giovedì, febbraio 24, 2011

Alla mamma

Novellamente foglie d'olivo

Altro vento si disfa anche più chiaro

Ancora appena appena più chiaro

In questo sospiro dorato, di tromba o zampogna

E tutte quelle pelli che pendono dai pali

Con macchie di sangue rappreso,

Pelli di coniglio, pelli di lepre, di fauno, di leprecauno

Pelli di lucciola e di bisonte, e pelli conciate

Con il minio, con la cenere

Con succo di felci, con calce, con caolino

Aspettando un vento che apra la porta

La porta del monte, quella dell'arcobaleno

In una pioggia fitta di aghi, in un mulinello di conifere

L'osteria dove ci eravamo fermati a bere

Sporgeva pericolosamente inclinata

Sul burrone accanto al cedro, sul lago

E non vi era maniera di fermare il tempo

Lanciato giù per i foschi tornanti

Anche se era evidente che ogni gesto

Era infinito immobile nel sempre;


Ora sei tu nella libertà cava della foresta

Nello spazio incalcolabile del nulla

Noi qui i prigionieri delle posate,

Della teiera, delle briciole sul capodimonte

Noi qui strettamente contenuti nei limiti opachi

Dell'essere

Della vita

Non possiamo più conoscerti

Non possiamo udire il graffiare delle tue unghi sottili

Sulla pellicola sferica dell'esistenza come cinque lune d'argento

Affilate

Come dieci lune pallide sottili svelate alla fine in un sibilo solo


Avresti voluto tu abbandonarti nel grembo fresco di Kannon

Udire con le sue mille e mille orecchie

La solitudine e il dolore del mondo

E mutarti, rivelata a te stessa compassione universale che non godesti


Il vento risveglia lo splendore dell'erba

mescola rosmarino e mimosa in un solo abbaglio

A una svolta si sciolgono i capelli

Come grandine battono sull'eternit le perle di Proserpina


Da un angolo hai visto il mondo

Dal tuo angolo senza pretendere più di uno sguardo

Dal mondo e sul mondo

Scontrosamente certa di non poter pretendere altro che quella insicurezza

Di bambina amara per sempre

In un bosco di mandorli su prati di prezzemolo, sfogliando la fredda

acidità

Del croco

Grano a grano, magra, tu ferita dalla nebbia


Lui averbbe dovuto essere li lei con il suo cappotto blu

Lui biondo e con la febbre, lei con le bende virginali

Ritta sulla luna, sul serpente con la tua valigia nella mano

Piena di foto, adesso, di cioccolato e di speranza.


Dove si erano smarriti?


Le dita delicate delle fave escono dalla terra

A liberare le anime dei morti recenti

de è tutta una festa di nebbia che tintinna, che trilla

Sbronza d'api come fibbie sul broccato delle crucifere


Avresti dovuto essere per un momento la mia bambina

Cercare la mia mano con gli occhi spalancati

Avrei asciugato le tue lacrime se cadendo ti ferivi le ginocchia.


Avrei asciugato le tue lacrime, sai?

Morendo mi sveli alla morte mi spalanchi la sua porta

C'è vento

I tuoi occhi non li riconosco

Sono di rame i tuoi occhi adesso


Il vecchio barbuto getta i remi sul fondo del suo palustre barcone

I fiori qui sono acidi come il gelo della primavera

La tua moneta la stringi contro il petto

Nelle manine la serri per non dargliela

Cerchi le tue lacrime che fuggono su su per le funi di pioggia come insetti opachi

Gli occhi del vento hanno pupille come ali di bronzo

Che si aprono e si serrano con fragore.


Adesso posso percorrere tutti i sentieri

Nella febbre incipiente del disgelo

Sono un seme, lo sai? piantato dalla tua morte.


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