Se vuoi leggere ancora
Fatti tu stesso scrittura
Divieni la tua essenza.
Angelus Silesius.
*
Tong-Chan
Trad. gensekiLacrime grani del grande melograno
Che fioriva a jabalsa nel giardino
Del re del rame
Lacrime rupestri
Lacrime rune
Lacrime alla salvia
Lacrime a fiotti
Lacrime a cascata
Mi lavavano il volto tumefatto
Dai baci freddi di tanto lacrimare
Lacrime, da dove?
Da quale fonte di infinito dolore
Inflitta al cielo alla terra alle radici
Cadevano a quell'ora sui miei occhi
Che non sapevo aprire a lacrimare?
genseki
Una poesia colloquiale e ricca di elenchi e di liste.
Una poesia cocciutamente convinta della dignitá deñña parola, di ogni parola e delle parole di tutti.
La morte lo ha finalmente reso quello che era, differente e semplice, la morte che scolpisce per sempre l'individualitá sullo sfondo della sua definitiva impossibilitá.
genseki
Mario Benedetti
Imbarazzato panegirico della morte
La giornalista mi chiese
Se credessi nell'aldilá
Gli dissi di no
E lei mi domandó
Se questo non mi angustiava
E io le dissi di si
Ma che comunque forse
Certe volte la vita
Causa angoscia maggiore
Della morte
Perché le vessazioni
O anche solo i caprici
Finiscono per metterci
In compartimenti stagni
Ci separano gli odi
Le discriminazioni
I conti correnti
Il colore della pelle
L'affermazione o il rifiuto
Di Dio.
Invece la morte
Non fa distinzioni
Ci mette tutti nello stesso sacco
Ricchi e poveri
Sudditi e re
Miserabil e potenti
Indiani e visi pallidi
Iberici e immigrati
Credenti e agnostici
Riconosciamo che la morte fa sempre
Una giusta distribuzione del nulla
Senza plusvalore nè offerte nè domande
Egualitaria e equanime
Si occupa di ogni vemiciattolo
Secondo le sue necessitá
Neutra e equanime
Accoglie con la stessa disponobilita zelante
I cadaveri sontuosi di estrema destra
E i periti di inedia
La morte è eccletica, pluralista sociale
Distributiva, incorrutibile
E continuerá ad esserlo
A meno che a qualcun
Non venga in mente di privatizzarla.
Mario Benedetti
Inventario II
Trad genseki
Bevemmo limone e artemisia
Come soli alimenti del nostro cuore
Nudo
Intorno nel frattempo, poco a poco,
Tutte le cose si adagiavano in pace
Nei loro simboli.
genseki
genseki
Questi emissari giravano per borghi e villaggi alla cacia del bambino agli ordini del Grande Cacciatore, il Signore di Bricqueville. Non contento di questi battitori, Gilles si metteva alle finestre del castello e quando qualche giovane mendico, attirato dalla fama delle sue liberalitá domandava l'elemosina, egli lo valutava con uno sguardo, faceva salire quelli la cui fisionomia lo incitava allo stupro e li gettava in una secreta fino a quando, affamato non esigesse il suo pasto carnale.
Quanti bambini sgozzó dopo averli violentati? Egli stesso lo ignorava. aveva commeso tanti stupri e tanti omicidi! I testi del tempo parlano di settecento ottocento vittime, ma questo numero è insufficiente, sembra inesatto. Regioni intere furono devastate; i casinali di Tiffauges non avevano piú bambini, a Suze non c'erano piú maschietti; a Champtocé tutto il fondo di una torre era pieno di cadaveri; un testimone citato nell'strutoria Guillaume Hylairet dichiara anche: “aveva udito dire che aveva trovato in quel castello una condotta piena di bambini morti”.
Ancora oggi persistono tracce di quei delitti. Comunque Gilles confesó spaventosi olocausti che i suoi amici confermarono con tuti gli spaventosi dettagli. Al tramonto quando i loro sensi sono come staffilati dal succo potente delle cacce, infiammati da bevande ardenti e speziate, Gilles e i suoi amici si ritirano in una camera lontana el castello. Qui i bambini prigionieri nelle fosse sono condotti, denudati, imbavagliati; il Maresciallo li palpa e li viola, poi li squarta a colpi di daga, si diverte a smembrarli pezzo a pezzo. Altre volte apre loro il petto e beve l'alito dei polmoni; apre loro il vente, lo fiuta, allarga la ferita con le mani e vi si siede dentro. Allora mentre si macera nel fango umido delle tiepide interiora guarda sopra la sua spalla per contemplare le supreme convulsioni degli ultimi spasimi. Lui stesso ha detto: “Ero piú contento di godere delle torture, delle lacrime, del terrore e del sangue che di tutti gli altri piaceri”.
Triste domenica
Triste domenica di fiori bianchi
Orna l'altare una folle speranza
In cui si prostra lo spirito lasso
Mentre la bocca non cessa l'appello
In sogno spegnesi l'occaso estivo
Stanco del sogno di vana attesa
Triste domenica!
Tu non comprendi l'angustia orribile
Di questa attesa senza vederti
Ti prego affrettati or devo andare
Lo vedi! Muio folle d'affanno
Ah se tu fossi bianco sudario
Che copra infine l'ultima ora.
Triste destino!
Amato
Presso la bara di fiori adorna
Sta il sacerdote e a lui sussurro:
amo ed attendo.
Senza timore fissa i miei occhi
Aperti e morti a te rivolti
Con le tue dita li devi chiudere
E solo allora potró dormire
Suon le campane or devo andare.
Triste domenica!
È giunta l'ora che debbo partire
Stringerti voglio nell'ultimo viaggio
Ma dentro sento che non verrai
A visitarmi domenica, amato
Che nella tomba t'ho da aspettare.
genseki
Triste destino!
Quelli che ascoltano Brückner
Sanno che il volo delle allodole
Ê un cuore, è sistole e diastole
Ê piccola spugna di sangue prezioso
Brivido giacinto allo scoppio del motore.
Quelli che acoltano Brücner
Ascoltano spesso i quartetti
Con il loro intimismo un po' legnoso
Ma tenero
E la cascata di luci e di rose astrologiche
Della Sinfonia n. IX
E sanno che sotto la scorza del carrubo
Si cela una carne rosa come recente ferita.
Quelli che ascoltano Brükner
Sanno riconoscere le frane di luce
Da piccole variazioni purpuree
Dei fiori dell'aloe
E notano le corna di un cervo
Nel palmizio del loro passato.
Quelli che acoltano Brückner
Sanno che le oasi sono verticali
Al desiderio
E che un adagio congeda momenti
Isolandoli nel tempo come gesti sospesi.
genseki
Poesia e natura sono due facce della stessa marginalità, di un'unico tramonto.
Il tramonto del tipo di uomo che poteva leggere l'una attraverso l'altra.
genseki
(Canzon del povero diavolo)
Due giudei che si erano venuti a fermare proprio sotto la mia finestra contavano misteriosamente sulla punta delle dita le ore – ahi quanto lente! - della notte.
Avete denaro con voi Maestro? - chiese il piú giovane all'anziano che conversava con lui.
Ti par che questa borsa sia un sonaglio per allietare un infante?
Quand'ecco che un fiotto di folla si scaraventó con strepito fuori dai borghi circostanti e le loro grida si frantumaron contro i miei vetri come i confetti di una cerbottana.
Erano i barbetti che gioiosamente correvano verso la piazza del mercato da dove provenivano scintille di paglia e un certo odor d'arrosto.
Trallalla lalla, mi inchino alla Luna mia Signora! - Per di qua masnada dello Zoppo! Due giudei fuori di caa durante il coprifuoco!- Ammazzali! Ammazzali! Agli ebrei il di , alle lingere la notte.-
Le campane fesse strepitavano lassù dai campanili di Sant'Eustachio il gotico: - Dindon dan, dindon dan! -
Aloysius Bertrand
trad. genseki
Pontanus
De amore coniugali
Il contenuto concreto della certezza sensibile fa che questa si manifesti come la conoscenza più ricca, ossia come una conoscenza infinitamente ricca tale che – anche movendosi nello spazio e nel tempo come nl mezzo in cui essa si espande oltre se stessa, oppure prendendo un frammento di questa pienezza e entrando per suddivisione, dentro quel frammento medesimo – non sapremmo trovarne il limite.
Hegel
Fenomenologia dello Spirito
Cap. I
trad genseki
La prima frase della fenomenologia, il punto di partenza dell'avventura della Bildung univesale è anche il punto di arrivo, ovviamente, quello del sapere piú ricco.
La certezza sensibile è quel genere di immediatezza che corrisponde al pensiero hishiryo del Maestro Dogen: “non pensare con il pensiero, pensare con il non pensiero. Come si pensa con il non pensiero? Col pensiero hishiryo”.
Cioè saltando inmediatamente, oltre ogni mediazione nella certezza sensibile,
Cioè raggiungere la meta al principio del camminoAppena prima, nulla; dopo, fumo!
Eppur nutro ambizioni, eppur presumo
E punto son del cerchio che mi serra.
Breve battaglia d'importuna guerra
In mia difesa son periglio estremo
Con le mie mani il mio essere scemo
Meno m'alberga il corpo che m'interra.
Ier non é pú, domani non ancora
L'oggi trascorre, è fu giá con movimento
Che mi getta di morte nella gora.
E vanga è l'ora che per le mie ossa
Con mercé della pena che m'accora
Scava nella mia vita la mia fossa.
trad genseki