. Il pensiero dialettico opera, secondo Hegel, con concetti concreti. Cercare di determinare questi concetti significa, in fondo, esporre proprio il metodo dialettico. I concetti concreti, espressione espressione sommaria de azzeccata di un metodo, non sono concetti nel senso classico della parola. Rappresentano un tipo di costruzione sui generis, di carattere centaurico, ibrido.
Il “concetto concreto” è un costrutto che si avvale tanto dei privilegi dell'astrazione come dei vantaggi della concretezza. Un esempio tra cento possibili è il concetto concreto di “divenire”, preso come concreto e considerato in tale qualitá dal punto di vista astratto-logico, acquista uno strano aspetto di tensione interna, di problemático, sfiorando l'impossibile; considerandolo più da vicino sotto l'aspetto puramente logico, si suddivide in componenti contraddittorie che si escludono reciprocamente. Lo stesso concetto concreto di “divenire”, preso come astratto e visto in questa condizione dal punto di vista “concreto”, si presenta come qualche cosa in perfetto equilibrio, libero da difetti e da qualunque tensione interna, come un tutto solidale al suo interno. Qualunque concetto concreto puó essere scomposto, dal punto di vista logico-astratto, in momenti che si oppongono, qualunque concetto concreto comporta da questo punto di vista formule antinomiche, rappresenta, nel concreto, una sintesi possibile di momenti astratti contradditori. L'antinomia inesistenza-esistenza, alla quale riducimo il concetto concreto di “divenire”, dal punto di vista astratto, è annullata nella sintesi da una totalitá concreta (alla quale sul piano concettuale corrisponde proprio il concetto di “divenire”). Il concetto concreto, come voleva Hegel e come deve essere in ogni sistema dialettico, non si identifica completamente né con il momento astratto né con quello concreto intuitivo; è una formazione per sé, intermedia, o, se così vogliamo chiamarla: centaurica. Un cosiddetto concetto concreto, riflesso nello specchio del logico astratto, si presenta come antinomia; riflesso nel concreto si presenta come sintesi di momenti escludentisi: “Non sarebbe difficile, dice Hegel, mostrare l'unitá di nulla e di esistenza in qualunque atto o pensiero... A proposito dell'esistenza e del nulla si deve affermare che nulla v'é nel cielo e sulla terra che non contenga esistenza e inesistenza” Perché tutto è divenire. Ció che logicamente pare impossibile, antinomico, paradossale, risulta possibile e sintetico una volta concretamente realizzato. Il concreto è il gran campo in cui si risolve qualunque paradosso dialettico. (unitá dei contrari).
Comparato con i paradossi dialettici, il paradosso dogmatico presenta una natura distinta. L'antinomia dogmatica si differenzia da quella dialettica per il fatto che esclude la sintesi nel concreto. Mentre la sintesi dialettica puó essere conosciuta concretamente, la sintesi dogmatico è in contrasto con il concreto. Tutta la struttura, articolazione e configurazione del concreto rigetta l'accordo con l'antinomia dogmatica. Il concreto che, per il paradosso dialettico costituisce il campo supremo della giustificazione si oppone, invece, al paradosso dogmatico. La sintesi antinomica può essere perfettamente concepita con l'aiuto del concreto: “inesistenza+esistenza=
divenire”. Lo stesso concreto, tuttavia, si oppone in modo definitivo e categorico a una sintesi di contenuto come questa: “una sostanza puó perdere sostanza restando comunque integra”. I paradossi dogmatici non sono tali solo sul piano logico come quelli dialettici ma anche sul piano della concreteza. La conoscenza no offre la soluzione del paradosso dogmatico; essa postula la trascendenza.
Se le antinomie dogmatiche si potessero davvero sovrapporre a quelle dialettiche, ci sarebbero tanti dogmi quanti concetti concreti ci sono, poiché ogni concetto concreto ammette, per Hegel, formulazioni antinomiche. Tuttavia conosciamo soloun numero ridotto di dogmi (nel senso che abbiamo dato a questa parola). Solo i pensatori che hanno edificato i propri sistemi sullo scheletro della dialettica possono sostenere che il dogma è una sorta di dialettica embrionaria, un principio, una prima fase. I due tipi di pensiero differiscono essenzialmente. La formulazione dogmatica è una categoria a parte. La relazione della dialettica con ilconcreto è completamente distinta da quella dogmatica.
...
La sintesi dogmatica si trova in radicale disaccordo e fisso con il concreto, non per il fatto di riferirsi alla trascendenza ma indipendentemente da questo. Ci sono tante tesi metafisiche che si riferiscono alla trascendenza, senza per questo essere dogmatiche, ovvero in contrasto con il concreto. I concetti usati nei dogmi, sono concetti comuni, con corrispondenze concrete o pensabili concretamente nell'immaginazione (“persona”, “essere”, “sostanza”, “numero”, “natura”, “essenza”, etc.); il dogma distorce le relazioni logiche inerenti a questo concetti, in modo tale che risulta impossibile una sintesi nel campo del concreto; per questo si postula che la sintesi abbia luogo nella trascendenza.
traduzione e adattamento di genseki
mercoledì, settembre 24, 2008
Furu ike ya
Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto
*
Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.
Basho
***
Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana
*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia
Buson
***
Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi
*
Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana
Bosai
***
Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.
*
Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´
Ryokan
Kawazu tobikomu
Mizu no oto
*
Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.
Basho
***
Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana
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Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia
Buson
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Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi
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Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana
Bosai
***
Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.
*
Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´
Ryokan
martedì, settembre 23, 2008
Alla fine mi lasciai cadere
Alla fine mi lasciai cadere
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*
22/09/08
23:30:35
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*
22/09/08
23:30:35
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