lunedì, maggio 17, 2010

Onesimo Gianferrari

Disegno di tempi e modi verbali

Il disegno di tempi e di modi verbali inediti e inseribili in una lingua quasi inservibile ebbe un impulso decisivo dall'opera quarantennale di Onesimo Gianferrari, Il testo principale, che contiene le basi teoriche del disegno verbale di Gianferrari è l'ormai introvabile: “Ebberotti, ipotesi per la produzione e l'inserimento nell'uso del futuro nostalgico e di altri futuri modali”.
Come dichiarato fin dal titolo il disegno verbale che interessa l'autore è soprattutto quello delle modalitá del futuro, Per Gianferrari, ridisegnare l'espressione e la percezione del futuro significa, in qualche misura, collaborare al compito rivoluzionario di cambiare i rapporti sociali.
Tra le creazioni verbali piú interessanti di Gianferrari nel campo delle possibili espressioni e percezioni modali del futuro meritano un approfondimento il futuro esaudito e il futuro insperato.
Il futuro esaudito esprime un'azione futura che avviene come conseguenza di un forte desiderio che essa si compia. Una volta definito il campo semantico di un tempo e di un modo verbale Gianferrara fornisce gli elementari strumenti tecnici che permettano di generarlo nelle diverse lingue. Il processo di generazione è normalmente lungo e costoso per quanto riguarda le lingue naturali, piú semplice e piú efficace per quanto riguarda le lingue artificiali o conlang.
Il futuro insperato esprime un'azione futura che si compie nonostante le bassissime probablitá che il parlante è disposto a concedere all'effettivo verificarsi del suo compimento.
Questo futuro appartiene alla piú vasta famiglia dei “Futuri statistici” cui il Gianferrara progettava dedicare un trattato specifico che la morte inaspettata gli impedí di portare a termine.
Beninteso anche il “Futuro inaspettato” fu oggetto della fantasia e della caparbia capacitá tecnica di generazione di elementi coniugabile di cui disponeva il Gianferrari.
In un altro capitolo introdurró uno dei gioielli della creativitá gianferrariana: “il Futuro retroattivo”. Anticipo qui che per il Gianferrari il successo nell'introdurre questa modalitá del futuro nel linguaggio parlato avrebbe finito per riscattare tutto l'orrore e tutti gli orrori del passato, dalla tratta degli schiavi allo sterminio dei palestinesi di Gaza.
Visione grandiosa che testimonia della passione di Gienferrari per la giustizia e del suo animo compassionevole verso le vittime della brutalitá della storia.

A cura di genseki


giovedì, maggio 13, 2010

La biglia

"Come vorrei che fosse tutto cosí!" disse una volta un bambino e si riferiva a una biglia, che se ne era andata via rotolando ma che ora lo stava aspettando.

Ernst Bloch
Da: "Prinzip Hoffnung"
trad. genseki

Il capitano Garbace

Il melanconico capitano Garbace sempre in ritardo
Con il suo pastrano in esilio, con la sciagura delle bretelle
Sacro capitano Garbace come un vecchio ragazzo
Dritto come una pendola dritto con una bottiglia per ombelico
Da quanti mari era potuto sgusciare con le tasche piene di arazzi
Con i galeoni nelle sinapsi e i gamberi per orecchini
Il rum non lo ingannava mai, il capitano Garbace
E poi le serate con il pastore Thorvaldsen
Serate a strapiombo come scogli la lingerie delle prefiche
Come schiuma d'onda dritta sotto la linea di galleggiamento
Tutta la legna della soffitta si accoppiava allora con i suoi chiodi
E le bare appena tagliate sbadigliavano per la fame nel solaio
Dio volava come un pipistrello impazzito in quel solaio, lo giuro
Lo giuro su questo boccale con cui ruppi i denti alla nonna
Che testate contro le travi! Dio fuggiva con un grido radiologico
Che lasciava intravedere le parti dello scheletro delle demoiselles
Che era fatto di denti solo di denti, avevano lpo scheletro di denti
Perlavaccaputtana non di ossa, Che paura cagava dio pipistrello
E Garbace, Garbace sempre dritto che bottiglia il maledetto
Una lacrima tatuata sulla palpebra.

genseki

Gaetano Mezzasomá

"e lodola aita volava aita frigolete din cial zul zul frisio como laire"

Gaetano Mezzasomá
Da: Sciré

martedì, maggio 11, 2010

Septiembre Garruchal

Gaetano Mezzasomá

Gaetano Mezzasomà

Tra le straordinarie scoperte di chiavi linguistiche segrete cui Gaetano Mezzasomà dedicó la vita ho scovato questi antichi versi, un richiamo, uno scongiuro forse che sa ancora di bosco, di fornace, di strette di mano tra carbonai nel folto piú profondo del faggeto, con un pizzico di salcitá in sagace aggiunta:

Slarga, slarga la fonda grulla
Sborda carola la tofana bronda

Trascritto da G Mezzasomá
“Sciré” p 233

Venti

Ancora un altro vento, nuovo, soffiando
Refoli di rosmarino traeva dalla forgia delle pietre
Del granito, dai camminamenti ove inghiottito
Soffocava fino al suono, quello strozzato
Al gorgogliare stentato al sibilo che non era liberazione
Ancora un altro vento ci soffiava trasparenti
Precipitoso fino alle froge delle valli
Al caldo del fieno, fermentava in brividi, sbuffi
Sollevava manciate di mosche dalle buse di vacca
Tanfo di mosche leziose, brusio viola di mosche nerissime
Vento del passato riempiva la milza, tra calze sudate
Di lana grezza, stesa al sole su un filo rosso
Da acero a acero, da ontano al fiume argenteo
Ci riempiva altro vento che non potevamo contenere
Che ci irrompeva molto piú in lá del nostro corpo
Di quello immaginato, di quello fatto di polveri
Diamantine ci irrompeva, spandeva, diffondeva
Alito, dissoluzione anima colchico o in prati interi
Accarezzavamo velenosi poi vorticose precipitate corse
Sui ghiacciai che frammentavano il bianco in angoli
Impossibili da percepire in raggi spinosi intorno al capo
Reclinato di un antico sole crocifisso prima prima ancora
Ma no, non era il vento a rivelarsi, a rivelarci da dentro
A mutarci nella topografia nitida di noi stessi
Con l'alfabeto delle isobare e le curve di livello delle identitá possibili
O vento di nostalgia, mulinava foglie di platano
Su quella grigia pozza d'europa dove saltavano da soli
Stivali rossi staffile cunetta, o quanti odori
Prima di sparire nella non percezione, quanti odori, quanti!
O vento di Ezechiele, vento di Ezechiele il flautista
Ballano le nostre osse come foglie la danza del fracasso
Intorno allo scheletro del suono del tuo flauto
Tritate furono, fummo come grani di miglio
Come grani di miglio tra il trifoglio.

Genseki

giovedì, maggio 06, 2010

Stele da Xian

Steli

Victor Ségalen

Steli

L'abisso

Di fronte alla profonditá,
L'uomo, china la fronte, in raccoglimento.

Che vede in fondo al buco cavernoso? La notte
Sotto la terra, l'Impero dell'ombra.

*

Io, inchinato su di me contemplando il mio proprio
Abisso, - oh io – rabbrividisco,

Ecco, mi sento cadere, mi risveglio e voglio vedere
Soltanto la notte.

*

Nuvole

Sono i pensieri visibili dell'alto, del puro Signore, il Cielo.
Alcune sono compasionevoli, gonfie di pioggia,

Altre trascinano le loro preoccupazioni, il loro corruccio
Le cupe giustificazioni.

*

Che l'uomo che ha goduto della mia generositá
O colui che i miei colpi hanno piegato conosca

Memorie di Dreiser Cazzaniga

Il matrimonio di Lydia Rosino

Dreiser Cazzaniga si sposó diverse volte, alcune in pubblico altre in segreto, alcune tanto in segreto che non lo sapeva nemmeno la moglie, ma nella sua vita ci fu un solo vero matrimonio, cioè qualche cosa che riempiva la vita di forza, di rabbia e di schifo. Una trappola esistenziale apparentemente senza uscita: le sue nozze con Lydia Rosino. Lidya Rosino Dreiser Cazzaniga la conobbe nella cittá di Valva dove entrambi allora lavoravano come precettori interini. Ella in una poszione ancora piú servile della sua. La cittá di Valva adagiata in una conca collinare circondata da fecondi vigneti pareva viva quasi soltanto in autunno. Era una cittá immobile, racchiusa in un conservatorismo meschino e pretenzioso. Una cittá di provincia dal'aspetto medioevale, dalle vetrine incorniciate di legno, con le strade selciate e un perenne odore di funghi macerati e di nocciolato. Era la sede della famosa industria Herreros Und Sohn produttrice dell'agalma vacio, il preferito dai mocciosi di tutto il mondo. Gli abitanto di Valva passeggiavano per la cittá come se fossero sempre i protagonisti di una sfilata di moda esclusiva, i caballeros con le loro perfette canne di avorio, las dueñas y las ladyes avvolte nelle pieghe capricciose dei loro vestiti facevano oscillare gloriosamente i loro grandi cappelli dalle architetture elaborate come piccoli teatri ove si rappresentava ora un presepe, ora una scena di caccia, ora una di corteggiamento. Dreiser Cazzaniga soleva allora vestire una giaccona gialla piena di macchie, pantalonacci di fustagno, scarpe da tennis, portava lunghissimi capelli sempre un po' unti di treno e legati sulle spalle con una lunga treccia. I Valvesi lo disprezzavano con un brivino di orrore come se lo fiutassero senza vederlo. Dreiser Cazzaniga dormiva in una cameretta economica in una posada proprio di fronte agli stabilimenti Herrero und Sohn e bastava che aprisse la finestra per essere soffocato dall'odore del nocciolato agalma vacio e da quello dell'altro prodotto di questa manifattura la crema Cornella. La bella Lidya Rosino era una brunetta dalle forme graziose e dal colorito grigiastro, si vestiva sempre di blu e appunto di grigio con un cattivo gusto bizzarro e sottile. Il suo abbigliamento era concepito per passare inosservato ma nel suo sforzo di adeguarsi al piú assoluto conformismo perbenista vestimentario tutto era leggermente sfasato, appena appena fuori posto, le labbra coloratissime formavano un contrasto singolare con il volto pallidissimo. Soleva portare un impermeabile azzurro, un tailleur grigio, scarpe e calze blu e un fiocco blu su una camicia bianca. Quando incontrava Dreiser Cazzaniga lo salutava con un forzato sorriso stirato e se prendevano un caffé insieme lo intratteneva sulle difficoltá e gli stenti della sua vita di precettrice interina vagabonda, della sporcizia dei treni, delle sordide posade, del freddo e della nebbia, del mangiare ingiustizia e bere sopraffazione. Dreiser Cazzaniga usciva dal caffé profondamente intenerito e commosso da un vita tanto austera affrontata con tanto dolente coraggio. Lydia Rosino era allora fidanzata con un torturatore professionale della scuola di boia di Cairuan dove ella insegnava cultura generale dell'espiazione del reo, posto che aveva ottenuto promettendosi senza mai concedersi al generale che la dirigeva e che si accontentava di tanto in tanto di godere stritolandole i pollici sulla superficie della scrivania. Questo a Dreiser Cazzaniga faceva un po' schifo, egli vedeva, nelle rare occasioni in cui andava a Cairuan i giovani apprendisti torturatori alla fine delle lezioni sciamare per la cittá con le smorfie scimmiesche e azzannare le loro pizza quattro formaggi nei locali dal pesante odore di fritto. Poi si sarebbero ritirati a masturbarsi davanti agli spogliarelli del gruppo “Panto” trasmessi dalle televisioni locali apposta per loro e per i rari precettori interini vaganti maschi. Cosí stavano le cose quando cominció la commedia.
a cura di genseki

lunedì, maggio 03, 2010

Otoños 2007

Filosofia

Scienziato, artista, militante e amante, questi sono i ruoli che la filosofia esige dal suo soggetto. Queste sono quelle che ho chiamato le quattro condizioni della filosofia

Alain Badiou

venerdì, aprile 30, 2010

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Il desiderio di Dreiser Cazzaniga

"Il desiderio, ció che si chiama desiderio basta per fare si che la vita non abbia senso se produce un codardo".
Lacan


è alla luce di questa frase di Jacques Lacan, pescata letteralmente a caso nel mare dell'incomprensibilitá dei suoi scritti, che Dreiser Cazzaniga si accinse all'impresa di giustificara la propria vita, anche se essa era ancora un processo e non un cristallo. Per farlo si collocó al suo estremo, costruì un tempo preterito, o almeno cercó di costruirlo, totalmente alieno alla lingua impoverita e ipocrita in cui era stato gettato come scrivente. Un tempo preterito che isolasse il passato come, un arcipelago, di cui peró egli potesse variare in una certa misura le geografia. Ma solo un tempo verbale non bastava; dovette forzarne altri, forzare il lessico e deviare dalla morfologia. Dovette cioè rinchiudersi nella solitudine, negare la sua impresa come qualche cosa che fosse comunicabile, costruire una lingua impossibile dalle regole variabile e contradditorie come la geometria di Escher e poi dovette evocare il suo interprete, il suo giudice e curatore, genseki, il diamante dalle mille e mille sfacettature. Quando fu afferrato dal movimento di questa frase, Dreiser Cazzaniga non sapeva nulla di Lacan, a tratti detestava la psicanalisi, si entusiasmava per gli aspetti piú alchemici dell'opera di Jung, persino era giunto all'estremo di scegliere come guida al suo inferno infermo quotidiano un personaggio cosí assolutamente ripugnante come Simone Weil cui non si sarebbe mai abbastanza pentito di aver tributato un vero e proprio culto, celebrato attraverso la compilazione di stupidi quadernini la cui lettura egli soleva infiggere agli amici incolpevoli e soprattutto a Doña Tejada de las Silvas che non mostrava per essi nessun interesse. Eppure quella frase lo conteneva tutto intero nel fuoco della sua irradiazione spiraliforme.

a cura di genseki
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Il punto su questo blog

La veritá su questo blog è che sa morendo. Genseki scompare poco a poco, con i suoi tic, le sue rigide posture idiosincratiche, il suo io così animale, cosí animalescamente cavalleresco e “culto”, scompare vampirizzato da Dreiser Cazzaniga, Quel Dreiser Cazzaniga con cui ha condiviso un cosí largo cammino nel passato, con cui ha scoperto il passato, che lo ha spinto a cartografare il passato come una america recentemente scoperta, a redigerne l'inventario, ad essere il ramusio del proprio passato. I loro reciproci passati sono andati cosí poco a poco confluendo, confonedendosi, fondendosi. Il rischio, ancora evitabile? - è che finiscano per diventare un solo passato: un solo paese preterito percorso da due ricordi gemelli.
Dreiser Cazzaniga e genseki sono i due soli lettori di questo blog che sdegna di avere lettori, si leggono e si scrivono ormai l'un l'altro in una specie di folie è deux. Ma uno è giá morto, l'altro, forse, genseki, non ha mai davvero avuto una vita virtuale. La sola che avrebbe potuto avere. Ci ha provato a nascere. Ha sbagliato i tempi. Ha vissuto un tempo in cui è cosí difficile nascere!

genseki

Sete

Scavare la propria casa è scavare la propria morte
Scavarla con le unghie secche, con le nocche
Con le piaghe, con il ricordo di tutti quegli aghi
Come è arida la morte, con che sete muore l'animale
Con che nera sete anela alla cervogia nera
Alla tisana colore dell'ebano, a quella colore del rame
L'animale che ha sete nella morte, che ha sete che non disseta
Nessuna parola fuori del verbo, dalle sue sponde dalle sponde
Che l'onda del verbo elastica rinfresca, allora scava, scava
la tua casa nel cielo, scava tra le nubi
Scava la tua casa di nebbia in vari strati di azzurro
Scava nel duro cielo delle ascensioni la tua casa verticale
Fino a che le tue unghie le tue nocche nodose
Germoglino in virgulti di palma, in osanna scoscesi
Fragranti come uragani viola tra colonne vulcaniche
Di incensi dimenticati.

genseki

Georg Trakl


Georg Trakl

Georg Trakl

La poesia di Georg Trakl è costituita da una serie di variazioni su pochissimi temi. Un teatro chiuso in una stanza, che crea per un istante l'illusione dello spazio aperto e della natura, l'illusione del paesaggio. Non c'è natura nella poesia di Trakl, non vi è nessun paesaggio. La poesia di Trakl è una cerimonia privata, un rito conchiuso in un chiostro umido e scuro. Una processione di ricordi in un piccolissimo giardino abbandonato. Un giardino in cui non ci furono mai boccioli né cuccioli.

genseki