Furono le gocce d'aceto
A calmare il ronzio, a sedare
Il bruciore di tutti quei fiori
Che fiorivano di piaghe il petto il dorso
Le spalle il volto
A fior d'ascella appena rispondeva
Un'assenza di petali e cascate
Di riccioli biondi come anelli
Insanguinati
(La pioggia era un lontano ricordo)
A volte si ricordave persino del ricordo:
Quello dei rottweiler per esempio, del filo spinato
Del pane azzimo, la bellezza mattutina
Dei dirigibili, il panneggio delle orecchie
Sbrindellate degli elefanti
Stracci grigi dai riflessi opachi,
Poi era ricacciato nel presente dei chiodi
Della ruggine delle tenaglie
Del sudore verde
Degli occhi celesti nella loro cornice di sangue
Dei bubboni
Dell'ombra degli olmi
Come una pozza di frescura
Tra le vampate del frumento
L'aceto era il fiore
Sbocciato sulla cuspide della lingua
Le piaghe stelle al margine
Dei capezzoli, sulle scapole
Moriva per i corvi, per i rospi
Moriva
E il vento disperdeva sui campi di cotone
Le borse di plastica a milioni
Le lattine vuote, le bottiglie,
Moriva per i merli e per le chiocciole
Le tigri da tempo si erano estinte
La morte gli fioriva in petto
Nel sudore violaceo annegava
Nella rapida intermittenza dei ricordi di tutti.
genseki
martedì, maggio 24, 2011
venerdì, maggio 06, 2011
Monti lontani
Lontani, monti fraterni,
Il ricordo in frammenti ignora
Come volti, dita, coralli
Fiori d'avvento, articolazioni
Gattici di spavento
Nella primavera che odora
Di biancospino
Gli ultimi stracci del freddo
Si sfilacciano sul languore del rovo
Anche il ricordo è rosa
Come la pietra piú sorda.
genseki
Il ricordo in frammenti ignora
Come volti, dita, coralli
Fiori d'avvento, articolazioni
Gattici di spavento
Nella primavera che odora
Di biancospino
Gli ultimi stracci del freddo
Si sfilacciano sul languore del rovo
Anche il ricordo è rosa
Come la pietra piú sorda.
genseki
Nel raccolto dei suoni
Nel raccolto dei suoni, raro
Trasformava, la sua sistole
In qualche cosa di pú intimo
Un abbraccio forse, sale di datura,
Cristallo di un altro cielo
Di altre ore, screziato come il fiore
Della campana, il suo pistillo
Feroce,
Insidiava la volta, il croco, limitrofo
Alla paura.
Sarebbe toccato anche a lui:
Di non svegliarsi, di rabbrividire
Avvolto nel candore abbagliante
Di tutta quella vita che rintoccava
Di cristallo in cristallo fiammeggiando
Sull'impalcature cosmica
Come una cascata coagulata di beatitudine
Come il sale che ci rende immemori
La pellicola opaca delle parole
Che profumano di ali come il prezzemolo
E occultano la morte, la contraddicono
Fino all'ennesima nota oscura
Sul pentagramma dell'agonia.
genseki
Trasformava, la sua sistole
In qualche cosa di pú intimo
Un abbraccio forse, sale di datura,
Cristallo di un altro cielo
Di altre ore, screziato come il fiore
Della campana, il suo pistillo
Feroce,
Insidiava la volta, il croco, limitrofo
Alla paura.
Sarebbe toccato anche a lui:
Di non svegliarsi, di rabbrividire
Avvolto nel candore abbagliante
Di tutta quella vita che rintoccava
Di cristallo in cristallo fiammeggiando
Sull'impalcature cosmica
Come una cascata coagulata di beatitudine
Come il sale che ci rende immemori
La pellicola opaca delle parole
Che profumano di ali come il prezzemolo
E occultano la morte, la contraddicono
Fino all'ennesima nota oscura
Sul pentagramma dell'agonia.
genseki
giovedì, maggio 05, 2011
Coscienza, immediatezza, realtá
Nel testo seguente Kierkegaard commenta, nei panni di Johannes Climacus, le prime pagine della Fenomenologia Hegeliana. Il suo scopo è quello di porre il linguaggio, il Verbo, come motore della dialettica e della formazione della coscienza La coscienza è per kiergaard l'in sé per sé dell'immediatezza e dell'idealitá: sintesi, insomma. La sintesi che è data anche qui come relazione. Nella forma della particolare dialettica hegeliana la sintesi è relazione e la negazione presupposto. La negazione nega il suo oggetto presupponendolo, la mediazione presuppone l'immediatezza, il modo piú semplice di negarka. Se l'immediatezza è la realtá ecco che allora la mediazione deve situarsi su un altro piano. Questo piano è quello simbolico, che K, chiama idealitá. Il linguaggio è ció che rende possaibile la negazione. Il linguaggio é negazione. Ed è negazione nel momento in cui esprime quello che nega. L'immediato è quello che è atteso, sperato.
"La coscienza puó permanere nell'immediatezza? Ecco una domanda senza senso, perché se potesse, allora non vi sarebbe nessuna coscienza. Allora come è tolta l'immediatezza? Attraverso la mediazione che abolisce l'immediatezza presupponendola.Che cos'è allora l'immediatezza? La realtá. CHe cos'è la mediazione? La parola. In che modo questa abolisce quella? Esprimendola. Perché ciò che si esprime sempre è presupposto.
L'immediatezza è la realtá, il linguaggio l'idealitá; la coscienza è la contraddizione.Nel momento in cui si esprime la realtá si ha la contraddizione, perché ciò che dico è l'idealitá.
"La coscienza puó permanere nell'immediatezza? Ecco una domanda senza senso, perché se potesse, allora non vi sarebbe nessuna coscienza. Allora come è tolta l'immediatezza? Attraverso la mediazione che abolisce l'immediatezza presupponendola.Che cos'è allora l'immediatezza? La realtá. CHe cos'è la mediazione? La parola. In che modo questa abolisce quella? Esprimendola. Perché ciò che si esprime sempre è presupposto.
L'immediatezza è la realtá, il linguaggio l'idealitá; la coscienza è la contraddizione.Nel momento in cui si esprime la realtá si ha la contraddizione, perché ciò che dico è l'idealitá.
trad. genseki
Vallejo-Kandinsky
martedì, maggio 03, 2011
Abbandono
Venire a patti
Non ci restava ormai nessun'altra via d'uscita
Che non fosse quella di venire a patti con la morte
La nostra morte quella che ha sempre due facce
Perchè con noi muoiono gli altri e
E con gli altri moriamo anche noi
A questa morte non ci ribelliamo
Accettiamo di essere nella sua messe
Nel suo raccolto come frutta inutile
A questa morte infine ci abbandoniamo
Che ci tritura come strame fetido
In nulla secco e cenere per tutti i secoli
Nella morte fraterna ci abbandoniamo
Nelle sue braccia recliniamo l'orgoglio
L'io ritorna al suo nido all'albero nero
Di cui ogni foglia è specchio di silenzio.
genseki
Non ci restava ormai nessun'altra via d'uscita
Che non fosse quella di venire a patti con la morte
La nostra morte quella che ha sempre due facce
Perchè con noi muoiono gli altri e
E con gli altri moriamo anche noi
A questa morte non ci ribelliamo
Accettiamo di essere nella sua messe
Nel suo raccolto come frutta inutile
A questa morte infine ci abbandoniamo
Che ci tritura come strame fetido
In nulla secco e cenere per tutti i secoli
Nella morte fraterna ci abbandoniamo
Nelle sue braccia recliniamo l'orgoglio
L'io ritorna al suo nido all'albero nero
Di cui ogni foglia è specchio di silenzio.
genseki
Il dolore
Tuttavia c'è anche il dolore
Il dolore sarà richiamo costante
Alla bellezza di ogni istante
Al dolente solo bellezza è data
Senza consolazione alcuna
Egli l'accetta come pura fragrante
Perchè non vi è passato nell'abbandono
Chi dice si non conosce futuro
Bellezza solo nel dolore è dono
Quando l'anima non può essere
Rifrancata dall'arsura che la consuma.
genseki
Il dolore sarà richiamo costante
Alla bellezza di ogni istante
Al dolente solo bellezza è data
Senza consolazione alcuna
Egli l'accetta come pura fragrante
Perchè non vi è passato nell'abbandono
Chi dice si non conosce futuro
Bellezza solo nel dolore è dono
Quando l'anima non può essere
Rifrancata dall'arsura che la consuma.
genseki
Hegel sulla Religione e la Ragione
Vi son qui due forze antagoniste che combattono la filosofia. Anticamente era la religiosità che giudicava la ragione o il pensiero incapace di conoscere la verità . Spesso ha dichiarato che, per raggiungere la verità, è necessario rinunciare alla ragione, che la ragione deve umiliarsi davanti all'autorità della fede; la ragione abbandonata a s stessa, il pensiero per sé, conducono allo smarrimento, all'abisso del dubbio …
L'altro aspetto è che la ragione si è posta contro la fede, contro le rappresentazioni religiose, contro le dottrine rivelate, che cerca di rendere razionale il cristianesimo, e si èe posta tanto in alto, che solo la propria evidenza, la propria convinzione, dovrebbero essere gli strumenti attraverso i quali l'uomo sarebbe obbligato a riconoscere qualche cosa come vera. L'affermazione del diritto della ragione viene tanto prodigiosamente esagerato, al considerarlo un risultato finale, che la ragione non pào conoscere nulla che sia vero. Questa religione cominciò per questo a dirigere, in nome e per virtù della ragione pensante, la lotta contro la religione; ma prima si ribellò contro se stessa e divenne nemica della ragione affermando che solo il presentimento, il sentimento, la convinzione propria era la regola soggettiva che doveva essere valida per l'uomo. Tuttavia tale soggettività non presenta nulla di nuovo che non siano opinioni. Poi la cosiddetta ragione ha cambiato l'opinione in ciò che deve essere definitivo per l'uomo, e così, l'affermazione della religione, che la ragione non può giungere alla verità, è confermata; solo che lo è con l'affermazione che la verità non è raggiungibile in nessun modo.
Hegel
Introduzione alla storia della filosofia.
Trad. genseki
Il tuo bel volto
Heinrich Heine
Il tuo ben volto che mi fu si caro
Che giovinetto in sogno contemplavo
Si è fatto dolce come volto d'angelo
E il dolore lo rende tanto pallido.
Sulle tue labbra che furono vermiglie
Presto la morte poserà il suo bacio
E spegnerà lo splendore celeste
Che nei tuoi occhi teneri era acceso .
trad genseki
Il tuo ben volto che mi fu si caro
Che giovinetto in sogno contemplavo
Si è fatto dolce come volto d'angelo
E il dolore lo rende tanto pallido.
Sulle tue labbra che furono vermiglie
Presto la morte poserà il suo bacio
E spegnerà lo splendore celeste
Che nei tuoi occhi teneri era acceso .
trad genseki
Resurrezione
Fior di mandorlo latte appena
Gocciola la musica sottile della menta
E sono crepe quelle tra i serpenti
Signora Luna e la dama demente
Intrecciano una danza di dita
Di anelli, il quarzo sibilando
Ai cancelli s'avvolge intero
D'edera novella
Congiuro al corpo solleva la cenere
E rinnovato nuota nella pelle.
genseki
Gocciola la musica sottile della menta
E sono crepe quelle tra i serpenti
Signora Luna e la dama demente
Intrecciano una danza di dita
Di anelli, il quarzo sibilando
Ai cancelli s'avvolge intero
D'edera novella
Congiuro al corpo solleva la cenere
E rinnovato nuota nella pelle.
genseki
Il tuo sangue
Il tuo sangue
Il tuo sangue lava il nostro dolore
Il sangue a fiotti sulla tenera
Calligrafia fioritura ricamo
E tutte quelle spine fredde come il patire
Il tuo sangue lava il rapace
Dalle macchie della sua vista perfetta
Il falco l'aquila sono il chiodo
Conficcato nel cuore del mondo
Con ogni battito sgorga il tuo sangue
Le mani a coppa le leviamo
Per colmarle del tuo sangue dolciastro
Come il rubino e la foglia di menta
Negli occhi delle faciulle morte
La poseremo più tardi con tenerezza
Con infinita tenerezza ai nostri figli morti
Bruceremo i rami di artemisia
E gli dei saranno ghigni di vecchi tronchi
Nel sabato della nebbia
Ma ora le nostre mani grondano sangue
Il sangue immenso che ci doni
Ad ogni sussulto del quarzo
Siamo nell'intimità del tuo dolore
Nella comunione del tuo sangue
A caro prezzo siamo riscattati
A caro prezzo infine mondati.
genseki
Il tuo sangue lava il nostro dolore
Il sangue a fiotti sulla tenera
Calligrafia fioritura ricamo
E tutte quelle spine fredde come il patire
Il tuo sangue lava il rapace
Dalle macchie della sua vista perfetta
Il falco l'aquila sono il chiodo
Conficcato nel cuore del mondo
Con ogni battito sgorga il tuo sangue
Le mani a coppa le leviamo
Per colmarle del tuo sangue dolciastro
Come il rubino e la foglia di menta
Negli occhi delle faciulle morte
La poseremo più tardi con tenerezza
Con infinita tenerezza ai nostri figli morti
Bruceremo i rami di artemisia
E gli dei saranno ghigni di vecchi tronchi
Nel sabato della nebbia
Ma ora le nostre mani grondano sangue
Il sangue immenso che ci doni
Ad ogni sussulto del quarzo
Siamo nell'intimità del tuo dolore
Nella comunione del tuo sangue
A caro prezzo siamo riscattati
A caro prezzo infine mondati.
genseki
L'ordine
L'ordine ultimo era questo tumulto
L'accorrere dei convolvoli
Sul mucchio di paglia la snella
Danza delle crucifere alle stelle
L'ordine era nella pena – sai? -
Di tutte quelle delusioni
Nella lavagna di ardesia
Nella polvere di gesso che pulluluva
Sul velluto nero dei pantaloni
Quando avrebbe voluto essere serio e ingenuo
Quanto lo avrebbe voluto!
L'ordine era nella fermentazione
Dei pollini nel ronzio delle api
Nelle orbite degli insetti
Attorno al sogno dei loro voli
Nella fila dei punti e degli a capo
Nella guerra interminabile delle formiche
Nell'astio dei funghi e nella nudità degli olivi
Nel peso di ogni istante
Sulle sue spalle di bambino
Che lo sapeva eterno ogni istante
Di quei pomeriggi in cui le piastrelle
Del pavimento del corridoio
Si estendevano ciascuna come una pianura estiva
E i vetri polverosi delle fineste
Erano lattei ghiacciai abbaglianti
Avrebbe voluto avere grandi occhi allora
Seri e spalancati ma si sentiva
Opaco sapeva di poter sudare
Il sudore lo faceva vergognare
Galoppava quindi sulle piastrelle
In diagonale
E tutto il mondo si faceva oblicuo.
Ed ecco che l'ordine erano le code
I campanacci il latte oscenamente sfracellato
Sul selciato e tutti quegli zoccoli
Quei sandali l'ingenuità dei piedi
La parietaria
Infine
genseki
L'accorrere dei convolvoli
Sul mucchio di paglia la snella
Danza delle crucifere alle stelle
L'ordine era nella pena – sai? -
Di tutte quelle delusioni
Nella lavagna di ardesia
Nella polvere di gesso che pulluluva
Sul velluto nero dei pantaloni
Quando avrebbe voluto essere serio e ingenuo
Quanto lo avrebbe voluto!
L'ordine era nella fermentazione
Dei pollini nel ronzio delle api
Nelle orbite degli insetti
Attorno al sogno dei loro voli
Nella fila dei punti e degli a capo
Nella guerra interminabile delle formiche
Nell'astio dei funghi e nella nudità degli olivi
Nel peso di ogni istante
Sulle sue spalle di bambino
Che lo sapeva eterno ogni istante
Di quei pomeriggi in cui le piastrelle
Del pavimento del corridoio
Si estendevano ciascuna come una pianura estiva
E i vetri polverosi delle fineste
Erano lattei ghiacciai abbaglianti
Avrebbe voluto avere grandi occhi allora
Seri e spalancati ma si sentiva
Opaco sapeva di poter sudare
Il sudore lo faceva vergognare
Galoppava quindi sulle piastrelle
In diagonale
E tutto il mondo si faceva oblicuo.
Ed ecco che l'ordine erano le code
I campanacci il latte oscenamente sfracellato
Sul selciato e tutti quegli zoccoli
Quei sandali l'ingenuità dei piedi
La parietaria
Infine
genseki
giovedì, aprile 21, 2011
Viaggio I
Il poeta
Aveva cercato di farcela con i suoi mezzi
Non gli mancava certo la testardaggine
Quella certa durezza occipitale che sparge
Schegge e scintille sul pavimento
Prima dei temporali quando il cielo
Si fa di bronzo e le prime gocce
Fanno oscillare le foglie del platano
Aveva vissuto a lungo in un giardino
Da bambino
La nonna ci viveva in camicia da notte
Aveva i capelli azzuri come la corrente elettrica
Lui la corrente elettrica la vedeva serpeggiare
Sotto la superficie delle pareti
Come le vene della nonna
Sulle sue mani
Gli interrutori erano rotondi e si giravano
Come una chiave
Aveva vissuto a lungo in un giardino
Con la nonna da bambino e poi vi nuotava
Come un pesciolino tra le dalie cinerine
Tra i cinerei crisantemi e tutti quei
Fiori grigi che avevano appena un bagliore di cobalto
Cercava di resistere di non perdersi di non divagare
Il poeta
Fino a raggiungere quell'altro giardino
Quello delle pietre
Il giardino
Spazzato senza pietà ogni giorno ogni notte
Dalla fitta spazzola del sole
Dalla spazzola di seta della luna
Il giardino delle ombre di ragno
Delle rose-fungo, delle rose micotiche
Delle viole della paura che non lascia pensare
Delle viole candelabri di oscenità
Il giardino senza fonti senza cristalli
Senza ombre senza uova senza battiti
Il giardino dal cuore spinoso
Dove le forme affiorano dall'ebollizione
Dello scoramento cercando sotto ogni ciottolo
La scolopendra pietosa il metro la misura
Insomma una musica possibile
Anche nel silenzio della dissoluzione
Il verso come una sequenza di passi
Su un suolo dapprima sabbioso
Poi sempre più solido
Con costanza con baldanza procede ora il testardo
Verso le onde verso la nausea
Attraverso il fluttuare dei volti
Lo aveva sempre saputo che ogni volto
È fornace, è stella è messa di ioni e gioconde
Molecole lampeggianti in fondo
Alle equazioni della singolarità
Volti che irradiano la speranza
Il dubbio vacillano esplodono
Aprono bocche e rughe
Pori come crateri e l'intimità
L'intimità sola possibile oltre il volto
Oltre la pelle il madore la peluria
L'intimità d'essere sempre l'altrove di ogni volto.
Signore dei volti chi ha cancellato il nostro?
Vi abbiamo rinunciato in nome della parola
Vi abbiamo rinunciato in virtù della parola
Per amore della parola vi abbiamo rinunciato
Al nostro volto di accordi di favilla
Di rugiada di seta di muco di polvere di farfalla
Di spine di velcro
O signore dei volti
Ad ogni attimo concedi il suo volto
Il nostro volto di ogni attimo
Il nostro volto di sempre e di nullamai
Di eternoniente di eone in eone
Volto ignoto incandescente spento
Volto che nostro ci accogli in spavento
Si aprono le porte del soffio al suo spasmo
genseki
Aveva cercato di farcela con i suoi mezzi
Non gli mancava certo la testardaggine
Quella certa durezza occipitale che sparge
Schegge e scintille sul pavimento
Prima dei temporali quando il cielo
Si fa di bronzo e le prime gocce
Fanno oscillare le foglie del platano
Aveva vissuto a lungo in un giardino
Da bambino
La nonna ci viveva in camicia da notte
Aveva i capelli azzuri come la corrente elettrica
Lui la corrente elettrica la vedeva serpeggiare
Sotto la superficie delle pareti
Come le vene della nonna
Sulle sue mani
Gli interrutori erano rotondi e si giravano
Come una chiave
Aveva vissuto a lungo in un giardino
Con la nonna da bambino e poi vi nuotava
Come un pesciolino tra le dalie cinerine
Tra i cinerei crisantemi e tutti quei
Fiori grigi che avevano appena un bagliore di cobalto
Cercava di resistere di non perdersi di non divagare
Il poeta
Fino a raggiungere quell'altro giardino
Quello delle pietre
Il giardino
Spazzato senza pietà ogni giorno ogni notte
Dalla fitta spazzola del sole
Dalla spazzola di seta della luna
Il giardino delle ombre di ragno
Delle rose-fungo, delle rose micotiche
Delle viole della paura che non lascia pensare
Delle viole candelabri di oscenità
Il giardino senza fonti senza cristalli
Senza ombre senza uova senza battiti
Il giardino dal cuore spinoso
Dove le forme affiorano dall'ebollizione
Dello scoramento cercando sotto ogni ciottolo
La scolopendra pietosa il metro la misura
Insomma una musica possibile
Anche nel silenzio della dissoluzione
Il verso come una sequenza di passi
Su un suolo dapprima sabbioso
Poi sempre più solido
Con costanza con baldanza procede ora il testardo
Verso le onde verso la nausea
Attraverso il fluttuare dei volti
Lo aveva sempre saputo che ogni volto
È fornace, è stella è messa di ioni e gioconde
Molecole lampeggianti in fondo
Alle equazioni della singolarità
Volti che irradiano la speranza
Il dubbio vacillano esplodono
Aprono bocche e rughe
Pori come crateri e l'intimità
L'intimità sola possibile oltre il volto
Oltre la pelle il madore la peluria
L'intimità d'essere sempre l'altrove di ogni volto.
Signore dei volti chi ha cancellato il nostro?
Vi abbiamo rinunciato in nome della parola
Vi abbiamo rinunciato in virtù della parola
Per amore della parola vi abbiamo rinunciato
Al nostro volto di accordi di favilla
Di rugiada di seta di muco di polvere di farfalla
Di spine di velcro
O signore dei volti
Ad ogni attimo concedi il suo volto
Il nostro volto di ogni attimo
Il nostro volto di sempre e di nullamai
Di eternoniente di eone in eone
Volto ignoto incandescente spento
Volto che nostro ci accogli in spavento
Si aprono le porte del soffio al suo spasmo
genseki
Il caffe l'uovo fritto l'occhio
Il caffe l'uovo fritto l'occhio
Dolente. In sogno avevo vagato
Su un cammello
Nella foresta di asparagi
E c'erano tanti mazzetti fragranti
Tra le dita dei caduti
Mozzate dagli almogavari
Azzurrissimo l'orizzonte
Si schiudeva come una volta
Come una rosa
Sanguinavo da una ferita
Che si allungava dal pollice all'ascella
Inflittami da Prudenzia
Che portava la chioma alla basca
Poi mi accorsi che il banco era di zinco
Il caffe sfrigolava nel tegame
Le dita dei miei piedi
Si muovevano nelle mie scarpe
Con tutta la libertà del mattino.
**
genseki
Dolente. In sogno avevo vagato
Su un cammello
Nella foresta di asparagi
E c'erano tanti mazzetti fragranti
Tra le dita dei caduti
Mozzate dagli almogavari
Azzurrissimo l'orizzonte
Si schiudeva come una volta
Come una rosa
Sanguinavo da una ferita
Che si allungava dal pollice all'ascella
Inflittami da Prudenzia
Che portava la chioma alla basca
Poi mi accorsi che il banco era di zinco
Il caffe sfrigolava nel tegame
Le dita dei miei piedi
Si muovevano nelle mie scarpe
Con tutta la libertà del mattino.
**
genseki
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