giovedì, novembre 03, 2016
Litanei aus aller Seelen
Rest in peace, all souls
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!
Those who only sought for comradeship here,
more often wept but never fled
when no one was there to press
their faithful hand with an understanding look:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
more often wept but never fled
when no one was there to press
their faithful hand with an understanding look:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
Maiden souls, full of love,
whose tears cannot be counted,
whom a false friend has abandoned,
and the blind world has disowned;
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
whose tears cannot be counted,
whom a false friend has abandoned,
and the blind world has disowned;
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And the youth, to whom secretly
in early morning, his bride goes,
(for Love lies in the grave)
to carry away the extinguished taper:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
in early morning, his bride goes,
(for Love lies in the grave)
to carry away the extinguished taper:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
All the souls, who, full of clarity,
became martyrs to Truth,
struggling for sacred faith
but seeking not the martyr’s crown:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
became martyrs to Truth,
struggling for sacred faith
but seeking not the martyr’s crown:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those who never smiled at the sun,
keeping watch on the thorns beneath the moon,
to see God in the pure heavenly light
and look him just once in the face:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
keeping watch on the thorns beneath the moon,
to see God in the pure heavenly light
and look him just once in the face:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those happy ones in the rose garden
tarrying with their joyous cups,
but then, in one horrible moment,
tasting the bitter dregs at last:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
tarrying with their joyous cups,
but then, in one horrible moment,
tasting the bitter dregs at last:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those who knew no peace
but still had courage and strength to give
on fields strewn with corpses
in a world half asleep:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
but still had courage and strength to give
on fields strewn with corpses
in a world half asleep:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
Rest in peace, all souls
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!
Johannes Georg Jacobi
mercoledì, novembre 02, 2016
Festa di Ognissanti
Enciclica Spe salvi, n.12
Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo. La parola « vita eterna » cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. « Eterno », infatti, suscita in noi l'idea dell'interminabile, e questo ci fa paura; « vita » ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l'altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia. Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: « Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia » (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo.
lunedì, ottobre 31, 2016
Lincoln a Gettysburg
Per molti la massima orazione politica moderna
Discorso
di Gettysburg
Ottantasette
anni or sono i nostri padri crearono, su questo continente una nuova
nazione concepita nella libertá e consacrata alla convinzione che
tutti gli uomini sono stati creati uguali. Ora siamo impegnati in una
grande guerra civile che testimonia che questa nazione cosí come
qulsiasi altra concepita nello stesso modo e consacrata al medesimo
valore puó soffrire a lungo.
Siamo
qui convenuti su di un campo di battaglia di questa guerra. Siamo
venuti qui per dedicare una porzione di questo campo come il luogo
dell'eterno riposo di coloro che hanno dato la vita perché questa
nazione possa vivere : e fare ció è cosa buona e giusta. Ma in un
senso piú ampio noi non possiamo dedicare, non possiamo consacrare,
non possiamo santificare questo suolo. Quei valorosi vivi o morti che
qui lottarono lo consacrarono, molto al di sopra del nostro potere
di dare o di togliere, per il mondo è piccola cosa presto obliata
quello che qui diciamo, ma non potrá mai obliare coloro che qui
caddero. Noi i viventi, piuttosto dobbiamo dedicarci a compiere
l'opera che coloro che qui lottarono fecero tanto nobilmente
avanzare. Siamo piuttosto noi che dobbiamo consacrarci al grande
compito che ci resta innanzi, che questi nobili morti facciano che
cresca in noi la devozione per la causa per la quale essi diedero
prova del massimo della dedizione. Tocca a noi qui assumere l'alta
decisione di far si che costoro non siano caduti in vano, che questa
nazie, sottomessa a Dio, possa rinascere ancora una volta nella
libertá, e che il governo del popolo, con il popolo e per il popolo
mai si estingua sulla terra.
!9
Novembre 1863
Abraham
Lincoln
trad.. genseki
giovedì, ottobre 27, 2016
mercoledì, ottobre 26, 2016
Hildegarde von Bingen
Il
Padre è splendre e questo splendore folgora e in questa folgore vi è
fuoco e questi tre sono uno.
*
Lo
Spirito Santo scorre attraverso e lega insieme eguagllianza de
eternitá cosí che sono una cosa sola.
*
Una
luce. Tre persone. Un Dio solo.
*
Chi
manca di compassione quegli muore di sete.
*
Mi
fu mostrata una ruota, una ruota meravigliosa alla vista. La divinitá
vi è onniscienza e onnipotenza come un circonferenza, un circolo,
che non puó essere inteso, né diviso, che non cominció e non ebbe
mai fine.
Dio
vi abbraccia. Siete circondati dalle braccia dell'amore di Dio.
*
Quando
voi toccate e lavate con compassione le ferite di un altro, allora Io
mi reclino sul vostro letto. E quando voi incontrate persone semplici
e oneste con con buona volontá e buone maniere allora Io mi unisco
con te in amicizia amorosa.
*
Sono
inondata dalla compassione interiore; nulla né beni, né oro, né
pietre preziose, né perle possono cancellare in me gli occhi del
povero che piange perché manca di ció di cui ha bisogno per vivere.
*
Quando
una persona umana vede la creazione con vera compassione allora vede
il Signore. Lq natura umana è capace di riconoscere Dio in tutti gli
esseri viventi.
*
Non
per testardaggine ma per umiltá mi rifiutai di scrivere fino a che
la sferza di Dio mi spinse in un letto di malattia.
*
Oppressa
da molte malattie mi posi infine a scrivere. Quando lo feci mi venne
donata la capaictá di esprimermi in libri profondi, ricevetti la
forza di alzarmi dal mio letto di malata e portare l'opera fino al
suo compimento per un periodo di dieci anni.
*
Los
que han elegido vivir el Zen en la vida cotidiana tiene un pie en el
vacío libre, y otro en el mundo completamente humano. El desafío es
vivir plenamente en el mundo continuando a pertenecer al zen. Es muy
simple, por lo menos en palabras.
*
Con
l'aiuto della natura, l'umanitá puó introdurre nella creazione
tutto quanto è necessario a mantenere la vita. Ogni cosa nella
natura, la somma total di cielo e terra diventa un tempio e un altare
per i servizio divino.
Dio
ha composto il mondo a partire dai suoi elementi per la gloria el suo
nome. Lo ha reso forte con i venti, circondato e illuminato con le
stelle e riempito delle sue crature ha rafforzato e protetto gli
esseri umani per mezzo di tutte le cose lo ha dotato di un potere
tanto grande che tutta la creazione collabora con l'uomo in tutto e
per tutto. Tutta la natura è al servizio dell'uomo, e l'uomo puó
opeare nella natura, dal momento che al di fuori della natura gli
uomini nn possono sopravvivere.
*
L'umanitá
si trova nel centro della struttura del mondo. Per questo è piú
importante delle altre creature che restano dipendenti dal mondo.
Sebbene di piccola statura l'umanitá è poderosa perché gode del
potere dell'anima. Il suo capo si erge verso l'alto e i suoi piedi
premno il suolo solido e per questo puó mettere in moviento ció che
sta in alto e ció che sta in basso. Qualunque cosa faccia con la
mano destra o con la sinistra permea l'universo perché nel potere
interiore dell'umanitá si trova la capacitá di fare tali cose.
Perché cosí come i corpo ha dimensioni maggiori del cuore cosí il
potere dell'anima eccede quello de corpo, e si estende su tutto il
globo.
*
Nel
circolo della vita terrestre tu (uomo) riplendi di tanta bellezza.
Resti raccolto nell'abbraccio di Dio, nelle sue braccia riposi.
*
Vidi
come il vento dell'Est e quello del Sud fanno muovere il firmamamento
con i loro venti laterali e fanno ruotare la terra da Est a Ovest.
*
martedì, ottobre 25, 2016
giovedì, ottobre 20, 2016
Han Shan
L’eredità del padre e della madre
Basta per una buona vita
Alcun bisogno non v’è d’invidiare
I campi e gli orti dei vicini
Tesse mia moglie: - za, za –
Fa il telaio;
Il mio bambino gorgheggia:
glu, glu -.
Batto le mani, chiamo i fiori alla danza.
Col mento tra le mani odo cantar gli uccelli.
Chi mai potrà biasimarmi,
Chi farmi i complimenti?
Ogni tanto, di qua, passa un boscaiolo.
*
Travi e paglia, è la casa dell’uomo selvatico,
Alla sua porta son rare le carrozze.
Nel cuore della foresta si riuniscono gli uccelli
Ed abbondano i pesci nel torrente.
Con mio figlio colgo i frutti del monte
Con mia moglie aro i campi a terrazza
E in casa, cosa c’è?
Un letto pieno di libri.
*
I libri e la chitarra a portata di mano
A che mi vale un salario od un posto?
Ho rinunciato alla carrozza
Per consiglio della saggia mia donna.
Non ho nemmeno una carriola,
I mie figli devoti mi porteranno in braccio.
Il vento soffia sul grano
A seccare sull’aia solatìa
L’acqua deborda,
La piscina pullula d’ogni sorta di pesci
Medito spesso sull’uomo troglodita,
Intento a riposarsi sopra un ramo.
*
Godiam quando la gioia si presenta
La più insignificante occasione
Non lasciam che trascorra
Anche se di centanni disponiamo
Come riempire trentamila giorni?
In questo mondo dimoriamo un istante
Perché piagnucolare parlando di soldi?
Nel Classico della Pietà Filale, ultimo capitolo,
I funerali sono descritti in dettaglio.
*
In questo mese fuggono i contadini la canicola
Con chi dividere un buon gotto di vino?
Dispongo tutti i frutti di montagna,
Dispongo in cerchio le coppe da vino,
Canne come stuoie,
Le foglie del banano come piatti
Ebbro, il mento tra i palmi,
Seduto
Il Monte Sumeru è una piccola biglia.
*
Se la vita d’un uomo non arriva a cent’anni
Mille son gli anni di preoccupazioni.
Appena si ritrova la salute
Ci si sfianca pei figli e pei nipoti.
Ci si china per vedere se i cereali han messo radici
S’alza lo sguardo per controllare i gelsi
Quando pesi e bilance saranno inghiottiti
In fondo al mare orientale
Allora, infine, ci sarà la pace.
*
Vivo in paese
Ciascuno mi elogia, mi trovano incomparabile.
Ieri sono andato in città
Anche i cani mi guardavano in cagnesco,
trovavano troppo stretti i miei pantaloni,
La giacca troppo lunga.
Che si strappino gli occhi agli avvoltoi
E i passerrotti danzino a lor guisa.
*
Felice il corpo nell’era del caos
Non era d’uopo magiar né pisciare
Alla malora vi cavaron dei fori
Nove orifizi in tutto
Ogni giorno dobbiamo vestirci, nutrirci
Ogni anno pagare le imposte
Mille volti a disputarsi un soldo,
Urlano insieme fino ad ammazzarsi.
*
Nella casa dell’est c’è una vecchina
S’è fatta ricca or sono tre o quattro anni,
Prima era ben più misera di me
Oggi ella ride perché non ho una lira.
Ella ride di me che le sto dietro
Ed io rido di lei che stammi innanzi
Ridiamo entrambi, non possiam fermarci
Stanno così le cose ad est, ad ovest.
*
Un tempo fui abbastanza povero
Oggi son poverissimo
Quello che faccio fallisce subito
Duro è il cammino, penoso
Avanzando nel fango scivolo spesso
Seduto tra la gente del villaggio
La pancia vuota mi assilla
Anche il gatto se n’è andato
I topi
Girano intorno
All’orcio del riso.
*
Basta per una buona vita
Alcun bisogno non v’è d’invidiare
I campi e gli orti dei vicini
Tesse mia moglie: - za, za –
Fa il telaio;
Il mio bambino gorgheggia:
glu, glu -.
Batto le mani, chiamo i fiori alla danza.
Col mento tra le mani odo cantar gli uccelli.
Chi mai potrà biasimarmi,
Chi farmi i complimenti?
Ogni tanto, di qua, passa un boscaiolo.
*
Travi e paglia, è la casa dell’uomo selvatico,
Alla sua porta son rare le carrozze.
Nel cuore della foresta si riuniscono gli uccelli
Ed abbondano i pesci nel torrente.
Con mio figlio colgo i frutti del monte
Con mia moglie aro i campi a terrazza
E in casa, cosa c’è?
Un letto pieno di libri.
*
I libri e la chitarra a portata di mano
A che mi vale un salario od un posto?
Ho rinunciato alla carrozza
Per consiglio della saggia mia donna.
Non ho nemmeno una carriola,
I mie figli devoti mi porteranno in braccio.
Il vento soffia sul grano
A seccare sull’aia solatìa
L’acqua deborda,
La piscina pullula d’ogni sorta di pesci
Medito spesso sull’uomo troglodita,
Intento a riposarsi sopra un ramo.
*
Godiam quando la gioia si presenta
La più insignificante occasione
Non lasciam che trascorra
Anche se di centanni disponiamo
Come riempire trentamila giorni?
In questo mondo dimoriamo un istante
Perché piagnucolare parlando di soldi?
Nel Classico della Pietà Filale, ultimo capitolo,
I funerali sono descritti in dettaglio.
*
In questo mese fuggono i contadini la canicola
Con chi dividere un buon gotto di vino?
Dispongo tutti i frutti di montagna,
Dispongo in cerchio le coppe da vino,
Canne come stuoie,
Le foglie del banano come piatti
Ebbro, il mento tra i palmi,
Seduto
Il Monte Sumeru è una piccola biglia.
*
Se la vita d’un uomo non arriva a cent’anni
Mille son gli anni di preoccupazioni.
Appena si ritrova la salute
Ci si sfianca pei figli e pei nipoti.
Ci si china per vedere se i cereali han messo radici
S’alza lo sguardo per controllare i gelsi
Quando pesi e bilance saranno inghiottiti
In fondo al mare orientale
Allora, infine, ci sarà la pace.
*
Vivo in paese
Ciascuno mi elogia, mi trovano incomparabile.
Ieri sono andato in città
Anche i cani mi guardavano in cagnesco,
trovavano troppo stretti i miei pantaloni,
La giacca troppo lunga.
Che si strappino gli occhi agli avvoltoi
E i passerrotti danzino a lor guisa.
*
Felice il corpo nell’era del caos
Non era d’uopo magiar né pisciare
Alla malora vi cavaron dei fori
Nove orifizi in tutto
Ogni giorno dobbiamo vestirci, nutrirci
Ogni anno pagare le imposte
Mille volti a disputarsi un soldo,
Urlano insieme fino ad ammazzarsi.
*
Nella casa dell’est c’è una vecchina
S’è fatta ricca or sono tre o quattro anni,
Prima era ben più misera di me
Oggi ella ride perché non ho una lira.
Ella ride di me che le sto dietro
Ed io rido di lei che stammi innanzi
Ridiamo entrambi, non possiam fermarci
Stanno così le cose ad est, ad ovest.
*
Un tempo fui abbastanza povero
Oggi son poverissimo
Quello che faccio fallisce subito
Duro è il cammino, penoso
Avanzando nel fango scivolo spesso
Seduto tra la gente del villaggio
La pancia vuota mi assilla
Anche il gatto se n’è andato
I topi
Girano intorno
All’orcio del riso.
*
Sauver l’arbre, l’environnement et la vie tout court.
Sauver l’arbre, l’environnement et la vie tout court.
5 Février 1986
Ma patrie, le Burkina Faso, est incontestablement un des rares pays de cette planète qui est en droit de se dire et de se voir comme le concentré de tous les maux naturels que l’Humanité connaît encore en cette fin du vingtième siècle.
Et pourtant, cette réalité, les huit millions de Burkinabè l’ont intériorisée douloureusement pendant 23 années. Ils ont regardé mourir des mères, des pères, des filles et des fils que la faim, la famine, la maladie et l’ignorance,décimaient par centaines. Les larmes aux yeux, ils ont regardé les mares et les rivières se dessécher. Depuis 1973, ils ont vu l’environnement se dégrader, les arbres mourir et le désert les envahir à pas-de-géant. On estime à 7 km par an l’avancée du désert au Sahel.
Seules ces réalités permettent de comprendre et d’accepter la révolte légitime qui est née, qui a longuement mûri et qui a éclaté enfin, de manière organisée, dans la nuit du 4 août 1983, sous la forme d’une Révolution démocratique et populaire au Burkina Faso.
Je ne suis ici que l’humble porte-parole d’un peuple qui refuse de se regarder mourir pour avoir regardé passivement mourir son environnement naturel. Depuis le 4 août 1983, l’eau, l’arbre et la vie pour ne pas dire la survie sont des données fondamentales et sacrées de toute l’action du Conseil national de la révolution qui dirige le Burkina Faso.
C’est à ce titre aussi que je me dois de rendre hommage au peuple français, à son gouvernement et en particulier à son président Monsieur François Mitterrand, pour cette initiative, qui traduit le génie politique et la lucidité d’un peuple toujours ouvert au monde et toujours sensible à ses misères. Le Burkina Faso, situé au coeur du Sahel saura toujours apprécier à sa juste valeur les initiatives qui coïncident parfaitement avec les préoccupations vitales de son peuple. Il [le Burkina Faso] saura répondre présent chaque fois que de besoin et cela en opposition aux promenades inutiles.
Depuis bientôt trois ans, mon peuple, le peuple burkinabè, mène un combat contre la désertification. Il était donc de son devoir d’être présent à cette tribune pour parler de son expérience et bénéficier aussi de celle des autres peuples de par le monde. Depuis bientôt trois ans au Burkina Faso, chaque événement heureux mariages, baptêmes, décorations, visites de personnalités et autres se célèbre par une séance de plantation d’arbres.
Pour le nouvel an 1986, toutes les écolières, tous les écoliers et les élèves de notre capitale, Ouagadougou, ont confectionné de leurs propres mains plus de 3 500 foyers améliorés offerts à leurs mères, et venant s’ajouter aux 80 000 foyers confectionnés par les femmes elles-mêmes en deux ans. C’était leur contribution à l’effort national pour réduire la consommation du bois de chauffe et sauvegarder l’arbre et la vie.
L’accès à la propriété ou à la simple location des centaines de logements sociaux construits depuis le 4 août 1983 est strictement conditionné par l’engagement du bénéficiaire à planter un nombre minimum d’arbres et à les entretenir comme la prunelle de ses yeux. Des bénéficiaires irrespectueux de leur engagement ont déjà été expulsés grâce à la vigilance de nos Comités de défense de la révolution (CDR) que les langues fielleuses se plaisent à dénigrer systématiquement et sans aucune nuance.
Après avoir vacciné sur tout le territoire national en une quinzaine de jours, deux millions cinq cent mille enfants, âgés de 9 mois à 14 ans, du Burkina Faso et des pays voisins, contre la rougeole, la méningite et la fièvre jaune ; après avoir réalisé plus de 150 forages, garantissant l’approvisionnement en eau potable à la vingtaine de secteurs de notre capitale jusqu’ici privée de ce besoin essentiel ; après avoir porté en deux ans le taux d’alphabétisation de 12 pour cent à 22 pour cent ; le peuple burkinabè continue victorieusement sa lutte pour un Burkina vert.
Dix millions d’arbres ont été plantés dans le cadre d’un Programme populaire de développement (PPD) de 15 mois qui fut notre premier pari en attendant le Plan quinquennal. Dans les villages, les vallées aménagées de nos fleuves, les familles doivent planter chacune 100 arbres par an.
La coupe et la commercialisation du bois de chauffe ont été totalement réorganisées et vigoureusement disciplinées. Ces activités vont de l’obligation de détenir une carte de commerçant de bois, de respecter les zones affectées à la coupe du bois, jusqu’à l’obligation d’assurer le reboisement des espaces déboisés. Chaque ville et chaque village, burkinabè possède aujourd’hui un bosquet, réhabilitant ainsi une tradition ancestrale.
Grâce à l’effort de responsabilisation des masses populaires, nos centres urbains sont débarrassés du fléau de la divagation des animaux. Dans nos campagnes, nos efforts portent sur la sédentarisation du bétail afin de privilégier le caractère intensif de l’élevage pour lutter contre le nomadisme sauvage. Tous les actes criminels des pyromanes qui brûlent la forêt sont jugés et sanctionnés par les Tribunaux populaires de conciliation des villages. La plantation obligatoire d’un certain nombre d’arbres figure parmi les sanctions de ces tribunaux.
Du 10 février au 20 mars prochain, plus de 35 000 paysans, responsables des groupements et des coopératives villageoises suivront des cours intensifs d’alphabétisation en matière de gestion économique, d’organisation et d’entretien de l’environnement.
Depuis le 15 janvier, il se déroule au Burkina une vaste opération nommée « Récolte populaire de semences forestières » en vue d’approvisionner les 7 000 pépinières villageoises. Nous résumons toutes ces actions dans le terme des « Trois luttes ».
Mesdames, Mesdemoiselles et Messieurs :
Mon intention n’est pas d’encenser sans retenue et sans mesure la modeste expérience révolutionnaire de mon peuple en matière de défense de l’arbre et de la forêt. Mon intention est de vous parler de la façon la plus explicite qui soit, des profonds changements en cours au Burkina Faso, dans les relations entre l’homme et l’arbre. Mon intention est de témoigner de la façon la plus fidèle qui soit, de la naissance et du développement d’un amour sincère et profond entre l’homme burkinabé et l’arbre, dans ma patrie.
Ce faisant, nous croyons traduire sur le terrain notre conception théorique en rapport avec les voies et moyens spécifiques à nos réalités sahéliennes, dans la recherche de solutions aux dangers présents et futurs qui agressent l’arbre à l’échelle planétaire.
, Les efforts de toute la communauté ici réunie et les nôtres, vos expériences et nos expériences cumulées seront certainement à même de garantir des victoires constantes et soutenues pour sauver l’arbre, l’environnement et la vie tout court.
Excellences, Mesdames et Messieurs :
Je suis venu à vous parce que nous espérons que vous engagez un combat dont nous ne saurions être absents, nous qui sommes quotidiennement agressés et qui attendons que le miracle verdoyant surgisse du courage de dire ce qui doit être dit. Je suis venu me joindre à vous pour déplorer les rigueurs de la nature. Je suis venu à vous pour dénoncer l’homme dont l’égoïsme est cause du malheur de son prochain. Le pillage colonial a décimé nos forêts sans la moindre pensée réparatrice pour nos lendemains.
La perturbation impunie de la biosphère par des rallies sauvages et meurtriers, sur terre et dans les airs se poursuit. Et, l’on ne dira jamais assez, combien tous ces engins qui dégagent des gaz propagent des carnages. Ceux qui ont les moyens technologiques pour établir les culpabilités n’y ont pas intérêt et ceux qui y ont intérêt n’ont pas les moyens technologiques. Ils n’ont pour eux que leur intuition et leur intime conviction.
Nous ne sommes pas contre le progrès, mais nous souhaitons que le progrès ne soit pas anarchique et criminellement oublieux des droits des autres. Nous voulons donc affirmer que la lutte contre la désertification est une lutte pour l’équilibre entre l’homme, la nature et la société. A ce titre, elle est avant tout une lutte politique et non une fatalité.
La création d’un ministère de l’Eau qui vient compléter le ministère de l’Environnement et du Tourisme dans mon pays marque notre volonté de poser clairement les problèmes afin d’être à même de les résoudre. Nous devons lutter pour trouver les moyens financiers afin d’exploiter nos ressources hydrauliques forages, retenues d’eau et barrages qui existent. C’est le lieu de dénoncer les accords léonins et les conditions draconiennes des banques et organismes de financement qui condamnent nos projets en la matière. Ce sont ces conditions prohibitives qui provoquent l’endettement traumatisant de nos pays, interdisant toute marge de manoeuvre réelle.
Ni les arguments fallacieux du malthusianisme et j’affirme que l’Afrique reste un continent sous-peuplé ni les colonies de vacances pompeusement et démagogiquement baptisées « Opérations de reboisement », ne constituent des réponses. Nous et notre misère, nous sommes refoulés comme des pelés et des galeux dont les jérémiades et les clameurs perturbent la quiétude feutrée des fabriquants et des marchands de misère.
C’est pourquoi le Burkina a proposé et propose toujours, qu’au moins un pour cent des sommes colossales sacrifiées dans la recherche de la cohabitation avec les autres astres servent à financer de façon compensatoire, des projets de lutte pour sauver l’arbre et la vie. Nous ne désespérons pas qu’un dialogue avec les martiens puisse déboucher sur la reconquête de l’Eden. Mais en attendant, les terriens que nous sommes avons aussi le droit de refuser un choix qui se limite à la simple alternative entre l’enfer et le purgatoire.
Ainsi formulée, notre lutte pour l’arbre et la forêt est d’abord une lutte populaire et démocratique. Car l’excitation stérile et dispendieuse de quelques ingénieurs et experts en sylviculture n’y fera jamais rien ! De même, les consciences émues, même sincères et louables, de multiples forums et institutions ne pourront reverdir le Sahel, lorsqu’on manque d’argent pour forer des puits d’eau potable à 100 mètres et que l’on en regorge pour forer des puits de pétrole à 3 000 mètres ! Kart Marx le disait, on ne pense ni aux mêmes choses, ni de la même façon selon que l’on vit dans une chaumière ou dans un palais. Cette lutte pour l’arbre et la forêt est surtout une lutte anti-impérialiste. Car l’impérialisme est le pyromane de nos forêts et de nos savanes.
Messieurs les présidents ; Messieurs les Premiers ministres ; Mesdames, Messieurs :
C’est pour que le vert de l’abondance, de la joie, du bonheur conquière son droit que nous nous sommes appuyés sur ces principes révolutionnaires de lutte. Nous croyons en la vertu de la révolution pour arrêter la mort de notre Faso et pour lui ouvrir un destin heureux.
Oui, la problématique de l’arbre et de la forêt est exclusivement celle de l’équilibre et de l’harmonie entre l’individu, la société et la nature. Ce combat est possible. Ne reculons pas devant l’immensité de la tâche, ne nous détournons pas de la souffrance des autres car la désertification n’a plus de frontières.
Ce combat, nous pouvons le gagner si nous choisissons d’être architectes et non pas simplement abeilles. Ce sera la victoire de la conscience sur l’instinct. L’abeille et l’architecte’, oui ! L’auteur me permettra de prolonger cette comparaison dualiste en un triptyque, c’est-à-dire : l’abeille, l’architecte et l’architecte révolutionnaire.
La patrie ou la mort, nous vaincrons ! Je vous remercie.
Thomas Sankara
mercoledì, ottobre 12, 2016
La pioggia era solo una speranza
La pioggia era solo una speranza
Il sorriso dell'uva un abbaglio
Le nuvole erano cosí basse
Che entravamo e uscivamo
Dalle loro spirali
Come i raggi visuali da uno specchio
Scomparsi i nostri corpi da tutte le
foto
Restavano solo i paesaggi:
I Castelli della Loira, il Palazzo dei
Papi
La Beauce, il Lago di Como,
A confermare una sola domanda:
La sola domanda? - Pensavo -
Evitando di formularla.
genseki
lunedì, ottobre 10, 2016
Para M.J.
Feliz Cumpleaños
2016
Moverse en la lluvia
En la lúcida opacidad de
la lluvia
En el temblor de las hojas
mojada
Que empapan el pelo y las
cejas
Moverse en la niebla
Como una boca perfumada
Que esboza flores de
aliento
Y los cuelga a las ramas
de las moreras
Sin memoria
Sin mar
Sin pasado
Sin otra cosa que
abandonarse
A este paseo ciego
Hasta que un paso sean dos
Que se doblen las rodillas
Que redoblen los corazones
Que se enciendan lo
pájaros como velas
Hasta que no haya más
allá del uno que el otro
Hasta ser siempre la
orilla de uno
El allende del otro
Esto es el amor
El nuestro.
Feliz cumpleaños
Genseki
lunedì, ottobre 03, 2016
Hans Urs von Balthasar
¿A qué Señor soy asimilado al recibir la eucaristía? ¿Al que vive
eternamente y que no muere ya o más bien a aquél que hasta el fin del mundo
estará en agonía y cuya muerte anuncio en la celebración eucarística? ¿O quizás
estas dos existencias se entremezclan una en la otra, desde el momento en que
sobre el trono de Dios el Cordero está vivo y al mismo tiempo «como inmolado
desde el comienzo del mundo»? Si se vive el misterio de la existencia cristiana con una fe verdadera en el misterio de Cristo, aquel permanece insondable y ningún
cristiano auténtico puede tener interés en descubrirlo. Su vida está comprendida
entre dos puntos; existe por uno y está en función del otro: el primero es Dios en
Cristo y el segundo el prójimo. Su existencia es posible en la medida en que
representa el movimiento del primero hacia el segundo: el Espíritu Santo es el
encargado de impulsar y conducir este movimiento.
domenica, ottobre 02, 2016
Adrienne Von Speyr
venerdì, settembre 30, 2016
Romano Guardini (1885-1968), La tecnica e l'uomo. Dalla nona lettera dal Lago di Como (1925)
La questione che mi tormentava era questa: è ancora possibile, in mezzo a tutto ciò che accade, un tipo di vita che sia completamente imperniato sulla natura dell'uomo e sull'opera dell'uomo?
Il vecchio mondo sta crollando, e intendo la parola «mondo» nella sua più ampia accezione e cioè comprendendo in essa le opere, le istituzioni, le organizzazioni e le attitudini di vita. La metà del secolo scorso segna la linea di divisione della storia (sebbene, naturalmente, le radici degli avvenimenti di allora siano da ricercarsi molto più addietro nel tempo). A quel mondo antico apparteneva una figura umana ben definita, universale, nonostante le molte e notevoli differenze. Questo tipo universale era sostenuto dall'uomo e, nella stesso tempo, gli serviva di sostegno. L'uomo stesso l'aveva creato e viveva in esso. Lo teneva, palpitante di vita, nella sua mano; era, contemporaneamente, la sua opera e la sua espressione, il suo oggetto e il suo strumento. Ciò era cultura e tutta la vera cultura che oggi ancora possediamo deriva di là.
In seguito si manifestano fatti nuovi: le cose tendono a non aver più lo stesso carattere, la stessa misura, a mutare il loro punto di partenza e i loro fini. Altre sono le forze che le muovono; le loro relazioni con la natura non sono più quelle di prima. Al contatto con il «fatto nuovo» che si introduce nella storia, tutto l'antico ordine di cose si sgretola. L'uomo che gli apparteneva e del quale noi tutti portiamo, più o meno, qualcosa nel sangue, diventa un senza patria. Dirò di più: egli si riduce in se stesso poiché il mondo ora in procinto di scomparire non esisteva che in virtù di lui ed egli, a sua volta, non esisteva che per mezzo di questo mondo. Il fatto nuovo non è penetrato come elemento di rottura soltanto nell'ordine obiettivo, in quanto frutto di una cultura obiettiva, ma anche e soprattutto nell'essere umano vivente. La comparsa della tecnica è prima di tutto un fenomeno che ha intaccato l'intimo dell'uomo. Per questo ci troviamo nella condizione di senza patria, per questo ci siamo ridotti in uno stato di barbarie. Per lo meno, le cose stanno così se osserviamo noi stessi partendo dall'«antico», poiché questo passato sente sfasciarsi il suo mondo e insieme con quello sente andare in rovina se stesso. E le cose stanno veramente così, se consideriamo le realtà nuove che ci pervengono, che arrivano in noi e al di fuori di noi, poiché tutto — almeno finora — è caos.
Dunque, in quanto la questione, coscientemente o incoscientemente, fa derivare l'idea dei valori umani dall'antico tipo di umanità, la risposta da darle dovrebbe essere un rifiuto categorico. Tutto ciò che vi è di nuovo toglie all'uomo dell'antica cultura la possibilità di essere. Si potrà cercare di attenuare gli effetti di questa evoluzione ma non la si potrà arrestare.
Qui è bene approfondire questo pensiero: se oggi abbiamo l'impressione di trovarci di fronte a una distruzione, è perché un essere e un fatto di tipo nuovo sono penetrati, modificandola brutalmente, nell'antica immagine del mondo e dell'uomo. Questo elemento nuovo opera in maniera distruttiva perché incontra un uomo che non è fatto per lui.
Più precisamente: è caotico e agisce da distruttore perché l'uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora. Questo «nuovo» esercita un'azione distruttiva perché non si è ancora riusciti a renderlo umano. È un assalto di forze rese libere che non sono state ancora domate; materie prime che non sono state ancora selezionate, che non sono state ancora portate a una forma spirituale vivente, che non sono ancora alla portata umana. Ora il farsi padrone di queste materie prime e di queste forze, il raccoglierle, il dar loro una forma, il metterle in rapporto, tutto ciò per cui si crea un «mondo», una «cultura», non è in potere dell'uomo che faceva parte di quel mondo antico al quale si era conformato. Gli mancano, per essere all'altezza di tutto ciò, la scala delle misure, l'immagine anticipatrice, la forza. Restando fermi sul campo anticamente occupato, la battaglia per la cultura vivente sarebbe perduta e da questo passato non ci potremmo attendere altro se non una profonda confusione. La lotta potrà essere ripresa soltanto su un altro piano. Il mondo della tecnica e le sue forze scatenate non potranno essere dominati che da un nuovo atteggiamento che ad esse si adatti e sia loro proporzionato. L'uomo è chiamato a fornire una nuova base di intelligenza e di libertà che siano, però, affini al fatto nuovo, secondo il loro carattere, il loro stile e tutto il loro orientamento interiore. L'uomo dovrà porre il suo vivo punto di partenza, dovrà innestare la sua leva di comando là, dove nasce il nuovo evento. Ma questo «nuovo» è costituito solo da modificazioni entro un contesto di fondamenti permanenti o, al contrario, possiamo scorgere in esso il segno di un rinnovamento storico?
In caso valga quest'ultima ipotesi - e sono convinto che essa sia quella giusta - dobbiamo darle la nostra adesione. Conosco il prezzo di questo consenso. Coloro che ingenuamente hanno già optato per il nuovo e coloro ai quali son facili i rapidi mutamenti di orientamento tacceranno le riflessioni esposte in queste lettere di romanticismo retrogrado, di asservimento al passato. Di buon grado lasciamo loro l'occasione di compiacersene soddisfatti. Noi però osserviamo che si può aderire ai fatti della storia con libera scelta, con una vera e propria decisione: perché essa proviene da un cuore che sa. E ciò ha il suo peso. Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto. Non dobbiamo irrigidirci contro il «nuovo», tentando di conservare un bel mondo condannato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell'evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso. Il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire.
E, in fondo, noi non vogliamo che sia altrimenti. Il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere, esteriore a noi stessi. Noi stessi siamo il nostro tempo! Nostro sangue e nostra anima, questo è il nostro tempo. Siamo in rapporto col tempo come lo siamo con noi stessi, lo amiamo e lo lodiamo in un medesimo sentimento. E ciascuno sta in rapporto al tempo secondo la propria attitudine: irriflessivo se è irriflessivo verso se stesso, risoluto, se tale è verso se stesso.
Noi amiamo la forza intensa di questo tempo e la sua volontà di assumere le proprie responsabilità. Amiamo la risolutezza con cui affronta i rischi delle soluzioni estreme. La nostra anima non rimane insensibile davanti allo spettacolo di valori che cercano di farsi strada e di affermarsi. Noi proviamo commozione per tutto ciò pur avvertendone il lato discutibile, pur restando ancora sensibili alla deliziosa attrattiva del passato. Bisogna aver lucidamente considerato ciò che si sta per intraprendere, se si vuol trovar la forza di sacrificare con cuore saldo l'indicibile nobiltà del passato.
E neppure si deve pensare che questa evoluzione sia anticristiana. Tale può essere, talvolta, la mentalità che le presiede, ma non l'evoluzione in se stessa. Anzi, la scienza, la tecnica e tutto ciò che da esse deriva sono state rese possibili soltanto per mezzo del Cristianesimo. Solamente un uomo, la cui anima si sapeva salva per la presenza immediata di Dio e per la dignità del Battesimo, un uomo giunto così alla convinzione di essere diverso da tutto il resto della natura, poteva rompere il legame che ad essa lo univa: il che è proprio ciò che ha fatto l'uomo dell'epoca della tecnica. L'uomo dell'antichità vi avrebbe intravisto una àâñéò dalla quale doversi allontanare con orrore. Soltanto l'uomo al quale la unione con Dio ha conferito il senso dell'assoluto, al quale le parabole del tesoro nel campo, della perla preziosa e l'insegnamento della necessità di perdere la propria vita hanno fatto apprendere l'esistenza di qualcosa per la quale si deve rinunciare a tutto il resto - solamente quest'uomo ha saputo essere capace di una decisione così estrema com'è, appunto, quella che informa la scienza moderna, la quale vuole la verità anche se questa verità abbia a rendere la vita impossibile; di una decisione che anima la tecnica la quale vuole l'opera e dovrebbe, mediante una trasformazione del mondo, coinvolgere tutta l'esistenza umana. Soltanto un uomo che ha attinto dalla fede cristiana nella vita eterna l'incrollabile certezza che il suo essere è indistruttibile, ha potuto trovare in se stesso la fiducia indispensabile a una tale impresa. Ma, veramente, le forze di cui parliamo sono sfuggite dalla mano della personalità vivente, o si dovrebbe dire piuttosto che è la mano che non le ha più sapute trattenere? Che se le è lasciate sfuggire? E che per questo esse sarebbero cadute sotto il giogo demoniaco del numero, della macchina, della volontà di potenza?...
Per poter renderci padroni del «nuovo», dobbiamo in giusto modo penetrarlo. Dobbiamo dominare le forze scatenate onde farle attendere alla elaborazione di un ordine nuovo, che sia riferito all'uomo. Ma, in ultima analisi, questa opera non può compiersi ove si prendano come punto di partenza i problemi tecnici; essa è resa possibile solo partendo dall'uomo vivente. Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono essere risolti se non procedendo dall'uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove, di una capacità di assumere forme nuove e di crearne. La sua costituzione dev'essere tale, che debba trovare il mondo nuovo già nelle fibre del suo essere e nella forma stessa della presa con cui ne afferra le strutture. Per imponente che sia la mole del sapere accumulato, per quanto gigantesco sia l'apparato economico e politico, per quanto potente sia la tecnica, tutto ciò non rappresenta ancora nient'altro che pura materia prima, se misurato col metro di una scienza, di una economia, di una politica e di una tecnica viventi. Non abbiamo bisogno di ridurre la tecnica, ma, al contrario, di accrescerla. O meglio: ciò che ci occorre è una tecnica più forte, più ponderata, più «umana». Ci occorre più scienza, ma che sia più spiritualizzata, più sottomessa alla disciplina della forma; ci occorre più energia economica e politica, ma che sia più evoluta, più matura, più cosciente delle proprie responsabilità, che discerna il particolare nei complessi di cui esso fa parte. Ora, tutto ciò sarà possibile soltanto quando l'uomo vivente farà risaltare se stesso nell'ambito della natura delle cose, quando riferirà questa natura a se stesso e potrà così creare a nuovo un «mondo».
Questo «mondo» dobbiamo estrarlo da un immenso accumulo di forze e di sostanze di ogni genere. Una volta l'uomo aveva come primo obiettivo quello di affermarsi di fronte alla natura che lo minacciava da ogni parte, perché egli non l'aveva ancora dominata, ed era quindi per lui soltanto caos.
Così si cominciò ad osservare il comandamento: «Lavorate la terra e fate che essa vi sia sottomessa». Il caos - «caos» dal punto di vista dell'uomo - prese forma e divenne il mondo dell'uomo. Via via che ciò andava attuandosi, ossia man mano che l'uomo entrava in possesso della terra e si affermava contro di essa e in essa, egli liberava proprio con la sua stessa azione forze nuove, non ancora soggiogate dalla sua attitudine personale e dalla forma del mondo novellamente creato. Queste forze andarono crescendo e oggi, scatenate, hanno provocato un nuovo caos. Nella parabola della storia siamo ritornati esattamente al punto in cui si trovò l'uomo primitivo quando ebbe da affrontare il suo primo compito, quello di creare un «mondo». Siamo di nuovo minacciati da tutte le parti da un caos che, questa volta, noi stessi abbiamo provocato.
In primo luogo, dunque: bisogna dire «sì» al nostro tempo. Il problema non sarà risolto con un tornare indietro, né con un capovolgimento o con un differimento; e neppure con un semplice cambiamento o miglioramento. Si avrà la soluzione soltanto andandola a cercare molto in profondità.
Dev'essere possibile inoltrarsi nella via della presa di coscienza, sino a giungere alla mèta, per moto interiore e non per pressioni o limitazioni esteriori. E deve essere possibile, nello stesso tempo, conseguire una nuova sicurezza interiore, che non sia legata a quanto va consumato ed arso in quella presa di coscienza; un atteggiamento di rispetto che sostenga questo nuovo sapere; una ingenuità nuova nella coscienza; una capacità di credere, anche nella scepsi.
Deve essere possibile lasciar cadere le illusioni e veder tracciati rigorosamente i limiti della nostra esistenza, ma acquisire, nel contempo, una nuova infinità avente la sua origine nello spirito.
Deve essere possibile risolvere il problema del dominio sulla natura nella misura che si è mostrata; ma, nello stesso tempo, dare all'anima una nuova sfera di libertà, restituire alla vita una inesauribile sicurezza in se stessa e acquistare un atteggiamento, una mentalità, un nuovo ordine per valutare in maniera vivente il sublime e l'abbietto, il lecito e l'illecito, la responsabilità, i limiti, ecc., superando il pericolo derivante dalle forze naturali sbrigliate al loro arbitrio, capaci di ogni distruzione.
Deve essere possibile veder scomparire l'antica aristocrazia del piccolo numero e accettare il fatto della massa, quel fatto per cui ciascuno di questa folla di individui ha diritto alla vita e ai beni; ma articolare, nello stesso tempo, la massa in se stessa e giungere ad una nuova gerarchia del valore e dell'essere umano.
Deve essere possibile seguire la tecnica nella strada su cui essa persegue uno scopo che abbia veramente un significato, permettere alle forze di tale tecnica di sviluppare tutto il loro dinamismo, anche se ciò dovesse sconvolgere l'antico ordine con le sue strutture; ma, nello stesso tempo, creare un ordine nuovo, un nuovo cosmo che dovrà sortire da una umanità portatasi a livello di queste forze.
da Lettere dal Lago di Como. La tecnica e l'uomo , tr. it. di Giulietta Basso, Morcelliana, Brescia 19932 , pp. 92-100.
mercoledì, settembre 28, 2016
Credo in Deum patrem omnipotentem
Et in Christum Iesum, filium Dei.
Qui natus de Spiritu Sancto ex María Virgine
Et crucifixus sub Pontio Pilato et mortuus est et sepultus,
Et resurrexit die tertia vivus a mortuis,
Et ascendit in caelis,
Et sedit ad dexteram patris,
Venturus iudicare vivos et mortuos
Et in Spiritum Sanctum et sanctam ecclesiam,
Et carnis resurrectionem.
giovedì, settembre 15, 2016
Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo
Un apunte sobre la esencia de la religión a partir de la esencia del cristianismo: Si se pregunta a bocajarro en qué consiste el cristianismo (como a los rabinos célebres de la Mishná les preguntó un curioso por la esencia de la Torá, pero exigiendo que la respuesta no durara más que el tiempo en que él fuera capaz de sostenerse a la pata coja), habrá que decir: Consiste en …
martedì, luglio 05, 2016
Orazione
È un'orazione anche questo incresparsi
Di albe , di piume, di panni stesi
Di nebbia,
Ogni tuo respiro,
L'estinzione dei versanti,
Il rovescio di pioggia
Sul bosco stremato
E il disperdersi del ricordo
Di tutti questi doni.
genseki
Di albe , di piume, di panni stesi
Di nebbia,
Ogni tuo respiro,
L'estinzione dei versanti,
Il rovescio di pioggia
Sul bosco stremato
E il disperdersi del ricordo
Di tutti questi doni.
genseki
Madre della gloria
Omelia
per la dormizione della Vergine Maria
Oggi
entra nelle sublimi regioni, oggi si presenta nel tempio celestiale
l'unica Vergine santa, colei che con tanto sforzo coltivó la
verginitá che giunse a posssederla nello stesso grado che il fuoco
piú puro, posto che, mentre tutte le donne la perdono nel dare alla
luce, Ella restó vergine prima del parto, durante il parto e dopo il
parto.
Oggi
l'arca viva consacrata al Dio vivente, Colei che portó in seno il
suo proprio Artefice, riposa nel tempio del Signore, tempio non
edificato da mani umane.
Danza
Davide suo antenato e avo di Dio e con lui formano un coro gli
angeli, applaudono gli arcangeli, celebrano le virtú, esultano i
principati, si dilettano le dominazioni, si rallegrano le potestá,
fanno festa i troni, i cherubini cantano lodi e annunciano la sua
gloria i serafini. E non è un onore di poca importanza, posto che
glorificano la madre della gloria.
Oggi
la santissima colomba, l'anima semplice e innocente consacrata allo
Spirito Santo, uscí volando dall'arca, ovver dal corpo che aveva
generato Dio e gli aveva dato la vita, per riposare ai suoi piedi,
essendo giunta al mondo intellegibile fissó la sua sede nella terra
dell'ereditá suprema, quella terra in cui non si trova nessuna
impuritá.
Oggi
il Cielo si apre al Paradiso spirituale del nuovo Adamo nel quale
siamo liberati dalla condanna, in cui è piantato l'albero della
vita, coperta la nostra nuditá. Ormai non ci mancano gli abiti, non
siamo privati dello splendore dell'immagine divina, non siamo
spogliati della copiosa grazia dello Spirito. Ormai non ci lamentiamo
piú della nuditá antica, dicendo: mi hanno tolto la tunica, come
potró ponermela? Nel primo Paradiso fu aperta l'entrata al serpente,
mentre noi, per aver ambito la falsa divinitá che ci prometteva,
fummo comparati al bestiame. Il Figlio Unigenito di Dio stesso, che è
Dio consustanziale al Padre, si fece uomo originandosi da questa
terra purissima che è la Vergine. In questo modo, io che sono solo
uomo, ho ricevuto la divinitá, mortale fui rivestito di immortalitá
e mi spogliai della tunica di pelle. Rifiutando la corruzione mi sono
rivestito di incorrutibilitá, grazia alla divinizzazione che ho
ricevuto.
Oggi
la Vergine Inmacolata, che non ha conosciuto nessuna delle colpe
terrene, ma si è nutrita dei pensieri celestiali, non è tornata
alla terra, siccome Ella era un cielo vivente, si trova nei
tabernacoli celestiali. Infatti, chi peccherebbe contro la veritá
chiamandola cielo? Almeno si puó dire, se si comprende bene quello
he signica, che è superiore ai cieli per i uoi incomparabili
privilegi. Posto che Colui che produsse e conserva i cieli,
l'Artefice di tutte le cose create – tanto delle terrene come delle
celestiali, che cadono o no nel nostro spazio visuale, - Colui che
non è contenuto in nessun luogo, si incarnó e si fece bambino in
Lei senza opera d'uomo, e la trasformó nel bellissimo tabernacolo di
questa unica divinitá che contiene tutte le cose, totalmente
raccolto in Maria senza soffrire nessuna passione, e allo stesso
tempo stando completamente fuori, perché non puó essere contenuto.
Oggi
la Vergine, tesoro della vita, abisso della grazia – non saprei
come esprimermi con le mie labbra audaci e tremanti – ci viene
nascosta da una morte vivificante. Ella che ha generato il
distruttore della morte, la vede giungere senza timore, se morte
chiamar si puó questa partenza luminosa, piena di vita e di santitá.
Colei che ha dato la vita al mondo, come puó sottomettersi alla
morte? Ella, peró ha obbedito alla legge imposta dal Signore e, come
figlia di Adamo, soffre a sentaza pronunciata contro il adre. Suo
Figlio, che è la Vita stessa, non la ha rifiutata, e quindi è
giusto che lo stesso accada alla Madre del Dio vivo.
Avendo
Dio detto, in relazione al primo uomo: che egli non allunghi la mano
all'albero della vita e, mangiando di esso, viva per sempre. Perché
non dovrá vivere eternamente colei che generó colui che è la Vita
eterna e infinita, quella Vita che non ebbe inizio né fine?
(…)
Se il corpo santo e incorruttibile che Dio, in Lei, aveva unito alla
sua persona, è resuscitato dal sepolcro il terzo giorno, è giusto
che Ella pure fosse sottratta al sepolcro e riunita con suo Figlio. Ê
giusto che proprio come Lui era disceso verso di Lei, Ella fosse
elevata a un tabernacolo piú alto e prezioso, il cielo stesso.
Conveniva
che Colei cha aveva albergato nel suo seno il Verbo di Dio, fosse
collocata nelle divine dimore di suo Figlio; cosí come il Signore
disse che desiderava stare in compagnia di coloro che appartenevano
al Padre, conveniva anche che la Madre abitasse nel palazzo del
Figlio, nella dimora del Signre, negli atri della casa del nostro
Dio. Dato che se ivi si trova l'abitazione di tutti quelli che vivono
in allegria, dove dovrebbe trovarsi chi è la Causa della nostra
allegria?
Conveniva
che il corpo di colei che aveva conservato la verginitá senza
macchia nel parto, fosse conservato dopo la morte.
Conveniva
che colei che aveva tenutio in grembo il creatore fattosi bambino
abitasse nei tabernacoli divini.
Conveniva
che la Sposa eletta dal Padre, vivesse nelle dimore del Cielo.
Conveniva
che Colei che contempló suo Figlio sulla Croce, e ebbe il cuore
trafitto dal pugnale del dolore che non aveva provato nel parto, lo
contemplasse seduto alla destra del Padre.
Conveniva,
infine, che la Madre di Dio possedesse tutto quello che il Figlio
possedeva e fosse onorata da tutte le creature.
Giovanni
Damasceno
trad genseki
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