A sei anni
Vivevo in un cimitero di bambole
Evitando me stessa,
Il mio corpo,sospettato
Nella sua casa grottesca
Me ne restavo chino nella mia stanza dietro una porta
In cella,
Ero l'esiliata
Seduta tutto il giorno su di un nodo.
Parleró delle meschine crudeltá dell'infanzia;
Ero la terza figlia
L'ultimo regalo
L'ultima accolta
- Delle umiliazioni di ogni sera quando la Madre mi spogliava,
Della vita durante il giorno chiusa nella mia stanza -
Perché ero l'indesiderata, l'errore
Che la Madre usó per evitare che il Padre
Divorziasse.
Divorzio!
L'amico romantico,
Romantici che volano sulle mappe
Di altri paesi
Fianchi e nasi e monti
In Asia o nella Foresta Nera
O acchiappata dal 1928
L'anno dell'Io,
Per un errore,
Non a causa del divorzio
Piuttosto l'Io che rifiutava di succhiare il seno
Che non poteva compiacere
Quell'io di cui il corpo crebbe insicuro,
L'Io che schiacciava il naso delle bambole
Che non poteva rompere,
Penso alle bambole,
Cosí ben fatte
Così perfettamente asemblate
Mentre le stringevo a me
Baciando le loro bocche irreali
Ricordo la loro pelle soave,
Quelle appena comprate,
La pelle rosa e gli occhi gravi di porcellana azzurra.
Venivano da un terra misteriosa
Senza il dolore della nascita,
Nate bene, in silenzio.
Quando volevo fare visita,
L'arrmadio era dove facevo le prove della vita,
Tutto il giorno tra le scarpe,
Lontana dalla luna della lampadina del soffitto,
Lontana dal letto, dal tavolo massiccio
E quell'orribile rosa ripetuta sulle pareti.
Non cervavo di metterlo in discussione
Mi nascondevo nell'armadio come chi si nasconde in un albero,
Crescevo nell'armadio come fossi una radice,
Tuttvia pianificando voli,
Convinta che avrei innalzato il mio corpo fino al cielo,
Trascinandomelo appresso come fosse un gran letto,
E sebbene non fossi qualificata,
Ero sicura che ci sarei riuscita,
Almeno a andar su come un'ascensore.
Con sogni di questo tipo,
Con tali sogni,
Accumulando energia come un toro,
Pianificai la mia crescita e la mia femminilitá
Come chi crea la coreografia di un balletto.
Sapevo che se aspettavo tra le scarpe
Avrebbero immancabilmente finito per andarmi strette,
I mocassini solidi, quelle spesse e rosse,
Le scarepe sedute insieme come soci,
Le ciabatte piene di collirio Griffin
E i vestiti che ondeggiavano su di me,
Sempre sopra di me
Con nastri e pieghettati,
Colletti e orli e rigide cuciture
E il malocchio nelle martingale.
Restavo seduta tutto il giorno
Mettendo il mio cuore in una scatola da scarpe,
Evitando la finestra preziosa
Come se fosse un brutto occhio
Attraverso il quale tossivano gli uccelli
Incatenati agli albero frondosi;
Evitando la tapezzeria della stanza
Dove fiorivano lingue senza posa
Sbocciando come fiori marini.
E cosí cercavo di ammazzare il tempo
Fino a che la Madre,
La grande,
Veniva e mi obbligava a togliermi i vestiti
Io mi infilavo in silenzio nel letto
Proteggendo la mia piccola dignitá
Non facevo domande sulla porta o sull'armadio
Non questionavo il rito
Quando sulle fredde piastrelle del bagno,
Lei ogni giorno mi apriva le gambe
Per esaminare i miei difetti.
Ignorava che le mie ossa,
Solide sculture
Non si sarebbero frantumate.
Ignorava la donna che sarei divenuta,
Che il mio sangue sarebbe fiorito
Che il mio sangue sarebbe fiorito.
Ogni mese come un fiore esotico,
E neppure che le bambine,
Dueopere d'arte,
Sarebbero sbucate tra le mie gambe,
Femminucce raccolte che respiravano seza preoccupazioni
Ognuna addormentata nella sua bellezza.
Non sapevo che alla fine la mia vita
Avrebbe travolto mia Madre come un camion
E tutto quello che sarebbe restato
Di quando avevo sei anni,
Sarebbe stato un forellino nel cuore, un angolo morto nell'orecchio
Perché potessi ascoltare
Con maggiore chiarezza il non detto.
A. Sexton
Trad. genseki
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