Hegel
Filosofia dello Spirito
Trad genseki
Hegel
Filosofia dello Spirito
Trad genseki
Mi pare che l'attribuzione a Salvator Rosa sia da scartarsi a prima vista proprio per la natura frammentaria del testo che contrasta con il resto della sua opera barrocca e estremamente articolata.
Ad una prima lettura sembra di essere di fronte ad una specie di testo surrealista: qualche cosa come poesia automatica o un Cadavere Squisito. Prodotti di un inconscio collettivo di piú generazioni. Sembrerebbe come se una generazione successiva abbia aggiunto alcune linee al testo della precedente ignorando o cancellando una parte di esso. Molti testi della tradizione popolare potrebbero forse essere interpretati con maggior successo se fossero considerati dei Cadaveri Squisiti certo questo è particolarmente adeguato.
Una delle prime fallacie delle interpretazioni internazionali del testo mi pare l'insistenza nel considerare “Michelemmà” come il soggetto di “nata miez'o mare”.
Sempre che il lemma “Michelemmà” sia un sostantivo o un nome proprio e non la storpiatura di una onomatopea ritmica certamente è un maschile e non vi è concordanza con il verbo.
La convinzione che “Michelemmà” sia un soggetto è servita per dare al testo una coesione sul piano della logica che propbabilmente non possiede e probabilmente non la possiede per la ragione che si tratta appunto di una specie di Cadavere Squisito.
Tra i frammenti di figure e le figure vere e proprie che costituuiscono la canzone mi pare che uno sia quello delle Dea Vergine che sorge dal mare, precisamente dal mare di un'arcipelago, presso un'Isola Cipro o Ischia come si puó intuire nel locativo “scarola” che per alcuni va letto “Ischiarola”.
La presenza dei Turchi è il ricordo di fatti certamente piú storici e piú recenti. Il Turco è ovunque nel mediterraneo cristiano presente nel folkolore.
La vergine sorta dal mare è guerriera. Non vi è chi la vince. Ed è figlia di un Dio Supremo, un legislatore del cosmo: il “Notare”.
Poi di nuovo ricorre il tema ciprigno con i due versi: “
"E mpieto porta na...
Stella Diana"
La particolare arcaicitá dell'immagine di questa Vergine Guerriera dea dell'amore è che essa è contemporanemente una dea della morte:
“Pe fa morí ll'amante
A duje a duje”
Gli amanti, evidentemente, non sono gli amanti della Dea, certo non quelli di Michelemmà come pretendono le esegesi piú afrettate. Evidentemene il fatto che muoiano a due due ci fa capire che sono appunto coppie di amanti. Il morire puó essere inteso come una metafora sessuale o iniziatica. Non ci sono elementi che possano far decidere in unsenso o nell'altro.
Michelemmà è come un affresco frammentato della mitologia unitaria mediterannea giunto fino a noi quasi al limite dell'intellegibilitá ma ancora ricco di suggestioni.
genseki
E' nata miez'o mare
Michelemmà
e Michelemmà
e' nata miez'o mare
Michelemmà e Michelemmà
oje na scarola
oje na scarola
Li turche se nce vanno
Michelemmà
Michelemmà
a reposare
Chi pe la cimma e chi
Michelemmà
Michelemmà
pe lo streppone
Visto a chi là vence
Michelemmà
co sta figliola
Sta figliola ch'e figlia
Michelemmà
Michelemmà
oje de Notare
E mpietto porta na ...
Michelemmà
Michelemmà
Stella Diana
Pe fa mori' ll'amante
Michelemmà
Michelemmà
A duje a duje
Pe fa mori' li amanti
a duje a duje
L'essere e il nulla son lo stesso, - questa proposizione è imperfetta.
L'accento, infatti, viene posto di preerenza su “lo stesso”, come accade in genere nek giudizio, in quanto che solo il predicato è quello che vi enuncia che cosa il soggetto è. Il senso sembra quindi essere che la differenza venga negata; mentre invece si presenta anch'essa inmediatamente nella proposizione. La proposizione, infatti, esprime tutte e due le determinazioni, l'essere e il nulla e le contiene come diverse. - Non si puó insieme intendere che si debba astrarre dalle due determinazioni e tener ferma soltanto l'unitá. Questo senso si darebbe a vedere come unilaterale, poiché quello da cui si dovrebbe astrarre, si trova poi nondimeno nella proposizione, cioé vi è esplicitamente nominato. - In quanto ora la proposizione: essere e nulla è lo stesso, eprime l'identitá di queste determinazioni, ma nel fatto le contiene tutte e due come diverse, questa proposizione si contraddice in se stessa e si risolve. Se ora teniamo fermo questo vediamo che è posta qui una proposizione la quale considerata piú in particolare, ha il movimento di sparire di per se stessa. Accade quindi in codesta proposizione stessa quello che ha da divenire il suo contenito proprio, vale a dire il divenire.
La proposizione contiene dunque il risultato, è in se stessa il risultato. Ma la circostanza sui cui occorre qui attirare l'attenzione è il difetto che qui il risultato non é espresso esso stesso, nella proposizione, è una riflessione esterna, quella che ve lo riconosce.
A questo proposito si debe far qui subito da principio l'osservazione che la proposizione in forma di giudizio non é atta ad esprimere le veritá speculative.
Hegel
Logica
Questo brano della Logica hegeliana è un vero e proprio “mode d'emploi” del linguaggio hegeliano, una guida breve alla comprensione in un dettato che sembra sempre sfiorare l'incomprensibilità assoluta.
In questo senso appare in piena luce la mala fede di quanti insistono sulla oscuritá del testo hegeliano per negare la sua legittimitá speculativa.
Hegel ci da le chiavi per entrare nel suo castello e per percorrerne le sale. si tratta soltanto di usarle correttamente. Usarle correttamente è, poi, in fondo, una questione di pazienza. Una pazienza quasi infinita, questo si. Leggere Hegel è qualche cosa di molto prossimo a leggere un testo in cinese di cui si debbano apprendere uno dopo l'altro tutti i caretteri che lo compongono.
Sembra che la dimensione lineare del linguaggio, cioè la sua bidimensionalitá necessaria sia quello che lo rende inadeguato alla speculazione.
La dialettica pare aver bisogno di un linguaggio tridimensionale o pluridimensionale.
Che forma potrebbe prendere un linguaggio simile? È possibile pensare di costruirne uno? Che cosa significa avvicinarsi a un linguaggio pluridimensionale?
Si tratta di qualche cosa come un linguaggio a piú livelli in cui ogni livello sia contemporaneamente presente ad ogni altro e sua colto dalla mente con un movimento unico.
Si potrebbe pensare, ad esempio ad un linguaggio grafico con una serie gerarchica di tratti sovrasegmentali.
Un approccio di questo tipo peró non permette di immaginare un linguaggio le cui proposizioni abbiano graficamente, sintatticamente, morfologicamente “il movimento di sparire di per se stessa”.
Certamente stimolante è considerare questo testo di Hegel come una proposta di poetica.
Leggerlo come una serie di regole per la poesia. Una poesia che renda sensibile, evidente il movimento dialettico della realtá. Una poesia che sia sempre un passo al di la di se stessa e in cui qualsiasi cosa venga detta sia detta sempre solo come silenzio a venire.
genseki
L'abbandono lascivo delle torri
Fasciate nelle piume della nebbia
Nel cobalto d'oblio delle nubi
Nel mutevole volto dei venti
Dominanti riflesse, modellate, chiamava
A sé lontane nevi
Come lo Sciamano chiama la lucertola
Con i suoi movimenti scivolosi
Con i passi di sussurro e seta, la coda
Vibrante alle onde piú sottili
Della malinconia. Torri, torrette
Saracene, barbacane sole nel tempo
Nel trascorrere di vigne e orzo
Nespole, castagne, frullo di fagiani
Nel disperdersi dell'odore del mosto
E del catrame
Torri lascivi spalti nel lenzuolo del tempo
Come carne concessa della storia
Carne diletta abbandonata oppressa
Torri togate di nebbia ottobrine
Nell'abbaglio della neve
Torri lascive a me avare di abbracci
Nel fuoco della memoria braci
Dell'incendio dei rovi
*
I borghi? Dormienti nelle pianure
Presi nel sonno inespiabile del mare
Onda dopo onda eppur chiusi tra fronde
Tra le chiome degli olmi degli ippocastani
I borghi? Ottusi, bianchi tra il fieno
Sferzati dall'odore acre delle colline
Dalla bianchezza del sole sulla piazza
Ruminando storia e passi zoccoli fustagno
Pneumatici cattedrale tacchi a spillo
Tacchi sottili come il conformismo
I borghi bianchi pascolano nella pianura
Assolati assordati assediati dal vento rosso
Delle colline dall'odore delle trecce
Delle lentiggini contadine
Dalle sirene delle fabbriche di mattoni
Che inchiodano la notte senza stelle.
genseki
Era anche nella mente dei delfini
In quella delle balene, forse
D'altri cetacei, l'agonia della bambina
Caduta nel pozzo
Profondo come un'occhio
Tra il grano dorato, lei correndo
Nell'azzurro, tra due ispirazioni
Il delfino è consapevole della luce
Della schiuma, della purezza dello iodio
Del buio che ferisce laggiú
Ci sono scale fungose, muco fosforescente
La bambina non è sicura di essere
Davvero mai esistita nella mia mente
L'oro del grano, l'odore rosso delle ginocchia
Le balene soffiano rabbiose
Tremano gli alberi di amarene
La pianura rovente i delfini
Scarabocchiano con la schiuma
Raggi azzurri dalla loro alla mia mente
E lei cade tra altri funghi
Questi anche piú deformi maligni
In altre menti, in altri cetacei
Inconsapevole di quell'odore di cuoio
Di quell'occhio appena lacrimoso
Dell'oscuro che si apre un varco
Tra l'oro i delfini e i suoi capelli rossi
Nella mente della balena
Nella mia mente scivolando
Dall'una all'altra mentre
Lui la apre e qualcosa sanguina
Tra il grano e l'azzuro richiamo
del mare.
genseki
Oggi la Vergine da alla luce
Colui che per l'Essenza è l'Eccelso
La Terra offre accesso a una grotta
A colui che è inaccessibile.
Angeli e pastori intonano canti di lode
I Magi nel loro cammino
Seguono la stella.
Ecco per noi è nato un bambino:
Egli è il Dio senza tempo.
Kontakion di Natale
Romano il Melode
trad. genseki