Si tratta della riproduzione tarda di un dipinto di paesaggio di Wang Wei.
venerdì, aprile 16, 2010
Wang wei
Introduzione alla poesia cinese
La parola e il vuoto
Da François Cheng
La scrittura poetica cinese
Nell'ordine lessicale e sintattico, la preoccupazione piú importante dei poeti si riferisce (...) all'opposizione tra parole piene (i sostantivi e i due tipi di verbi, quelli di azione e quelli di qualitá) e parole vuote (pronomi personali, avverbi, preposizioni, congiunzioni, comparativi, particelle, etc.).
l'opposizione tra questi due tipi di parole si da in due registri. In un registro piú superficiale si tratta di alternare ingeniosamente parole piene e parole vuote per dar luogo al verso. Tuttavia i poeti si resero presto conto che la funione ritmica in poesia legata alla nozione filosofica di soffio vitale, puó svolgere una funzione sintattica, cioé di separare o di unir le parole (quello che nella lingua normale fanno le parole vuote) in modo che i poeti procedono, in un registro piú profondo a una riduzione di parole vuote (pronomi personali, comparativi, preposizioni e particelle) conservando solo alcuni avverbi e congiunzioni.
In questo modo introducono nella poesia la dimensione del vero vuoto corrispondente al soffio mediano. In questi, come in altri casi, il pensiero cinese considea il vuoto (...) come il luogo in cui gli esseri viventi e i segni si incrociano e si scambiano in modo non univoco, e per questo come il luogo per eccellenza dove si moltiplica il senso. In certi casi i poeti giungono persino a usare una parola vuota al posto di una piena (nella maggior parte dei casi un verbo) sempre con il proposito di introdurre il vuoto nel pieno ...
Nelle parole piene vi sono altre sottocategorie come per esempio tra parole morte e parole vive: si-zi e huo-zi; parole statiche e parole dinamiche: jing-zi e dong-zi che marcano la differenza tra sostantivo e verbo, ma anche tra verbo di qualitá (aggettivo) e verbo di azione. Per i poeti che cercano di afferrare l'azione segreta delle cose un verbo puó avere tre stati: dinamico (quando si usa come verbo di azione), statico, (quando si usa come verbo di qualitá), e, infine vuoto (quando al suo posto si usa una parola vuota).
...
Il “vuoto” ... tra i segni e “dietro” i segni modifica le loro relazioni e le loro implicazioni e ottiene l'effetto di restituire agli ideogrammi la loro natura ambivalente e mobile, il che permette l'espressione di una simbiosi sottile tra l'uomo e il mondo, simbiosi che la poetic cinese esprime con la combinazione di sue termini qing “sentimento interiore” e jing “paesaggio esteriore”.
Elisse dei pronomi personali
Il proposito di evitare il piú possibile le tre persone grammaticali è una decisione cosciente e da luogo a un linguaggio che situa il soggetto in una relazione particolare con le cose e con gli esseri. Cancellando o sottintendo la sua presenza il soggetto interiorizza gli elemeti esterni.
...
Montagna vuota/nulla vedere
Solo udire/ voce umana risuonare
Sol ponente/ penetrare bosco profondo
Ancora un istante/ illuminare muschio verde
In questa quartina di Wang Wei, poeta, pittore e seguace del Chan si descrive un paesaggio di montagna che è contemporaneamente un'esperienza spirituale del vuoto e della comunione con la natura. I due primi versi dovrebbero intepretarsi cosí: “Nella montagna deserta non vedo nessuno, solo posso udire voci lontane”. Con l'eliminazione del pronome personale e dei locativi il poeta si identifica inmediatamente con la montagna deserta che non è piú un complemento di luogo. Cosí, nel terzo verso il poeta è il raggio di sole che alla sera penetra nel bosco profondo.
Dal punto di vista del contenuto i due primi versi presentano il poeta come qualcuno che ancor non vede ...; i due ultimi versi, invece si centrano sulla visione: vedere lo splendore dorato dei raggi del sole al tramonto sul muschio verde (...). Vedere significa qui illuminazione e comunione profonda con l'essenza delle cose.
François Cheng
L'Écriture Poëtique en Chine
Trad. genseki
Da François Cheng
La scrittura poetica cinese
Nell'ordine lessicale e sintattico, la preoccupazione piú importante dei poeti si riferisce (...) all'opposizione tra parole piene (i sostantivi e i due tipi di verbi, quelli di azione e quelli di qualitá) e parole vuote (pronomi personali, avverbi, preposizioni, congiunzioni, comparativi, particelle, etc.).
l'opposizione tra questi due tipi di parole si da in due registri. In un registro piú superficiale si tratta di alternare ingeniosamente parole piene e parole vuote per dar luogo al verso. Tuttavia i poeti si resero presto conto che la funione ritmica in poesia legata alla nozione filosofica di soffio vitale, puó svolgere una funzione sintattica, cioé di separare o di unir le parole (quello che nella lingua normale fanno le parole vuote) in modo che i poeti procedono, in un registro piú profondo a una riduzione di parole vuote (pronomi personali, comparativi, preposizioni e particelle) conservando solo alcuni avverbi e congiunzioni.
In questo modo introducono nella poesia la dimensione del vero vuoto corrispondente al soffio mediano. In questi, come in altri casi, il pensiero cinese considea il vuoto (...) come il luogo in cui gli esseri viventi e i segni si incrociano e si scambiano in modo non univoco, e per questo come il luogo per eccellenza dove si moltiplica il senso. In certi casi i poeti giungono persino a usare una parola vuota al posto di una piena (nella maggior parte dei casi un verbo) sempre con il proposito di introdurre il vuoto nel pieno ...
Nelle parole piene vi sono altre sottocategorie come per esempio tra parole morte e parole vive: si-zi e huo-zi; parole statiche e parole dinamiche: jing-zi e dong-zi che marcano la differenza tra sostantivo e verbo, ma anche tra verbo di qualitá (aggettivo) e verbo di azione. Per i poeti che cercano di afferrare l'azione segreta delle cose un verbo puó avere tre stati: dinamico (quando si usa come verbo di azione), statico, (quando si usa come verbo di qualitá), e, infine vuoto (quando al suo posto si usa una parola vuota).
...
Il “vuoto” ... tra i segni e “dietro” i segni modifica le loro relazioni e le loro implicazioni e ottiene l'effetto di restituire agli ideogrammi la loro natura ambivalente e mobile, il che permette l'espressione di una simbiosi sottile tra l'uomo e il mondo, simbiosi che la poetic cinese esprime con la combinazione di sue termini qing “sentimento interiore” e jing “paesaggio esteriore”.
Elisse dei pronomi personali
Il proposito di evitare il piú possibile le tre persone grammaticali è una decisione cosciente e da luogo a un linguaggio che situa il soggetto in una relazione particolare con le cose e con gli esseri. Cancellando o sottintendo la sua presenza il soggetto interiorizza gli elemeti esterni.
...
Montagna vuota/nulla vedere
Solo udire/ voce umana risuonare
Sol ponente/ penetrare bosco profondo
Ancora un istante/ illuminare muschio verde
In questa quartina di Wang Wei, poeta, pittore e seguace del Chan si descrive un paesaggio di montagna che è contemporaneamente un'esperienza spirituale del vuoto e della comunione con la natura. I due primi versi dovrebbero intepretarsi cosí: “Nella montagna deserta non vedo nessuno, solo posso udire voci lontane”. Con l'eliminazione del pronome personale e dei locativi il poeta si identifica inmediatamente con la montagna deserta che non è piú un complemento di luogo. Cosí, nel terzo verso il poeta è il raggio di sole che alla sera penetra nel bosco profondo.
Dal punto di vista del contenuto i due primi versi presentano il poeta come qualcuno che ancor non vede ...; i due ultimi versi, invece si centrano sulla visione: vedere lo splendore dorato dei raggi del sole al tramonto sul muschio verde (...). Vedere significa qui illuminazione e comunione profonda con l'essenza delle cose.
François Cheng
L'Écriture Poëtique en Chine
Trad. genseki
giovedì, aprile 15, 2010
Apollinaire
Guillaume Apollinaire
Sulla poesia
Quella che segue è una pagina di Apollinaire, tratta da una lettera a Lou nella quale egli tenta di delineare una definizione della funzione del poeta e della poesia. Certo si tratta di un testo davvero goffo. Si puó perdonare una tale goffagine in considerazione del conteso e della persona a cui il testo è diretto? A Guillaume Apollinaire si puó perdonare tutto anche solo in virtú della “Chanson du mal aimé” ma qual era il suo fine nel voler ridurre il poeta a una specie di Giulio Verne in versi?
Che cosa cercava di dire a Lou spiegandole che la poesia trova la sua giustificazioe non in sé ma in altro da sé sie esso l'amore che come fu dett piú tardi consiste nel “dare ció che nonsi ha a qalcuno che non lo vuole” o, piuttosto l'immaginazione anticipatrice che, poi come si evince da altri testi dello stesso Apolinnaire è immaginazione tecnologia (i poeti per primi hanno immaginato il volo umano, etc). quest'ultimo fine è davvero risibile e ogi si è adirittura capovolto. È la tecnica che immagina da sola quello che nessun poeta mai poté immaginare: internet o la clonazione, Un testo davvero goffo.
Sulla poesia
Quella che segue è una pagina di Apollinaire, tratta da una lettera a Lou nella quale egli tenta di delineare una definizione della funzione del poeta e della poesia. Certo si tratta di un testo davvero goffo. Si puó perdonare una tale goffagine in considerazione del conteso e della persona a cui il testo è diretto? A Guillaume Apollinaire si puó perdonare tutto anche solo in virtú della “Chanson du mal aimé” ma qual era il suo fine nel voler ridurre il poeta a una specie di Giulio Verne in versi?
Che cosa cercava di dire a Lou spiegandole che la poesia trova la sua giustificazioe non in sé ma in altro da sé sie esso l'amore che come fu dett piú tardi consiste nel “dare ció che nonsi ha a qalcuno che non lo vuole” o, piuttosto l'immaginazione anticipatrice che, poi come si evince da altri testi dello stesso Apolinnaire è immaginazione tecnologia (i poeti per primi hanno immaginato il volo umano, etc). quest'ultimo fine è davvero risibile e ogi si è adirittura capovolto. È la tecnica che immagina da sola quello che nessun poeta mai poté immaginare: internet o la clonazione, Un testo davvero goffo.
genseki
“Ti devo pregare che non ti facia piú beffe dell'ufficio di poeta. So che non lo fai con cattiva intenzione ma se continui così diverrá un vizio. Per prima cosa, essere poeta non vuol dire che non si sia capaci di fare nient'altro. Molti poeti hanno fatto dell'altro e in modo rigoroso. (...). Inoltre, l'ufficio di poeta non è inutili, né folle e neppure frivolo. I poeti sono i creatori. ( Poeta viene dal greco e significa effettivamente creatore e poesia significa creazione). Peratnto sulla terra non esiste nulla, nulla appare agli occhi degli uomini che prima non sia stato immaginato da un poeta. L'amore stesso è poesia naturale della vita, l'istinto naturale che ci spinge a creare la vita, a riprodurci. te lo dico perché tu ti renda conto che non mi dedico all'ufficio di poeta per simulare di fare qualche cosa e dedicarmi al dolce far niente. So che coloro che si dedicano al lavoro poetico fanno qualche cosa che è essenziale, prmordiale, necessario, in definitiva divino. Naturalmente non mi riferisco ai semplici versificatori. parlo di coloro che con un processo penoso, amoroso o geniale giungono giungono poco a poco a esprimera una cosa nuova e muoiono per l'amore che gli ispirava.
G Apollinaire
Lettres à Lou
Trad. genseki
“Ti devo pregare che non ti facia piú beffe dell'ufficio di poeta. So che non lo fai con cattiva intenzione ma se continui così diverrá un vizio. Per prima cosa, essere poeta non vuol dire che non si sia capaci di fare nient'altro. Molti poeti hanno fatto dell'altro e in modo rigoroso. (...). Inoltre, l'ufficio di poeta non è inutili, né folle e neppure frivolo. I poeti sono i creatori. ( Poeta viene dal greco e significa effettivamente creatore e poesia significa creazione). Peratnto sulla terra non esiste nulla, nulla appare agli occhi degli uomini che prima non sia stato immaginato da un poeta. L'amore stesso è poesia naturale della vita, l'istinto naturale che ci spinge a creare la vita, a riprodurci. te lo dico perché tu ti renda conto che non mi dedico all'ufficio di poeta per simulare di fare qualche cosa e dedicarmi al dolce far niente. So che coloro che si dedicano al lavoro poetico fanno qualche cosa che è essenziale, prmordiale, necessario, in definitiva divino. Naturalmente non mi riferisco ai semplici versificatori. parlo di coloro che con un processo penoso, amoroso o geniale giungono giungono poco a poco a esprimera una cosa nuova e muoiono per l'amore che gli ispirava.
G Apollinaire
Lettres à Lou
Trad. genseki
mercoledì, aprile 14, 2010
Il temporale viola
Fu la tartaruga che conobbe per prima
Il peso dei segni, la gloria del sigillo,
Il temporale viola, intanto lavava via il polline
Dalle case e il vento rubava i canti alle puerpere
Impazzando tra le lenzuola bianche
Stese a ad asciugare sull'erba
Anch'esse prone al pennello,
Destinate al rintocco di campane
In una profusione di pistilli e cristalli
A lei chiesero allora l'oracolo,
Il cammino verso i sentieri di incenso
Il temporale viola spazzava l'innocenza
Dalle labbra e dalle lenzuola.
genseki
Il peso dei segni, la gloria del sigillo,
Il temporale viola, intanto lavava via il polline
Dalle case e il vento rubava i canti alle puerpere
Impazzando tra le lenzuola bianche
Stese a ad asciugare sull'erba
Anch'esse prone al pennello,
Destinate al rintocco di campane
In una profusione di pistilli e cristalli
A lei chiesero allora l'oracolo,
Il cammino verso i sentieri di incenso
Il temporale viola spazzava l'innocenza
Dalle labbra e dalle lenzuola.
genseki
Dreiser Cazzaniga e il passato
Alla soglia della vechiezza, nei primi anni del suo esilio volontario, Dreiser Cazzaniga si volse all'indietro e scoprí che alla sue spalle si esetendeva un mondo intero, il mondo del ricordo, il passato.
Scoprì che questo mondo era piú ricco e interessante che quello della speranza, dell'imaginazione, del vagheggiamento del futuro al quale fino ad allora aveva rivolto la sua attenzione, Mondo nebbioso questo dell'avvenire, fatto di vaghe coincidenze di linee, di orizzonti soltanto probabili, di paludi in cui il desiderio lasciava macerare la ragione. E poi si faceva stretto stretto. Sempre piú prossime apparivano alla coscienza angustiata le scogliere bianche come zanne su cui si frangevano le correnti dell'abisso. Non ce la faceva piú il suo cuore, quando le pioggerelline dell'impermanenza
infracidavano le lande, a afferrare il mantello della Vergine, a scaldarsi alla candela di una fede.
Fu in queste ambasce che si volse l'anima sua al ricordo. Il paese del ricordo era lui stesso che lo aveva creato, era quello che di se stesso egli aveva fatto e ancora poteva fare, aggiustando le interpretazioni, cercando le coincidenze, coordinando i percorsi, variando indefinitamente le rotte. Vivere nel ricordo divenne per lui una passione e una ragione. Le sue memorie divennero il suo talismano. Nelle regioni dell'adolescenza si ergeva sovrano il giovinetto divino, il poeta dai calzari alati, il goffo, bellissimo, scontroso Rimbaud e molti dei fili della sua vita si dipanavano dalla fede cieca che nella prima adolescenza aveva avuto in lui, fino a vedere con gli occhi di lui il fresco paesaggio della dolce Francia, i temporali sulla Sologna, i campi coperti dai corvi nelle sere fredde dell'estremo autunno, viaggiare nel ricordo fu per Dreiser Cazzaniga, in un primo momento ritornare a credere in lui, scoprire le ragioni della sua fede e valutare quanto immensamente un verso che egli aveva poi dimenticato, avesse potuto condizionare in forma concreta la sua vita.
Intensa fu la meraviglia che in questo periodo Dreiser Cazzaniga dedicó alla ventura amororsa dell'amico suo Lu Spadaro di Quittengo. Egli sembrava aver goduto di una esperienza molo simile a quella di Dreiser Cazzaniga. Soltanto che per lui la scoperta del ricordo, il paese del passato aveva assunto la forma molto concreta e poco metaforica del corpo e dell'anima della bella Unica, monade del suo amore adolescente, per la quale sempre arse nel suo cuore fiammeggiante Minne. Amava finalmente ancora riamato l'amore dei suoi teneri anni che aveva creduto perduto. Dreiser Cazzaniga si chiedeva come concretamente potesse darsi una simile esperienza, che cosa potesse restare in un corpo segnato dalla crudeltá degli anni e accresciuto in bellezza, questo è certo, dalle ferite del tempo trascorso, della freschezza primaverile di quegli occhi verdi o lilla di Riviera, in cui tuffarsi come lo sguardo negli olivi, e poi giú fino al mare sul promontorio. Dreiser Cazzaniga ricordava i loro motorini appaiati tracciare calligrafie di tenerezza nel traffico raro del primo pomeriggio. Non ricordava quasi niente di lei, solo forse che soleva indossare maglioncini bordó o di un qualche sensuale colore vinoso. La veritá era che Dreiser Cazzaniga era stato geloso di lei, geloso fino all'ariditá del cuore di colei che legitimamente poteva stringere l'amico suo in piú lacci e piú amplessi. Dreiser Cazzaniga si consolava della gelosia, allora, leggendo e mettendo a punto minuziosamente il suo insuccesso, organizzando con lieta incoscienza i suoi futuri fallimenti.
A cura di genseki
Scoprì che questo mondo era piú ricco e interessante che quello della speranza, dell'imaginazione, del vagheggiamento del futuro al quale fino ad allora aveva rivolto la sua attenzione, Mondo nebbioso questo dell'avvenire, fatto di vaghe coincidenze di linee, di orizzonti soltanto probabili, di paludi in cui il desiderio lasciava macerare la ragione. E poi si faceva stretto stretto. Sempre piú prossime apparivano alla coscienza angustiata le scogliere bianche come zanne su cui si frangevano le correnti dell'abisso. Non ce la faceva piú il suo cuore, quando le pioggerelline dell'impermanenza
infracidavano le lande, a afferrare il mantello della Vergine, a scaldarsi alla candela di una fede.
Fu in queste ambasce che si volse l'anima sua al ricordo. Il paese del ricordo era lui stesso che lo aveva creato, era quello che di se stesso egli aveva fatto e ancora poteva fare, aggiustando le interpretazioni, cercando le coincidenze, coordinando i percorsi, variando indefinitamente le rotte. Vivere nel ricordo divenne per lui una passione e una ragione. Le sue memorie divennero il suo talismano. Nelle regioni dell'adolescenza si ergeva sovrano il giovinetto divino, il poeta dai calzari alati, il goffo, bellissimo, scontroso Rimbaud e molti dei fili della sua vita si dipanavano dalla fede cieca che nella prima adolescenza aveva avuto in lui, fino a vedere con gli occhi di lui il fresco paesaggio della dolce Francia, i temporali sulla Sologna, i campi coperti dai corvi nelle sere fredde dell'estremo autunno, viaggiare nel ricordo fu per Dreiser Cazzaniga, in un primo momento ritornare a credere in lui, scoprire le ragioni della sua fede e valutare quanto immensamente un verso che egli aveva poi dimenticato, avesse potuto condizionare in forma concreta la sua vita.
Intensa fu la meraviglia che in questo periodo Dreiser Cazzaniga dedicó alla ventura amororsa dell'amico suo Lu Spadaro di Quittengo. Egli sembrava aver goduto di una esperienza molo simile a quella di Dreiser Cazzaniga. Soltanto che per lui la scoperta del ricordo, il paese del passato aveva assunto la forma molto concreta e poco metaforica del corpo e dell'anima della bella Unica, monade del suo amore adolescente, per la quale sempre arse nel suo cuore fiammeggiante Minne. Amava finalmente ancora riamato l'amore dei suoi teneri anni che aveva creduto perduto. Dreiser Cazzaniga si chiedeva come concretamente potesse darsi una simile esperienza, che cosa potesse restare in un corpo segnato dalla crudeltá degli anni e accresciuto in bellezza, questo è certo, dalle ferite del tempo trascorso, della freschezza primaverile di quegli occhi verdi o lilla di Riviera, in cui tuffarsi come lo sguardo negli olivi, e poi giú fino al mare sul promontorio. Dreiser Cazzaniga ricordava i loro motorini appaiati tracciare calligrafie di tenerezza nel traffico raro del primo pomeriggio. Non ricordava quasi niente di lei, solo forse che soleva indossare maglioncini bordó o di un qualche sensuale colore vinoso. La veritá era che Dreiser Cazzaniga era stato geloso di lei, geloso fino all'ariditá del cuore di colei che legitimamente poteva stringere l'amico suo in piú lacci e piú amplessi. Dreiser Cazzaniga si consolava della gelosia, allora, leggendo e mettendo a punto minuziosamente il suo insuccesso, organizzando con lieta incoscienza i suoi futuri fallimenti.
A cura di genseki
martedì, aprile 13, 2010
Michele e Cristina
Orsú se il sole lascia queste lande
Fuggi chiaro diluvio dall'ombra delle strade
Sui salici, nel vecchio cortile spande
Dapprima il temporale gocce ampie.
Oh cento agnelli d'idillio soldati biondi,
Dagli acquedotti, da pallide brughiere
Fuggite! piano, deserti, prateria, orizzonti
Il rosso temporale sta lavando!
Can nero, pastor bruno di vorticosa cappa
Fuggite ormai dai raggi superiori
Biondo gregge al nuotar d'ombra e di zolfo,
Orsú discendi ai ripari migliori.
Ma io Signore! Il mio spirito vola
Oltre il rosso dei cieli gelati alle
Nuvole celesti che correndo sorvolano
Cento Sologne lunghe come binari.
Poi mille lupi mille semi selvaggi
Solleva, ben attento ai convolvoli,
La religiosa sera di tempesta
Sull'Europa da tante orde percossa.
Poi chiara luna, ovunque la landa
Arrossa, la fronte volta ai cieli neri i guerrieri
Lenti van cavalcando i pallidi corsieri
Come suonano i ciottoli sotto la fiera banda!
Ch'io torni a riveder il bosco giallo
La sposa, occhi celesti, l'uomo di fronte rossa, Gallo!
L'Agnello, l'Ostia, ai loro piedi amati
- Michele e Cristina - Cristo! - Fine dell'idillio.
A. Rimbaud
Trad. genseki
Fuggi chiaro diluvio dall'ombra delle strade
Sui salici, nel vecchio cortile spande
Dapprima il temporale gocce ampie.
Oh cento agnelli d'idillio soldati biondi,
Dagli acquedotti, da pallide brughiere
Fuggite! piano, deserti, prateria, orizzonti
Il rosso temporale sta lavando!
Can nero, pastor bruno di vorticosa cappa
Fuggite ormai dai raggi superiori
Biondo gregge al nuotar d'ombra e di zolfo,
Orsú discendi ai ripari migliori.
Ma io Signore! Il mio spirito vola
Oltre il rosso dei cieli gelati alle
Nuvole celesti che correndo sorvolano
Cento Sologne lunghe come binari.
Poi mille lupi mille semi selvaggi
Solleva, ben attento ai convolvoli,
La religiosa sera di tempesta
Sull'Europa da tante orde percossa.
Poi chiara luna, ovunque la landa
Arrossa, la fronte volta ai cieli neri i guerrieri
Lenti van cavalcando i pallidi corsieri
Come suonano i ciottoli sotto la fiera banda!
Ch'io torni a riveder il bosco giallo
La sposa, occhi celesti, l'uomo di fronte rossa, Gallo!
L'Agnello, l'Ostia, ai loro piedi amati
- Michele e Cristina - Cristo! - Fine dell'idillio.
A. Rimbaud
Trad. genseki
Storia della calligrafia cinese
François Cheng
La calligrafia
La calligrafia esalta la bellezza visuale degli ideogrammi e non invano divenne in Cina un'arte maggiore. Quando pratica quest'arte un arte, un cinese scopre il ritmo profondo del suo essere e comunica con gli elementi. Per mezzo dei tratti significanti si consacra interamente. Lo spessore e la scioltezza dei tratti gli permettono di esprimere i molteplici aspetti della propria sensiblitá: forza e tenerezza, impulso e quiete, tensione e armonia. Quando ottiene l'unitá di ogni ideogramma e l'equilibrio tra i caratteri, il calligrafo attinge alla cosa in sé e realizza la sua propria unitá. Gesti immemoriali e sempre di nuovo intrapresi, la cui cadenza, come in una danza con la spada si plasma istantanemante grazie ai tratti che si slanciano, si incrociano, volano oppure affondano che assumono un significato e aggiungono altri significati a quello codificato delle parole. In efetti si puó parlare di senso per quanto riguarda la calligrafia perché la sua indole gestuale e ritmica non permette in nessun modo di dimenticare che opera con segni. Durante una esecuzione, il calligrafo ha sempre in qualche modo in mente il significato del testo. Per questo la scelta di un brano non è mai gratuita o indifferente.
I testi preferiti dai calligrafi sono senza dubbio i testi poetici. (Versi, poesie, prose poetiche). Quando un calligrafo affronta un poema non si limita a un mero atto di copia. Nel calligrafare risuscita integralmente il movimento gestuale e il potere immaginario dei segni. È questa la sua maniera di calare nella realtá profonda di ciascuno di essi, di adattarsi alla cadenza propriamente fisica del poema e alla fin fine di ricrearlo.
Anche i testi di indole incantatoria attraggono i calligrafi. In essi, l'arte calligrafico restituisce ai segni la loro funzione magica e sacra. I monaci taosti giudicano l'efficacia dei talismani o degli incantesimi che tracciano dalla qualitá della calligrafia che permette la comunicazione adeguata con l'al di là. ...
Il poeta non puó essere insensibile alla funzione sacra dei segni tracciati. Come il calligafo che nel suo atto dinamico ha l'impresione di vincolare i segni al mondo originario, di scatenare un movimento di forze armoniche o contrarie, il poeta non dubita che combinando i segni ruba qualche segreto ai genii dell'universo, come dimostra questo verso di Du Fu:
Finito il poema stupiscono demoni e dei
Questa convinzione ha come conseguenza che ognuno dei segni che compongono il poema acquisisce una presenza e una dignitá eccezionali. Questo spiega anche la ricerca, durante la composizione del poema di una parola chiave: la parola occhio che illuminando in un sol colpo il poema intero rivela il mistero di un mondo occulto. Numerosi annedoti rivelano come un poeta si prosterna davanti ad un altro e lo venera come “Maestro di una parola” all'avergli “rivelato”la parola assolutamente esatta e necessaria che li permette di finire il poema e cosí di “completare la creazione”.
François Cheng
La scrittura poetica in Cina
Trad. genseki
La calligrafia
La calligrafia esalta la bellezza visuale degli ideogrammi e non invano divenne in Cina un'arte maggiore. Quando pratica quest'arte un arte, un cinese scopre il ritmo profondo del suo essere e comunica con gli elementi. Per mezzo dei tratti significanti si consacra interamente. Lo spessore e la scioltezza dei tratti gli permettono di esprimere i molteplici aspetti della propria sensiblitá: forza e tenerezza, impulso e quiete, tensione e armonia. Quando ottiene l'unitá di ogni ideogramma e l'equilibrio tra i caratteri, il calligrafo attinge alla cosa in sé e realizza la sua propria unitá. Gesti immemoriali e sempre di nuovo intrapresi, la cui cadenza, come in una danza con la spada si plasma istantanemante grazie ai tratti che si slanciano, si incrociano, volano oppure affondano che assumono un significato e aggiungono altri significati a quello codificato delle parole. In efetti si puó parlare di senso per quanto riguarda la calligrafia perché la sua indole gestuale e ritmica non permette in nessun modo di dimenticare che opera con segni. Durante una esecuzione, il calligrafo ha sempre in qualche modo in mente il significato del testo. Per questo la scelta di un brano non è mai gratuita o indifferente.
I testi preferiti dai calligrafi sono senza dubbio i testi poetici. (Versi, poesie, prose poetiche). Quando un calligrafo affronta un poema non si limita a un mero atto di copia. Nel calligrafare risuscita integralmente il movimento gestuale e il potere immaginario dei segni. È questa la sua maniera di calare nella realtá profonda di ciascuno di essi, di adattarsi alla cadenza propriamente fisica del poema e alla fin fine di ricrearlo.
Anche i testi di indole incantatoria attraggono i calligrafi. In essi, l'arte calligrafico restituisce ai segni la loro funzione magica e sacra. I monaci taosti giudicano l'efficacia dei talismani o degli incantesimi che tracciano dalla qualitá della calligrafia che permette la comunicazione adeguata con l'al di là. ...
Il poeta non puó essere insensibile alla funzione sacra dei segni tracciati. Come il calligafo che nel suo atto dinamico ha l'impresione di vincolare i segni al mondo originario, di scatenare un movimento di forze armoniche o contrarie, il poeta non dubita che combinando i segni ruba qualche segreto ai genii dell'universo, come dimostra questo verso di Du Fu:
Finito il poema stupiscono demoni e dei
Questa convinzione ha come conseguenza che ognuno dei segni che compongono il poema acquisisce una presenza e una dignitá eccezionali. Questo spiega anche la ricerca, durante la composizione del poema di una parola chiave: la parola occhio che illuminando in un sol colpo il poema intero rivela il mistero di un mondo occulto. Numerosi annedoti rivelano come un poeta si prosterna davanti ad un altro e lo venera come “Maestro di una parola” all'avergli “rivelato”la parola assolutamente esatta e necessaria che li permette di finire il poema e cosí di “completare la creazione”.
François Cheng
La scrittura poetica in Cina
Trad. genseki
lunedì, aprile 12, 2010
Georg Trakl
Quelle che seguono sono due proposte di traduzione da Georg Trakl. Ho sempre cercato di tradurre Trakl, sempre sono rimasto deluso del risultato. L'antinatinatura tutta mentale di Trakl simula il paesaggio e ci coinvolge invece in un teatro cattolico del crepuscolo e del disfacimento. Quasi ai limiti della putrefazione dei contenuti psichici.
La traduzione non trasmette pienamente queste sensazioni ma è un primo approccio.
genseki
Georg Trakl
Canto a sette della morte
Quiete e silenzio
Pastori seppellirono il sole nel bosco fresco
Un pescatore trasse
Dal rabbrividente stagno la luna nella sua rete
In azzurro cristallo
Abita il pallido uomo, le guance volte alla sua stella
Oppure china il capo in sonno purpureo.
Tuttavia sempre sfiora nero volo d'uccelli
Chi guarda, il santo fiore azzurro,
Pensa prossimo silenzio d'obliato, angelo spento.
Di nuovo annotta la fronte in pietra lunare
Radiosa giovinetta
Appare la sorella in autunno e nero marcire
*
Nascita
Monti: nero, silenzio e neve.
Rossa dal bosco scaturisce caccia
Oh lo sguardo muschioso della fiera.
Silenzio materno, tra neri abeti
S'aprono mani dormienti
Quando cadente fredda luna appare
Oh, la nascita dell'uomo. Notturna mormora
Acqua azzurra sul fondo della falesia;
Sospirando sfiora la sua immagine l'occhio dell'angelo caduto.
Pallido si risveglia nella stanza soffocante
Come due lune
Risplendono gli occhi di pietrificata vegliarda.
Ahimé, il grido della puerpera. Con nera ala
Culla la notte sogni di bimbo,
Neve che lenta discende da nubi purpuree.
Trad genseki
La traduzione non trasmette pienamente queste sensazioni ma è un primo approccio.
genseki
Georg Trakl
Canto a sette della morte
Quiete e silenzio
Pastori seppellirono il sole nel bosco fresco
Un pescatore trasse
Dal rabbrividente stagno la luna nella sua rete
In azzurro cristallo
Abita il pallido uomo, le guance volte alla sua stella
Oppure china il capo in sonno purpureo.
Tuttavia sempre sfiora nero volo d'uccelli
Chi guarda, il santo fiore azzurro,
Pensa prossimo silenzio d'obliato, angelo spento.
Di nuovo annotta la fronte in pietra lunare
Radiosa giovinetta
Appare la sorella in autunno e nero marcire
*
Nascita
Monti: nero, silenzio e neve.
Rossa dal bosco scaturisce caccia
Oh lo sguardo muschioso della fiera.
Silenzio materno, tra neri abeti
S'aprono mani dormienti
Quando cadente fredda luna appare
Oh, la nascita dell'uomo. Notturna mormora
Acqua azzurra sul fondo della falesia;
Sospirando sfiora la sua immagine l'occhio dell'angelo caduto.
Pallido si risveglia nella stanza soffocante
Come due lune
Risplendono gli occhi di pietrificata vegliarda.
Ahimé, il grido della puerpera. Con nera ala
Culla la notte sogni di bimbo,
Neve che lenta discende da nubi purpuree.
Trad genseki
Il piccolo Monchiero
Monchiero era piccolino
E condannato, lo avreste abbigliato
potendo – di pelle di lepre,
Leprotto, dai grandi occhiali rotti
I riccioli pieni di spighe
E forse scarpe che non ricordo
Dormiva sul balcone, Monchiero,
Tra le ceste di lumache poste a spurgare
Nel candore della farina tutti i peccati
Della loro lascivia, uno a uno
In fondo la linea del fiume il gelo
Il filare dei pioppi il pastore Thorvaldsen
Maledicendo il silenzio di tutti quei ciottoli
Mentre pascolava i suoi cani rossi
Che freddo sul balcone,
La madre dormiva al calduccio del metano
Tra le lenzuola unte nell'odore della lana fracida
Che ha odore di cane e di fango di fiume
Dove si macerano gli ontani
I suoi peccati li scontava al freddo
Il piccolo Monchiero
A colazione la madre lo obbligava
A predere il bricco del latte bollente
Con le mani nude
Lo avresti rivestito di pelliccia
Di merlo
potendo – il piccolo Monchiero
Con un berreto fatto con metá guscio
Di una nocciola di Cortemilia con le sue ditina rosse rosse
E screpolate, cadeva e si rialzava
Solo nei punti in cui il selciato
Era piú duro e tagliente
Era proprio come suo padre il piccolo Monchiero
Uno zingaro di tutti i peccati, un porco di tutti i macelli
Era come suo padre e lei gliele avrebbe fatte pagare tutte
Quelle che lui le aveva fatto a lei, alla mamma
Del piccolo Monchiero, zampe di gatto su unghie spezzate
Contento di ripetermi con tutta la sua innocenza
Che lui era cosí proprio come suo padre
Che non sapeva far nulla, un fagnano da nulla
Le avrebbe pagate tutte quelle che le avrebbe combinato
A lei con la moto sul balcone al freddo di tutti i peccati
Non seppi mai guardarlo con la venerazione
Che il suo martirio avrebbe meritato
Il piccolo Monchiero, io che attraversavo
Tutte le mattine le lastre di ghiaccio in bicicletta
Con un berretto basco e il chiuei rosso,
Non lo seppi guardare, ora da morto
Mi affligge quaggiú il raggio glorioso
Della sua bellezza fangosa.
genseki
*
E condannato, lo avreste abbigliato
potendo – di pelle di lepre,
Leprotto, dai grandi occhiali rotti
I riccioli pieni di spighe
E forse scarpe che non ricordo
Dormiva sul balcone, Monchiero,
Tra le ceste di lumache poste a spurgare
Nel candore della farina tutti i peccati
Della loro lascivia, uno a uno
In fondo la linea del fiume il gelo
Il filare dei pioppi il pastore Thorvaldsen
Maledicendo il silenzio di tutti quei ciottoli
Mentre pascolava i suoi cani rossi
Che freddo sul balcone,
La madre dormiva al calduccio del metano
Tra le lenzuola unte nell'odore della lana fracida
Che ha odore di cane e di fango di fiume
Dove si macerano gli ontani
I suoi peccati li scontava al freddo
Il piccolo Monchiero
A colazione la madre lo obbligava
A predere il bricco del latte bollente
Con le mani nude
Lo avresti rivestito di pelliccia
Di merlo
potendo – il piccolo Monchiero
Con un berreto fatto con metá guscio
Di una nocciola di Cortemilia con le sue ditina rosse rosse
E screpolate, cadeva e si rialzava
Solo nei punti in cui il selciato
Era piú duro e tagliente
Era proprio come suo padre il piccolo Monchiero
Uno zingaro di tutti i peccati, un porco di tutti i macelli
Era come suo padre e lei gliele avrebbe fatte pagare tutte
Quelle che lui le aveva fatto a lei, alla mamma
Del piccolo Monchiero, zampe di gatto su unghie spezzate
Contento di ripetermi con tutta la sua innocenza
Che lui era cosí proprio come suo padre
Che non sapeva far nulla, un fagnano da nulla
Le avrebbe pagate tutte quelle che le avrebbe combinato
A lei con la moto sul balcone al freddo di tutti i peccati
Non seppi mai guardarlo con la venerazione
Che il suo martirio avrebbe meritato
Il piccolo Monchiero, io che attraversavo
Tutte le mattine le lastre di ghiaccio in bicicletta
Con un berretto basco e il chiuei rosso,
Non lo seppi guardare, ora da morto
Mi affligge quaggiú il raggio glorioso
Della sua bellezza fangosa.
genseki
*
venerdì, aprile 09, 2010
Erano quasi gioielli
Erano quasi gioielli, questi,
Che andavano poco a poco trasfomandosi
In una idea meno cangiante di se stessi
Quasi splendori boccioli sfarinando
Germinazioni di mitili e di marne
Bandiere fresche alla corrente aperte
Sullo sfondo screziato di un mare
Come un oltraggio a ogni altra ferita
Altri, forse, frammenti di schiuma
Spruzzi fosilizzati alla soglia del culmine
All'ansia del precipizio, al punto esatto
Della fronte dove fibrilla l'elitra del sogno
Ove il bagliore è presentito nella tenebra
E fulmina la coscienza con la dolorosa necessitá
Di cominciare tutto il suo processo
Erano quasi spendore, scintilla dileguandosi
Nell'effimero del loro pullulare, sciami
Gemme appena, grani cristalli di placton
Si combinavano allora rispecchiandosi
Ognuno nel suo riflesso ecchimosi
Fino a riemergere allora da un qualche fondo
Provvisti ora di un interno e di un esterno
Erano quasi gioielli, quasi talismani
Di rigenerazioni disorganiche, miriade
Frammentaria e tagliente nell'assoluta
E limpida infine ineludibile crescita
Delle loro sere, sereni quasi sibili.
genseki
*
Che andavano poco a poco trasfomandosi
In una idea meno cangiante di se stessi
Quasi splendori boccioli sfarinando
Germinazioni di mitili e di marne
Bandiere fresche alla corrente aperte
Sullo sfondo screziato di un mare
Come un oltraggio a ogni altra ferita
Altri, forse, frammenti di schiuma
Spruzzi fosilizzati alla soglia del culmine
All'ansia del precipizio, al punto esatto
Della fronte dove fibrilla l'elitra del sogno
Ove il bagliore è presentito nella tenebra
E fulmina la coscienza con la dolorosa necessitá
Di cominciare tutto il suo processo
Erano quasi spendore, scintilla dileguandosi
Nell'effimero del loro pullulare, sciami
Gemme appena, grani cristalli di placton
Si combinavano allora rispecchiandosi
Ognuno nel suo riflesso ecchimosi
Fino a riemergere allora da un qualche fondo
Provvisti ora di un interno e di un esterno
Erano quasi gioielli, quasi talismani
Di rigenerazioni disorganiche, miriade
Frammentaria e tagliente nell'assoluta
E limpida infine ineludibile crescita
Delle loro sere, sereni quasi sibili.
genseki
*
sabato, marzo 27, 2010
Orfeo
Orfeo
Orfeo portava con sé l'odore delle cabine dei bagni
Odore di sudore, iodio, sale polpa putrida di legno, bucce di banana
Disseccate dal sole
Orfeo veniva con il suo bandoneon da lontane pampas
Con un poncio ovale, con la caffettiera in tasca
Con la tasca che sapeva di uova tostate nell'orzo
Orfeo suonava ovale e il mondo s'inclinava a spirale
Davanti al suo naso di emarginazione
Il suo naso negro indio il suo naso triste come le ande
Come le araucarie deportate tra i sambuchi
Delle brianze immemoriali di tutte le umide prealpi
Orfeo compartiva le sue bistecche con i suoi sogni di topolino affamato
Faceva due passi avanti un inchino un ipotesi una disgiuntiva
Nelle parentesi aperte tra due tacchi
Orfeo scioglieva i cani del pianto dalle feritoie lebbrose degli occhi
Quando ricordava Muchacha Minnehaha con la chioma caffelatte
A rivoli nella segala e le ditina dei piedi divaricate
A ogni spinta poderosa dei suoi lombi di allora
Il passo di orfeo, con le sue scarpe di vernice
Schiva l'ombra del tacco di un alto tacco
Evoca un tarlato anfiteatro e colpisce come un crotalo
La sistole di una smarrita solitudine.
genseki
Orfeo portava con sé l'odore delle cabine dei bagni
Odore di sudore, iodio, sale polpa putrida di legno, bucce di banana
Disseccate dal sole
Orfeo veniva con il suo bandoneon da lontane pampas
Con un poncio ovale, con la caffettiera in tasca
Con la tasca che sapeva di uova tostate nell'orzo
Orfeo suonava ovale e il mondo s'inclinava a spirale
Davanti al suo naso di emarginazione
Il suo naso negro indio il suo naso triste come le ande
Come le araucarie deportate tra i sambuchi
Delle brianze immemoriali di tutte le umide prealpi
Orfeo compartiva le sue bistecche con i suoi sogni di topolino affamato
Faceva due passi avanti un inchino un ipotesi una disgiuntiva
Nelle parentesi aperte tra due tacchi
Orfeo scioglieva i cani del pianto dalle feritoie lebbrose degli occhi
Quando ricordava Muchacha Minnehaha con la chioma caffelatte
A rivoli nella segala e le ditina dei piedi divaricate
A ogni spinta poderosa dei suoi lombi di allora
Il passo di orfeo, con le sue scarpe di vernice
Schiva l'ombra del tacco di un alto tacco
Evoca un tarlato anfiteatro e colpisce come un crotalo
La sistole di una smarrita solitudine.
genseki
Ballanche
Secondo il Biografo Enid Starkie Ballanche è una delle fonti principali di ispirazine per Rimbaud. In realtá non vi sono prove che Rimbaud abbia avuto una conoscenza di prima mano delle opere di queso mistico lionese, ma potrebbe averne avuto contezza attraverso Chateaubriand e Michelet. In realtá è difficile pensare che Ballanche e Rimbaud possano avere qualche cosa in comune. Sembra piú certo, anche se non dimostrato, che Ballanche abbia piuttosto influenzato Schikaneder e Mozart. La descrizione qui tradotta dell'iniziazione ai misteri di Iside da parte di Orfeo richiama irresistibilmente Pamino e Sarastro. In fondo Pamino è un Orfeo flautista e Tamina una Euridice fortunata.
L'Egitto di Ballanche è un mondo onirico, si tratta di un grande sogno silenzioso e minerale, non vi sono quasi rumori che provengano da orgnismi biologici. Lo sciabordio dell'acqua é lo sfondo sonoro. Uno spazio definito architettonicamente è lo spazio di questo Egitto mitico, ma non si tratta di una architettura per uso umano.
L'immagine che viene alla mente leggendo queste righe è quella del quadro l'isola dei morti. Il pittore conosceva Ballanche.
L'assenza dell'organico, del pullulante, di tutto ció che striscia e fermenta è ció che rende meno credibile ogni convergenza tra Ballanche e Rimbaud. Il cratilismo Rimbaud poteva averlo attinto dallo stesso Crátilo sviluppandolo poi in un abbozzo di poetica.
L'Egitto di Ballanche è un mondo onirico, si tratta di un grande sogno silenzioso e minerale, non vi sono quasi rumori che provengano da orgnismi biologici. Lo sciabordio dell'acqua é lo sfondo sonoro. Uno spazio definito architettonicamente è lo spazio di questo Egitto mitico, ma non si tratta di una architettura per uso umano.
L'immagine che viene alla mente leggendo queste righe è quella del quadro l'isola dei morti. Il pittore conosceva Ballanche.
L'assenza dell'organico, del pullulante, di tutto ció che striscia e fermenta è ció che rende meno credibile ogni convergenza tra Ballanche e Rimbaud. Il cratilismo Rimbaud poteva averlo attinto dallo stesso Crátilo sviluppandolo poi in un abbozzo di poetica.
*
Ballanche
Da Orfeo
Vol IV
Giunsi in Egitto al tempo del'inondazione del'inondazione del Nilo. È uno spettacolo inconcepibile per chi non lo abbia visto. I muri delle cittá, le case degli abitanti, gli edifici pubblici, i templi degli dei, sono battuti dalle molli onde del fiume che, in qualche mo, si è mutato nell'Egitto stesso. Non vi racconteró, principe ecellente, i lavori inauditit che sono stati messi in opera per giungere a rendere regolari i benefici di questa meravigliosa inondazione, per produrre un'eguale distribuzione dele acque, per prevenire gli inconvenienti di una crscia troppo rapida o troppo lenta, troppo abbondante o troppo misurata; infine per guidare a decrescita del Nilo, quando vuole ritornare nel suo alveo, e per impedire che il suolo da lui fecondato non divenga una vasta palude insaubre. Si è dovuto scavare canali, elevare dighe, formare vasti laghi, simili a mari contenuti da rive indistruttibili: lavori incredibili che confondono l'immaginazione. Da nessuna parte, sapete, la potenza dell'uomo s é manifestata come in Egitto, Questa terra, conquista sapiente di un'industiositá interamente umana, cominció, si dice, essendo nient'alro che una stretta linea di capanne di canna. Prima era l'ippopotamo che regnava in pace; il coccodrillo, tiranno assoluto d'immense inondazioni, si adormentava al sicuro, e al suo risveglio spargeva il terrore tra gli animali he popolavano quella fangosa contrada.
“Ti dico saggio Evandro, che si trattava di una industria umana, per distiguere ai votri occhi l'Egitto dalle contrade dei Titani. le Muse che un tempo mi avevano ispirato non mi avevano insegnato niente a proposito di un tipo di lavori e di tradizioni come quelli. Cosí, una volta superato lo stretto del faro, finii per credermi trasportato in un altro universo. Tutti i miei pensieri erano svaniti; tutta la mia scienza, o piuttosto ciò che io credevo fosse la mia scienza, si era dissolta come vano vapore. Grotte fatidiche della Samotracia, risveglio civilizzatore della Tracia, potere della lira, tutto spariva per me nelle profonditá di un ricordo in qualche modo spento. Mi sembrav di entrare in una nuova vita in cui tutte le condizioni dell'esistenza sarebbero cambiate.
...
Dovunque avevo conosciuto soltanto popoli nuovi, uomini appena usciti dalla quercia o dalla roccia; per la prima volta mi trovavo prsso un popolo antico, tra uomini che contavano lunghe generazioni di antenati. Ovunque avevo assistito, come ala nascita della societá; qui potevo ammirarla in tutta la pienezza di una grandezza confermata dal tempo. Ovunque avevo incontrato una razza umana prossima alle orignini oscure, culla di ogni cosa; qui era una razza umana giá separata dalle origini oscure da alcuni grandi secoli di tradizioni che si dicono sicure...
Che cosa doveva essere allora per me il ricordo di quelle fotezze di eroi costruite sulle rocce, simili a nidi d'aquila, fortezze che sovente abbiamo considerato come cittá primitive, che cosa doveva essere in presenza di tante cittá popolose, piene di magnifici edifici, obbedienti a leggi non antiche ma eterne?
...
Per l'Egitto, i Titani non hano sradicato gradualmente vaste foreste per farvi entrare la luce; il suolo in tutta la sua estensione dovette essere stato creato dall'uomo prima che vi si stabilisse. Fuori non vi sono i boschi, soggiorno dell'oscuritá antica, ma le sabbie del deserto o i flutti tempestoi del mare.
...
Ció che stupisce di piú, (in Egitto) è che tutto è simbolico, e che si ha inmediatamente un sentimento indefinibile di queste creazioni simboliche, segno davvero di un'intelligenza forse divina.
La lingua presenta un senso misterioso e uno letterale, un senso nascosto e un senso scoperto, un senso profondo e uno superficiale; gli stessi monumenti sono una lingua dii emblemi.
...
Anche il Nilo, che nasconde il segreto delle sue sorgenti ignorate, sembra un'immagie rapida e viva delle tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Sembrerebbe che con il suo limo fecondo trascini tutte le leggi dell'allegoria.
...
L'egiziano, educato da ció che vede, mette un'intenzione allegorica in tutto quello che fa.
In Egitto, cittá di cui voi potreste appena concepire l'estenione, si attraversano in seno a un vasto silenzio o in mezzo a un rintocco sucessivo e prolungato, come quando si ode dalla cima dei monti, il rumore iafferrabile delle valli profonde. E questo vasto silenzio è interrotto solanto dal sordo sciabordio di un'nda prigioniera che si culla su se stessa, o si rompe conro alti muri neri, dai suoni uniformi di una moltitudine di navicelle i cui remi colpiscono a colpi cadenzati la superficie del fiume e dalle grida dei piloti che le dirigono, che si chiamano e si evitano reciprocamente. Questo aspetto scuote tutti i pensieri, rovescia tutte le convinzioni piú intime: sembrerebbe di scivolare attraverso un mondo fantastico.
...
Si avanza di scoperta in scoperta in un mondo creato dal sogno.
...
Questa civiltà saggia e perfeta, ma fissa e uniforme, che avevo sotto gli occhi, mi faceva apprezzare meglio tutto il fascino di quelle civiltá appena abozzate, che promettevano una varietá di usanza e di costumi piú o meno severi o irridenti.
La vita in Egitto, sembra reggersi sul nulla; cosí gli uomini cercano di darle la durata della morte. Tutte le differenti epoche della vita umana, come una sequenza di vite e di morti che nascono le une dalle altre, sono celebrate con cerimonie funebri, Cosí l'uomo non giunge alla sua ultima morte che attraverso una serie di successivi trapassi: e quest'ultima morte a sua volta è il passaggio a un'altra vita. Cosí luomo, quando entra in una nuova tappa della vita prende il lutto di quella precedente; è dunque succesivamente in lutto della sua propria esistenza mobile e cangiante...
Sbaglia stranamente chi creda che l'Egiziano voglia unicamente sottrarre il suo corpo e le sue opere alla distruzione; quello che vuole, soprattutto, è stabilizzare proprio la morte, stabilizzarla come emblema e pegno di immortalitá.
...
La veritá non si insegna, essa illumina chi ne è degno. I preti dell'Egitto non scostano mai il velo che
copre la statua di Iside e loro stessi non l'hanno mai vista senza velo.
*
Tre massime sono il fondamento dell'iniziazione; ... Eccole: Nessuno è degno della veritá se non la scopre da solo. Nessuno puó giungere alla veritá si non scopre se stesso. Infine, nessuno è in grado di comprendere la veritá se non è stato in grado di raggiungerla da solo. Dio ha fatto tutto quando ha dato il linguaggio agli uomini: è la grande rivelazione universale del genere umano. I sacerdoti dell'Egitto, dunque, non insegnano nulla perché credono che tutto è nell'uomo; non fanno che scartare gli ostacoli. Vanno piú lontano, gli adepti, gli adepti che non possono entrare con i loro propri sforzi nella sfera delle idee e dei sentimenti in cui si vuole introdurli sono respinti come profani. I depositari della saggezza credono che la veritá è una cosa pericolosa per l'uomo che non la trova in sé.
Ballanche
Trad genseki.
venerdì, marzo 26, 2010
La fleur des amants
La fleur des amants è rimasta in me un simbolo occultato, dimenticato, sepolto. Proprio questo suo stato di presenza latente ha fatto si che condizionasse la mia vita in modo piú profono di quanto sia in grado di valutare ora. Un simbolo sepolto nella terra della mente è come un seme, chhe va germogliando in corolle impreviste.
Certo qui la corolla è la meraviglia, l'imprevisto, la ricerca ossessiva del talismano, la sfiducia nell'amore e la fiducia nella magia naturalis,
genseki
Iscriviti a:
Post (Atom)