Madido di silenzio
I chiodi d'argento del gelo
Nelle palme, nei talloni
Il sudore è l'ultima tunica
Prima della luce nuda.
genseki
martedì, dicembre 25, 2012
Non avere piú voce
Non avere piú voce
Come tace anche il cielo
Piú spento e alto
Il collo dell'avena
I brividi rosa degli ontani
Sul greto così gelido
Non avere piú voce
Come il ciottolo umile
Che levigó la pioggia
Prima che ogni cosa avesse un volto.
genseki
Come tace anche il cielo
Piú spento e alto
Il collo dell'avena
I brividi rosa degli ontani
Sul greto così gelido
Non avere piú voce
Come il ciottolo umile
Che levigó la pioggia
Prima che ogni cosa avesse un volto.
genseki
lunedì, dicembre 24, 2012
Natale 2012
A volte penso che la ricerca della sofferenza e il ricordo della sofferenza siano il solo modo di cui disponiamo per entrare in contatto con l'intera condizione umana. Soffrendo entriamo a far parte del mito cristiano.
Graham Greeene
domenica, dicembre 23, 2012
Genet
In realtá allontanandosi dal testo, gli spettatori dovrebbero restare con in bocca un intenso sapore di ceneri e il tanfo della corruzione.
Rembrandt
Fin dal principio si sentí attratto poderosamente dalla poetica della rovina, dalla poetica dell'imperfezione. Godeva tracciando i segni che lasciavano i morsi dell'esperienza mondana. i fori, le punture. gli occhi rossi, le rughe della pelle davano al volto umano una ricchezza multicolore. I segni del vaiolo, la scrofola, la pelle macchiata e le croste erano fatti che andavano ispezionati da vicino E con molta attenzione; irregolarità sulle quali far passare il suo sguardo tattile. Oltre le sacre scritture non si preoccupava di nessun libro che non fosse quello della decadenza con le sue veritá scritte nelle rughe incise sulla fronte degli uomini e delle donne anziani, nelle fenditure dei solai decrepiti, nei muri coperti di licheni degli edifici vecchi o nella pelle coperta di sarna di un leone malaticcio.
Shama
Rembrandt
sabato, dicembre 22, 2012
Il verde dei prati
Ogni canto era come un grido
Sfilacciato nel grigio degli alberi
Ma il verde dei prati era cosí intenso
Che una sola lacrima lo avrebbe infranto.
genseki
Sfilacciato nel grigio degli alberi
Ma il verde dei prati era cosí intenso
Che una sola lacrima lo avrebbe infranto.
genseki
Stornello
Eppure il mondo mi si offriva
Nell'atto stesso di abbandonarlo
Sgusciavo fuori dal pantano
Tra i gattici
Tra gli ulivi
Nudo cme un assassino
Che canta a squarciagola
Uno stornello
genseki
Nell'atto stesso di abbandonarlo
Sgusciavo fuori dal pantano
Tra i gattici
Tra gli ulivi
Nudo cme un assassino
Che canta a squarciagola
Uno stornello
genseki
L'amico poeta
Non ero l'amico poeta per te
Ero quello strano, quello che agitava le mani
Troppo grandi e screpolate
Goffo come un airone,
Che s'incendiava come un faggio
In gennaio
Poi tutto quel fuoco si estese
E del dolore
Non restó che cenere.
genseki
Ero quello strano, quello che agitava le mani
Troppo grandi e screpolate
Goffo come un airone,
Che s'incendiava come un faggio
In gennaio
Poi tutto quel fuoco si estese
E del dolore
Non restó che cenere.
genseki
venerdì, dicembre 21, 2012
Sulle cime
Sulle cime piú alte giá l'autunno
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.
genseki
Depone corpo e mente
Tra i rami dei larici;
Tutti quei minuscoli aghi d'oro
Accolgono come un manto
Il suo tonfo maestoso
Resta il vuoto,
I venti cavi
La corsa dei cervi
Il silenzio del temporale lontano
Riempie la valle di ombre viola
Seduto sotto una pietra
Tra i licheni potrei forse abbandonare
Il parassita che mi divora
Deporre poi anche questo sacco di pelle
Come un altro fungo tra i rododendri.
genseki
Piú niente
Dentro non c'era più niente
Eri vuoto, Forse qualche volo, minuzie,
Polvere di ricordi
Amori, sentieri, macchie d'umido,
Un cespuglio di nespole
Qualche giorno di un novembre
Infantile
Per un attimo apparve persino Enrico
Con la sua stampella.
A uno scoppio di vento
Che tese le sciarpe degli idoli tarlati
Lo sciame si levó in volo
Con strepito sordo
Un solo fiore spledeva sull'albero nudo
Come quel diadema di rugiada della leggenda
Le vespe scendevano ronzando
Sulla coppa di miele e il resto delle mele.
genseki
Eri vuoto, Forse qualche volo, minuzie,
Polvere di ricordi
Amori, sentieri, macchie d'umido,
Un cespuglio di nespole
Qualche giorno di un novembre
Infantile
Per un attimo apparve persino Enrico
Con la sua stampella.
A uno scoppio di vento
Che tese le sciarpe degli idoli tarlati
Lo sciame si levó in volo
Con strepito sordo
Un solo fiore spledeva sull'albero nudo
Come quel diadema di rugiada della leggenda
Le vespe scendevano ronzando
Sulla coppa di miele e il resto delle mele.
genseki
Campane
Erano pochi passi soltanto
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.
genseki
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.
genseki
Ti lasciavi
Ti lasciavi spalancare
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Un'altra dea
Era la dea dei muri a secco
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
Elicottero
Un elicottero sbucato d'improvviso
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
Jabès
Dio è il punto incandescente di fronte al punto scuro della pagina scritta: infatti il libro delle notti dell'uomo corrisponde al libro accecante di Dio.
Jabès
Che cosa resta?
Che cosa resta della parola
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Jabès
Il silenzio è la mandorla del rumore; per questo Dio, che è duro silenzio, non puó essere udito, solo postulato, come le ore del frutto dalle ore dell'albero.
Jabès
venerdì, dicembre 14, 2012
domenica, dicembre 09, 2012
Comunismo
La filosofia attraverso il nome comunismo pensa
«la
passione ugualitaria, l’Idea della giustizia, la volontà di rompere
coi compromessi relativi al servizio dei beni, la rinuncia all’egoismo,
l’intolleranza dell’oppressione, il desiderio della fine dello Stato.
L’assoluta preminenza della presentazione molteplice sulla
rappresentazione. L’ostinazione militante, obbligata da qualche evento
incalcolabile, a reggere per caso il discorso di una singolarità senza
predicato, di un’infinità senza determinazione né gerarchia immanente».
Alain Badiou
lunedì, novembre 26, 2012
Appena
Fu appena il fioco distenedersi
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Mosche di stagno
Mosche di stagno
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
lunedì, novembre 12, 2012
Dietro la cortina della pioggia
Dietro la cortina della pioggia
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Soledad
Bevo dalla fiasca dell'abbandono
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
sabato, novembre 10, 2012
Alberto Giacometti
Il
regrette les bordels disparus. Je crois qu'ils ont tenu-et leur souvenir
tient encore-trop de place dans sa vie, pour qu'on n'en
parle pas. Il me semble qu'il y entrait presque en
adorateur. Il y venait pour s'y voir à genoux en face d'une divinité
implacable et lointaine. Entre chaque putain nue et lui, il y avait
peut-être cette distance, que ne cesse d'établir chacune de
ses statues entre elles et nous. Chaque statue semble reculer-ou en
venir- dans une nuit à ce point lointaine et épaisse
qu'elle se fond avec la mort : ainsi chaque putain
devrait-elle rejoindre une nuit mystérieuse où elle était souveraine. Et
lui, abandonné sur un rivage d'où il la voit à la fois
rapetisser et grandir dans un même moment.
Je
hasarde encore ceci : n'est-ce pas au bordel que la femme pourrait
s'enorgueillir d'une blessure qui ne la
délivrera jamais plus de la solitude, et n'est-ce pas le
bordel qui la débarrassera de toute attribution utilitaire, lui faisant
ainsi gagner une sorte de pureté.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Genet
L'atelier d'Alberto GIacometti
Destra e Sinistra
Se accettiamo la fraseologia politica corrente
dovremo ammettere che l'arte appartiene tanto alla sinistra come alla
destra, ovvero è radicata in una tradizione e si riflette in un futuro
che solo con molte difficoltá avrá contribuito a instaurare.
Jean Genet
Jean Genet
La rugiada sulla pelle
La rugiada sugli zucchini
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
I ceci
I ceci li avevamo condivisi
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
mercoledì, novembre 07, 2012
Rimbalzavano le perle
Rimbalzavano le perle sul mogano
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Nudi miei cani
Nudi miei cani, piú nudo ancora
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
lunedì, novembre 05, 2012
Discorso sopra lo stato ...
In queste righe di Leopardi basta soltanto sostituire "conversazioni" con "web o rete" per avere una perfetta descrizione del perché è perfettamente impossisbile commentare su blog, facebook e riviste online senza essere massacrato di insulti e "railleries".
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
mercoledì, ottobre 31, 2012
Enantiodromia
La nada es menos que el frío
la nada o menos que nada
es como si Dios riera al ver
fracasar el poemma
Leopoldo Maria Panero
Macbeth
Il sonno mi tortura
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Il problema azzurro
Mi hai messo in un problema azzurro
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Pioggia
La pioggia mi aveva lasciato
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Leopoldo Maria Panero
Como la vida del verso es una partida
de ajedrez con el horror
y el poema es peor que la muerte.
Da: Teoria del miedo
martedì, ottobre 30, 2012
Il vento tra gli olivi
Il vento tra gli olivi
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
lunedì, ottobre 29, 2012
martedì, ottobre 23, 2012
De senectute
V'è in me un'immagine della vecchiaia che ha a che vedere, con i lupi, l'inverno, Parigi e la neve. Insomna con Villon.
La presa di coscienza, "l'Insight" della vecchiaia è in me associata da tanto tempo con la miniatura immaginaria di un inverno medioevale, con un interno povero, scomodo, sporco ma abbastanza scaldato da un allegro braciere da rendere piacevole il contrasto con la notte fredda e fiera che morde la città.
Invecchiare è questione di un istante. Tutto comincia e finisce in un istante e in quell'attimo la vita prende ad allontantarsi nel passato.
Il passato diventa allora qualche cosa che ha molto piú a che fare con la geografia che con la cronologia. Una delle possibilitá che offre la vecchiaia è quella di cartografare la vita.
Si tratta di osservare la vita come una mappa, o come chi scruta un vasto paesaggio di pianura e basse colline da una montagna, o da una mongolfiera.
Ecco la landa allontanarsi vertiginosamente verso il basso e ampiarsi l'orizzonte fino a che i particolari: quel fienile, il cortile di quella scuola, il lupo che fiuta la traccia, la fuga zigzagante della lepre sull'ultima neve di primavera, finiscono per confondersi in verde e luce.
Ma torniamo a Villon. La vecchiaia ha bisogno di un fuoco, un bracere, un camino, una stufa insomma.
Ne ha bisogno per difendersi dal suo proprio inverno, cioè, in ultima istanza, per difendersi da se stessa, perché la vecchiaia è inverno.
Essa è peró anche rifugio.La vecchiaia a essa stessa a se stessa rifugio.Il calore accumulato in tutta una vita vissuta in modo appena dignitoso è sufficiente a conseguire un tepore e una protezione ragionevolmente confortevoli quando la fuori sibila l'inverno dell'annientamento. L'equilibrio che rende preziosa la vecchiaia è solo questo.
La mia povera vita non mi ha permesso di accumulare grandi ricchezze spirituali, no ne sono stato capace, non ho saputo rendermene degno. Quel poco che ho savato da tante procelle di cui fui naufrago basta comunque a scaldarmi. In questo tepore mi acccoccolo con gusto.
La vecchiaia non si sporge sulla morte, non ha finestro che diano immediatamente sul cortile del cimitero.
La vecchiaia è vecchiaia, la morte è morte.
In una prospettiva politica la vecchiaia ci permette di non essere giovani senza destare sospetti polizieschi. Ci libera dalla gioventú coatta che è la sola condizione permessa ai sudditi del capitale. Da questo incubo, infine, ci è consentito svegliarci. Non è detto che ci si riesca. Il successo resta dubbio, la tentazione è, tuttavia, luminosa. Occorre che invecchiando si resti prigionieri della gioventú coatta, si è allora il "ritratton di Dorian Grey di se stessi". Il Capitale è il pittore. Anzi questo orrore è la condizione comune dei sudditi del Capitale. Io sono ben deciso a invecchiare come un vecchio. Ho impiegato tutta la gioventú per premararmi a questa sfida. Sono deciso a espiare il peccato di gioventú: essere stato per tutta la giovinezza imperdonabilmente giovane.
genseki
lunedì, ottobre 22, 2012
Deleuze
“poiché
la razza votata all'arte o alla filosofia non è quella che si pretende
pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade,
irrimediabilmente minore..."
Deleuze – Guattari.
venerdì, ottobre 19, 2012
Alberi
Questa è una poesia di Bolls Corracha caratteristica del periodo del suo lungo soggioro a Jeve e dell'amicizia povera e spoglia con Jules Lapache.
genseki
Questa poesia è dedicata agli alberi
Nella stagione in cui sono più tristi
La scrivo infatti il 31 Dicembre,
di notte prima che finisca l’anno
Privi di foglie lavati dalla pioggia
Avvolti nella nebbia
Intirizziti
Ora paiono antenne di metallo
Lance d’acciaio dai riflessi grigi
Che attendono tremando irrigiditi
Il bacio lieve, bianco della neve
Che li rivesta come morte spose
Del suo lino di gelo
Che simuli sui rami fantasmatici
La gioia spenta della fioritura.
Ché non c’è inverno
Privo di ricordi
Anche se non ululano più i lupi
Tra le file di tronchi fitte e scure
E non c’è morte senza che si disfi
L’ombra della speranza delle fronde.
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
Quando le chiome sono solo d’ombra
Anche gli abeti sono fiamme nere
Profonde come il vento della notte.
Ritorneranno i boccioli arancione
E gialli per l’ardore d’esser verdi ?
Ora che il sogno dolce delle foglie
E’ un tappeto di linee che cancella
la pioggia grigia col fango vischioso ?
Foglie peltate, rotonde, reniformi
Digitate lobate bipennate
Forme di cuori d’asce di coltelli
di corna e zampe vive verdi orme
tenere carte tarocchi della vita
Ritorneranno a incarnare la luce
nella forma più verde del suo gioco
Nelle chiome che fremono di suoni
Chiome piramidali o arrotondate
Ombrelliformi oppure colonnari
Chiome candele di resina e di linfa
Chiome di latte e sperma vegetale ?
Ora le chiome sono solo un sogno
Ora la vita è nuda e trasparente
Raggi di vento ed aghi di cristallo
La trafiggono come fosse assente
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
nella stagione in cui sono più tristi
Il 31 Dicembre: Capodanno.
Bolls Corracha
a cura di genseki
Jean Grosjean
Al bordo del sentiero
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Barbara
Barbara è ancora una delle poesie giovanili di Bolls Corrachia ritrovata e pubblicata dal caro genseki.
Barbara
La notte scorsa
era una notte di nebbia
viscida e calda come la febbre
ha sognato
Barbara
si
proprio
Barbarà
quella di Prévert
bagnata e radiosa
come lo è da 50 anni
come lo sarà
ancora
per moltissimi altri
forse
per sempre
se questa locuzione ha un senso
per i mortali
l’ho sognata
sullo sfondo nuvoloso
del cielo di Brest
tra nuvole marce
dall’odore di nafta
e di acqua di mare
e la colonna sonora
era un rombo di archi
come nelle canzoni di Ferré
nel sogno
lei mi ha parlato
con una voce calda
e roca
come quella di Billie Holliday
non ricordo bene
quello che mi ha detto
le parole dei sogni
si dissolvono
al risveglio
come un volo di piccioni
grassi e sporchi
intorno
ai campanili grigi
di qualche cattedrale
posso quindi solo cercare
di ricostruire il senso delle sue parole
con la logica della veglia
“ Da 50 anni
ormai io corro
fradicia e radiosa
incontro all’amore che perderò
da 50 lo abbraccio
nella pioggia
da 50 anni ripeto questa scena
ininterrottamente
in bianco e nero
per il pubblico distratto degli studenti di francese
che sognano
l’uccello lira
e per gli innamorati che amano le fotografie di Doisneau
si Prévert
mi ha rovinato
nessun altro poeta dopo di lui
ha più voluto
scritturami
per altri
quelli che avevo sempre sognato
per cui mi sentivo ormai matura
ruoli drammatici
o ermetici
avrei voluto percorrere le strade
dell’America
in gins
e maglione di lana
con un vecchio zaino militare
affacciarmi morta
a una finestra neogotica
di Fiesole
oppure passeggiare tra i laghi di Carinzia
scendere con Annina
le scale di Livorno
con una catenina
dorata tra i denti
nelle mattine di mare
che sanno di latte
e di azzurro
approdare bruciata dal sole
bionda
sulle spiagge di isole vespertine
tra il brusio
ininterrotto dei pappagalli
vestita come una zingara hollywoodiana
invece
da 50 anni
posso solo
correre
sotto la pioggia
di Brest
che mi unge i capelli
e mi macchia il vestito
di cotonina a fiori
sullo sfondo
di nuvole marce
di soldati
morti
macerie
e trincee
rigorosamente in bianco e nero
e per di più
senza audio
e questa pioggia
mi ha guastato la salute
mi è entrata fino nelle ossa
mi ha tolto l’appetito
e il sorriso
e non ho mai potuto ascoltare
una canzone di Neil Young
anzi mi sono persa
anche
tutta la scena psichedelica
dove
avrei potuto svolgere
un ruolo di primo piano
e il cinema a colori
e le foto di Mapplethorpe
e i riccioli di Malcom Mcclaren
per correre sotto la pioggia
davanti a un pubblico
sempre più ristretto
di studenti di francese
e di liceali innamorati
i cui padri ascoltavano De André “
questo mi ha detto
- credo -
Barbarà
in un attimo di sosta
con una smorfia stanca sul volto ingenuo
prima di ricominciare
a correre
in bianco e nero
fradicia e radiosa
sotto la pioggia grigia
sotto le nuvole marce
di Brest
e
io
non ho saputo dirle
che l’ho
amata
e che l’amo sempre
e che tutte le sere
di pioggia
cerco il suo volto
tra quello di tutte le ragazze dai capelli fradici
che corrono sotto la pioggia unta
cercando invano
di ripararsi con la borsetta
dal tempo che le fisserà
per sempre
nel lampo mortuario
di una posa perfetta.
martedì, ottobre 16, 2012
lunedì, ottobre 15, 2012
Il mercatino dell'antiquariato
Continua la pubblicazione a cura di genseki delle poesie giovanili di Bools Corracha.
Bolls Corracha
Il mercatino dell’antiquariato
Quando viene l’autunno
spuntano dovunque
i mercatini dell’antiquariato
probabilmente ce ne sono anche in piena estate
e forse in primavera
ma il maggior numero di essi
si svolge
indubbiamente
all’inizio dell’autunno
oppure
alla fine dell’estate
cioè a settembre
l’autunno è essenziale all’antiquariato
nella sua forma di mercato all’aperto
perché
la luce calda e cristallina dell’autunno
e il riverbero delle foglie
che cominciano
a tingersi di rosso e d’oro
sono necessari per dare
alle madie
e alle specchiere
all’ottone
e alle rilegature dei libri
la patina di colore
malinconico che contraddistingue
nell’immaginario telecollettivo
ciò che è antico
come un mulino bianco
o la pasta di giovannirana
e l’autunno
è l’unico elemento
che possa legare insieme
la congerie di oggetti
estremamente incongrui
che si trovano
in un mercatino dell’antiquariato
fumetti americani della settimana scorsa
pappagalli centenari
con un’ala bruciata
e la voce arrochita
sigariavana sbocconcellati
denti d’oro cariati
divise risorgimentali
spartiti musicali
gialli e ocra
fotografie di ritapavone
bidè di stagno
bastoni da passeggio olandesi
mozziconi di sigarette
mollette di plastica
busti romani di plastica verde
specchi opacizzati
bottiglie di cocacola
telefoni verde pisello
o giallo canarino
carte stradali del Touring
con macchie di caffè ocracee e anche grigiastre intorno alle città
con più di 100.000 ab.
francobolli
del belis
letti di ottone malese
forchette di cellulosa
coltelli di porcellana
volpi canore che hanno perso la coda
bicchieri irregolari macchiati
indelebilmente di vini densi
pelli di gatto scabbioso
ermellini napoleonici
proclami savoiardi
biscotti al rosolio
ghiande saturnine
cartoline in biancoenero
con saluti rispettosi svolazzanti
di giovani impiegati di belle speranze
in riviera
a timide sartine del Canavese
e
poi
madie
madie
madie
madie
e
madie
la madia
è l’epitome
del mercatino dell’antiquariato
in essa convergono
tutti gli oggetti che lo costituiscono
e che noi guardiamo
mentre i nostri occhi divengono
grigi
e le nostre camicie vietnamite o taiwanesi
si trasformano in polverose redingotes
e noi ci sentiamo come chi è appena sceso da un calesse
mentre una foglia
rossa
che si è staccata da un platano o da una vite
plana sulle nostre teste
dove
è appena spuntata una bombetta magrittiana
e si posa
leggera
ai piedi di un grosso cane di ceramica arancione
nell’aria cristallina di settembre
Bolls Corracha
Troppo tardi
Forse ormai troppo tardi
Abbiamo raccolto i nostri stracci
Preso congedo dalla scogliera
Dalla finestra che si apriva
Sui rami del tiglio
Dalle sedie arancioni della terrazza.
I tuoi vestiti
- anche quello verde -
Non avevano smesso di sanguinare
Da quel giorno,
Da quando la pioggia cominció a cadere
Proprio sulla lattuga
E non cessó nemmeno
Quando gli ultimi cervi abbandonarono
Il parcheggio tra le raffiche arancioni
Dei lampioni
E non cessa nemmeno adesso
E piove
Sul sofá di pelle
Sulla credenza abbandonata tra le felci
Sulla spuma delle sottovesti
Dei reggiseni, delle mutandine.
Forse davvero troppo tardi
Ho raccolto i miei stracci
Ho fatto l'appello delle mie ossa
Ho pianto anch'io
Sulla polvere
Sulle piante grasse
E ce siamo andati
Passando per la breccia della porta
Oltre il guado
Verso gli ultimi campi di colza.
genseki
Abbiamo raccolto i nostri stracci
Preso congedo dalla scogliera
Dalla finestra che si apriva
Sui rami del tiglio
Dalle sedie arancioni della terrazza.
I tuoi vestiti
- anche quello verde -
Non avevano smesso di sanguinare
Da quel giorno,
Da quando la pioggia cominció a cadere
Proprio sulla lattuga
E non cessó nemmeno
Quando gli ultimi cervi abbandonarono
Il parcheggio tra le raffiche arancioni
Dei lampioni
E non cessa nemmeno adesso
E piove
Sul sofá di pelle
Sulla credenza abbandonata tra le felci
Sulla spuma delle sottovesti
Dei reggiseni, delle mutandine.
Forse davvero troppo tardi
Ho raccolto i miei stracci
Ho fatto l'appello delle mie ossa
Ho pianto anch'io
Sulla polvere
Sulle piante grasse
E ce siamo andati
Passando per la breccia della porta
Oltre il guado
Verso gli ultimi campi di colza.
genseki
domenica, ottobre 14, 2012
La poesia
La poesia è una visione del mondo che si ottiene con uno sforzo, a volte fino allo sfinimento, della volontá tesa come un arco. La poesia è della volontà. Non è debolezza e non entra in modo libero e gratuito attraverso sensi; non si confonde con la sensualitá, anzi, opponendosi ad essa...
Genet
Trad. genseki
Genet
Trad. genseki
La dea degli stracci
Incerti miti, gli ultimi scarti
Di scisti gloriose
Rocciosi tramonti, s'innesta
L'acero alla falesia
Nella speranza della frana
Nella notte dei gelsomini
Sacri alla dea degli stracci
Inutilmente gridano le fauci
La paura dell'ultimo animale.
genseki
Di scisti gloriose
Rocciosi tramonti, s'innesta
L'acero alla falesia
Nella speranza della frana
Nella notte dei gelsomini
Sacri alla dea degli stracci
Inutilmente gridano le fauci
La paura dell'ultimo animale.
genseki
venerdì, ottobre 12, 2012
Genet
Dio che creó dal nulla il cielo e la terra fece anche un altro miracolo, offrí un dono a Santa Elisabetta di Ungheria, la quale a causa della sua condizione di Regina era circondata dal lusso della corte.
Le offrí un regalo fatto apposta per lei, alla sua altezza, tagliato su misura: una cella monastica, invisibile, invisibile a suo marito, ai cortigiani, ai ministri alle dame di compagnia, una cella che, in ultima istanza, era personale e segreta, che si muoveva seguendo i movimenti della Santa Regina. I suoi muri esterni erano visibili solo per quattro occhi, quelli della Regina e quelli di Dio. Tutti e quattro costituivano un solo occhio...
GenetTrad. genseki
Invisibili
Invisibili ai nostri occhi
Gli uccelli dell'autunno
Era un esplodere lascivo
Di mandorle, sudavamo latte
Unghia dopo unghia
Merlo dopo merlo
Ua farfalla scagliata dalla frombola del sole
Ti aveva sfiorato una tempia.
genseki
Gli uccelli dell'autunno
Era un esplodere lascivo
Di mandorle, sudavamo latte
Unghia dopo unghia
Merlo dopo merlo
Ua farfalla scagliata dalla frombola del sole
Ti aveva sfiorato una tempia.
genseki
giovedì, ottobre 11, 2012
Veniva prima
Veniva prima d qualunque ricordo
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.
genseki
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.
genseki
mercoledì, ottobre 10, 2012
Blues castigliano
Da ventanni
Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.
Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.
Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi
Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.
Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.
Entravo al lavoro
La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio
Per ventanni
Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.
Terra instancabile
Firma
La pace che sai
Darci
La nostra esistenza
la nostra.
Antonio Gamoneda
trad genseki
Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.
Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.
Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi
Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.
Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.
Entravo al lavoro
La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio
Per ventanni
Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.
Terra instancabile
Firma
La pace che sai
Darci
La nostra esistenza
la nostra.
Antonio Gamoneda
trad genseki
mercoledì, agosto 29, 2012
Jean Genet
Qualcuno dei miei libri sarà mai altro che un pretesto per mostrare un soldato vestito di azzurro, un angelo e un negro che giocano fraternamente a dadi in una prigione chiara o cupa?
Gamoneda
Ringrazio la povertà per non maledirmi e per concedermi gli anelli che mi distinguona da quando ero puro e legislavo nella negazione.
Trad genseki
Trad genseki
Ecco finiva qui
Ecco, finiva qui,
Il tempo dei viaggi
Ora il tepo era quello delle alghe
Dei vascelli di campane
Sparsi per i prati
Era il tempo di dormire
Sotto i baldacchini di ossa
Di esercitare gli occhi al volo
All'ascesa,
Alla fiamma
Era il tempo immoto della nebbia
Delle greggi sudice
Sulle autostrade
Il tempo delle capanne
Del fuoco
Dell'asse di frassino
Dove pascere le parole
Pascere il senso,
Pascere le sillabe,
Ecco! Finiva qui.
genseki
Il tempo dei viaggi
Ora il tepo era quello delle alghe
Dei vascelli di campane
Sparsi per i prati
Era il tempo di dormire
Sotto i baldacchini di ossa
Di esercitare gli occhi al volo
All'ascesa,
Alla fiamma
Era il tempo immoto della nebbia
Delle greggi sudice
Sulle autostrade
Il tempo delle capanne
Del fuoco
Dell'asse di frassino
Dove pascere le parole
Pascere il senso,
Pascere le sillabe,
Ecco! Finiva qui.
genseki
lunedì, luglio 30, 2012
Merleau-Ponty
"Le
corps propre (existentiel) est dans le monde comme le cœur dans
l'organisme: il maintient continuellement en vie le spectacle visible,
il l'anime et le nourrit intérieurement, il forme avec lui un système."
Dietro la notte
Dietro la notte, qualcuno,
Fiutava il paesaggio,
Fiutava il mare, il carillon delle sue ossa,
Il petulante pigolío dei papaveri costieri,
Fiutava le ali che dispiegavano le tenebre
Sulla terrazza dei fiumi.
Qualcuno fiutava, dietro la notte
Con froge favolose, metalliche
Con corrosivi scoppi di tosse;
Colte di sorpresa
Le ortiche si coloravano di viola
E tu scendevi di scoglio in scoglio
Verso il battesimo delle mie mani
Verso quell'altro canto,
Verso la pergola, il chiostro
Le code di milioni di volpi
Erano incendi nella brughiera
Il suo respiro affannoso
Scuoteva la notte come un lenzuolo teso
E io pensavo che la paura
L'avevo deposta sul prato,
L'avevo dimenticata tra gli anemoni,
Dietro il bosso
Tra le ortensie
E che quella che fiutava era lei,
La paura
Dall'altra sponda della notte
I nudi limiti di me stesso.
genseki
Fiutava il paesaggio,
Fiutava il mare, il carillon delle sue ossa,
Il petulante pigolío dei papaveri costieri,
Fiutava le ali che dispiegavano le tenebre
Sulla terrazza dei fiumi.
Qualcuno fiutava, dietro la notte
Con froge favolose, metalliche
Con corrosivi scoppi di tosse;
Colte di sorpresa
Le ortiche si coloravano di viola
E tu scendevi di scoglio in scoglio
Verso il battesimo delle mie mani
Verso quell'altro canto,
Verso la pergola, il chiostro
Le code di milioni di volpi
Erano incendi nella brughiera
Il suo respiro affannoso
Scuoteva la notte come un lenzuolo teso
E io pensavo che la paura
L'avevo deposta sul prato,
L'avevo dimenticata tra gli anemoni,
Dietro il bosso
Tra le ortensie
E che quella che fiutava era lei,
La paura
Dall'altra sponda della notte
I nudi limiti di me stesso.
genseki
Anche le nostre parole
Anche le nostre parole
Finalmente
Erano liquide
Come liquido mondo
Ci scorreva
Tra la vita
Verso i rami dei venti
La fioritura delle nuvole.
Poi furono i laghi
Che esplosero
Tra versanti di muschio
Fino all'orizzonte:
Come nere pupille
La processione dei rospi
Scuoteva l'abetaia
Produceva frane
Fratture
Smottamenti
Fino alla scuola
Al fondo della campagna, al patio,
Nulla piú sarebbe stato colto
Fermato, descritto
Nulla piú detto
Sotto questa luce densa
Come l'olio
Questo splendore viscoso
La pellicola di verde
Dell'istante.
*
Trapassare
Passammo
Con la sola forza dell'estate
Giá svaniti
I polpastrelli
Nell'abbraccio degli occhi
Nella carezza degli sguardi.
*
I nuclei sferici del vino
Come proiettili
Crivellavano le fronde del sicomoro
Per un attimo fummo Abramo
Poi il fumo verde
Raschió via la vista
Ceneri seccche
Tannino sugli zigomi
Agli angoli degli occhi.
*
Era un grande coniglio cornuto
Quello che stringeva la luna
Tra le ciglia
E noi eravamo questo e quello
Prima e dopo
Spenti, noi,
Nell'accensione del divenire
genseki
Finalmente
Erano liquide
Come liquido mondo
Ci scorreva
Tra la vita
Verso i rami dei venti
La fioritura delle nuvole.
Poi furono i laghi
Che esplosero
Tra versanti di muschio
Fino all'orizzonte:
Come nere pupille
La processione dei rospi
Scuoteva l'abetaia
Produceva frane
Fratture
Smottamenti
Fino alla scuola
Al fondo della campagna, al patio,
Nulla piú sarebbe stato colto
Fermato, descritto
Nulla piú detto
Sotto questa luce densa
Come l'olio
Questo splendore viscoso
La pellicola di verde
Dell'istante.
*
Trapassare
Passammo
Con la sola forza dell'estate
Giá svaniti
I polpastrelli
Nell'abbraccio degli occhi
Nella carezza degli sguardi.
*
I nuclei sferici del vino
Come proiettili
Crivellavano le fronde del sicomoro
Per un attimo fummo Abramo
Poi il fumo verde
Raschió via la vista
Ceneri seccche
Tannino sugli zigomi
Agli angoli degli occhi.
*
Era un grande coniglio cornuto
Quello che stringeva la luna
Tra le ciglia
E noi eravamo questo e quello
Prima e dopo
Spenti, noi,
Nell'accensione del divenire
genseki
Entra
Entra nella sventura
D'una foglia
Fin che la notte sia solo disfatta
Sintesi
Di silenzio e clorofilla
E nel centro
Del dentro
Il tuo morire
genseki
D'una foglia
Fin che la notte sia solo disfatta
Sintesi
Di silenzio e clorofilla
E nel centro
Del dentro
Il tuo morire
genseki
lunedì, giugno 11, 2012
Ray Bradbury
Io muoio cosí muore il mondo
Povero mondo, che non conosce la sua rovina, il giorno in cui io muoio.
Duecento milioni di ore dura la mia ultima ora,
Porto con me nella tomba tutto il continente.
Sono i piú coraggiosi, tutti innocenti e non sanno
Che se io affondo, loro saranno i prossimi.
Cosí nell'ora della morte festeggiano i Bei Tempi
Mentre io, matto egoista, gli preparo un pessimo Anno Nuovo.
I paesi oltre il mio paese sono ampi e brillanti,
Ma io, con mano sicura, spengo la loro luce
Spengo l'Alaska, nego la Francia del Re Sole, taglio la gola alla Britannia,
Con un battito di ciglia faccio sparire la vecchia Madre Russia,
Spingo la Cina giú dalla scogliera,
Faccio cadere giú l'Australia e metto la lapide,
Do un calcio al Giappone mentre cammino. E la Grecia? Vola via alla svelta.
La faró cadere e volare come il verde Eire,
Torta nel mio sogno sudato, la Spagna si dispera,
Sparo ai figli morti di Goya, torturo i figli della Svezia,
Spacco fiori, fattorie e paesi coi fucili del tramonto.
Quando il mio cuore si ferma sprofonda nel sonno il grande Ra,
Seppelisco tutte le stelle nel Profondo Cosmo.
Allora, ascolta mondo, sii avvisato, conosci il puro terrore.
Quando io mi ammalo, quel giorno il tuo sangue è morto.
Comportati bene, rimarró e ti lascio vivere.
Comportati male, riprenderó quel che ti dono adesso.
Questa è la fine e tutto. Le tue bandiere sono ripiegate.
Se io sono colpito e cado? Allora finisce il tuo mondo.
Ray Bradbury
Trad Paolo Nori e Salim Catrina
Povero mondo, che non conosce la sua rovina, il giorno in cui io muoio.
Duecento milioni di ore dura la mia ultima ora,
Porto con me nella tomba tutto il continente.
Sono i piú coraggiosi, tutti innocenti e non sanno
Che se io affondo, loro saranno i prossimi.
Cosí nell'ora della morte festeggiano i Bei Tempi
Mentre io, matto egoista, gli preparo un pessimo Anno Nuovo.
I paesi oltre il mio paese sono ampi e brillanti,
Ma io, con mano sicura, spengo la loro luce
Spengo l'Alaska, nego la Francia del Re Sole, taglio la gola alla Britannia,
Con un battito di ciglia faccio sparire la vecchia Madre Russia,
Spingo la Cina giú dalla scogliera,
Faccio cadere giú l'Australia e metto la lapide,
Do un calcio al Giappone mentre cammino. E la Grecia? Vola via alla svelta.
La faró cadere e volare come il verde Eire,
Torta nel mio sogno sudato, la Spagna si dispera,
Sparo ai figli morti di Goya, torturo i figli della Svezia,
Spacco fiori, fattorie e paesi coi fucili del tramonto.
Quando il mio cuore si ferma sprofonda nel sonno il grande Ra,
Seppelisco tutte le stelle nel Profondo Cosmo.
Allora, ascolta mondo, sii avvisato, conosci il puro terrore.
Quando io mi ammalo, quel giorno il tuo sangue è morto.
Comportati bene, rimarró e ti lascio vivere.
Comportati male, riprenderó quel che ti dono adesso.
Questa è la fine e tutto. Le tue bandiere sono ripiegate.
Se io sono colpito e cado? Allora finisce il tuo mondo.
Ray Bradbury
Trad Paolo Nori e Salim Catrina
martedì, maggio 15, 2012
Bools Corracha
La poesia che segue è uno dei pochi testi che ci ha lasciato Bools Corracha proprio nei primi mesi autunnali successivi al suo arrivo a Jeve. In quel periodo il giovane ma provato Bools Corracha era fortemente influenzato dalla posia di Ferlingheti adepto di un tardo, patetico e anche un po ridicolo "hyppismo" (Spero che questa parola esista ed abbia un senso). I testi che pubblicherò in questo blog, quando ne avrò il tempo, li devo alla cortese liberalità di Tristan Lermita che di Bools Corracha fu sodale e che fu testimone della tragica scomparsa del nostro Dreiser Cazzaniga,
La terra
Da qualche parte Debord
afferma che lo sviluppo della tecnologia
introdurrà inevitabilmente,
dopo l’automobile come mezzo di trasporto
per le masse,
l’elicottero
o qualche analogo veivolo,
questa previsione,
puntualmente,
non si è verificata,
ed è un grande scorno per l’inventore della psicostoriografia
il non aver capito che proprio sulla base degli assiomi di questa
scienza
era evidente che essa non avrebbe potuto realizzarsi.
Se potessimo vedere il mondo dall’alto
tutte le mattine
quando andiamo al lavoro
tra la nebbia leggera
come il respiro delle
foglie
dorate dall’autunno incipiente
dall’autunno che annuncia
il trionfo
della sua trasparenza funerea
se l’angolo della vostra visuale potesse restringersi
dirigendosi in precipite
picchiata
verso il serpente grigio e argento del fiume
che striscia tra le foglie leggere
bianche
nitide dei
pioppi
variando di diversi gradi il piano
sui cui
scorre parallelo
come
in un quadro
cubo futurista
per poi innalzarsi
di colpo
verso il cielo
viola e argento
come la nota cristallina
di un violoncello di betulla
in modo tale che la nostra bocca
socchiusa potesse bere
i primi raggi candidi dell’alba
che sono frizzanti
e lattei
come le piume di un angelo
addormentato dopo l’amore
con una tenera angela pallida
incontrata a una curva del tramonto
allora
il nostro IO
IO
che è un meschino aggregato di dolorose abitudini
di costrizioni
e cogenze appuntite come aculei
rivolti verso il dentro
si dissolverebbe
in polvere di luce
e noi saremmo
piume
schiuma di luce
lievi balzi di azzurro
e vapore
appena percepibili
nell’abbraccio verde
e ocra della terra
nel suo caldo respiro bianco.
Per questo
è necessario
per la produttività
e il profitto
e forse anche per la professionalità che il nostro sguardo
abbia una sola prospettive
lineare
che la nostra vita sia un percorso
rettilineo su un unico piano
che il nostro corpo si
muova esclusivamente
sul nastro grigio viscido e sporco
delle strade
e non possa percepire null’altro che la superficie
dei centri commerciali
e delle zone industriali
e le cancellate delle villette
con il loro giardinetti
dove spunta un’araucaria
perfettamente stupida
nella sua minacciosa ottusità
e i cani dal pelo lucido
che latrano
l’aggressiva ignoranza dei loro padroni
pieni di odio
e di paura inespressa.
Il percorso lineare
educa la mente alla monodimensionalità
l’anima all’obbedienza,
il corpo al dolore
Il percorso lineare
educa l’uomo al lavoro
la strada è l’ipnosi dello sfruttamento.
Per queste ragioni
eminentemente
psicogeografiche
Debord
sbagliava
e non ci sarà mai
l’elicottero
utilitario
e le strade feriranno sempre
i boschi
e lungo le strade
sorgeranno sempre i capannoni vuoti
con gli spiazzi pieni di lamiere e laterizi e spazzatura e mucchi di
terra
su quali spuntano rovi stenti
e ortiche pallide.
I capannoni sono vuoti perché la loro funzione non è produttiva ma
educativa
o socioipnotica
essi iterano sul nostro percorso lineare
la rappresentazione dell’inevitabile cogenza del lavoro salariato
in tutta la sua
disperata bruttezza.
Bools Corracha
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