giovedì, settembre 09, 2010

Dreiser Cazzaniga e la lettera di M.Beaumont



M. Beaumont fu una delle relazioni che Dreiser Cazzaniga stabilí nel fior della prima giovinezza e nelle quali perduró per voluttá di vergogna. Giovane solitario, dallo sguardo perennemente sfuggente, intento per gran parte del tempo di qualunque converasione a mordersi metodicamente quello che restava delle sue unghie, lento anche quando tale non pareva, di una lentezza indizio di timore e menzogna profondamente sepolti nell'anima sua, fu considerato da tutti nell'umido e nebbioso Barrio come l'amico del cuore di Dreiser Cazzaniga. Tale fu la convinzione popolare che quasi si fece ovvietá, e alcuni giunsero a tal segno che immemori della realtá affermavano convinti che i due fossero fratelli o quantomeno cugini. Io stesso, il vostro servitore, Genseki, ho udito tale affermazione da Papillon il maricón ufficiale del Barrio non piú di due anni fa.
In realtá M. Beaumont odiava Dreiser Cazzaniga. Lo tormentava con piccole, continue meschinitá, ripicche, brutalitá, rivalitá e menzogne. La vita vera di M. Beaumont era quasi completamente celata allo sguardo di Dreiser Cazzaniga. Questi soleva rinnegare l'amico suo con qualunque persona mostrasse disprezzo o avversione per lui.
Ora nel nebbioso Barrio di Briggio e nella luminosa Villareal quasi non v'era chi amasse Dreiser Cazzaniga. Dreiser Cazzaniga era suo malgrado un testimone della libertá e un certo indomabile amore, ancora oscuro e minacciato da altri istinti misti al peccato lo rendevano eccentrico e minaccioso, Come tale cioè era percepito. Non vi fu occulto nemico di Dreiser Cazzaniga che non ricevesse occulta solidarietá dall'oscuro Beaumont la cui culla stava nel Barrio di Briggio. Al Barrio di Briggio egli apparteneva nebbioso e torbido come la valle di Briggio come il suo antico fiume ignorato come le sue sporche, trascurate, industriali rovine. Dreiser Cazzaniga non apparteneva a Briggio, solo il caso volle ch'egli vi trascorresse la prima infanzia, per Dreiser Cazzaniga sempre Briggio restó un orizzonte geografico e architettonico, luce, autunno, nebbia, castagne, mosto, cinghiali, I suoi abitanti erano come ombre, come grigi profili sudici e opachi, Beaumont apparteneva a Briggio in corpo e anima e per questo doveva costantemente tradire Dreiser Cazzaniga. Dreiser Cazzaniga viveva nella vergogna e nell'ignominia e per questo tali tradimenti soleva perdonare.
Molti anni sono passati da allora, Dreiser Cazzaniga trovó infine la dignitá di allontanare da sé la querula ombra minacciosa di Beaumont. Questi, d'altra parte volse i suoi passi alle lontane sierre e lande patagoniche e qui si sarebbe potuto porre il punto finale alla molesta storia di un altro fallimento di Dreiser Cazzaniga sul piano delle relazioni umane. Il fato volle, peró che Dreiser Cazzaniga fosse avvertito dall'amico suo Spadaro di una lettera che Beaumont aveva intenzione di inviargli nella sua Andalusia. Lettera che aveva per scopo di riannodare una amistá che invero Beaumont non aveva mai considerato finita. Voleva continuare a infierire sul groppone del povero Dreiser Cazzaniga! Dreiser Cazzaniga aspettó a lungo la lettera con la ferma intenzione di bruciarla senza leggerla. La lettera noin giungeva, Il sogno di Dreiser si faceva ogni giorno piú fermo e ardente, arricchivasi di nuovi cavallereschi particolari. La lettera non giungeva. Dreiser giounse, invece al punto di desiderarer che la lettera non desiderata giungesse per poter provare a se stesso che si era liberato di Beaumont e di Briggio e di Villareal. Non giungendo bruciava dentro di sé di ossessiva aspettativa. A tanto giunse l'ansia dell'attesa che si accorse infine con orrore di essere ancora in potere di Beaumont e della propria miseria. Non gli passó per la mente giá indebolita il pensiero di gettarsi scalzo ai piedi della Vergine Della Fuensanta nella sua salita al Monte Sacro avvolta nelle mantiglie, d'oro ricoperta tra le carole e le odi dei gitani per impetrare il suo aiuto. Soffrí e arse tutto quell'autunno penetrato dal sentimento della sua inconsistenza. Dreiser meschino. La lettera non giunse. Egli morto dorme nella sierra dove ancora aleggia lo spirito dei puri sufi. La lettera continua il suo viaggio. Non giungerá a colui cui era destinata. Beaumont sempre vive, ora nella lieta Campania spensierato bove pascola le sue insicurezze.
Se la sua missiva giungerá saró io, genseki, l'umile servo a bruciarla nell'inecenso come Dreiser lo volle.

A cura di genseki

Fede e dubbio

Credo che Sainte-Beuve abbia scritto da qualche parte che Chateaubriand era un libertino epicureo con una immaginazione cattolica. Certo doveva essere un arrogante. Tuttavia l'accusa di incoerenza che sembra suggerire Sainte-Beuve o chi per lui è tristemente fuori luogo. Esagerando come si suole fare nello stile aforismatico si potrebbe dire che solo chi possiede un vero, profondo e coerente immaginario cattolico puó essere un vero libertino. Chateaubriand ha un compagno piú cosciente anche se altrettanto arrogante nel Marchese Di Bradomín che come tutti sanno si autodefiniva un “Don Juan feo cátolico y sentimental” dove la molteplicitá delle relazioni contradditorie possibili tra i termini costituisce un vero e proprio tessuto d'una insospettabile coerenza.
La fede non è morale. La fede è immorale. La fede non è certezza, piuttosto dubbio. La fede è inseparabile dal dubbio piú disperato.
Queste righe di Chateaubriand dalle “Mémoires d'Outre-Tombe” sono il Dostoyeskij possibile nello stile impero:

“Siccome ho parlato delle cerimonie funebri che si ripeterono con tanta frequenza, vi descriveró l'incubo che mi opprimeva, quando, la sera, alla fine della cerimonia, passeggiavo nella penombra della basilica, che io pensassi alla vanitá delle cose umane tra quelle tombe in rovina è cosa del tutto normale: morale volgare, inseparabile dallo scenario di un tale spettacolo. Il mio spirito, tuttavia, andava oltre. Penetravo nella natura umana. Tutto è vuoto e assenza nella regione dei sepolcri? Non vi è nulla in tale nulla? Non vi è esistenza nel niente dei pensieri della polvere? Queste ossa forse non hanno una vita ignota? Chi conosce le passioni, i piaceri, gli amplessi dei morti? Le cose che hanno sognato, creduto, sperato sono forse come loro pure idee, naufragate con loro? Sogni, futuro, gioie, dolori, libertá e schiavitú, potere e debolezza, crimini e virtú, onori e infamie, ricchezze e miserie, talenti, genio, intelligenze, glorie, illusioni, amori, non siete che percezioni di un momento, trascorse con i crani spezzati in cui nacquero, con il petto annientato ove un tempo pulsó un cuore? Nel vostro silenzio, o tombe, se tombe, invero, siete solo s'ode un riso sardonico de eterno? Questo riso è Dio stesso, la sola ironica realtá destinata a sopravvivere all'intero universo? Chiudiamo gli occhi; riempiamo l'anima che dispera della vita con queste grandi parole del martire: “Sono cristiano”.
Mémoire d'outre-tombe
Terza parte – Libro III
Trad. genseki

La certezza pare piuttosto cemento del dubbio che della fede

genseki

giovedì, settembre 02, 2010

Il tempo e lo spirito

Certo ora che l'orizzonte sembra tanto oscuro da non permettere la percezione della prospettiva, da far dubitare che prospettiva ci sia, che un futuro sia possibile al di fuori della menzogna, dell'odio, della meschinitá della democrazia, delle sue guerre, dei suoi stermini, dello sfruttamento della cancellazione della memoria, della natura, della negativitá e deli divenire il testo di Hegel tratto dall'Introduzione alla storia della filosofia ci ricorda come la nostra prospettiva. la prospettiva possibile dal balconcino della nostra vita individuale sia tanto ristretta da non giustificare la disperazione.
La dialettica gramsciana tra pessimismo, ragione, volontá e ottimismo è qui sciolta, semplicemente tolta nell'assunzione della pazienza.


Il punto di vista attuale è il risultato di tutto il corso e di tutto il lavoro di 2300 anni: è ciò che lo spirito dal mondo ha raggiunto nella coscienza pensante. Non dobbiamo stupirci per la sua lentezza. Lo spirito universale pensante ha tempo, nulla lo induce alla fretta, dispone di una moltitudine di popoli, di nazioni il cui sviluppo o evoluzione è appunto un mezzo per la produzione della sua coscienza. … Nella storiauniversale i progressi sono lenti. La comprensione della necessitá di questo lungo tempo è un mezzo contro la nostra propria impazienza.
Hegel
Introduzione allo storia della filosofia
Trad. genseki

venerdì, agosto 27, 2010

Memorie di Dreiser Cazzaniga


Dreiser Cazzaniga e la sembianza

Dreiser Cazzniga sempre ebbe in uggia ogni adesione a una forma codificata dell'essere persona nel mondo. Dreiser Cazzaniga detestava i ruoli e le parti che la societá sembra cosringere con dura necessitá noi tutti mortali a rivestire. Era un rifiuto il suo quasi istintivo, incosciente, potremmo dire, che precedeva qualsiasi considerazione e analisi intellettuale o filosofica.
La possibilitá che questo rifiuto potesse avere una sua dimensione filosofica, che potesse rispondere a ragioni piú profonde di quelle che sembravano mosse dai capricci dell'istinto, Dreiser Cazzaniga cominció a intuirla quando già le prime canizie gli innevarono il capo.
La prima forma riflessa che questo rifiuto prese in lui fu quella dell'umorismo:Dreiser Cazzaniga trovava immensamente ridicolo, che so, un professore che recitava la sua parte di professore con la perfezione consumata di un attore di mestiere in ogni momento della vita quotidiana o di un cattolico che recitava quella del cattolico, un cameriere quella del cameriere e così via,
In realtá gli pareva che ciascuno esagerasse la sua parte, en accentuasse en accentuasse, comicamente appunto i caratte più marcati, come per l'orrore di poter scoprire di non essere nulla, un frammento fangoso di coscienza sottratto per un momento infinitesimale al nulla.
Il terrore di essere così pateticamente comico, ridicolo, inerme di fronte al personaggio che di volta in volta gli si offriva di recitare spinse Dreiser Cazzaniga allo sforzo costante di apparire sempre altro da quello che era. Allo sforzo di controinterpretare, anche se è pur vero che per un periodo vergognosamente troppo lungo della sua breve vita accetta di dar vita alla maschera dell'estremista di sinistra.
Grazie alla sua curiosa parlata e alla foggia peregrina di vestire Dreises Cazzaniga riuscí a sembrare. Non fu piú quello che era, ma agli occhi dell'orribile borgehesia alpina e pedemontana sembró sempre qualcun'altro.
Dreiser Cazzaniga fu la sembianza dell'altro. Si rivestí dell'interinitá come di una lorica. Quando appariva in pubblico la prima frase che gli era rivolta era: “sembri un gaucho”, “un pittore del XIX secolo” , “un marinaio danese” e così via, Dreiser Cazzaniga sembrava quello che non era, l'altro che era possibile che fosse e cosí difendeva la sua libertá interiore di essere nel vuoto come il vuoto e difendendola la negava consegnandola inerme all'odio della piccola borghesia alpina e pedemontana.
Tra tutte le cose che Dreiser Cazzaniga sembrava sembrare quella che piú frequentemente sembrava era un ebreo.
Quante volte gli dissero; - sembri un ebreo! -
Dreiser Cazzaniga stava malissimo nella pelle dell'ebreo, ma l'ebreo era l'altro assoluto per la miserabile comunitá che lo circondava, l'oggetto più elementare dell'odio e del disprezzo.

A cura di genseki

giovedì, agosto 19, 2010

Joe Bousquet


JOE BOUSQUET "entretien"
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Joe Bousquet


Joe Bousquet

Bisogna che ogni nuovo giorno sia sepolto nella persona di un uomo poterb risvegliarsi nel suo volto.
*
Non si torna alla luce sena attraversare la poesia.
La poesia non è piú un attributo del poema, ma l'attributo nascosto di ciò che esiste, il suo orizzonte nell'anima degli uomini, cioè l'orizzonte, in ciò che aspira all'essere, di ció che aspira alla morte.
*
Nulla ci accade che non sia rivestito della nostra anima: solo dopo molto tempo finiamo per riconoscrevi ció che abbiamo evocato. Il presente secolo è condannato se non puó controbilanciare la sua immensa notte con la sicurezza di alcuni individui che per la loro volontá hanno il privilegio di vedere e di dichiarare, Faró quello che posso per lui, ma non credo che si sia qualche cosa da fare, non riuscirá mai a comprendere che l'uomo o è un cuore o non è nulla: Voglio dire coraggio. Amore.
*
La paura di vivere resta nascosta nell'amore. Dissimulata cosí, non si chiama piú paura di vivere, ma piuttosto amore per la vita.
*
Poeta, ció che tu ami ti porterá via il cuore, di te non resterá che polvere, ma la tua sofferenza sará allora la tua persona.
*
Il corpo è il firmamento di ogni reale immaginabile. Siamo la carta di questo firmamento rianimata nell'angole ove fu nascosta.
*
Il miracolo è la sofferenza che ti rivela che tu non sei che te stesso.
Siamo tutti così, la notte ci mette al mondo, ma non vi trasporta che la nostra immagine e i nostri occhi, dove tutte le luci vengono a fecondarla. La notte che portiamo in noi è il focolare di ció che avremmo preferito di noi stessi,
*
Trad genseki

giovedì, giugno 17, 2010

Hishiryo

Ecco uno dei testi di Dogen relativi a Hishiryo, si tratta del primo paragrafo del ZazenshiN:

"Quando il maestro Yakusan Kôdô meditava in posizione seduta, un monaco venne a porgli una domanda: "Che cosa pensa Maestro restandosene cosí seduto per terra?" Il Maestro disse: "Penso il non pensiero" Domandó allora il monaco: "Come si fa a pensare il non pensiero?" Ripose il Maestro: "Con hishiryo".

La traduttrice dell'edizione francese dello Shôbôgenzô da cui è tratto questo brano del Zazenshin scrive in nota:

"... La parola shiryô è composta di due caratteri: Shi: pensiero e Ryô: misura e designa il pensiero analitico e discriminante. Ora, nel termine fushiryô (non pensiero) la parola shiryô è preceduta dal prefisso privativo fu-, in hishiryô dal prefisso privativo hi-. L'essenziale di questo dialogo dipende, effettivamente dalla sottile differenza semantica tra i due prefissi privativi: fu- e hi-.
Il primo indica l'assenza della cosa negata mentre il secondo indica la differenza di livello, di ordine."
Yoko Orimo
Shôbôgenzô Vol I
Pag 23
Nota 2
Trad genseki

La parola shiryô sembrerebbe poter essere fatta coincidere con il concetto hegeliano di "intelletto" mentre il prefisso hi- sembra poter svolgere la funzione del verbo "Aufheben". Coincidenze linguistiche e teoriche davvero sorprendenti che meriterebbero di essere approfondite e asseverate.
genseki

mercoledì, giugno 16, 2010

Hishiryo

Hishiryo di Dogen è un concetto che puó essere letto in modo fecondo sulla base della dialettica hegeliana? Ovvero è possibile un'ermeneutica dialettica di hishiryo.
Certo hishiryo è enunciato non come una legge ma descritto come una pratica, come un modo di funzionare della coscienza.
Questo modo della coscienza hishiryo non è l'enunciazione universale della dialettica? In che misura hishiryo è la forma della coscienza che aderisce all'imperamenenza, al divenire?
Il non pensiero in questo tipo di coscienza ha una struttura a prima vista lineare, è all'origine del pensiero ed è il punto o il momento del suo estinguersi: dal non pensiero sorge il pensiero e nel non pennsiero il pensiero si dissolve. Non vi puó essere pensiero senza non pensiero perché il pensiero non avrebbe né inizio né fine e quindi non avrebbe movimento interno. Un pensiero coagulato non lo si puó proprio concepire. Hishiryo sarebbe allora proprio questa forma: l'unitá inscindibile di pensiero e non pensiero non in sé ma in quanto oggetto della coscienza. La coscienza si identifica normalmente con il pensiero, la coscienza che si identifica con l'unitá di pensiero e non pensiero è la coscienza hishiryo, la coscienza dialettica.
genseki

1000

Quella precedente era la millessima entrata del blog che mi permetto di celebrare con Saint-john Perse in una mia non molto felice traduzione.
Perse forse il piú rigoroso seguace di Rimbaud, l'autentico continuatore anche se con una sottile vena imperialista coloniale e archeologica che la freschezza dell'ira rimbaldiana non prevedeva tra i suoi registri.
Perse, un Rimbaud piegato da molti anni di Africa, reso esatto e tagliente dai tropici e dal dominio.
Non potro mai dimenticare la bellezza cui si aprí il mio cuore alla prima lettura di Anabase!
Ora i cavalli della pioggia mi portano fino in fondo al verbo, prima di addormentarmi mentre le gocce crepitano sullo zinco del "poyo" e le bacche amare del giardino avvelenano lentamente il mio vecchio pastore belga.

martedì, giugno 15, 2010

Saint-john Perse


Piogge

Piogge

Il banano della pioggia getta le sue radici sulla cittá
Un polipo frettoloso raggiunge le sue nozze di corallo nel latte d'acqua viva
L'idea nuda come un reziario pettina nei giardini del villaggio la sua chioma di bambina.
Canta, poema, nel tumulto delle acque l'imminenza del tema:
Canta, poema, nel vortice delle acque l''evasione del tema:
Alta licenza nel fianco delle Vergini profetiche,
Sbocciare di ovuli d'oro nella notte screziato del limo
E il mio letto, pronto, inganno! Alla frontiera di un tale sogno-
Proprio ove si avviva e crersce e comincia a girare la rosa oscena del poema.

Terribile Signore del mio riso, ecco la terra fumante del tanfo della selvaggina.
Vedova argilla sotto l'acqua vergine, terra lavata al passo d'uomini insonni,
E, fiutata, piú da vicino come un vino davvero rende smemorati?
Signore, terribile Signore del mio riso! Ecco il rovescio del sogno sulla terra.
Come la risposta delle alte dune alla progressione marina, ecco, ecco
La terra usata, l'ora nueva nei suoi scialli e il mio cuore visitato da una strana vocale.

II

Nutrici piene di sospetto, corteggiatori dagli occhi velati di maturitá. O piogge! Per le quali
L'uomo insolito mantiene il suo contegno che diremo questa notte a chi renda altezzosa la nostra candela?
Su quale nuovo letto, a che testa tetragona rapiremo mai la scintilla che ci vale?

Mute Ande sul mio trettp, ho una acclamazione scrosciante
Dentro di me, per voi o Piogge!
Porteró la mia causa davanti a voi: sulla punta delle vostre lance il mio bene piú certo!
La spuma delle labbra del poema come latte corallino!

E colei che danza come un incantatore di serpenti alla soglia delle mie frasi.
L'Idea, piú nuda che un coltello nel gioco dei volti.
Mi insegnerá il rito e la misura contro l'impazienza del poema.

Terribile Signore del mio riso, liberami dalla confessione, dall'accoglienza e da canto
Terribile Signore del mio riso, che offesa nelle labbra dello scroscio!
Quante frodi sotto le nostre piú alte migrazioni!
Nella notte chiara del mezzogiorna, anticipiamo piú di una proposizione
Nuova sull'essenza dell'essere.... o fumi presenti sull'altare del lare!
Tiepida allora la pioggia sui nostri tetti finí ugualmente per spengere
Le lampade nelle nostre mani.

III

Sorelle dei guerrieri di Assur furono le alte piogge in marcia sulla terra;
Con caschi piumati ben dritte, con speroni d'argento e cristallo
Come Didone premendo l'avorio alle porte di Cartagine.

Come la sposa di Cortés, ebbra d'argilla, tatuata tra le sue alte piante apocrife...
Ravvivavano di notte l'azzurro nelle culatte delle nostre armi.
Popoleranno Aprile nel fondo degli specchi dei nostri alloggi!
Non mi curo di obliare il loro scalpiccio alla soglia delle aule d'abluzione;
Guerriere, o gueriere per lancia e freccia fino a noi appuntite!
Moltiplicate ballareni di danza e d'attrazione terrestre!
Son armi a bracciate, ragazze a carrettate, ditribuzioni di aquile alle legioni
Un levarsi di picche nei suburbi per i popoli piú giovani della terra fasci rotti
Di vergini dissolute
O grandi manipoli scatenati! Ampi, vivi raccolti in braccia virili investiti!
… E la cittá è di vetro sul piedistallo di ebano, la scienza allo sbocco delle fonti,
Legge lo straniero, sui nostri muri i grandi manifesti annonari,
Nei nostri muri la freschezza, dove l'indiana questa notte riparerá a casa del nativo.

Saint-John Perse
Piogge 1946
trad. genseki

lunedì, giugno 14, 2010

La giustizia

... penso alla frase di Samuel Beckett, una frase un po' strana "veniamo al mondo nella giustizia ma non ho mai sentito dire il contrario", è una frase strana, la possiamo comprendere a partire dal momento in cui comprendiamo che la giustizia è un presente, il presente di una trasformazione e conseguentemente stiamo nella giustizia quando condividiamo un tale presente, quando mi trovo in una riunione con i miei amici africani, sto nella giustizia e nessuno puó dire il contrario, non stiamo soltanto a favore della giustizia o a causa della giustizia, stiamo dentro la giustizia, e questa dimensione è, credo fondamentake, la giustizia sta sempre nel presente e io la definirei come un presente attivo,
Alain Badiou
L'Idea di giustizia
Rosario Argentina
2 Giugno 2004
trad genseki

venerdì, giugno 11, 2010




Stupidaggine

Ecco un esempio di stupidaggine zen che indurrebbe a pensare che il pensiero di Dogen è condannato dai suoi seguaci a restare confinato nell'ambito di una subcultura:


"René Descartes comincia la sua riflessione filosofica con il detto: "Cogito ergo sum" - penso dunque sono. Anche i filosofi tedeschi Kant e Hegel mettono l'esistenza di uno spirito alla base della loro riflessione filosofica. Nel buddismo invece, quando parliamo di spirito, ci riferiamo a qualche cosa che supera la dimensione del pensare e della coscienza, perché lo spirito comprende l'universo intero."

Michel Bovay
trad. genseki

Hishiryo

Il pensiero hishiryo è l'attivitá mentale che contiene il pensiero e il non pensiero. Che cosa significa queto contenere? Lo si puó comparare utilmente con un "Auhebung"? Cioè hishiryo è il superamento dialettico che toglie il pensiero e il non pensiero elevandoli a uno stadio di attivitá mentale superiore?
Sembrerebbe che il momento del non pensiero sia il momento della negazione del pensiero e che quello di hishiryo rappresenti la negazione di questa negazione, Il risultato del processo è hishiryo cioé la negazione della negazione del pensiero esperita nella "pratica". In hishiryo il pensiero è presente attraverso la sua negazione a sua volta negata,
Il pensiero di Dogen è cioé integrabile nella nostra tradizione filosofica? Questa è una integrazione possibile? Il pensiero di Dogen certo non merita di finire "yogizzato" o "oshizzato", puro prodotto da eboristeria biodinamica e serenitá a un certo prezzo, Il pensiero di Dogen merita di essere sottratto all'orientalismo e confrontato con Hegel e Spinoza fino a perdere la patina fastidiosa di orientalismo nipponizzzante che lo rende opaco . Il non pensiero è la forma che il pensiero ha nei corpi?
Il pensiero di Dogen puó essere liberato dai maestri zen? Da coloro che pensano che la cultura occidentale sia Sgarbi? È posssibile leggerlo senza assumere il bavoso atteggniamento intellettuale che si esprime nella frase oscena: "L'occidente non sa piú ma gli orientali hanno sempre saputo" e altri simili automatismi mentali? È poossibile un Dogen tradotto nella forma del sonetto e non nella spuria barzelletta degli pseudo haiku da medidatore da palestra?

giovedì, giugno 10, 2010

Blog chiuso

Il fatto che questo blog si definisca chiuso non vuol dire che non vi saranno piú nuovi testi, vuol dire che i criteri di apparizione dei testi risponderanno esclusivamente a una logica di sviluppo interno.
Al principio di questa attivitá avevo pensato che questo strumento di comunicazione permettesse di svuiluppare una comunicazione creativa e collaborazioni feconde tra molte esperienze individuali.
In realtá non c'é niente di piú autoreferenziale di un blog, e lo spazio dei commenti, dei blog molto frequentati è una seria di dichiarazioni che non giungono mai veramente a costituire una relazione dialettica con le altre.
Il fatto che questo blog si definisca chiuso vuol dire che intende scegliersi i lettori, anche tra i pochissimi che passano di qua, secondo i suoi propri criteri interni, Non vuole essere letto dal primo venuto e crede che se il primo venuto se lo merita debba sentirsi scomodo tra questi testi.
genseki

Hishiryo

Il pensiero hishiryo puó essere interpretato come la forma pura del pensiero dialettico? Tanto per essere un po' rozzi si potrebbe schematizzare in questo modo:

Pensare con il pensiero
Non pensare con il pensiero

Sintesi: Hishiryo, pensare senza pensiero

Ovvero pensare con un pensiero che contenga in sé il pensiero e il non pensiero. Questo sembrerebbe poterlo riassumere nella forma di un pensiero semplicemente assolutamente cosciente di sé ma molto dipende dal contenuto che si da all'espressione di Dogen "non.pensiero".
"Non pensiero" puó essere inteso come lo sfondo di coscienza necessario perché il pensiero possa delinearsi, lo spazio del pensiero e anche il suo tempo, lo spazio tempo del pensiero che costituisce il campo in cui il pensiero stesso si espande e che è difficile distinguere dal pensiero perché ha la sua stessa estensione. Il pensiero crea il suo spazio e il suo tempo, quindi il suo non pensiero e pensiero e non pensiero sono inseparabilmente legati come le due famose facce del foglio bianco, hishiryo sarebbe dunque la coscienza chiara di questa struttura del pensiero.
Per "non pensiero" si puó intendere tutto ció che non è direttamente pensante, ciòé la materia stessa che costituisce l'universo e il nostro corpo immobile, non direttamente pensante per la coscienza che in quanto pensante si percepisce come appunto separata dal corpo. "Non-pensiero" sarebbe quindi lo sperimentare il pensiero nella sua relazione con la sua materia, il processo del pensiero come immanente al corpo, la forma che la coscienza diretamente non sa cogliere che il corpo ha di pensare.
Si puó anche avanzare che il non pensiero sia entrambe le cose e quindi hishiryo la sintesi di entrambe: il non pensiero dei corpi sarebbe il campo dello spazio e del tempo del pensare della coscienza.
genseki