martedì, settembre 19, 2006

Lucian Blaga




Poesie

Autoritratto

Luciano Blaga è muto come un cigno
Nella sua patria
In luogo di parole c’è la neve.
La sua anima è in cerca
Muta da secoli cerca
Da sempre
Fino al limite dell’ultima frontiera.

L’acqua egli cerca ove l’arcobaleno beve
Quell’acqua va cercando
Ove l’arcobaleno
Beve la sua bellezza ed il suo nulla.

***

Biografia

Ignoro il luogo e il tempo ove venni alla luce
Solo, nell’ombra mi convinco di credere
Che il mondo intero è un canto
Che in esso stupito mi compio
Un sorriso straniero sulle labbra nella magica ascesa.
Talvolta pronuncio parole non mie
Talvolta amo cose che non mi corrispondono.
Son pieni gli occhi miei di venti, di prodezze sognate
Come tutti cammino
Ora come un peccatore sui tetti dell’inferno,
ora innocente sui monti ove crescono i gigli
Nel cerchio dello stesso focolare
Scambio segreti con gli antenati
Popolo dall’acque reso puro sotto le antiche pietre
A sera tranquillo m’accade d’udire in me stesso
L’ininterrotto sgorgare
Delle favole d’un sangue da tanto dimenticato
E benedico il pane
Benedico la luna.
Vivo di giorno in balìa della tempesta
La bocca colma di parole spente
Io canto ed ho cantato il grande varco,
Del mondo il sonno, gli angioli di cera.
Tacendo sposto da una spalla all’altra,
come fosse un fardello la mia stella.

***

Io non calpesto la corolla di meraviglie del mondo

Io non calpesto la corolla di meraviglie del mondo
Non uccido
Co’ miei ragionamenti i misteri che incontro
Sul cammino
In fiori, in occhi, sopra labbra e tombe
La luce d’altri
Soffoca la magia impenetrabile celata
Nel profondo delle tenebre
Ma io
Con la mia luce amplio il mistero del mondo
Come i candidi raggi della luna
Non spengono
Ma rendono più vivo l’oscuro fremito della notte
Così rendo più ricco l’orizzonte tenebroso
Vasto di brividi del Santo Mistero.
Ciò che non è compreso
Cresce ad incomprensione ancor più grande
Per gli occhi miei
Ed amo
I fiori, gli occhi, le labbra e le tombe.

***

Paradiso in rovina

Tiene il guardiano alato ancora tesa
L’impugnatura d’una spada spenta
Non lotta con nessuno
Ché già vinto si sente
Per le pianure e per i campi ovunque
I serafini dalle chiome argentee
Del vero han sete
Ma l’acqua delle fonti
Fugge dai loro secchi.

Arando senza fede
Con aratri di legno
Si dolgono gli arcangeli
Del peso delle ali.
Vola tra i soli prossimi
Dello Spirito Santo la colomba;
e con il becco spenge le ultime scintille.
Nudi la notte gli angeli si coricano
Tremando nei covoni:
Sventura a me, sventura a te
Ora che l’acqua viva invade una coorte di ragni
Gli angeli marciranno, un giorno, nell’argilla
Taciterà la terra le leggende
Del corpo triste.

***

Fumo caduto

Sulle fredde pianure il volo delle oche
S’ode eco illusoria e passeggera
Lontano canto si lascia raggiungere
Dai richiami dell’eternità.
Inaridisce un flauto, un altro si fa muto
Alleluia il mio sguardo s’empie d’ali e di vento
Io non devo alla vita alcun ragionamento,
ma per tutta la vita le sono debitore.
Spesso con gesti spezzati
Vedo volte crollate nelle acque,
appaio tra i cespugli del villaggio
Qual da biblico carro
Sono il fratello stanco
Oggi come non mai
Del cielo di laggiù
E del fumo che cade dal camino.

***

Crepuscolo d’autunno

Da rosse labbra
Il crepuscolo sui monti
Soffia sopra la cenere di nuvole
Per attizzare la brace celata
Dal loro grigio velo sottile.

Un raggio
Che dall’occidente è accorso
L’ali ripiega e si posa tremando
Sopra una foglia
Ma troppo grave è il peso
Cade la foglia.

Anima mia
Resta bene celata nel mio petto
Nel più profondo,
Sì che raggio di luce non ti sfiori,
Ne crolleresti.

E’ autunno.

***

Il campo

D’oro a bizzeffe scoppiano le spighe.
Rosse gocce disseminano i papaveri
Nei campi
Una fanciulla
Di lunghe ciglia come spighe d’orzo.

Abbraccia con lo sguardo fasci di cielo puro
E canta.

Resto sdraiato all’ombra dei papaveri
Non ho rancori, rimorsi, desideri
Né slanci, solo un corpo
Un po’ di creta
Ella canta
L’ascolto
Sboccia l’anima mia sulle sue labbra
Come corolla.

***

La morte di Pan

IV. Aria di siringa

Solo ora sono e colmo di cardi
Io che un tempo regnai su stelle e il cosmo
Con la siringa m’udiva cantarlo.

Tende il nulla le corde.
Nessun straniero più
Penetra la mia grotta,
Solo le salamandre variopinte
E talvolta:

La luna.

***

Silenzio tra vecchie cose

Vicina vicina mi è la cara montagna
Da vecchie cose sono circondato
Coperte di muschio dal principio dei tempi
Nella sera dai sette soli neri
Che portano le tenebre buone
Dovrei esser felice.
Regna un silenzio adeguato nel cerchio
Che reggono le doghe della volta.
Ma mi sovviene il tempo in cui non ero
Come fosse un’infanzia lontanissima,
Ho nostalgia di non esser restato
Nella contrada senza nome.
Eppur mi dico
Stanno in cielo le stelle senza chiasso.
Davvero dovrei essere felice.

***

La grande traversata

Regge il sole allo zenith la bilancia del giorno
Ed il cielo si dona all’acque della terra
Gli animali che passano, occhi saggi,
Senza paura guardano l’ombre loro nell’onda
Ed il fogliame eleva le sue volte profonde
Sull’eterna leggenda.

Nulla vuol esser altro da se stesso
Solo il mio sangue corre per i boschi
Della lontana infanzia sempre in caccia
Siccome un vecchio cervo
Che chiama la compagna persa in morte

Ell’è forse perita tra le rocce
O forse è sprofondata nella terra
Attendo in vano qualche sua notizia
Solo risponde l’eco da caverne
Solo ruscelli in cerca dell’abisso.

Sangue senza risposte
Ché solo nel silenzio si udirebbe
L’avanzar della cerva nella morte.

Sempre più lungi esito sul cammino
E come l’assasino che con la sciarpa soffoca
Una bocca ormai vinta
Serro nel pugno tutte le sorgenti
Ché finalmente tacciano per sempre.

***

Salmo

Sempre mi fu dolore la tua solitudine celata
Ma cos’altro avrei potuto fare, mio Dio?
Da bambino giocavo con te
Ti smontavo nei miei pensieri come si smonta un giocattolo.
Poi mi son fatto ancora più selvaggio
Sono morti i miei canti
E senza mai che tu mi fossi prossimo
Per sempre ti ho perduto
In terra, in fuoco, nell’aria e nell’acqua.

Tra il sole che si leva e quello che declina
Di me non resta più che piaga e fango
Tu sei murato nella bara dei cieli.
Se tu non fossi più prossimo alla morte
Che alla vita allora parleresti.

O svelati mio Dio tra questi rovi
Così ch’io sappia quello che mi chiedi.
Vuoi che nel volo afferri la lancia avvelenata
Che qualcheduno contro di te ha scagliata
Per poterti ferire sotto l’ala?
O forse non vuoi nulla?
Tu sei la muta identità immutabile
( In se stesso ravvolto a resta a)
Tu non chiedi. Nemmeno la preghiera.

Ecco, nascono stelle
Nascono insieme alle mie tristezze
Ecco la notte che non ha finestre
Che ne sarà di me Signore Iddio?
Nel tuo cuore depongo i miei vestiti. Il corpo mio
Lo lascio, come si lascia un abito in cammino.

***

Trad. genseki