Poi si alzó per diegnare la terra sulla lavagna e per tutta la durata della classe ci ripeté che era rotonda e che questa on era la sola cosa sorpendente ma che anche girava su se stessa. Come prova portó il sorgere e il tramontare del sole, il modo in cui appaiono e scompaiono le navi nel mare d altre ancora. Io senplicemente restavo stupefato che questo mond in cui viviamo fose rotondo e girasse su se stesso e anche di quante cose sapesse il mio maestro. Quando la campana suonó annunciando la ricreazione César Vallejo si pulì il gesso dalle mani, si pettinó con le dita della mano, e suscí. Si mise sulla porta come se conversasse con gli altri maestri. Dico questo percé aveva un aspetto molto distratto.
Di nuovo in aula per l'ora di studio, poi ci sarebbe stata quella di lettura. C'era da ripassare la lezione. Mi chiamó accanto a sé e aprí il libro nella sezione del paperottolo. Ebbi fiducia in quello che sapevo e dissi:
questa parte l'ho giá fatta da temp. Anche quella di Rosaria e Pepito. Io lo so tutto questo libro.
Vallejo mi guardó con curiositá.
Sai ancje scrivere?
Quando risposi di si mi chiese di scrivere il mio nome e poi anche il suo. Non sapevo se si scrivesse con V o con B mi decisi per la prima e per fortuna ci azzeccai. Mi fece provare cn altre parole e con una lunga frase.
Sembrava divertirsi. Poi mi chiese:
Sai giá leggere e scrivere, perché ti hanno meso in prima.
Perché non so nient'altro.
Allora mi disse di andare a sedermi. Cercai di fare un po' di conversazione con il mio compagno di banco ma questi mi sussurró che era proibito parlare durante l'ora di studio.
Guardai allora il mio maestro.
César Vallejo, e questa mi sembró sempre che fosse la prima volta che lo vidi – teneva le mani sul tavolo e volgeva il viso verso la porta. Sotto gl abbondanti capelli la sua faccia mostrava tratti duri e definiti. Il naso era energico e il mento, ancora piú energico, risaltava nella parte inferiore come una ghiglia. I suoi occhi oscuri, non ricordo se fossero grigi o neri brillavano come se fossero pieni di lacrime.
Il suo vestito era vecchio e liso. e stringendo la apertura molle del colletto una cravattina di cuoio pendeva annodata sommariamente. Si mise a fumare e continuava a guardare verso la porta da cui entrava la luce chiara di aprile. Pensava o sognava non si sa che cosa. Da tutto il suo essere emanava una grande tristezza, mai ho visto un uomo che sembrasse piú triste, il suo dolore era contemporanemaente una condizione segreta e manifesta che finí per contagiarmi. Una qualche pena strana e inesplicabile mi colse. Anche se a prima vista poteva sembrare tranquillo, in quell'uomo vi era qualche cosa di straziato che io con la mia pronta sensibilitá di bambino percepivo e intendevo in tutta pienezza. Di colpo pensai ai miei lari, alle montagne che avevo attraversato e alla vita che avevo lasciato alle spalle. Tornando a esaminare i tratti del mio maestro li trovai simili a quelli di Cayetano Oruna, peone della nostra fattoria che chiamavamo Cayo, Certo questi era piú alto e ben piantato ma il volto e l'aria tra solenne e triste di amendue avevano gran somiglianza.. L'uomo Vallejo venne a me come un messaggio della terra e continuai a osservarlo, Gettó via la sigaretta, si toccó la fronte, lisció ancora una volta la chioma scura e si rimise tranquillo. La sua bocca si contraeva in un rictus doloroso. Cayo e lui, La personalitá di vallejo, tuttavia inquietava al solo vederla, Ero definitivamente scosso e sopettai che tanto soffrire e irradiare tristezza aveva qualche cosa da fare con il mistero della poesia. Di colpo si voltó e mi guardó, poi guardó tutti i bambini che stavano leggendo nei loro libri, io lo aprii, il mio libro. Non riuscivo a vedere le lettere e volevo piangere
Fu cosí che incontrai César Vallejoj e cosí lo vidi, per la prima volta.
Ciro Allegria
trad. genseki