L'animale e la morte
L'inadeguatezza dell'animale all'universalità è la sua malattia originale ed è il germe innato della sua morte.
L'animale e la morte
L'inadeguatezza dell'animale all'universalità è la sua malattia originale ed è il germe innato della sua morte.
Trilce LXIII
Piovendo allegria. Pettinata
Quando la mattina chioma fina
Ben ormeggiata malinconia,
Nel mal asfaltato ossidente d'India arredato
Vira, appena s'adagia il destino
Cieli di puna senza senza entusiasmo
Per il grande l'amore, cieli di platino, torvi
D'impossibile
Rumina il gregge e vi si afferma
Il nitrito andino
Di me stesso mi sovvengo. Ma bastano
Le aste del vento, i timoni quieti fino
A farsi uno
E il gallo della noia e il gibboso gomito infrangibile.
Basta mattina di libere trecce
Di pece preziosa, montana
Quando esco e cerco le unidici
E son solo le dodicci a controra.
**
Trilce LXIX
Che mai vuoi da noi, mare coi tuoi volumi
Docenti! Che inconsolabile, atroce
Resti in pieno sole febbrile,
Salti con le tue zappe,
Salti con le tue falci,
Potando, potando ritornano le onde, dopo
Aver scorticato i quattro venti
E tutti quanti i ricordi in piattelli labiati
Di tungsteno, contatti di canini,
E statiche elle chelonie
Filosofia di ali nere che vibrano
Al tremito spaventoso delle spalle del giorno
Il mare, un'opera in piedi
Nel suo unico foglio il recto
Sta di fronte al verso.
César Vallejo
Il Tungsteno
I
Quando, finalmente, l'impresa nordamericana “Mining Society” fu padrona delle miniere di Tungsteno di Quivilca, nel Cuzco, la direzione di Nuova York decise di far cominciare immediatamente l'estrazione del minerale.
Il denaro cominciò a correre rapidamente e in abbondanza come mai si era visto a Colca, capitale della provincia in cui si trovavano le miniere. Le transazioni commerciali raggiungevano proporzioni inaudite. Da tutte le parti, nelle osterie e nei mercati, per strada e sulle piazze si osservavano persone che discutevano di acquisti e di affari. Molte proprietà urbano e rurali passavano di mano, e vi era un'animazione costante presso i notai e nei tribunali. I dollari della “Mining Society” avevano comunicato alla vita della provincia, prima tanto quieta, un movimento inabituale.
Tutti sembravano essere in viaggio. Persino il modo di camminare, prima lento e incurante si fece rapido e impaziente. Passavano gli uomini vestiti di cachi … pantaloni per cavalcare, con una voce che aveva anch'essa cambiato timbro, parlavano di dollari, documenti, assegni, marche da bollo, minute, cancellazioni, tonnellate, utensili. Le ragazze dei sobborghi uscivano per vederli passare, e un dolce brivido le scuoteva quando pensavano ai minerali lontani, il cui esotico fascino le attraeva irresistibilmente.
Sorridevano e arrossivano mentre chiedevano:
- Signore, va a Quivilca?
- Si. Domattina molto presto
- Che fortuna! Andate tutti ad arricchirvi in miniera!
Con i primi gruppi di braccianti e minatori giunsero a Quivilca gli amministratori, i direttori e gli alti impiegati dell'impresa: Tra di loro vi erano in primo luogo i Signori Taik e Weiss direttore e vicedirettore della “Mining Society”; il cassiere della società, Javier Machuca; l'ingegnere Peruviano José Marino, che aveva ottenuto la concessione in esclusiva del bazar e del caporalato per la “Mining Society”, il comissario degli impianti Baldazari e l'agronomo leonida Benites, aiutante di Rubio, questi portava con sé la moglie e due bambini piccoli. Marino portava un nipotino che picchiava ogni tanto, tutti gli altri erano soli.
Il luogo dove si stabilirono era una falda desolata del versante orientale delle Ande, rivolto alla regione dei boschi. Quivi incontrarono come solo segno di vita umana una capannuccia di indigeni, i Soras. Questa circostanza che permetteva loro di servirsi degli indios come guide nella regione solitaria e sconociuta, unita al fatto che nella topografia del luogo fosse quello il punto centrale dell'azione della compagnia mineraria, fece si che le basi del villaggio minerario furono gettate proprio intorno alla capanna dei Soras.
Per poter stabilire un ritmo di vita e di lavoro normale in quelle pune si dovettero dispiegare grandi e rischiosi sforzi.
L'assenza di vie di comunicazione con i villaggi civilizzati con i quali quel sito era unito solo da un sentieri scoscesi costituì, all'inizio, una difficoltà quasi insuperabile.
Varie volte si dovette sospendere il lavoro per mancanza di utensili e non poche per fame e malattia della gente sottoposta ad un clima glaciale e implacabile.
I sora, presso i quali i minatori trovarono sempre conforto e una ingenua e allegra mansuetudine svolsero un ruolo la cui importanza crebbe tanto che in più di una occasione l'impresa sarebbe fallita senza il loro opportuno intervento. Quando finivano i viveri e non ne arrivavano altri da Colca, i sora cedevano il proprio grano, il bestiame, utensili e servizi personali, seza tariffa, senza stare a pensarci e sopratutto senza fatsi pagare. Si accontentavano di vivere in amicizia e disinteressata armonia con in minatori che i sora osservavano con una sorta di curiosità infentile mentre si davano un gran da fare giorno e notti in un viavai continuo di macchine misteriose e fantastiche. Da parte sua la “Mining Society” non ebbe bisogno del lavoro dei sora nelle miniere per via della mano d'opera che aveva fatto venire da Colca e lasciava tranquilli i sora, da questo punto di vista, fino, almeno, a quando le miniere avessero reclamato più lavoro e più uomini. Sarebbe mai giunto quel giorno? Al momento i sora continuavano a vivere senza essere coinvolti nel lavoro in miniera.
Disse l'operaio e tiró fuori alcuni nichelini. Il sora li vide come qualcuno che proprio non riesce a capire:
- Che ci fai con 'sto denaro?
- Ci compro quello che voglio. Va! Che sei una bella bestia!