mercoledì, aprile 24, 2013

Gilbert Simondon

Il desiderio di potenza consacra la macchina come mezzo di supremazia, e fa di essa il filtro, a pozione moderna. L'uomo che vuole dominare i suoi simili suscita la macchina androide. Ecco che abdica davanti ad essa e delega ad esse la sua umanità. Cerca di costruire la macchina per pensare, mentre sogna di costruire la macchina da volere, a macchina da vivere per porsi dietro ad essa senza angoscia, libero da ogni rischio, esente da ogni sentimento di debolezza  e trionfando attraverso la mediazione di ciò che ha inventato

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Ciò che risiede nelle macchine, è realtà umana gesto umano fissato e cristalizzato in strutture  che funzionano.

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Per restituire alla cultura il carattere veramente generale ch'essa ha perduto, bisogna reintrodurre in essa la coscienza della natura delle macchine, delle loro relazioni reciproche e delle loro relazioni con l'uomo e dei valori implicati in tali relazioni.

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Le funzioni di direzione sono false perché non esiste più tra la realtà governata e gli esseri che la governano un codice adeguato di relazioni: la realtà governata è composta di uomini e macchine...

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L'unità dell'oggetto tecnico, la sua individualità, la sua specificità, sono i caratteri di consisenza e di convergenza della sua genesi. La genesi dell'oggetto tecnico fa parte del suo essere.
L'oggetto tecnico è ciò che non è anteriore al suo divenire, ma presente a ogni tappa di questo divenire; l'oggetto tecnico uno è unità di divenire.

L'essere tecnico evolve per convergenza e per adattamento a sè; si unifica interiormente secondo un principio di risonanza interna.

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L'oggetto tecnico esiste come tipo specifico ottenuto al termine di una serie cnvergente. Questa serie va dall'astratto al concreto: tende verso uno stato che faccia dell'essere tecnico un sistema interamente coerente con sè stesso, interamente unificato.

Du mode d'existence des objets techniques

Trad. genseki

martedì, aprile 23, 2013

Fabrice Hadjadj

A proposito del matrimonio omosessuale


Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria, nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per l’arte.

dalla rivista: Tempi

Gilert Simondon

Il concetto di oggetto e il concetto di soggetto, proprio in virtú della loro origine, sono i limiti che il pensiero filosofico deve oltrepassare.

Trad genseki

sabato, aprile 13, 2013

Mohyddin ibn Arabi

L'universo è un immenso libro; tutti i caratteri di questo libro sono archetipicamente scritti con lo stesso inchiostro, e trascritti dalla penna divina sulla tavola eterna. Tussi sono scritti simultaneamente e sono indivisibili; è per questo che ai fenomeni essenziali divini, nascosti nel "segreto dei segreti" fu dato il nome di "lettere trascendenti".
Queste lettere trascendenti - ovverossia, tutte le creature - dopo essere state condensate simbolicamente nell'onniscienza divina, sono, in grazia del soffio divino, discese nelle righe inferiori e hanno compiuto e formato l'Universo manifestato.

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venerdì, aprile 12, 2013

Pasolini:

ad un certo punto l'uomo non sarà più in grado di capire sé stesso. Avrà una tale falsa idea di sé, che non sarà più in grado di capirsi.
Da quello che posso presupporre come uno che si interessa un po' di psicologia vedo davanti a me un tipo di società in cui sarà diffi­cile fare un discorso religioso, cioè autentico, perché o sarà incapace di avvertire un discorso religioso per­ché occupato soltanto dalla soteriologia terrena perché semplicemente non ci sarà più teismo ma neppure antiteismo. E' logico che la società si configuri così... Oppure può darsi che le forme religiose future, che stanno crescendo come dice Paolo VI, siano però del tipo alienante che si diceva».
 
Dal  blog: Nipoti di Maritain

Juan Ramón Jimenez

Attorno alla chioma
Dell'albero piú alto
Vanno volando i miei sogni
Sono colombe, incoronate
Di pura luce
Volano spargendo musica
Entrano, escono
Dall'abero solitario!
Mi avvolgono
Con reti d'oro.



*

Visione di costa

Il mare era il suo silenzio
Sua cecitá il cielo; profondo
Il suo lutto per non esserci nell'aurora;
L'ombra che proiettava
Era luminosa sulla sabbia dorata.

*

Trad. genseki

martedì, aprile 09, 2013

Serafini


I Serafini

La visione di Isaia

Questo fu quello che avvenne al profeta Isaia,
Nello Spirito rapito vide sedere il Signore
Su di un altissimo trono di fulgido splendore
E il bordo della sua veste riempiva tutto il coro
Accanto a lui stavano due Serafini
Vide che ciascuno di loro aveva sei ali,
Con due si coprivano il volto
Con due proteggevano i piedi
Con due volavano liberi,
L'uno di fronte all'altro esclamavano:
Santo è il Signore Sabaoth
La sua gloria colma il mondo intero.
La loro voce faceva tremare la volta e la soglia
L'aula era piena di fumo e di nebbia.

Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki

lunedì, aprile 08, 2013

Tommaseo

Nazione che non ha poesia storica, né poeticamente storiche tradizioni viventi nella moltitudine, è nazione morta.



La nonna cucina serpenti


Maria, dove hai cenato?
Maria mia unica figlia?

Dalla cara nonna ho cenato
Che male! Mamma che male!

La nonna, che ti ha preparato?
Maria, mia unica figlia!

Mi ha cucinato dei pesci,
Che male! Mamma che male!

E dove mai li ha trovati?
Maria, mia unica figlia!

Nell'orto i pesci ha acchiappato,
Che male! Mamma, che male!

E dimmi con che li ha acchiappati,
Maria, mia unica figlia!

Con un tridente li ha presi.
Che male! Mamma, che male!

Che cosa ha fatto coi resti?
Maria, mia unica figlia!

Al suo cane nero li ha dati,
Che male! Mamma, che male!

Che cosa è stato del cane?
Maria, mia unica figlia?

In mille pezzi si è infranto.
Che male! Mamma, che male!

Dove ti metto il lettuccio?
Maria, mia unica figlia!

Preparalo nel camposanto.
Che male! Mmma che male!

Arnim Brentano
Des Knaben Wunderhorn
Trad. genseki

Nervi

Durante sei mesi trascorsi a due leghe da Genova, sul mare piú bello del mondo , il piú protetto, a Nervi, non ebbi che una piccola tempesta capricciosa che durò poco ma che in cosí poco tempo, ebbe modo di dispiegare una furia singolare. Siccome dalla mia finestra la vedevo male, uscii passando per i vicoli tortuosi e gli alti palazzi, mi azzardai a discendere, non sulla spiaggia, che non c'è, ma su una cornice di nere rocce vulcaniche che seguono la riva, uno stretto sentiero che spesso non ha nemmeno tre piedi di larghezza e che salendo, scendendo, spesso a strapiombo sul mare, lo domina di trenta piedi, persino, a volte, da quaranta e sessanta. Non si vedeva molto lontano. I turbini continui stendevano una sorta di cortina. Quello che si scorgeva era limitato e spaventoso. L'asprezza, gli angoli vivi di questa costa sassosa, le punte, i picchi, le súbite, dure rientranze, imponevano alla tempesta salti, balzi, sforzi incredibili, torture infernali. Strideva di schiuma bianca, e sorrideva esecrabilmente agl scogli di lava che la spezzavano. Erano rumori insensati, assurdi, senza mai nessuna continuitá; tuoni discordi, , fischi tanto aspri come queli delle macchine a vapore che spingevano a tapparsi le orecchie. Stordito da uno spettacolo che inebetiva i sensi, cercavo di riprendermi, appoggiandomi  saldamente a un muro che  rientrava e che non avrebbe permesso a quella furiosa di afferrarmi e allora cominciai a comprendere meglio quello strepito. Dura e corta era la lama dei flutti e la lotta più intensa era quella che si svolgeva contro la costa tagliata tanto nettamente, contro quegli angoli crudeli che perforavano la tempesta, straziavano le onde. La cornice rocciosa che sovrastava le schiacciava nelle sue profondità rimbombanti. Anche l'occhio come le orecchie era ferito dal contrasto della neve abbagliante che sferzava le rocce laviche così nere.
Senivo, insomma, che era la terra, non il mare a produrre l'orrore. Il contrario di quanto avviene sull'oceano.

Jules Michelet

mercoledì, aprile 03, 2013

Cintio Vitier


Cintio Vitier

Qualcosa manca alla sera,
I pini non sono completi
E io guardando le nubi
Provo ciò che mai provai.

Ad ogni istante domando
Di quel tesoro perduto
L'ombra del quale trascorre
Con melanconico freddo.

La brama mi sta spiando
Notturna, sola, infinita;
Silente va nostalgia
Bruciando eterni vestigi.

Il mio gesto mai non giunge
Alla terra del destino;
La vita resta incompiuta,
Restano i sogni in sospeso.

**



Perché tale è il volto del fallimento
Che lo specchio riflette ciecamente
Prima che giunga, dolce e demente,
L'ultimo scintilla dell'occaso:

Fronte dell'ossessione e del rifiuto
Occhi che solo videro l'indomito
Naso che chiude l'aria, bocca assente
Nel suo sapore amaro; strana coppa

Sul punto di mutarsi in puro osso
Perché tale è lo scopo tal la cenere
La cui dolce tempesta tutto strappa,

Volli lasciare di lettere un ramo
Che bruciasse di più dove la brezza
L'aridità prosciuga, ride e passa.

*

L'aria

Si, sono desto, ecco sto guardando
Freddamente alcune cose
Che smettono ormai d'esser segrete.
Stanno qui, come gli alberi
Nell'aria nuda. Si, sono desto.
Anche la casa della mia infanzia è degli altri:
La hanno dipinta con un colore troppo vivace,
Entrano ed escono dalle stanze della mia anma,
Parlando d'altro. La luce invade il cortile
Dei miei nulla segreti. Con desiderio contemplo
Anche questo volto che è nessuno
Che giunge come un uccello ferito
Di quelli che soffrono e sorridono.
O popolo innumerevole! Sono sveglio
Guardando la polvere bagnata di luce,
Le tenebre dissolte in aria
Quando la verità comincia a delinearsi:
L'albero, l'allegria, il sacrificio.
E so che ho ancora altri ricordi nel sangue
Oltre quelli che posso ricordare, e più oblio
Di quanto se ne possa dimenticare in questo mondo.
Ma alla fine, che importa, se la metà
Di quella vita mi lascia e cade,
Se tanto sonno, infine, si è destato,
Se non v'è luogo che non mi stia osservando
Né istante ove il caso non mi frequenti.
Voglio essere come te, O volto dei poveri!,
Misteri del dolore e del sorriso, perché l'aria,
L'aria semplice e vuota,
Ci colmerà le voci di speranza

Cintio Vitier
Trad. gensek

lunedì, marzo 11, 2013

Daena


Alla domanda dell'anima meravigliata che chiede: Tu chi sei? Alla fanciulla che viene a incontrarlo all'entrata del ponte Chinvat e la cui bellezza risplende più di qualunque bellezza mai vista in questo mondo terrestre, ella risponde: “sono la tua Daena” che vuol dire: “sono la la personificazione della fede che hai professato e che ti ispira, quella per la quale hai risposto e che ti guidava, ti confortava e ora ti giudica, perchàe sono in persona l'Immagine proposta a te stesso fin dalla nascita del tuo essere, che tu finalmente hai amato. (“Ero bella e tu mi hai fatto ancora più bella”).

Henry Corbin

venerdì, febbraio 15, 2013

Ronsard

Ecoute, bûcheron, arreste un peu le bras :
Ce ne sont pas des bois que tu jettes à bas ;
Ne vois−tu pas le sang, lequel dégoutte à force,
Des nymphes, qui vivaient dessous la dure écorce ?
Cela finit ainsi, vous le savez :
La matière demeure et la forme se perd !

giovedì, febbraio 14, 2013

José Bergamìn


Come chi ascolta la pioggia
Ti prego: ascolta i miei versi:
con l'attenione profonda
Con cui si ascolta il silenzio.
Come si ascoltano gli alberi,
Quando li scuote il vento,
E fa cadere le foglie,
le ore morte del tempo.
Como il crepitio sonoro
Delle fiamme nel camino,
E nel firmamento il tacito
Brillare degli astri morti.


Trad. genseki