lunedì, giugno 22, 2009

Leo Ferre La Memoire et la mer.

La marea la porto nel cuore
Mi va crescendo come un segno
Muoio di mia sorella, di me mambino e del mio cigno
Una barca diepende come
Attracca in porto per un pelo
Piovono nel mio universo
Gli anni luce che abbandono
Sono il fantasma col girocollo
Che esce per la mascherata
Ti lancia nebbia di baci
Ti da rifugio nei suoi versi
Come la rete in giugno
Vi brillava il lupo altero
Quello che vidi splendere
Alle dita dell'arena.

Ricordi il can marino
Che liberammo su parola
Che abbaia nel gran deserto
Della necropoli di alghe
Io so che la vita è qua
Coi suoi polmoni di flanella
Quando certi giorni piove
ll freddo grigio col suo appello
Ricordo quelle serate
Le corse vinte sulla schiuma
Sbavavano i cavalloni
A filo degli scogli erosi
Angelo dei piaceri persi
Rumori d'altra abitudine
Le mie brame son divenute
Angoscia dell'abitudine

Diavolo di sere vinte
Col pallor delle riscosse
Lo squalo dei paradisi
Nel muschio madido del mezzo
Torna con i violini
Fanciulla verde dei fiordi
Nel porto russano i corni
Le fanfare dei ritorni
Profumo raro raro di salino
nel pepe fuoco dei geloni
Quando andavo geometrizzando
Il cuore al cavo della tua piaga
Nel disordine del tuo culo
Unto tra garze d'alba fina
vedevo un'altra vetrata
Faciulla verde del mio spleen

Le conchiglie dipinte
Sotto i sunlights spezzati e liquidi
Scuotono tante nacchere
Che sembran la Spagna livida
Dio di granito accogli
Il loro voto da parada
Quando il coltello penetra
Nelle nacchere del volto
Vedevo i presentimenti
E presentivo l'intravisto
Tra le persiane sanguinose
E i globuli che tracciavano
Matematiche azzurre
Su questo mare mai etale
Da dove poco a poco sale
la mia memoria delle stelle

Questo rumore che mi giunge
Dal caro arco ove m'accieco
le mani che van tremando
E ruminando muggiscono
Il rumore mi segue a lungo
Qual mendicante maedetto
Come l'ombra che perde tempo
A disegnare il mio teorema
E sotto il mio trucco da rosso
Sbatte come una porta
Questo rumore che sta in piedi
Per calli di musiche morte
Addio al mare, è finita
Sulla spiaggia la sabbia bela
Sono greggi di infinito
Quando il mare pastore chiama.

trad genseki

Nichita Stanescu

Il poeta all'etá di trent'anni


Nichita Stanescu

Nona Elegia
Quella dell'uovo

In uovo nero mi lascio scaldare
Nell'attesa del volo che mi infesta
Congiunte stanno una all'altra
Identitá con identitá.
Sentimento di ali sulle spalle,
La sensazione di un occhio
Va alla ricerca di un'orbita.
Oh, Tu! Immensa oscuritá
Nascita interrotta nel disgusto.
Su di me è discesa un'idea
Che materna mi cova.
Adesso, tutto ció che è
È calor rotondo e odo:
Esce da me una specie di becco
Simultaneamente e ovunque
Si rifiuta di essere obelisco
Intima colonna vertebrale ricurva
Rompo il mio guscio di pelle calcinata,
Che aderisce direttamente all'anima
Perché non faccia marcia indietro
Imparando a camminare.
Salta il guscio nero, olé!
Mi ritrovo piú grand e senza aver volato
Aderente a quel verso dove
Come l'abbraccio di una volta.
Indosso occhi dallo sguardo irreale
A destra, a sinistra, sopra e sotto,
Prtorendo stirpi di figli animali
Che sanno morire di una bella morte
Mi crescono iridate piume d'osso
Fino al negro cóncavo.
Saltano i gusci neri, tuti insieme,
Eccomi qua, ancora una volta, dolce,
Rinchiuso in un uovo piú grande
Covato da u'idea maggiore di molto
Mezo tuorlo, mezz'uccello
Nel gioco dei passi rubati
Grande uovo, sillaba stentorea
In crescita perpetua colta
Senza tetto
Stalattite
Sedotta.
Uova concentriche, nere, rotte
Una per una e in parte.
Pulcino rifiutato dal volo
Che penetra un uovo dopo l'altro
Fino ad Alcor dal cuore della terra
In un ritmico eco che si espande.
L'identitá vuole sfuggire all'identitá,
L'occhio dall'occhio, e sempre
In se stesso ricade pesante
Come neve nera.
Da un dentro a un altro maggior dentro
Nasci all'infinito, ala senza voli,
Solo dal sonno
Ci si puó risvegliare
Nessuno si sveglia dal guscio dell'esistenza, nessuno,
mai.

Trad. genseki

domenica, giugno 21, 2009

Montaignismi

Non sono capace di tradurre Montaigne. Come riprodurre questa lingua tanto flessibile da aderire alle piú sottili sfumature del pensiero? Lingua volgare che sembra scritta da qualcuno che pensi in latino e che voglia presentarsi con una semplicitá bonaria a volte quasi popolare.

La lingua di Montaigne ha una patina arcaica che sospetto fosse giá arcaica nel momento in cui egli scriveva ma che acquisisce una bellezza ancora piú rara oggi che si sviluppa sullo sfondo di quella perfetta struttura cristallina che è il francese classico.

Tradurre quesa meraviglia nel povero, stentato italiano che mi appartiene sarebbe uno stupro.

Se fossi capace di mimare la scrittura di un classico, e non lo sono, nemmeno saprei che pesci pigliare tra le eleganze della prosa umanistica e i riboboli toscani della coeva lettaratura italiana.

Così non lo traduco, lo contemplo in tutta la sua bellezza:


Montaigne e lo Zen


Quand je dance, je dance, quand je dors, je dors. Voire, et quand je me promène solitarement en un beau verger, si mes pensées se sont entretenues des occurences étrangères quelque partie de temps, quelque autre partie je les rameine à la promenade, au verger, à la douceur de cette solitude....

Essais

Livre III XIII De l'Expérience



venerdì, giugno 19, 2009

St. James Infirmary - Eric Clapton, Dr. John

JACK TEAGARDEN St. James Infirmary

Louis Armstrong - St. James Infirmary

Sono sceso all'ospedale di San Giacomo
A cercare la mia bambina
Lei giaceva su un lungo tavolo bianco
Era dolce tranquilla e ordinata

Sono salito a parlare col dottore:
“È proprio giú” mi ha detto
Son tornato dalla mia bambina
Mio dio Mio dio, era morta

Sono entrato nel bar di Gianni
All'angolo della strada
Mi ha servito come sempre
C'era sempre la stessa gente

Alla mia sinistra stava il vecchio Gianni
I suoi occhi come inondati di sangue
Fissavano tutta quella gente
Queste furono le parole che disse:

Lascia ora che vada in pace,
Signore con la tua benedizione
Se andasse fino alla fine del mondo
Non troverebbe un uomo migliore di me.

Quando morró vi prego seppellitemi
Con il mio Stetson da dieci dollari
Mettete un moneta da venti all'orologio
Gli amici sapranno che non son morto di fame

Sei buoni cavalli voglio per la mia bara
Sei ragazze per cantarmi una canzone
Una banda di jazz mi accompagni
Fino alla porta dell'inferno

Qui finisce anche la mia storia
Presto qualcuno paghi un altro giro
A chi lo voglia sapere rispondo:
Questo è il blues dell'Ospedale di san Giacomo.

Trad genseki

giovedì, giugno 18, 2009


Maurice Scéve

Dalla Délie

Traduzioni di genseki dedicate a Maresa.

In libertá vivevo nel mio aprile
Senza preoccupazioni, adolescente,
dagli occhi ignari del danno incombente
Pronti a stupirsi per la dolce presenza
Che con l'alta, divina sua eccellenza
Abbaglió l'alma ed i sensi talmente
Che dei suoi occhi l'arcier, semplicemente,
La mia volontá tutta ha asservita
E da quel dì, oramai continuamente
In sua beltá giacciono morte e vita.


Quellla beltá che abbelliva il mondo
Quand'Ella nacque in cui morendo vivo
Impresse al centro di un bagliore rotondo
Non solamente il suo viso ben vivo
Ma tanto ha lo spirto mio rapito
Nell'ammirare mirabil meraviglia
Che, come dea, quasi morto mi svegli
Alla chiarezza della mia brama funebre
In cui piú mi da luce, o meraviglia!
Piú mi lascia affondare nelle tenebre.

mercoledì, giugno 17, 2009

Se vuoi leggere ancora

Amico, ora basta!
Se vuoi leggere ancora
Fatti tu stesso scrittura
Divieni la tua essenza.

Angelus Silesius.


*
Trad. genseki



martedì, giugno 16, 2009

Servo padrone

Quello che segue è uno dei testi piú profondi e violenti sulla relazione servo padrone e sulla monarchia. Da un certo punto di vista lo si puó considerare come l'involuzione assoluta di un pensiero smarrito tra intuizioni e paura. Il servo si fa uguale al padrone in quanto decide di accettare di essere servo, cioé si riconosce come tale riconoscendosi come servo è lui che riconosce il padrone come tale, che gli conferisce ealtá e che lo conferma. Questa forma della dialettica di Simone Weil ricorda i quadri di Esher. Vi è un errore prospettico, qualche cosa di imposibile che si afferma peró come evidenza. Qui l'errore prospettico si situa tra i termini astratti della dialettica le cui funzioni si confondono leggermente ai margini, si fanno poco nette in modo percettibile e ci danno questa visione fiabesca, arcaica e in fondo oscena;

"Una condizione dlla subordinazione simile a quella che T.E. LAWRENCE trovó in Arabia nel 1917, a quella che , proveniente fose dai mori, ha impregnato per secoli la vita spagnola. Questa condizione che rende il servo simila al padrone, grazie a una fedeltá volontaria e gli pemette di inginocchiarsi, di obedire, di sopportare le punizioni senza nulla perdere della propria fierezza, appare nel "Poema del Cid" come pure nel teatro spagnole del secolo XVI e XVII, essa cinse la monarchia, in Spagna, di una poesia che non ebbe mai l'equivalente in Francia, estesa anche alla subordinazione imposta con la violenza, esa nobilitó perfino la schiavitú e permise agli spagnoli catturati e venduti come schiavi in Africa del Nord, di baciare le mani dei loro padroni senza abbassarsi, per dovere e non per viltá.

Simone We
I Catari e la Civiltá Mediterranea

lunedì, giugno 15, 2009

Il sermone delle cose inanimate

Che meraviglia che meraviglia!
L'insegnamento del mondo inanimato
Se cerchi di ascoltarlo con le orecchie
Non hai speranza di comprnderlo
Lo puoi comprendere soltanto
Se lo ascolti con gli occhi.

Tong-Chan

Trad. genseki


domenica, giugno 14, 2009

Non so davvero chi puó aver scritto

Non so davvero chi puó avere scritto questa frase:

"La bellezza femminile è la radice del piacere tanto per l¡uomo come per la donna e non puó essere un caso se la dea dell'amore è piú forte e piú antica che il dio. Desiderare che la propria bellezza sia desiderata è la vanitá di Lilith, ma desiderare il godimento della propria bellezza è l'obbedienza di Eva. In tutti e due i casi l'amante desidera che l'amata gusti il suo proprio diletto".

L'ho trovata in mezzo a vecchi appunti incompleti e senza data.

gensek

Cuor di carciofo

Cuor di carciofo, frana senza margini
Dove si spegne la luce dei carrubi
La carne è prescindibile se il sole
Non si stanca di tessere tesori:
Scarabei, cetonie, altri diamanti,
Scintille che negano il corpo
Lo diffondono in schiuma di clorofilla
A inondar l'ariditá dell'argilla.

genseki

venerdì, giugno 12, 2009

Come datteri

Infine tramontavi anche tu
Come il bagliore delle unghie
In un gesto distratto
Nello sbadiglio di lavanda degli armadi
Tra le coltri di fieno e di cotone
Piú non avremo sognato di ciliege
Di dentifricio e cubetti di ghiaccio
Che i topolini dell'incomprensione
Venivano a rosicchiare di notte
Come fosse formaggio
Infine tramontavi anche tu
Come i collletti inamidati e i cicli
Di letture popolari
Tramontavi dietro la barriera
dei barattoli di conserve e le lattine di crema di cocco
Le staccionate degli asparagi si facevano allora
Ancora piú scure, scrutavamo il destino
Oltre gli steli per l'ulima volta
Con dita secche, noi due,
Come datteri
E lingue smemorate.

Gaspard de la Nuit

La maschera: è notte, prendiamo le lanterne!
Mercurio: Bah! i gatti non han che gli occhi per lanterna

Il Lanternone

Una notte di carnevale


Ma perché diavolo, stanotte dovevo andare a pensare che c'era abbastanza posto per accoccolarmi, protetto dal temporale, per me, folletto di grondaia, nella Lanterna di Madame de Gourgouran!

Me la ridevo di cuore ascoltando uno spiritello, fradicio dell'acquazzone che ronzava attorno alla rimia lampada luminosa senza riuscire a trovare la porta da dove io ero entrato.

In vano mi supplicava, raffredato e rauco, di lasciare almeno che accendesse il suo moccolo per trovare la strada.

Di botto, s'incendió la pergamena gilla della lanterna, strappata da un colpo di vento che fece gemere, nella strada, le insegne a penzoloni come bandiere.

- Gesú, misericordia!- Esclamó la begina, facendosi il segno della croce. - Che il diavolo ti possa straziare, brutta strega! - Esclamai, sputando piú fiamme io di un fuoco artificiale.

Ohimé! Ero cosí grazioso questa mattina rivaleggiando con la mia acconciatura in grazia ed eleganza, con il cardellino dalle alucce scarlatte del signorino De Luynes!

Aloysius Bertrand
trad. genseki

giovedì, giugno 11, 2009

Caracoles III

Dagli occhi mi parlavi

Dagli occhi mi parlavi come fossi vicina
Perduta tra capelli fili di fiato petali
Il cenno era un supplizio tra caduta
E timore, ceree le dita avvolte in poca luce
Dipanavi dagli occhi un filo di sospiri
Come un gatto tossivi palpiti di fringuello
Sfinimento di tendini e pupille, sopore
Crescente fino all'esplosione
Rossastra del sonno e delle onde
Lontana dipanata, sviluppata in sequenze di voli
Finalmente intrapresa inafferrata
Nella veritá dell' asssenza
libero io dai ceppi del tuo sguardo.

genseki

mercoledì, giugno 10, 2009

caracoles II

caracoles

Onda, onda dicevi

Onda, onda dicevi e nel frattempo
Con la mano scostavi acque di sogno
dagli occhi salsi
Sul crinale i palmizi percuotevano
La grancassa del sole celebrando
Un mardi gras mediterraneo
Con le variopinte livree le piume di pavone
E i galli da sgozzare la testa penzoloni
I tuoi piedi si muovevano tra spruzzi di sangue
Leggeri come il mio desiderio di te
Il sole si insediava vincitore, poi,
Tra le tue dita, nel cono oscuro
Dove avevo creduto fino ad allora che si nascondesse il mio cuore
Talismano della mia persistenza
A illuminare le vane regioni del nulla
I piccoli tsunami dell'impermanenza:
Il mio divenire altro
Per troppa troppa luce
Appena un palmo piú in là
Di dove fino ad allora
Avevo continuato ad essere io.

genseki

venerdì, giugno 05, 2009

Lacrime. Da dove?

Quante lacrime sulla mia faccia
Quante lacrime gocciolavano sulle mie guance
Sulla fronte, sul mento
Lacrime amare, lacrime di bronzo
Lacrime azzurre lacrime taglienti
Lacrime concave lacrime stremate
Lacrime profumate di magnolia
Lacrime al dente o bianche come
Il tuorlo del solo uovo di un pavone albino
Lacrime dotte lacrime di selva
Lacrime spore lacrime scintille

Lacrime grani del grande melograno
Che fioriva a jabalsa nel giardino
Del re del rame
Lacrime rupestri
Lacrime rune
Lacrime alla salvia
Lacrime a fiotti
Lacrime a cascata
Mi lavavano il volto tumefatto
Dai baci freddi di tanto lacrimare

Lacrime, da dove?
Da quale fonte di infinito dolore
Inflitta al cielo alla terra alle radici
Cadevano a quell'ora sui miei occhi
Che non sapevo aprire a lacrimare?

genseki


giovedì, giugno 04, 2009

C

Non vi è differenza

Per i discepoli che desiderano una formula segreta essenziale basta che sappiano che non devono afferrare nulla con lo spirito. Quando si parla del vero corpo assoluto del Buddha lo si compara al cielo. È una metafora affermare che il corpo asoluto è il cielo e che il cielo è il corpo assoluto. Le persone ordinarie dicono che il corpo assoluto occupa lo spazio celeste e che questo spazio è il contenitore del corpo assoluto. Esi ignorano che il cielo è il corpo assoluto e ce il corpo assoluto è il cielo. Quando si afferma l'esistenza del cielo, il cielo non è piú il corpo assoluto. quando si afferma l'esistenza del corpo assoluto, il corpo assoluto non è piú il cielo. Basta no spiegare concettualmente il cielo perché questo sia il corpo assoluto e di non spiegare concettualmente il corpo assoluto perché questo sia il cielo. Non vi è differenza tra il cielo e il corpo assoluto, tra il Buddha e gli esseri viventi, non vi è differenza tra samsara e nirvana, non vi è differenza tra le passioni e il risveglio. "Chi si è sciolto da tutte le caratteristiche particolari quegli è il Buddha".

Huangpo
trad a cura di genseki

mercoledì, giugno 03, 2009

Note sulla poesia cinese

L'epoca Tang

È durante la dinastia Tang che sono codificate le regole e gli stili della poesia cinese classica che contribuiranno a costituire lo xinti (nuovo stile) in contrapposizione al guti (stile antico) che era caratterizzao dall'assenza di qualsiasi regola formalizzata.
Lo xinti consta di due grandi generi: lo ci e lo shi. i poemi del genere ci sono fondamentalmente vere e proprie canzoni. Il poeta ne compone anche la melodia o soltanto le parole sulla bae di qualche antica melodia popolare. È quindi la struttira musicale che determina quella metrica. In totale esistono 826 tipi di ci che furono codificati dall'Imperatore Qian Long. Ogni tipo ha il nome di una canzone popolare e ciascuno possiede una propria struttura metrica e strofica. Il titolo della melodia che determina lo stile del testo va posto come sottotitolo.
Lo shi è invece la vera e propria poesia. Le sueregole sono molto piú rigide di quelle del ci.
Lo shi presenta tre varianti: il lüshi, il jueju e il pailü.
Le posie lüshi sono tutte composte di otto versi che sono o tutti pentasillabi o tutti eptasillabi.
Il jueju è una strofa di quattro versi.
Il pailü una strofa di piú d otto versi.
Nel lüshi i versi pari devono rimare tra di loro, tra il terzo e il quarto verso e tra il quinto e il sesto deve esseci parallelismo e in tutti i versi la cesura cade dopo la quarta sillaba. La poesia cinese, a differenza della lingua corrente che ne ha quattro, possiede solo due toni: ping e ze. Ping corrisponde al primo e secondo tono della lingua normale e ze al terzo e quarto. Nei versi ping e ze devono altenarsi nelle sillabe pari: se la seconda sillabe è ze, la quarta sará ping. L'ultima sillaba nei versi che rimano dovrá essere ping.
Il jueju è come un lüshi di quattro versi che possono essere i primi quattro, gli ultimi quattro o i quattro intermedi. Il venticinque per cento delle poesie dell'era Tang sono jueju.

genseki

martedì, giugno 02, 2009

Poesia sul cinghiale

Attraverso il sevizio shyni stat ho scoperto che le parole digitate in google che piú frequentemente aprono la strada fino a questo remoto blog sono:

"Poesia sul cinghiale"

In questa poesia sul cinghiale
Non c'è proprio nessun cinghiale
Non ci sono nemmeno le idee
Che permetterebbero di afferrarne
Uno
Per le setole
E trascinarlo su e giú per tutta la rete
La ragnatela, insomma,
Come se lo meriterebbe.
Guardate bene, o segugi di google!
Guardate bene!
Di cinghiali non ce ne sono
Nemmeno di nascosti dietro le t o nell'anello
Delle O
È un abbaglio
Orsú andate da un'altra parte
A caccia.

genseki

Hyperborea

Nichita Stanescu

Cotinua la traduzione delle elegie del poeta romeno Nichita Stanescu (per leggere le altre elegie basta cliccare su "Omaggio alla Romania" in etichette).

Ottava elegia
Iperborea

Così ella poi mi disse osservando le cose fisse
Della mia costiuzione:
"Vorrei fuggire a Iperborea
E vivo partorirti
Come cerva sulla neve
Mentre corre e geme
Con lunghe grida appese alle stelle
Nella notte.

Noi, nel freddo e nel ghiaccio
Mi spoglieró
Mi tufferó in acqua. anima indifesa,
Che adotta quale suo limite gli esseri marini.

Come crescerá l'oceano, sicuro, quanto crescerá!
Crescerá tanto che ogni sua molecola
Sará come l'occhio di un cervo
No, di piú, come una balena.

Mi tufferó in quell'acqua bella gonfia
Urtandomi con paeaggi browniani
Muovendomi, come una spora disperata,
A zigzag tra i colpi
Delle grandi molecole fredde
Figlie di Ercole.

Senza poter annegare, senza
Poter camminare e nemmeno volare
Solo zigzag e poi ancora zigzag
Imparentandomi con la felce,
Per un destino di spora...

Deh! Fuggiamo a Iperborea
A partorirti vivo
Bramendo, correndo spezzettata dagli affilati angoli
Del cielo violaceo
Sul ghiaccio che si crepa in Iceberg
Perduti sotto il cielo viola.

trad. genseki

lunedì, giugno 01, 2009

Conjuration des Espangnols contre la République de Venise, et des Gracques Escrito por Saint-Réal (César Vichard), M. l'abbé de Saint-Réal

Conjuration des Espangnols contre la République de Venise, et des Gracques Escrito por Saint-Réal (César Vichard), M. l'abbé de Saint-Réal: "DES ESPAGNOLS CONTRE LA RÉPUBLIQUE DE VENISE En iGi8 J_JE différent de Paul V et de la république de Veuise ayant été terminé par la France eu conservant au saint siege l houneur qui lui est dû et aux Vénitiens la gloire qu ils méritoient il n y avoit que les Espagnols qui eussent sujet de s en plaindre Comme ils s étoient déclarés pour le pape et qu ils lui avoient offert de soumettre les Véuitiens par les armes ils furent irrités de ce qu il avoit presque t raité sans leur participation mais ayant pénétré le CONJURATION "

La congiura degli spagnoli contro Venezia

Questa è la terza parte della traduzione dello splenddo testo dell'abate di Saint-Rëal. (Per leggere le altre parti basta cliccare su Saint-Réal in etichette).

In ogni modo, a partire da allora, non ci fu piú nessuna deliberazione del senato ce restasse segreta per l'ambasciatore spagnolo; egli era informato di tutte le risoluzioni che vi si prendevano e i generali dell'Arciduca conoscevano quelle relative alla guerra molto prima che quelli della Repubblica avessero l'ordine di eseguirle. Con queste conoscenze, quello che ora serviva all'ambaciatore per avere successo ella sua impresa era un numero considerevole di soldati; siccome in Lombardia vi era una potente armata spagnola, egli non temeva che gli venissero a mancare gli uomini, posto che a Milano vi fosse un governatore capace di pensare come lui. Il marchese d'Inojosa che lo era allora aveva legami troppo stretti con il duca di Savoia per essere adatto, egli aveva appena firmato il trattato di Asti, in cui la Francia e Venezia erano stati mediatori tra lui e questo principe. L'ambasciatore, che sapeva che questi negoziati non erano visti di buon occhio in Ispagna e scrisse affinché fosse richiamato chiedendo, nello stesso tempo a Don Pedro di oledo, marchese d Villafranca, suo intimo amico, di brigare per il governatorato di Milano, Don Pedro ebbe l'rdine di partire immediatamente per andara e prendere il posto d'Inojosa, verso la fine del 1615. E, non appena giunto a Milano avverti venezia per il tramite del marchese di Lara. L'ambasciatore comunicó il suo progetto al Lara nel modo che giudicó il piú adeguato perché fosse accettato, e lo incaricó principalmente di sapere se il nuovo governatore sarebbe stato in grado di inviargle milecinquecento uomni dei migliori quando fosse giunto il momento. Don Pedro, affascinato dalla grandezza dell'impresa decise di assecondarla per quanto fosse nelle sue possibilitá, senza esporsi a certa rovina se fosse fallita. Invió una seconda vola il lara a Venezia per assicurare l'ambasciatore della sua compiacenza pregandolo di tener conto del fatto che non aveva senso inviare gli uomini che egli domandava senza avergli scelti attentamente; ché se fossero morti, egli sarebbe stato colpevole di avere esposto a un pericolo tanto grave i piú valorosi soldato del suo esercito. Egli gli avrebbe certo dato il maggior numero di uomini possibile e cosí ben scelti che avrebbe risposto di loro come di se stsso.
Nulla era più importante per i disegni dell'ambasciatore che di impedire qualsiasi possibilitá di accordo. Per questo spinse il marchese di lara e avanzare proposte di pace assolutamente irragionevoli da parte del governatore di Milano. Il senato rispose indignato, come previsto e ruppe ogni negoziato. Don Pedro da parte sua no ¡n tralasció nulla per rendere ancora piú acide le relazioni. Il duca di Mantova era poco propenso a concedere il perdono ai propri sudditi ribelli, come promesso in seguito al trattato di Asti; lo incoraggiarono a essere ostinat,o e a continuare le esecuzioni di questi che egli aveva già cominciato. Si avanzarono proposte al duca di Savoia per rendere esecutivo questo trattato, ben sapendo che egli le avrebbe rifiutate visto che ci si rifiutava di deporre le armi dopo che lo avesse fatto lui cn il preteto della guerra del Friuli in cui la Spagna non poteva dispensarsi dal prendere parte senza perdere l'onore. L'armata veneziano aveva passato l'Isonzo e assediava Gradisca, capitale degli stati dell'Arciduca. Il consiglio di Spagna che sulle prime parve indifferente, vedendo che si voleva spogliare quel principe minacció di prendere partito. In quel tempo finiva il disaccordo nella casa d'Austria tra il ramo spagnolo e quello tedesco, che durava dai tempi del figli e del fratello di carlo V per la successione dell'Impero. L'interesse degli spagnoli per questa guerra fu il primo segno di questa iconciliazione.

trad. genseki

venerdì, maggio 29, 2009

Il ritornello

Solo quando la canzone
Stava per finire si rese conto
Dell'importanza ignorata del ritornello
Con la rima in -illo
E tutte quelle altre consonanti liquide
Che facevano pensare a una corrente
Che si allontana per poi riapparire

L'attesa costituiva la sostanza
Di tutta la lunga canzone
L'attesa della conferma della sola
persistenza

Quella del ritorno

genseki

Quando la musica

Quando la muica suonava
Non erano piú luoghi che sognava
Né eventi
Si lasciava consumare dalla vita
Come il cuore di un girasole
Dalle api
In un fracasso di elitre
Quando la musica suonava
Non erano piú amori che sognava
O passi di danza
Anche quelli si erano spenti
Sul pavimento di un'altra stanza.


genseki

giovedì, maggio 28, 2009

Amore e desiderio

Io che portai da natura un temperamento meno che tiepido, dovetti forse a questa circcostanza di andare esente dal disordine che deriva nel nostro stato morale dalla precocitá dei sensi. Per quanto mi ricordo, le battaglie dell'anima si svegliarono in me prima di quelle della carne; ed appresi per foruna ad amare prima che a desiderare.

Le Confessioni d'un ottuagenario
Ippolito Nievo

Curiosa confessione questa che rovescia l'ordine desiderio amore. Confessione che da la misura di una soliutudine incolmabile, di un isolamento doloroso. Amore è il nome che Nievo sembra dare alla solitudine
genseki

mercoledì, maggio 27, 2009

Luis Garcia Montero

Il primo giorno di vacanza

Io nuotavo nel mare della sera
proprio il monento
In cui la luce fluttua come brace
Di un incendio alla resa
E nell'acqua bruciano le domande
I silenzi piú strani.

Avevo deciso di nuotare fino alla boa
Rossa, quella che si naconde come il sole
Dietro le barche.

Lontanissimo dalla riva,
Solitario, perduto nel crepuscolo,
Mi addentravo nel mare
Sentendo l'inquietudine commuovermi
Come all'entrare in un poema
O in una notte d'amore sconosciuto.

Poi la vidi venire in mezzo all'acqua
Una signora anziana
D'una bellezza stanca
I capelli bianchi raccolti,
Si avvicinó nuotando
Con bracciate serene
Come se provenisse dall'orizzonte.

Al passarmi davanti
Per un momeno mi fissó negli occhi:
Non sono qui per te
Tu non sei quello.

Mi risvegliai coi rumori del mercato
Il rombo di una moto
Disperata correndo per la via.
Era mezza mattina
Sereno il cielo come bandiera viva
All'albero d'agosto.
Scesi al caffé per fare colazione
Osservare il passeggio della gente,
Il mare d'olio
I corpi sotto il sole.
Sul quotidiano
Il nome dell'affogato non era il mio.

lunedì, maggio 25, 2009

Straccioni

Il gelo
sopporto
che fammi torto
.

La canzon del Balurdo


Dai sistematevi che ci si scalda! Ci manca solo che vi mettiate a montare il fuoco. -- Che strano, le gambe adesso mi formicolano.

-L'una! - tramontana bella secca! – ma lo sapete voi, gattacci spellacchiati perché la luna è tanto chiara? è che ci bruciano le corna dei becchi, ci bruciano.

- Come è rossa la brace torbiera!
Come danza la fiamma azzurra sui tizzoni!
Ehi chi è la lingera che ha picchiato la baldracca?

C'ho il naso gelato! - C'ho le chiappe arrostite! - Che ci vedi nel fuoco Ciupiglia? - - Una alabarda. - E tu, Giampollo? - Un occhio.

Largo, largo a M. de la Chosserie! - Eccovi ben bene impellicciato e inguantato per l'inverno, Signo procuratore!
- Eh, giá i bei micioni non c'hanno i geloni!

Ah eccoli qua i signori birri! Gli stivali vi van fumando! - E i bricconi maramaldi?
Due li abbiamo stesi d'una archibugiata, gli altri son fuggiti di la dal fiume.

Così si incanaglivano a un fuoco di sterpaglie, due straccioni, un procuratore del parlamento che se en andava per bordelli con due birraccii che raccontavano senza scoppiare a ridere le imprese di loro sconquassati archibugi.

A. Bertrand
Gaspard de la Nuit
trad. genseki

domenica, maggio 24, 2009

Stampede

Furono le sue parole
Che decisero di smascherarlo
Stanche come erano di essere ripetute
Sulle pagine di quei testi -Poesie?-
Da uno che avrebbe potuto essere un glorioso vagabondo
Un alcolizzato immaginario
Un distillatore di depressione
Un alchimista degli influssi neutrali
Un cercatore di gioielli
Nelle profonditá delle scollature delle dame
Specialmente quando andavano di moda
I nei artificiali
Che doveva essere un bel problema piazzarli
Proprio li dove sarebbero stati davvero seducenti
E questo punto variava da cicisbeo a cisisbeo
E da abate a stalliere.
E digitate digitate digitate
Digitate senza costrutto
Infinitamente
Dopo che il disgraziato aveva aperto la bottiglia
dell'indecenza
E lasciava che evaporassero tutti i freni
Inibitori
dell'opprtunitá
E sfregava l'ipotalamo come se fosse di pomice
Furono le sue parole
Proprio loro a perderlo
A denunciarlo mentre piangeva
A esporlo alla gogna
A condannarlo al taglio di un testicolo
Una volta fuggite dal recinto
In uno stampede gallinaceo
E ora sta li a capo chino
In ginocchio tra questi mulinelli di piume
e le trombette di carnevale
Sta li senza parole
Sognando lo zucchero filato.

genseki

venerdì, maggio 22, 2009

Yoyo

Piú non ci incontreremo in questa primavera
Quando la prima volta ho visto i biancospini
Spogliarsi nei calanchi e latte di letizia
Stillarti dai capezzoli
Fazzoletto di miele a stringere i capelli
Neri ala di corvo io fumavo gauloise
Lo yoyo che giocavo nella mano sinistra
Piú non vuol risalire lungo il filo del tempo
La collana di lune sgranate in riva al Tanaro
La dono alla madonna che ride tra le mele

genseki

Variazioni su di un tema di Rimbaud III

Variazioni su un tema di Rimbaud III

L'indigestione del lupo
Aveva lascoato tracce
Ovunque nell'orto
La barbabietola aspettava di essere raccolta
con la maggiorana
E muggiva di dolore mogio
Le piume del pollame volavano tra i carciofi
E i piselli si ostinavano a tessere da parola
A parola la loro croccante catena di perline
Il lupo aveva sognato palle da bowling
Quella notte
un brodo rugginoso che colava dalle foglie del
Cardo
Con il loro caratteristico odore di pneumatici
Bruciati
Che ti restava tra le dita
Il lupo pensava di avere una palla da bowling
Nella pancia

E continuava a sputare piume
E la corona di spine madida di sangue
Si inclinava fino a sforargli l'orbita
Dell'occhio sinistro
Nel festno bimillenario della passione

genseki

giovedì, maggio 21, 2009

L'amore sbocciava intorno a noi

L'amore sbocciava intorno a noi
Si schiudeva, germinava, cresceva
Brontolava di clorofilla e linfa
S'intrecciava agli altri tronchi
Con un tale slancio vegetale
Che mi mettevo a brucare
A gattoni in questo ribollire di pollini
E il sole finiva per scaldarmi la schiena
E adormentarmi nell'odore verde
Del letame e dei fichi lasciati
A imputridire nello zolfo

mercoledì, maggio 20, 2009

La neve degli ultimi inverni

La neve degli ultimi inverni
Cadeva sporca di sangue
Le estati come vecchi tappeti
Restavano arrotolate in un angolo
Il nostro teatro stentoreo
Taceva tra il latte e le stelle
Alle fronti solo era fresca
La terra fradicia delle zolle.

genseki

Elitre e altra sete

Ratte sfibrano le elitre
I raggi taglienti del palmizio
la sua geometria che segnala
Il vertice al linguaggio delle api
La terra si impregna di sale
Di sodio va ardendo in polveri
Di calce di iodio
I fiori dell'aglio alieni
Trasmettono l'uno all'altro
Il codice segreto della sete.

genseki

martedì, maggio 19, 2009

MARIO BENEDETTI II

Mario Benedetti

Mario Benedetti godeva di una larga popolaritá qui in Spagna dove rappesentava quello che in Italia ha rappresentato Prévert e in misura minore Ferlinghetti, una poesia realmente popolare e di alta qualitá letteraria. Una poesia come uno spazio messo a disposizioe della societá per riflettere e abbandonarsi un momento alla molteplicitá che davvero la realtá è in grado di offrire.

Una poesia colloquiale e ricca di elenchi e di liste.

Una poesia cocciutamente convinta della dignitá deñña parola, di ogni parola e delle parole di tutti.

La morte lo ha finalmente reso quello che era, differente e semplice, la morte che scolpisce per sempre l'individualitá sullo sfondo della sua definitiva impossibilitá.

genseki


Mario Benedetti


Imbarazzato panegirico della morte


La giornalista mi chiese
Se credessi nell'aldilá
Gli dissi di no
E lei mi domandó
Se questo non mi angustiava
E io le dissi di si


Ma che comunque forse
Certe volte la vita
Causa angoscia maggiore
Della morte


Perché le vessazioni
O anche solo i caprici
Finiscono per metterci
In compartimenti stagni


Ci separano gli odi
Le discriminazioni
I conti correnti
Il colore della pelle
L'affermazione o il rifiuto
Di Dio.


Invece la morte
Non fa distinzioni
Ci mette tutti nello stesso sacco
Ricchi e poveri
Sudditi e re
Miserabil e potenti
Indiani e visi pallidi
Iberici e immigrati
Credenti e agnostici


Riconosciamo che la morte fa sempre
Una giusta distribuzione del nulla
Senza plusvalore nè offerte nè domande
Egualitaria e equanime
Si occupa di ogni vemiciattolo
Secondo le sue necessitá
Neutra e equanime
Accoglie con la stessa disponobilita zelante
I cadaveri sontuosi di estrema destra
E i periti di inedia


La morte è eccletica, pluralista sociale
Distributiva, incorrutibile
E continuerá ad esserlo
A meno che a qualcun
Non venga in mente di privatizzarla.


Mario Benedetti

Inventario II

Trad genseki

lunedì, maggio 18, 2009

Né io né padrone

Che i discepoli non abbiano dubbi:
I loro corpi sono formati da quattro elementi, che non hanno "io" e che non hanno padrone. Essi sanno cosí che questo corpo non ha né "io" né padrone. Il loro spirito è formato da cinque aggregati, che non hano né io né padrone. Essi sanno in questo modo che il loro proprio spirito individule non ha né io né padrone. I sei organi di senso e le sei coscienze nascono e muoiono secondo il modo in cui si associano e per loro vae quanto detto sopra. Poiché queste diciotto sfere psicosensoriali sono vuote tutto è vuoto e solo esiste il nostro spirito fondamentale la cui purzza scaturisce per sempre.

Ci sono due modi di nutrirsi: uno si relaziona con la coscienza ordinaria e l'altro con la saggezza. I morsi della fame sono affezioni ordinarie del corpo composto di quattro elementi, cui si rimedia in modo adeguato, senza desiderio e senza attaccamnto. Questo è il modo di nutrirsi proprio della saggezza. Le preferenze di gusti basati sui capricci, la discriminazione erronea, la ricerca esclusiva el piacere senza mai la minima soddisfazione o il minimo distacco, ecco quella che merita il nome di alimentazione propria della coscienza ordinaria.

Gli uditori giungono all'illuminazione grazie al suono della voce e per questo son detti uditori, essi peró non comprendono il proprio spirito e teorizzano sulla dottrina che la voce esprime.
Grazie a parole magiche, a segni propizi o a movimenti essi apprendono che vi é un Risveglio, un Nirvana e per tre incalcolabili kalpa si esercitano sul cammino di una completa buddhitá. Tutto questo dipende dallla via degli uditori e produce Buddha del livello degli uditori.
Basta tuttavia comprendere direttamente e istantaneamente che il proprio spirito è sempre stato il Buddha per non dover piú trovare nemmeno la piú piccola realtá né doversi piú esercitare nella minima pratica e questa è la via superiore che mena al Buddha dell'autentica quidditá.

Huangpo
trad. a cura di genseki

giovedì, maggio 14, 2009

Limone e artemisia

Fu nella radura tra limoni e jacarandá
Che mi venne raccontando la sua storia
- Sai, quella del Nilo, del cesto di vimini
Della sposa venduta sul mercato dal marito mutilato -.
Quanto duró la sua confessione?
Giorni o settimane?
Mi parlò dei fratelli della purezza
Della panchina ove al vespero il Profeta soleva sedere
Con Fatima.

Bevemmo limone e artemisia

Come soli alimenti del nostro cuore
Nudo

Intorno nel frattempo, poco a poco,
Tutte le cose si adagiavano in pace
Nei loro simboli.


genseki

Storia della calligrafia cinese

Calligrafia dell'Imperatore Taizong


L'Imperatore Taizong dei Tang

Storia della calligrafia cinese

Taizong

Taizong nacque nel 568 e fu imperatore tra il 626 e il 649. Calligrafo eccezionaleè una personalitá centrale nella cultura cinese classica. Creó nella sua corte la carica di Calligrafo Ufficiale e onoró con premi i calligrafi di talento delle cui opere veniva a conoscenza. Svolse un'attivitá intensa sforzandosi di fare della calligrafia un patrimonio "nazionale".Il suo regno segna il passaggio ella calligrafia da arte popolae, una forma di artigianato rafinato al mondo dell'arte ufficialmente riconosciuta.
Effettivamente il Posto di Calligrafo Ufficiale che in cinese antico suona piuttosto "Letterato Calligrafo" inseriva la calligrafia all'interno del sistema dei valori confuciani secondo i quali si organizzava la vita culturale, amministrativa e religiosa dell'Impero.Esisteva una accademia imperiale di Letterai consacrati agli studi confuciani. questa accademia si chiamava "Bosco di pennelli". Fu creata durante la dinastia Tang e restó aperta fino all0avvento della repubblica nel 1911. La sua importanza era tale che disponeva della protezione di un Dio particolare Wenchang. Questo Dio corripondeva a una costellazione la cui minore o maggiore brillantezza era segno del fiorire o del decadere della letteratura. Al dio Wenchang si rivolgevano i canidati ai concorsi pubblici. Wenchang era accompagnato dal Dio Zhuyi patrono dei candidati impreparati e dal Dio Kuixing signore ella graduatorie. La creazione del posto di "Letterato Calligrafo" sognificava quindi permettere l'accesso alle piú alte cariche dello stato per mezzo dello studio e della pratica di questa disciplina e quindi attribuirle un ruolo centrale nella societá e nell'educazione.
Dell'Imperatore Taizong ci è giunta una sola opera, cioè una copia a inchiostro di una strofa del Wen Quan Ming tratta da una stle nel 648 che dimostra una straordinaria aderenza ai principi ortodosi dell'arte e una grande eleganza.
genseki

mercoledì, maggio 13, 2009

Variazioni su di un tema di Rimbaud II

I corvi sono incisi sulla valle
Dove mancano i pioppi, oggi,
E fioriscono gli agrumi
Dalla fiaschetta dorata
Sorseggio il distillato di artemisia
In memoria dei miei giorni morti
Delle radure sconosciute
Degli squarci di azzurro tra i faggi
Sotto l'erba correva allora l'acqua
Bianca come ogni sostanza seminale
Come ogni acqua materna
E i corvi sapevano dove li avevano nascosti
I cadaveri dei giorni
Proprio nei punti dove i boschi si gonfiavano
Come ascessi
E la pioggia era un'illuminazione cristallina
Pioggia di aghi allora sollevava
l profumi acuti del rosmarino
Solo i corvi lo sapevano
Dove dovevo scavare
Ubriaco di artemisia nella cunetta
Stanco, stanco del sole.

genseki

martedì, maggio 12, 2009

Gilles de Rais

Le pagine dell'investgazione continuano, si accumulano, rivelano centinaia di nomi, narrano il dolore delle madri che interrogano i passanti sulle strade, le grida delle famiglie nelle case da cui sono rapiti i bambini non appena si allontanano per zappare il campo e seminare la canapa. Queste frai ritornano desolate alla fine di ogni deposizione: “si vedono lamentarsi dolorosamente”, “si odono molti lamenti”. Ovunque si stabiliscano i macelli di Gilles le donne piangono. Il popolo terrorizzato racconta dapprima che fate melvage disperdono la sua prole. poco a poco, spaventosi sospetti cominciano a sorgere. Quando il Maresciallo si sposta, da Tiffauges a Champtocé, da Suze a Nantes, lascia dietro di sé una scia di lacrime. Attraversa una landa e, l'indomani, spariscono alcuni bambini. Fremendo il contadino constata anche che ovunque sono apparsi Prelati, Roger de Bricqueville, Gilles de Sillé, tutti gli intimi del Maresciallo, i bambini sono scomparsi. Infine, con orrore nota che una vecchietta, Perrine Martin, errra grigiovestita, il viso coperto da un velo nero come Gilles de Sillé, avvicina i bamini e le sue parole sono seducenti e il suo volto così attraente quando solleva il velo che tutti la seguono fino al margine del bosco ove attendono uomini che li portano via imbavagliati nei sacchi. Il popolo spaventato chiama questa fornitrice di carne, questa orchessa, la Meffraye come un rapace.

Questi emissari giravano per borghi e villaggi alla cacia del bambino agli ordini del Grande Cacciatore, il Signore di Bricqueville. Non contento di questi battitori, Gilles si metteva alle finestre del castello e quando qualche giovane mendico, attirato dalla fama delle sue liberalitá domandava l'elemosina, egli lo valutava con uno sguardo, faceva salire quelli la cui fisionomia lo incitava allo stupro e li gettava in una secreta fino a quando, affamato non esigesse il suo pasto carnale.

Quanti bambini sgozzó dopo averli violentati? Egli stesso lo ignorava. aveva commeso tanti stupri e tanti omicidi! I testi del tempo parlano di settecento ottocento vittime, ma questo numero è insufficiente, sembra inesatto. Regioni intere furono devastate; i casinali di Tiffauges non avevano piú bambini, a Suze non c'erano piú maschietti; a Champtocé tutto il fondo di una torre era pieno di cadaveri; un testimone citato nell'strutoria Guillaume Hylairet dichiara anche: “aveva udito dire che aveva trovato in quel castello una condotta piena di bambini morti”.

Ancora oggi persistono tracce di quei delitti. Comunque Gilles confesó spaventosi olocausti che i suoi amici confermarono con tuti gli spaventosi dettagli. Al tramonto quando i loro sensi sono come staffilati dal succo potente delle cacce, infiammati da bevande ardenti e speziate, Gilles e i suoi amici si ritirano in una camera lontana el castello. Qui i bambini prigionieri nelle fosse sono condotti, denudati, imbavagliati; il Maresciallo li palpa e li viola, poi li squarta a colpi di daga, si diverte a smembrarli pezzo a pezzo. Altre volte apre loro il petto e beve l'alito dei polmoni; apre loro il vente, lo fiuta, allarga la ferita con le mani e vi si siede dentro. Allora mentre si macera nel fango umido delle tiepide interiora guarda sopra la sua spalla per contemplare le supreme convulsioni degli ultimi spasimi. Lui stesso ha detto: “Ero piú contento di godere delle torture, delle lacrime, del terrore e del sangue che di tutti gli altri piaceri”.

lunedì, maggio 11, 2009

Non si cerca lo spirito con lo spirito

Quando le persone ordinarie odono parlare del metodo della trasmissione dello spirito di tutti i Buddha, essi affermano che otre queto spirito un metodo che puó essere attestato, afferrato. Si mettono in cammino, allora, con il loro spirito alla ricerca di un tale metodo, non sapendo che proprio questo spirito è il metodo e che il metodo è lo spirito. Non si puó cercare un altro spirito con lo spirito. Se si provasse per migliaia e migliaia di kalpa, in fin dei conti non si troverebbe prorio nulla.
La cosa migliore è entrare senza ambagi nel non-spirito, tale è, infatti, il metodo fondamentale. È come quel valoroso che ha perduto la perla che adorna la sua fronte. La cerca ovunque e mai non la trova finché un saggio gliela mostra ed egli si rende conto che si trova proprio tra le sue spracciglia dove, del resto, era sempre stata.
I discepoli dunque hanno perduto il loro spirito fondamentale, non vi trovano il Buddha che cercano altrove, si dedicano a pratiche meritorie, e, seguendo il cammino della testimonianza progressiva erseguon per interi kalpa il loro obiettivo e non raggiungono mai il fine della Via.
Quanto meglio sarebbe per loro se si attenessero direttamente al non-spirito!
Quando si sa con certezza ce in fondo nulla esiste, che non c'è nulla su cui appoggiarsi con ferma stabilitá, che non vi é soggetto, né oggetto, ecco allora che cessa di agitarsi qualunque pensiero erroneo si ottiene il Riveglio. Quando viene il momento di testimoniare la Via si testimonia solo il proprio spirito Buddha fondamentale. Kalpa interi di meriti non sono che pratiche vane. Quando il valoroo ritrova la sua perla ció che ritrova era la perla che era sempre restata sulla sua fronte e non il frutto di una ricerca ardente rivolta all'esterno.
Per questo il Buddha dice: "Nel supremo Risveglio ciò che ho trovato è nulla." Tuttavia nel timore di non essere considerato credibile, egli parla di ció che vedono i cinque occhi e di ció che dicono i cinque tipi di dicorso: la realtá non è un semplice vuoto. Tale è la veritá assoluta.
trad. geneki

Huerta

Variazioni su di un tema di Rimbaud

invano aspettarono che si aprisse
tra l'intrico delle varie ramificazioni
Dei piselli e dei fagioli
Minacciata dai carciofi e dalla sventura
Dell'orizzonte, la soglia della clorofilla
Rugginosa e ribollente
Ancora piú primordiale del latte
Il cui ricordo pur persisteva
Nella loro menti da prima che fosero di carne
E anche il vecchio lupo era un ricordo
Un ricordo spelacchiato di paure infantili
Abbandonato come un peluche adolescente
Sotto le foglie del cavolo che sapevano di burro
Svolazzavano nell'aria, non piume, no.
Piuttosto residui del festino del sole
Laggiù con le ultime stelle stanche.

genseki

Gloomy Sunday III

Diamanda Galas - Gloomy Sunday II

Gloomy sunday

Triste domenica

Triste domenica di fiori bianchi
Orna l'altare una folle speranza
In cui si prostra lo spirito lasso
Mentre la bocca non cessa l'appello
In sogno spegnesi l'occaso estivo
Stanco del sogno di vana attesa

Triste domenica!

Tu non comprendi l'angustia orribile
Di questa attesa senza vederti
Ti prego affrettati or devo andare
Lo vedi! Muio folle d'affanno
Ah se tu fossi bianco sudario
Che copra infine l'ultima ora.

Triste destino!

Amato
Presso la bara di fiori adorna
Sta il sacerdote e a lui sussurro:
amo ed attendo.

Senza timore fissa i miei occhi
Aperti e morti a te rivolti
Con le tue dita li devi chiudere
E solo allora potró dormire
Suon le campane or devo andare.

Triste domenica!

È giunta l'ora che debbo partire
Stringerti voglio nell'ultimo viaggio
Ma dentro sento che non verrai
A visitarmi domenica, amato
Che nella tomba t'ho da aspettare.

genseki

Triste destino!

venerdì, maggio 08, 2009

Quelli che ascoltano Brückner

Quelli che ascoltano Brückner
Sanno che il volo dei falchi
Ê un manuale di architettura gotica
Non tracciano rotte aeree
Delineano guglie intuiscono
Volte vertiginose, grotte luminose
In quello che resta di cielo.

Quelli che ascoltano Brückner
Sanno che il volo delle allodole
Ê un cuore, è sistole e diastole
Ê piccola spugna di sangue prezioso
Brivido giacinto allo scoppio del motore.

Quelli che acoltano Brücner
Ascoltano spesso i quartetti
Con il loro intimismo un po' legnoso
Ma tenero
E la cascata di luci e di rose astrologiche
Della Sinfonia n. IX
E sanno che sotto la scorza del carrubo
Si cela una carne rosa come recente ferita.

Quelli che ascoltano Brükner
Sanno riconoscere le frane di luce
Da piccole variazioni purpuree
Dei fiori dell'aloe
E notano le corna di un cervo
Nel palmizio del loro passato.

Quelli che acoltano Brückner
Sanno che le oasi sono verticali
Al desiderio
E che un adagio congeda momenti
Isolandoli nel tempo come gesti sospesi.

genseki

Il talismano

Molto a lungo ho giocato con i talismani. Sapevo quasi meccanicamente trasformare qualsiasi oggetto in un talismano ma non ero cosciente della pericolsitá di questa capacitá. Un talismano è una cosa, una cosa qualsiasi della vita quotidiana che si carica della possibilitá di asicurarci della nostra esistenza, della nostra continuitá temporale. Talismani sono i testimoni essenziali del fatto che siamo vissuti e che siamo vissuti come noi stessi, con una certa coerenza nella sucessione.
Per me collezionare significava collezionare talismani. Per questo non ha mai avuto senso la completezza di una collezione. Il significato di una collezione era nel fatto che ogni suo singolo elemento mi riconduceva ad una atmosfera, ad una luce, ad una persona, una stagione, un sentimento, una speranza. Insomma la collezione era una reificazione della vita e la completezza della vita non si dà in vita.
Certo la rassicurazione della propria continuitá nel passato era anche e soprattutto una rassicurazione della propria continuitá anche nel futuro. Una garanzia contro il morso stritolatore e nullificante delle dure mascelle della morte.
Anche per questo i talismani erano carichi di nulla. Tutto il nulla dell'eternitá, precariamente contenuto e stabilizzato ma pronto ad esplodere a frantumare il suo guscio se l'oggetto era usato incautamente.
Il nulla è i tuorlo del'uovo talismanico.
In vecchiaia ho perduto questa capacitá ma continuo ad accumulare potenziali talismani in fondo agli armadi, in una cpace borsa di forte plastica che comprai nel tempio taoista della Nuvola Bianca di Pechino.
genseki

mercoledì, maggio 06, 2009

Tra due mondi

nel viaggio il tempo si muta in spazio e lo spazio in tempo, o qualche cosa del genere, insegna la logica della dialettica. nel viaggio io quasi non vivo, mi sospendo, mi procrastino, aspetto di ritrovarmi dopo essermi abbandonato come un bagaglio ingombrante e di poco valore in una stazione da cui i treni posson solo partire.
Quel viaggio mi condusse dalla carnalitá del maggio sanguinoso alla fredda nebbiolina di un aprile apeninnico. Era un viaggio esattamente al confine tra la vita e la morte. Ma anche i confini, le linee, le soglie e i limiti hanno un dentro e un fuori rispetto a se stessi, naturalmente, e non a quanto delmitano. Mi trovavo piuttosto dentro, cioè verso il lato della morte, dal quale osservare la via come un'abitudine.
Fu certo una specie di caso che finissi per incontrare L. ad un casello autostradale che é l'equivalente moderno di un quadrivio sacro al Dio Messaggero, sotto una pioggia furiosa. La invitai a un caffé lassú oltre il bosco nebbioso e spoglio che tardava ad aprirsi al rigoglio stagionale fino all'umido santuario inevitabilmente grotta.
La cameriera era un giovane travestito alla soglia di una trasformazione forse radicale, non ancora nemmeno crisalide il cui culo magro stretto in un paio di pantaloni floreali suscitava in me forsennati e dolenti desideri carnali.
Figura sospesa tra due mondi di cui uno pareva pura negazione.
Un angelo bianco piú gonfio di una porcheria di Botero presideva al nostro malinconico rito.
Ma lei era per me sempre la raggiante.
La regina del bosco che lo ignora e si ignora perduta nel suo sogno di tetti e cortili.

genseki

martedì, maggio 05, 2009

Olav H. Hauge - Tid å hausta inn

Poesia e natura sono due facce della stessa marginalità, di un'unico tramonto.
Il tramonto del tipo di uomo che poteva leggere l'una attraverso l'altra.
genseki

Olav Hauge

Ho trovato queste poesie di Olav Hauge sulla rivista Poesia. Poesia è una rivista vocazionalmente melancolica. Ha qualche cosa di depresso. La poesia di Hauge é di una belleza frastgliata, marginale, lontana, inutile come quello che resta della natura, forse solo geologica nel mondo dell'umano pienamente alienato.
A questo umano corrisponde la malinconia e l'erosione dei volti corrugati e dei fiordi, che esprimono contemporaneament acquiescenza e riservato rifiuto.


Olav Hauge

Ogni giorno

Le grandi tempeste
Le hai alle tue spalle
Non domandavi un tempo
Perché esistevi,
Da dove venivi o dove stessi andando,
Eri soltanto nella tempesta,
ri nel fuoco
Ma si può anche vivere
Nella vita di ogni giorno
Il grigio calmo giorno
Piantare patate, rastrellare foglie
E raccogliere rametti,
Ci sono tante cose a cui pensare al momento,
A tutto non basta la vita di un uomo.
Dopo il lavoro puoi arrostire il maiale
E leggere poesie cinesi
Il vecchio Laerte tagliava i rovi
E rincalzava il fico
E lasciava gli erosi combattere a Troia

*

La falce

Sono tanto veccio
Da non lasciare la falce,
Cantare sommessa nell'erba,
E i pensieri possono correre.
Non fa nemmeno male,
Dice l'erba,
Cadere sotto la falce.

*

Da Dio all'Io

In questa lettera giovanile di Schelling a Hegel il programma dell'idealismo espresso con noncurante stringatezza mostra subito il suo carattere mitologico e narrativo.
È il resoconto riassuntivo del viaggio da Dio all'Io. Ovvero Dio che si fa Io. E Io che ritorna Dio dpo aver attraversato la Valle della ragion pratica.
Dio e Io sono qui due volti dello stesso assoluto che come io è ancora piú lontano che come Dio.
Dio si spoglia della personalitá per diventare un Io assoluto, assolutamente impersonale
genseki



Schelling a Hegel

Lettera sull'immortalitá dell'anima e su Dio

Per noi, ormai non esistono piú i concetti ortodossi di Dio... Noi arriviamo molto oltre l'essere personale . Ecco sono andato trasformandomi in uno spinozista! Non stupirti! Preso saprai in che senso: per Spinoza il mondo (l'oggetto semplicemente opposto al soggetto) era tutto, per me è l'Io. La differenza piú propria tra la filosofia critica e la dogmatica m par risiedere nel fatto che quella conidera l'Io assoluto (ancora non condizionato da nessun oggetto) come punto di partenza, e questa, invece, l'oggetto asoluto avvero il Nn-Io. Quest'ultima, portata alle conseguenze estreme porta al sistema di Spinoza e la prima a quello di Kant. La filosofia debe partire dall'incondizionato. Ma allora sorge la domanda. Dove stanno le radici dell'incondizionato?, nell'Io o nel Non-Io. Una volta risolta questa domanda, tutto il resto si risolve da sé. Per me il principio supremo della filsofia è l'Io puro e assoluto, cioè l'Io in quanto è solo e soltanto Io non ancora condizionato dagli oggetti, ma posto dalla libertá. L'alfa e l'omega della filosofia è la libertá. L'Io assoluto comprende una sfera infinita dell'essere assoluto nella quale si formano sfere finite che si originano per limitazione della sfera assoluta per mezzo di un oggetto (sfere dell'esistere-filosofia teoretica). In queste sfere vi é pura condizionaltá e ció che è incondizionato produce contradizioni. Noi peró dobbiamo abbattere le barriere, cioé, dobbiamo passare dalla sfera finita a quella ininita (filosofia pratica). Questa, per tanto esige la distruzione della finitezza e in questo modo ci conduce al mondo soprasensibile. “ Ció che era impossibile per la ragione teoretica in quanto debilitata dall'oggetto, o fa la ragion pratica”. Solo che in questo mondo possiamo incontrare soltanto il nostro Io assoluto, dato che solo esso ha descritto la sfera infinita. Per noi non vi è altro mondo soprasensibile che quello dell'Io assoluto, l'Io in quanto ha annochilato tutto l'ambito del teoretico, e che la filosofia teoretica è = 0. La peronalitá sorge con l'unitá della coscienza. Ma la coscienza non è possibile senza oggetto; nonstante, per Dio, cioè per l'Io assoluto, non vi è nessun ogetto, perch'altrimenti non sarebbe piú assoluto. Conseguentemente non vi è un Dio personale, e la nostra masima aspirazione è la distruzione della nostra personalitá e il pasaggio alla sfera dell'essere che, tuttavia non sará mai posible. Da qui la conclusione che è possibile solo un avvicinamento pratico all'Assoluto e da li all'immortalitá.

Lettera di Schelling a Hegel del 4 Febbraio 1795
trad genseki

lunedì, maggio 04, 2009

I due giudei

Vecchi sposi
Vecchi gelosi
Chiudete i chiavistelli
A prova di grimaldelli

(Canzon del povero diavolo)


Due giudei che si erano venuti a fermare proprio sotto la mia finestra contavano misteriosamente sulla punta delle dita le ore – ahi quanto lente! - della notte.


  • Avete denaro con voi Maestro? - chiese il piú giovane all'anziano che conversava con lui.

  • Ti par che questa borsa sia un sonaglio per allietare un infante?


Quand'ecco che un fiotto di folla si scaraventó con strepito fuori dai borghi circostanti e le loro grida si frantumaron contro i miei vetri come i confetti di una cerbottana.


Erano i barbetti che gioiosamente correvano verso la piazza del mercato da dove provenivano scintille di paglia e un certo odor d'arrosto.


  • Trallalla lalla, mi inchino alla Luna mia Signora! - Per di qua masnada dello Zoppo! Due giudei fuori di caa durante il coprifuoco!- Ammazzali! Ammazzali! Agli ebrei il di , alle lingere la notte.-


Le campane fesse strepitavano lassù dai campanili di Sant'Eustachio il gotico: - Dindon dan, dindon dan! -


Aloysius Bertrand

trad. genseki

venerdì, maggio 01, 2009

Marsilio Ficino

Ardenter amat amantem

Preferibilmente Egli rapisce colui che piú ardentemente lo ama. Con ardore ama chi lo ama. Tal benigno rapitore da te altro non vuole che tu sia sia felice d'essere da Lui rapito e questo come olui che mai potrebbe voler tal cosa da te se prima Egli stesso non l'avesse voluta. Similmente la luna non brillerebbe verso il sole se il sole prima non l'avesse illuminata e tu non potresti amare quell'amore se non fossi stato reso amante e capace di amare dall'amore stesso che t'infiamma. Non puoi afferrarlo se non come il luogo che ti contiene. Puoi, infatti contenere cose finite anche innumerevoli. Delle infinite non puoi contenerne nessuna se non ne sei contenuto. In modo simile l'immagine dello specchio non riflette il volto se prima il volto in lei non si fissa. Così anche quando sembra che tu contempli quel volto in realtá sei da Esso contemplato. Similmente atto e movimento non misurano il tempo per noi se non fosse il tempo che costituisce la misura delle stesse; l'anima non puó se non come Colui che la contempla, e non giudica se non come divinamente giudicata.

Ficino
De Raptu Paoli
Trad. genseki

Ardenter amat amantem

Rapit ille prae ceteris quem amat ardentius. Ardenter amat amantes. Non vult benignissumus ille raptor abs te aliud, quae feliciter rapiaris ab ipso, nisi ut vel mediocriter velis rapi: sed hoc numquam velles, nisi ille ante vouluisset. Quemadmodum Luna non refulget in Solem nisi a Sole prius non accensa, sic illum non amas amorem, nisi amore ipso te amante atque efficiente fueris inflammatus. Hunc rursus non invocas, nisi prius te vocantem, non apprehendis eum sicuti nec locum nis comprehendentem. Finita quidem ut plurimum capere potes etiam si ab illi non capiaris; infinito vero capere nihil aliud est quam capi. Et quemadmodum imago in speculo non respicit vultum videtur aspicere, nihil hoc aliud est quam aspici hanc a vultu; rursus quemadmodum actio motusque non metiuntur nobis tempus nisi tempus revera haec ipsa dimetiatur; sic anima neque respicit Dum nisi prius ipsam aspicientem nisi diiudicantem.

Marsilius Ficinus
De raptu paoli

martedì, aprile 28, 2009

Congiura egli spagnoli contro Venezia II

Siccome non ci sono petesti tnanto plausibili come la guerra per gravare il popolo, quella degli Uscocchi dava ai nobili che la conducevano un bella occasione per arrichirsi. Questa guerra costava troppo: non c'era solo il denaro che andava al Piemonte, si dovette anche mantenere una terza armata in Lombardia contro il governatore di Milano che minacciava sempre di fare qualche diversione a favore del'arciduca. La giustizia della causa della Repubblica rendeva i comandanti sempre piú arditi nell'inventare nuove vessazioni, e non rendeva affatto il popolo piú paziente nel sopportarle. Le cose giunsero a un punto che il marchese di Bedmar poté ragionevolmente pensare che il rivolgimento che egli meditava sarebbe stato tanto gradito al popolo quanto funesto ai grandi. E persino tra i grandi vi era chi non amava il governo. Erano i partigiani della corte romana. Gli uni, ed erano la maggioranza, ambiziosi e vendicativi, erano irritati del fatto che la Repubblica era stata governata contro il loro parere durante il conflitto con Roma. Erano disposti a tutto per deporre l'autoritá; e avrebbero contemplato con gioia le sventure dello stato come consegienze di una condotta che essi non avevno approvato. Altri, semplici e rozzi, volevano essere piú cattolici del papa, come questo avava ammorbidito e sue pretese nel compromesso, avevan immaginato che fosse stato obbligato a farlo per politica; e che se fosse restata qualche rstrizione mentale si poteva temere che la scomunica restasse nella testa di sua santitá. Tra questi vi erano alcuni senatori tanto poveri di beni come di spirito, che servirono molto in seguito ai piani del marchese di Bedmar, dopo che egli li ebbe persuasi, a forza di benefici che dopo questo fatti non si poteva piú essere veneziani a posto con la coscienza.
Per quanto fose strettamente proibito ai nobili di frequico di entare gli stranieri, aveva trovato il modo di stringere forti vincoli con i piú disagiato e con i piú scontenti. Se essi avevano qualche parente prossimo in convento, qualche cortigiana, o qualche ecclesiastico di fiducia, comprava la conoscenza di queste persone a qualsiasi prezzo e faceva loro regali che erano di grande valore pur essendo curiositá di paesi esotici. queste liberalitá fatte snza necessitá apparente fecero pensare a quelli che le ricevevano che potevano attirarsene altre pi'considerevoli. Con questo obiettivo, essi soddisfecero completamente la sua curiosit'su tutto quello di cui egli volle informarsi ed ebbero cura di informarsi su quelle cosedi cui non erano direttamente a conoscenza; siccome la sua riconoscenza superava le loro speranze, non ebbero riposo prima di aver introdotto i loro padroni inquesto affare.. Bisogna creder che la necessitá ne fu causa, e che questi nobili non poterono vedere senza invidia persone, del tutto dipendenti da loro, diventate piú riche di loro per dei regali che erano fatti per onorare proprio loro.
Saint-Réal
trad. genseki

lunedì, aprile 27, 2009

Filosofia della Natura

Che cosa resta di vivo nella filosofia della natura di Hegel?
Certamente la forza del linguaggio, la sorpresa esatta di un'immagine:

"Le stelle possiedono la puntualitá di permanere nell'astratta identitá della luce"

Hegel Werke t VII

Settima elegia

Opzione per il reale

Vivo nel nome delle foglie, possiedo nervature
Passo dal verde al giallo e
Mi lascio morire nell'autunno.
Nel nome della pietra vivo e permetto
Che mi si colpisca cubicamente sulle strade
percorse da automobili veloci.
Vivo nel nome delle mele, possiedo
Sei piccoli semi sputati tra i denti
Dalla fanciulla che ha perduto la ragione
Tra pigre danze di ebonite
Nel nome del mattone io vivo
Con polsini di calce, rigidi
Ad ogni mano, abbracciando
Un possibile tuorlo di esistenza
Sacro non lo saró mai. Molta
Troppa è la mia immaginazione
Di altre forme concrete
Per questo ho così poco tempo per pensare
Alla mia stessa vita.
Eccomi. Vivo in nome dei cavalli
Nitrisco, sotto gli alberi potati.
Vivo nel nome degli uccelli,
Ma soprattutto del volo.
Credo di avere le ali, però
Nessuno le vede. Tutto per il volo
Tutto
Non appoggiare ció che c'è giá
su ciò che ci sará.

Allungo una mano che per dita
Ha altre cinque mani, che
Per dita hanno cinque altre mani, che
Per dita
Hanno cinque mani.

Tutto per abbracciare
Minuziosamente, tutto,
Per palpare paesaggi non nati
Per graffiarli a sangue
Con una presenza.

Nichita Stanescu
trad. genseki

giovedì, aprile 23, 2009

Stilmous

Vecchia talpa

A volte questo Spirito non si manifesta, piuttosto si muove "sous-terre", come dicono i francesi. Amleto dice allo spettro che lo chiama repentinamente prima da un lato e poi dall'altro: "mi sembri una talpa molto vispa". Effetivamnte, lo Spirito scava sotto terra, molte volte, come una talpa, completando cosí la sua opera.. Tuttavia laddove il principio della libertá alza la testa, si manifesta una inquietudine, una agitazione verso l'esterno, una creaione dell'oggetto, e in essa o spirito deve consumare la sua forza.
Hegel Opera Filosofia della storia.

Eccola, finalmente, la vecchia talpa di cui tanto si è detto, letto e scritto fare capolino proprio nel suo momento originario, Questo passo della Filosofia della Storia conserva chiaramente ancora il suo carattere orale, il sapore di una conversazione tra il professore e gli alunni con un tono disteso e elegante cui accenna Gramci in una nota dei quaderni che ora mi è difficile rintracciare. La citazione di Shakespeare in un ambiente in cui il romanticismo è senso comune è piegata attarverso un gioco di parole ad un senso speculativo. La vecchia talpa avrebbe potuto forse aspirare ad assurgere al rango di una delle grandi figure del pensiero hegeliano, come che so: Servo padrone o Antigone? Forse no.Tuttavia questo passo è una buon spaccato del processo con cui Hegel elaborava le sue figure, le scolpiva traendole da dove capitava e impastandole di dialettica Chi ne fece una figura speculativ di grane successo fu invece Marx che proruppe nella fragorosa esclamazione: "ben scavato, vecchia talpa!". anche la frase di mar tradisce, senza dubbio la sua natura colloquiale e testimonia della esca dimestichezza sua col pensiero e la personalitá di Hegel che ancora nn era materiale per eruditi e professori.
Attraverso la vecchia talpa il comunismo riconsce come in uno specchio il suo volto in quello dello Spirito Assoluto. Il movimento necessario oscilla tra lo sviluppo delle forze produttive e la dialettica dell'alienazione e del disvelamento. Certo con questa figura Marx dimostra di essere piú prossimo al panlogicismo che al messianismo giudaico che da molti incauti gli si è voluto caricare sulle robuste spalle.
genseki

mercoledì, aprile 22, 2009

Sull'amore coniugale

Hic tecum, hic, coniunx, vita fruenda mihi est,
Otia si capian animum quid mollius umbra,
Fundit quam multa populus alba coma,
Quam platanus platanoque decens intersita laurus
Et quae tan raro citrus honore viret?
Sin labor, ut teneras hortis diponere plantas;
Ut iuva virentes carpere mane rosas
Aut tenuem e foliis Laribus pinxisse coronam
Et suae tritilicae serta parare deae,
Nunc legere arbuteos fetus montanaque fraga
Aureaque in calathis mala referre novis
Nunc agere incautas in retia carca volucre
Mille moos placidi rura laboris habent!
...
Hic tecum, coniunx, vita frunda mihi est:
Ista semana nos fata manent. Mors usque vagatur
Improba, vis mortem fallere? Vive tibi

Pontanus

De amore coniugali

mercoledì, aprile 08, 2009

Pasqua 2009

Ció che noi oggi chiamiamo la religione di Cristo, giá esisteva tra gli antichi e non è mai venuta a mancare dall'origine del genere umano fino al momento n cui Cristo si incarnó, epoca a partire dalla quale, la vera religione che giá esisteva cominció a essere chiamata Religione Cristiana.

Agostino
Confesiones I, 13
trad. genseki

Nikita Stanescu

Dice No solo chi comprende il Si

Prima elegia

Dedicata a Ddedalo
Della famosa stirpe degli artigiani
Dei dedaliani


Comincia e finisce in se stesso
Nessun'aura lo annuncia, nessuna
Cometa lo segue.

Nulla spunta fuori da esso
Per questo non ha volto
Non ha forma
Simile a sfera
Un grande corpo
Avvolto da una pelle sottile.

Ha ancora meno pelle, tuttavia,
Di una sfera.
È la perfezione dell'interiore,
Non ha margine
Pur essendo ben delimitato.

Non lo segna la storia
Dei suoi movimenti
Come le orme dei ferri seguono
I cavalli.

Non ha presente
ma è difficile immaginare
In che modo non lo abbia

Completamente interno
Dentro il punto stesso
Piú concentrato ancora che in un punto.

Non urta nulla
Nulla lo ostacola
Non ha parti esteriori
Con cui urtare.

Avvolto in esso,
Qui, io dormo.

Tutto l'opposto d tutto
Non si oppone
Non nega
Dice No solo colui
Che comprende il Si
Chi tutto conosce
Nel No e nel Si ha le foglie strappate.

Eppure non dormo solo io qui
Con me dorme la serie di coloro
Il cui nome io porto,
La serie degli uomini mi abita
una spalla. La serie delle donne l'altra.

Ma non possono nemmeno penetrarvi. Soo
Piume invisibili

Agita le ali - qui -
Nella perfezione dell'interiore
Che in sé comincia e
In sé finisce.

Da nulla annunziato
Nessuna cometa lo segue.

*

Seconda Elegia

Getica

Nella cavitádi ogni tronco viveva un Dio

Se in qualche pietra si apriva una crepa
Ecco che subito vi collocavano un Dio.

Bastava che un ponte crollasse
Perché al suo posto mettessero un Dio

O che nella strade apparisse un fosso
Per collocarvi un Dio.

Non farti tagli alle mani o ai piedi
Per nessuna ragione,
Ci metterebbeo dentro un Dio
Come ovunque,
Un Dio da rispettare che protegga
Tutto quanto da noi si separa.


Lottatore, attento a non perdere un occhio
Porteranno un Dio e lo inseriranno nel'orbita
E le nostre anime rabbrividendo lo glorificheranno
E anche tu obbligherai la tua anima
A rendergli gloria.

Trad genseki