giovedì, ottobre 01, 2009

Su alcuni versi di Virgilio

Il saggio di Montaigne "Su alcuni versi di Virgilio" è interessante per molte ragioni. Per gli sviluppi che i pensieri qui abbozzati ebbero poi nel libertinismo del secolo successivo attraverso la mediazione di Scarron e di altri, per essere un quadro vivo e realistico in sommo grado delle relazioni piú intime nella societá francese al tempo delle guerre di religione, per i chiari legami che mostra con l'Etica Nicomachea, prbabilmente attraverso la mediazione neo-avveroista e quindi è una prova di come in vecchiaia egli si sia allontanato dallo stoicismo e dall'epicureismo dei due primi libri dei saggi per avvicinarsi, invece, alaristotelismo.

In effetti la prima parte del saggio è una interrogazione sull'economia del piacere nell'etá avanzata, amara e dolente interrogazione cui risponde una consapevolezza di disperata luciditá:

"Je m'en vays au trai de tressailir, comme d'une nouvelle faveur, quand aucune chose ne me deult"

*

Il piacere sessuale non pare adeguato alla vecchiaia. la sola forma di voluttá degna di questa etá e l'ostinazione a conservare il ricordo dei piaceri passati, ariviverli nella memoria e attraverso la poesia.
Nella poesia la voluttá si presenta come ancora piú vivace e piú animata di quanto non sia la sua propria essenza essa si presenta al vecchio con un aspetto ancor piú amoroso dell'amore medesimo. Venere tutta nuda con il respiro mozzo non è cosí bella nella realtá come lo è nei versi di Virgilio (quelli che danno il titolo al saggio)
Vulcano stringe Venere in un appassionato amplesso coniugale.

*

Montaigne trova peró che la descrizione di Virgilio non si addice troppo a una relazione sesuale matrimoniale.


“En ce sage marché les appetits ne se trouvent pas si follastres: ils sont sombres et plus mousses. L’amour hait qu0on se tient par ailleurs que par luy, et se mesle laschement aux accointance qui sont dressées et entretenues soubs autre titre, comme est le mariage. L’alliance, les moyens, y poisent par raison, quatnt ou plus que les graces et la beauté. On ne se marue pas pour soy, quoy qu’on en dise, on se marie autant pou plus pour sa posterité et pour sa famille: l’usage et l’interest du mariage touche nostre race, bien loing par dela nous. Pour tant me plaist cette faÇon qu’on le conduise plutost par main tierce que par les poropre et par lesens d’atruy que par le sien: Tout cecy, combien à l’opposite des conventions amoureuses? Aussi est-ce une espece d’inceste d’aller amployer a ce parentage venerable et sacré l’effort et les extravagances de la licence amoureuse.

L'amore nel matrimonio è considerato come adulterio.

Il martrimonio non ha e non deve avere perció, niente a che vedere con l'amore, con la passione e con il piacere sessuale.
La sua legittimitá e utilitá si situa in un altro ambito. Tuttavia l'assimilazione della ricerca del piacere sessuale all'incesto richiama l'attenzione per una sua rara forma di violenza argomenativa e merita di esssere trattata con maggior attenzione.
L'incesto sembrerebbe essere per Montaigne l'irruzione del piacere nella sfera della riproduzione.
Ma perché il piacere deve essere escluso da questa sfera?
Le argomentazioni di Montaigne si muovono in un ambito di assoluta laicitá. Vedrò di esaminarle domani in un "post" successivo.

genseki

mercoledì, settembre 30, 2009

Enneade V

L'uno

L'Uno è tutte le cose e non una sola. Ció significa che è il pincipio di tutte le realtá e non una di esse.

*

Come possono tutte le cose sorgere dall'uno se questo è semplice e non rivela in sé molteplicità, nè duplicità di nessun tipo?

*
Proprio perché nulla era in Lui tutto puó derivare da Lui affinché l'essere possa esistere. Lui stesso non è solo essere, semmai è il padre dell'essere, in quanto è, per coì diree, la prima emanazione. L'uno, infatti è perfetto perché non è in cerca di nulla, Non ha nulla e non ha nemmeno bisogno di qualche cosa. È la sua straripante abbondanza a produrre qualche cosa d'altro.

Plotino

La bella Diana


Topa nuda

Secondo le statistiche shiny stat un piccolo numero di lettori raggiungono le pagine di questo blog digiando lle due parple "topa nuda" la qual cosa è per me motiv di cruccio. Cosa ho fatto per meritarmi ospiti tanto sgraditi?
Coí ho deciso di fare qualche cosa. Se devo soffrile questa profanazione almeno la soffra a ragio veduta.

Quello che segue è un bellissimo teso erotico del grande Marot che non traduco perché la lingua italiana di cui oggi si puó disporre trasformerbbe questo lieve, grazioso erotismo in qualche cosa di degno dei cercatori di "Topa nuda".

Tetin refaict, plus blanc qu'un oeuf,
Tetin de satin blanc tout neuf,
Tetin qui fait honte à la rose,
Tetin plus beau que nulle chose ;
Tetin dur, non pas Tetin, voyre,
Mais petite boule d'Ivoire,
Au milieu duquel est assise
Une fraize ou une cerise,
Que nul ne voit, ne touche aussi,
Mais je gaige qu'il est ainsi.
Tetin donc au petit bout rouge
Tetin quijamais ne se bouge,
Soit pour venir, soit pour aller,
Soit pour courir, soit pour baller.
Tetin gauche, tetin mignon,
Tousjours loing de son compaignon,
Tetin qui porte temoignaige
Du demourant du personnage.
Quand on te voit il vient à mainctz
Une envie dedans les mains
De te taster, de te tenir ;
Mais il se faut bien contenir
D'en approcher, bon gré ma vie,
Car il viendroit une aultre envie.
O tetin ni grand ni petit,
Tetin meur, tetin d'appetit,
Tetin qui nuict et jour criez
Mariez moy tost, mariez !
Tetin qui t'enfles, et repoulses
Ton gorgerin de deux bons poulses,
A bon droict heureux on dira
Celluy qui de laict t'emplira,
Faisant d'un tetin de pucelle
Tetin de femme entiere et belle.

Blason di Clément Marot

martedì, settembre 29, 2009

Gaspard de la Nuit

/css"> Colline sacre e voi, sante rovine
Che di romano solo il nome serbate,
Voi monumenti, che ancora sostenete
L'onor tarlato d'anime divine;

O voi archi, voi guglie al ciel vicine,
Che il cielo che vi mira anco stupite,
A poco a poco cenere divenite,
Favola al volgo e pubbliche rapine!

E, benché al tempo gran tempo faccian guerra
I monumenti, è pur vero che il tempo
Opere e nome finalmente atterra.

Triste disio, orsú vivi contento:
Perché se il nulla infine tutto serra
Troverá presto fine il mio tormento.

trad. genseki


giovedì, settembre 24, 2009

Du Bellay

Colui che vide una gran quercia secca,
Che di vecchi trofei le spoglie porta
E leva ancora al ciel la testa morta
Mentre giá il pié fuor del terreno spicca.

Coi rami spogli ormai le zolle tocca
Drizzando al ciel la radice contorta
Ombra non da e il suo peso sopporta
Tronco nodoso sbrecciato come brocca

Al suolo crollerá col primo vento
Loco lasciando agli arboscelli attorno
Eppur culto le presta il volgo attento.

Chi tale quercia vide, sappia allora
Como tra le cittá prospere ora
Il piú lodato è l'onore ormai spento.

trad genseki

MARTINU violin sonata no.1 - I., Anna Skalova, Dusan Holy

Bohuslav Martinu-Sonata no.1 for viola and piano

mercoledì, settembre 23, 2009

Ancora su Hugo

Nell'opera narrativa di Victor Hugo, in realtá sono presenti tutti i generi letterari: l'epica, la lirica, la tragedia, il saggio e anche l'aforisma. Lo scopo che si prefiggono questi interventi è quello di delineare il profilo dell'Hugo aforismatico. Il testo che segue è tratto da: L'Homme qui rit"


Una fanciulla che lascia pendere in disordine il suo nastro sullo schienale di una poltrona, disegna, senza volerlo, quasi tutti i sentieri di scogliera e di montagna.

Sembra una definizione della scrittura: il nastro come filo di inchiostro, l'incoscienza dell'atto creativo, il suo essere frutto di una forma del caso, come piú tardi canterá Mallarmé ma anche un cammino, un proceso una vicenda.
O forse l'emozione rara e confusa che ci afferra leggendo queste righe e la stessa che proviamo guardando una roccia vertiginosa e le sue venature profonde o un panneggio di Rubens. La bellezza come segno. Come segno senza significante ne significato.

genseki

martedì, settembre 22, 2009

Antonio Moresco e Plotino

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Lo scrittore Antonio Moresco ha recentemente pubblicato sulla rivista “Il Primo Amore” tre articoli su Plotino.

Antonio Moresco ci informa del suo interesse e passione per le Enneadi di Plotino sorti nel corso di una recente lettura estiva.

Da questa sua escursione nel continente delle Enneadi egli pare aver tratto le seguenti convinzioni:

l'opera di Plotino è anticipatrice;

La sua forza anticipatorie è stata occultata dalla “scolastica storicistica” dei manuali di filosofia;

L'occhio e la mente aperti e liberi da preconcetti di Antonio Moresco hanno permesso di rivelare la forza anticipatrice di questo antico testo.

Ora io mi domando che senso possa avere applicare una categoria giornalistica come quella di anticipazione a un'opera come quella di Plotino che si muove in un universo di assoluti, Le Enneadi hanno per oggetto l'investigazine di leggi eterne, anzi la loro contemplazione in un'estasi che non puó essere che atemporale.

In che senso si puó dire che Plotino avrebbe avuto l'intenzione di anticipare qualche cosa?

Plotino non aveva nemmeno idea del fatto che la contemplazione del Bene potesse servire ad anticpare qualche cosa. Dubito che possa aver nutrito alcun interesse per un concetto tanto fuori dalllo spirito e dall'ambiente culturale in cui si svolse la sua riflessione filosofica.

C'è qualche cosa di osceno nel voler piegare Plotino, molti secoli dopo l'elaborazione della sua opera ad anticipare qualche cosa.

Non vale dire che Plotino avrebbe anticipato “malgré soi”, inconsciamente. Bisognerebbe dimostrare che cosa posa significare anticipare qualche cosa che non si è voluto anticipare. La qual cosa è naturalmente impossibile.

Anticipare vuol dire mettersi a pensare il futuro o almeno mettersi a pensare nel tempo. L'orizzonte della filosofia plotiniana è invece l'eterno.

Cosí Moresco dovrebbe dimostrare in qualche modo che Plotino pensa il tempo nei termini in cui lo pensa Moresco.

Il concetto di anticipazione è un tipico concetto da quarta di copertina o da fascicoletto dell'Euroclub.

E poi, che cosa avrebbe anticpato Plotino? Sembrerebbe che, per Moresco avrebbe anticipato qualche cosa che avrebbe a che fare con la genetica e con la teoria fisica delle stringhe.ni

Questa intuizione moreschiana o moresca sembrerebbe basarsi sull'identificazione tra il concetto di forma presente nelle Enneadi e il concetto di forma delle scienze sperimentali.

Il fatto è che questi due concetti non sono sovrapponibili. la materia di Plotino non è quella della fisica che ha un peso e una massa. La materia di Plotino è qualche cosa che si oppone alla forma. È l'assenza di forma, e conteporaneamente ció che accogli la forma nella sua attivitá formante.

Quindi, come ognuno vede, la materia di Plotino non si oppone allo spirito ma alla forma. tanto è vero che per Plotino e per Porfirio esiste una materia spirituale ovvero uno spirito suscettibile di forma.

Moresco poi non spiega in che modo l'emanazionismo Plotiniano che serve per spiegare la dialettica tra uno e molteplice abbia qualche cosa a che fare con la genetica.

Moresco sembra non rendersi conto della struttura dialettica delle Enneadi in cui le singole parti hanno un valore solo nella totalitá e in cui proprio per questo molte frasi sono affermate per essere poi negate ad un altro livello.

Insomma non si capisce che cosa abbia anticipato Plotino né perché debba aver per forza anticipato qualche cosa.

Sorge il sospetto che Moresco pensi che Plotino abbia anticipato proprio Moresco. Ovvero che le Enneadi siano rimaste pura materia fino a quando Moresco le abbia dato attualitá, cioè forma. Cioè che il senso del pensiero di Plotino sia quello di Moresco.


genseki

lunedì, settembre 21, 2009

La torre e le vele

L'immagine riprodotta nel post precedente è un particolare di questo quadro di Claude Lorrain: “Veduta di porto nel tramonto”. Un particolare la cui forza di attrazione sul mio sguardo vorrei cercare, qui di giustificare. Almeno a me stesso.
Nel luce dorata del tramonto si stagliano i profili di alcune navi dalle vele ripiegate al lato di una torre massiccia una torre di avvistamento posta a guardia del porto, probabilmente, ma che sembra vagamente fuori posto per la sua forma architettonica piú consona, a mio parere a una pingue pianura di verdi praterie e di pacifiche vacche. Chissá dove puó averla copiata Lorrain!
Le navi nere sembrano stanche di molti viaggi, consumate da molti altri tramonti dall'aver assorbito nel fasciame e nelle carene il sale unto di molti altri porti, non parlano di partenze ma di arrivi.
Quello che unisce navi e torre è l'essere presenti insieme nello spazio dorato del tramonto.
Neppure questa cortina di luce ci parla di orizzonti aperti, è appunto cortina destinata a proteggere lo sguardo e non ad aprire lo spazio.
È un porto questo da cui non si parte, e un porto cui solo si giunge. È una meta. In realtá ogni porto è anche una meta. Questo è un porto rappresentato solo come meta.
La fagilitá della nave sta accanto alla mole massiccia della torre, la cui materialitá in parte sfuma sull'agonica luce dell'occaso. Gli alberi inclinati dai rollii, le bandiere rosse appena scosse dal vento si giustappongono all'immobilitá della torre tanto antica che sulla sua sommitá pare intravedersi come un bosco, o un giardino pensile. Sembra di udire i cigolii delle tavole usurate dei battelli delle corde e delle pulegge e il fremere di ali che sfiorano le pietra possenti della torre.
Dalla sommitá della torre antica si gode certamente di una vista amplia sul mare e sulla costa abitata che si intravede sulla destra; salire vuol dire ampiare il raggio dello sguardo, conoscere, proprio come viaggiare sui fragili gusci dei velieri. Viaggio e ascesa sono due forme di liberazione della mente, due modi di andare oltre il limite che noi stessi diventiamo per noi. Una forma orizzontale e una verticale. Una croce, insomma.
Nello spazio metaforico della luce vespertina la torre e i velieri appaiono ancora una volta come il simbolo della Croce che è il punto di arrivo il porto della pace.

genseki

Harbors

domenica, settembre 20, 2009

Hugo, Io, Dio

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Con una applicazione accurata delle funzioni di copia e incolla si puó creare un nuovo Hugo. Trasformare cioé il fluviale romanziere in un acuto, formidabile aforismatico visionario. Naturalmente quello che si otterrá cosí non è un Hugo verosimile, certamente, invece è un Hugo possibile. Uno dei tanti Hugo che avrebbero essere e che non furono nella oceanica molteplicità hugoliana.

La caratteristica principale dell'Hugo aforismatico e virtuale è la forza immaginativa che rompe la forma della razionalitá e dell'argomentazione.

Gli aforismi di Hugo non convincono, terrorizzano, trascinano al bordo di un abisso e spingono a guardarvi dentro.

Creano le condizioni all'apertra di un senso che va oltre il linguaggio, oltre il significato e la pura suggestone dei significanti.


«L'infinito esiste. È là. Se l'infinito non avesse un io, l'io sarebbe il suo limite; non sarebbe infinito; in altri termini, non esisterebbe. E invece esiste. Dunque ha un io. L'io dell'infinito è Dio”


La forza di queste righe, per esempio, consiste nella sorpresa continua che induce la forma della relazione introdotta successivamente tra i termini Infinio, Io e Dio. L'Io è qui il termine la cui esistenza permette all'infinito di essere tale. Un abisso si apre dentro dell'Io nel momento in cui scopre di essere la condizione di esistenza dell'Infinito, niente di meno! E dentro questo abisso ecco spalancarsene un altro, quando il medesimo Io si accorge di essere codizione dell'Infinito in quanto Dio. L'equazione Dio = Io è introdotta a bruciapelo! E ecccci precipitati nella spirale: Dio e l'infinito sono due cose diverse; Dio è una parte dell'Infinit ma en è una parte essenziale, necessaria per la sua esistenza, ma è tale in proprio in quanto Io.

L'aforismo di Hugo si regge perché trascina in questa vertiginosa prospettiva “en abîme” appunto. Una cosa alla Esher, insomma. E la porta che si spalanca di colpo su questo universo di angustia è proprio la parola Io.

Io sono io, si ha un bel metterci l'apostrofo, il mio io di lettore si sente ugualemte quell'Io che è condizione di esistenza dell'Infinito e che come tale si converte in Dio e per questo si afferra all'aforisma con tutte le forze di un naufrago disperato e da pedate alla logica perché affoghi una buona volta e gli permetta di deificarsi.

Il lettore molto malevolo, invece, puó divertirsi a considerare questo aforisma come la descrizione dell'autodeificazione di Hugo, che non puó fare a meno di considerarsi Dio.

Nelle foto Hugo ha sempre qualcosa che ricorda l'iconografia del Padre Sommo barbuto ma senza triangoli sulla testa.

Quello che resta è lo splendore di questa frase nascosta nell'oceano di parole di un romanzo immenso come una perla perduta.