sabato, febbraio 21, 2009

Supplica

Alla poesia chiedo
Solo ancora uno sforzo
Lo sforzo di accompagnarmi
In questa solitudine
Lo sforzo di starmi accanto
Nel rapido – spero -
Spogliarmi dell'ultima
Veste dell'anima
Dell'anima stessa
Foglia diletta
Al vento, al deserto
Consacrata, al fuoco
Abbandonata
In questo denso
Perdermi dentro
Perdermi dentro
Allo Stesso.

genseki

venerdì, febbraio 20, 2009

Anno dopo anno

Anno dopo anno
L'amore
Diventa cosí grande
Che ci brucia
Incenerisce i sogni
Incenerisce i gesti
Ci lascia con tizzoni di speranza
Anno dopo anno
L'amore
Non è più un girasole
Ma una stella
Non possiamo fissarlo
Ma ci annienta.

29.07.2001

genseki

Essere pronti

La questione essenziale alla fine è questa: se dovesi venire a morire adesso, sarei pronto? La risposta a questa domanda rivela quanto davvero resta di serio nelle mie parole, nelle mie riflessioni, nella maniera di vivere giorno per giorno.

Quanto resta di me? Temo moltissimo. moltissimo di viscoso e iterativo, moltissimo di corrosivo e di torbido.

Tutto questo si cela dietro la pigrizia. La pigizia non è solo pigrizia, è, soprattutto sopravvalutazione di se stessi.

Eppure essere pronto a morire, lo vedo con chiarezza, significa essere pronto ad ogni istante a vivere per davvero senza il peso dell'istante precedente, senza il peso pesantissimo di tutti gli istanti precedenti che si sono susseguiti.

Essere pronto a morire. Ora. Deporre finalmente il fardello tanto gravoso degli istanti passati, con l'infinitá dei loro pensieri e delle volizioni. A questo si riduce tutto il resto: la pratica, la ragione, lo spirito, la fede.

Mi pare che praticare la disponibilitá alla morte, o alla vita sia soprattuto praticare la concentrazione.

Concentrarsi, diventare densi, impenetrabili, comprimere la propria massa nello spazio piú ristretto possibile. È forse questa una maniera di conseguire una tale meta?

Davvero non sono mai stato tanto intimo con la morte come spesso lo ho creduto, questa intimitá non si trova nella vorticosa coscienza dell'impermanenza e neppure nell'intuizione nullificante dell'infinito. Quell'intuizione insopportabile che suole visitarmi nei momenti del dormiveglia. No È tra un istante e l'altro, nella coscienza del loro tracorrere che si educa questa intimitá. Naturalmente anche nella scelta per la solitudine.

Finire probabilmente è piú facile di quello che sembra, è la fine che ci forma conformente ad essa. Succede da sola e quando succede siamo fatti, forse anche inmediatamente, adeguati allla sua modalitá.

O forse, essere pronti a morire, significa proprio accettare di non poter mai essere del tutto pronti, accettare che non si puó essere pronti a morire piuttosto che a vivere perché, appunto, si tratta di vivere. Vivere la propria morte. Vivere la morte. Vivere la morte come un momento della vita.


genseki

giovedì, febbraio 19, 2009

Schoenberg Pierrot lunaire no. 8 Nacht

La viola da gamba


Egli riconobbe con assoluta certezza, la pallida figura
del suo intimo amico Jean-Gaspard Debureau, il gran pagliaccio dei Funamboli, che lo guardava con un'espressione indefinibile di malizia mista a benignitá

Théophile Gautier

Onuphrius

Au clair de la lune
Mon am Pierrot
Prête-moi ta plume
Pour écrire un mot.

Ma chandelle est morte
Je n'ai plus de feu
Ouvre-moi la porte
Pour l'amour de Dieu

Il Maestro di cappella quasi non ebbe il tempo di interrogare l'archetto della viola che questa gli rispose con un gorgoglío buresco di lazzi e di tremoli come se avesse nella pancia un'indigestione di commedia italiana.


Era dapprima Donna barbara che rimproverava quelllo sciocco di Pierrot per aver lasciato cadere la scatola di parrucche di Madame Cassandra e sparso tutta la cipria sul pavimento.


Ecco, allora Madame Cassandra che raccoglie con devozione la sua parrucca E Arlecchino che stampa una pedata nelle natiche a quel belinone, e Colombina asciugrasi una lacrima dal tanto ridere e Pierrot distendere sul volto una smorfia tutta infarinata.


Subito dopo, peró, al chiar di luna, Arlecchino la cui candela era morta supplicava il suo amico Pierrot di aprire la porta per accenderla, mentre il fedifrago trafigava l scrigno del vegliardo e la bella.

*

- Al diavolo Job Hans il liutaio che mi ha venduto questa corda! - esclamó il Maestro di cappella riponendo la viola polverosa nel polveroso suo astuccio.

- La corda si era spezzata.

Trad. genseki


Ovunque il luogo stesso della via

Nulla vi è nella nostra buddhitá fondamentale che non sia vuoto aperto e tranquillo, chiarezza meravigliosa di felicitá piena ove spontaneamente immergesi la realizzazione profonda e spontanea.

Ivi tutto appare perfettamente compiuto, nulla manca. Se si praticasse con coraggio per tre incommensurabili kalpa, salendo tutti gli scalini dell'ascesa, nell'istante brevissimo del risveglio,si sarebbe testimoni della propria buddhitá originaria e spontanea e nulla piú. I meriti accumulati in interi kalpa son come le illusioni del sogno. Per questo il Tathagatha dichiara: “Nel risveglio supremo, effettivamente, non ho trovato nulla. Se vi avessi trovato qualche cosa, allora il Buddha Dipamkara non avrebbe profetizzato la mia venuta. E ancora: “questa realtá è pura eguaglianza senza alto né basso, Risveglio!”

Ecco il nostro spirito in primoridale purezza: nessuna differenza tra gli esseri viventi e i Buddha, tra le montagne e i fiumi del mondo, tra ció che ha forma e ció che forma non ha, e la totalità degli universi di tutti gli spazi vi forma eguaglianza perfetta sena i caratteri particolari di “stesso” e di “altro”.

Questo spirito primridalmente puro è sempre nella pienezza e la sua luminositá rende chiare tutte le cose. Siccome non lo hanno raggiunto le persone comuni lo confondono con la loro coscienza ordinaria. La loro coscienza ordinaria è oscura de essi non percepiscono la chiaritá fondamentale dl loro essere fondamentale. Perché quando si salta direttamente nel non spirito, l'essere fondamentale si manifesta da sé come la grande ruota del sole che sale nello spazio vuoto illuminando tutti gli orizzonti senza incontrare ostacoli. Così, l'adepto che conosce solo la sua coscienza la rifiuta, per praticare davvero, ma cosí si chiude il varco per entrare nello spirito e non lo puó piú cogliere. Riconoscete il vostro spirito fondamentale nella vostra coscienza ordinaria perché se esso non è la vostra coscienza ordinaria, nemmeno è da essa separato. Solo vi basta cessare di teorizzare sulla vostra coscienza ordinaria, di non pensare niente di essa, di non separarvene per cercare lo spirito e di non rifiuarla in nome di un metodo. Nulla di mediato e nulla di inmediato, nulla che resti o s'aggrappi, in ogni caso solo libertá, ovunque il luogo stesso della via.

mercoledì, febbraio 18, 2009

Léo Ferré - Requiem (1975)

Il paese del passato

Quella che si stende davanti a me, da ora in poi, non è piá la contrada del futuro, la contea dell'avvenire. Di qua in avanti, anche se potrebbe parere piú corretto scrivere, da qua indietro, si apre il vasto paese del passato. Anche quello che resta di futuro, in realtá assomiglia sempre di piú ad un angolo di passato. Magari una locanda con il muro esterno coperto di vite canadese e l'insegna “Al porvenir” o il punto di confluenza tra due fiumi, in mezzo a uno sterminato canneto, certamente non ad una autostrada.

A questo paese appartengo, adesso con soddisfatta convinzione. In fondo, sono io che lo ho fatto! È cosa mio. Sono opera mia le sue parti deserte e l'abiezione e anche le grandi pianure e i fianchi dei monti coperti di selve luminose. Senza rimorsi mi riprometto di ripercorrerlo minziosamente per cartografarne il senso e il destino.

martedì, febbraio 17, 2009

Sulla povertá

Sempre mi è piaciuto stare nel mondo senza molti schermi, con il minimo di protezione e di difesa necessarie per non mortificarsi. Mi piace provare il fredo quando fa freddo e il caldo quando fa caldo, affrontare la resistenza della materia nella forma di salita, di peso, di graffio, di declivio, anche di caduta, di punture di insetto che asume di volta in volta. non mi pare di aver viitato una cittá se non mi ci sono sfinito i piedi e consumate le suole. Godo di essere disponibile, direi aperto alle sensazioni tutte, piú che alle sensazioni al mondo stesso che è ciò che connette le sensazioni tra di loro e con il soggetto e permette appunto l'ogettivitá. Tutto questo credo di poter chiamarlo, riassumendo: “Amore per la povertá.

Il modo piú facile per essere vivi nel mondo è una certa forma di povertá, una forma che concide con disponibilitá e apertura, se si vuole anche con fiducia. Certamente nel campo di questo concetto di povertá non entra il tratto distintivo della mancanza.

La povertà scelta e non subita, la povertá non ascetica e non mortificante non coincide con la sobrietà e la temperanza,

Si tratta, piuttosto di una temperanza con disponibilitá con totale apertura.

La scomparsa della povertá dall'orizzonte del pensiero etico e religioso coincide con l'uscita dell'uomo dal mondo e con la sua entrata nell'universo della merce.

Bruckner Symphony No.8 - Finale (1/3), Giulini

Michel de Montaigne

Mon monde est failly, ma forme expirée, je suis tout du passé.
***
Il mio mondo è tramontato, la mia forma scaduta. Tutto intero appartengo al passato.
Michel de Montaigne
Essais III, cap. X
Trad genseki

Alla fine

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Alla fine


Fu allora che lo trovammo
Intrecciato alle radici del lentisco
Tra i ciuffi della bellota irsuta
Lo scheletro dell'aquila
Non scafo per fendere le nubi
Simile invece a un cesto intessuto
Di vimini bianchi sfiniti
Preparato per avvolgere
Il risultato di qualche Opera
Alchemica dimenticata.
O forse si, uno scafo
Ma remoto, da ogni idea di spuma
E di flutto
Con timide dita lo ripulimmo
Dalla terra secca
E dagli aghi di pino
Per un momento ci parve di sentire
Pietá per il dolore del volo.

*

Perché certamente il volo
È un'altra dimensione del pensiero
Come, per esempio,
L'esperienza di essere sorretti,
Sollevati, sostenuti costantemente
Dalla forza stessa del mondo.

Questa esperienza manca al nostro pensiero
Schiacciati come siamo al duro suolo
Dalla ferrea gravitá
Lanciamo il nostro spirito come fuoco d'artificio
Verso il cielo
Perchè fiorisca
-hanabi-

In veritá


genseki

venerdì, febbraio 13, 2009

Englaro

La vita è tale, dal punto di vista dello spirito, come un tessuto di relazioni. Lo spirito è Logos e il Logos è mediazione manifesta, cioè relazione.
Un corpo immobile alimentato artificialmente è in gran parte, se non totalmente fuori da questo tessuto. Non entra in relazione se non come oggetto, come cosa che il discorso di altri soggetti manipola e usa. Come un cadavere.
La disponibilitá, la passivitá al discorso di altri soggetti e proprio quello che lo rende ancora piú morto, chè morto in effetti non è.
Il discorso di chi lo vuole vivo è proprio quel discorso, quella parola che lo situa nella morte, che lo strappa dall'ultima posibile relazione, dall'ultimo possibile riconoscimento: la pietá; e lo rende osceno.
Questo corpo è condannato alla materia proprio da coloro che credono farsi portatori della voce dello spirito.

genseki

La nottola di Minerva

Comprendere ció che è, questo è il compito della filosofia; perché vciò che è, è la ragione. In quanto all'individuo, ognuno è figlio del suo empo, e la filosofia proprio il tempo afferrato nel suo concetto. È insensato credere che qualche filosofia possa precorrere il presente. Quando dice una parola sulla teoria che spiega come debe essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo ardi: perché pensare il mndo accade sempre dopo che la realtá ha compiuto il suo processo di formazione e si trova realizzzata. Quando la filosofia sbozza a chiaroscuro un aspetto della vita, questo, giá invecchiato, in penombra, non può essere ringiovanito. ma solo riconsciuto: la nottola di Minerva inizia il suo volo al cadere il crepuscolo.

Hegel

Filosofia del Diritto
Introduzione

trad. genseki

Al calar del sole si leva in volo la nottola di Minerva, quando l'allungarsi delle ombre vela la molteplicità delle forme. Vola col cuore gonfio di nostalgia, la nostalgia per il mondo screziato delle apparenze multiformi. Quello che il suo volo lascia dietro di sè nel penetrare l'ombra che scende è il manto di Gerione della luce e dell'ombre che non conosce, cui volta le spalle e che le punge il cuore di rimpianto.

Se vola lo deve a questo vuoto rimpianto. È questa nostalgia che la sostiene e la guida nella notte tra i profili grigi di tutte le cose.

Così la nottola della filosofia sta sospesa tra due mondi, pur movendosi dall'uno all'altro perché il grigio è possibile solo la ove vi fu colore.



giovedì, febbraio 05, 2009

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Storia della calligrafia cinese - Ouyang Xun (557-641)





Fu un calligrafo importante della dinastia Sui ma le sue opere erano rigorosamente anonime. Solo intorno ai sessantanni quando fu chiamato a corte dall'imperatore calligrafo Taizong il suo nome fu registrato nei documenti ufficiali accanto alle opere corrispondenti.
Dei suoi lavori alcuni sono sopravissuti nella incisi in steli come “Hua Du Shi Bei” in memoria del monaco Yong Chan e “Cheng Gong Bei” che è la descrizione del paesaggio in cui sorgeva il palazzo Jin Cheng.
Calligrafó inoltre numerosi sutra tra cui spicca il “Sutra del Cuore”, il testo piú importante del buddismo chan: “La forma è vacuitá, la vacuitá è forma.
Le calligrafie dei sutra risalgono alla sua vecchiaia. Le produsse all'etá di quasi settant'anni. Sono andate tutte perdute per l'usura del tempo e per l'uso e solo possiamo contemplare alcune copie a inchiostro tratte dagli originali.
Notevole è anche la calligrafia di nove ballate del regno di Chu del poeta Qu Yuan. Si tratta di testi ricchi di colore e di figure retoriche, immaginazione e mistero.
La calligrafia di Ouyang Xun è stata il modello dello stile regolare e per secoli è stata oggetto di studio e di riproduzione per gli studenti.

Le due riproduzioni sono la prima e la seconda parte del "Sutra del Cuore"


a cura di genseki