lunedì, gennaio 28, 2008

Ruh e nafs


La dialettica di nafs e ruh è fondamentale nella metafisica e nella spiritualitá islamiche. I brani che seguono sono parti di un'analisi della nafs, della ruh e del loro ruolo nel sufismo mistico condotta da Abdelmuninn Aya, che mi pare essere, oggi, uno dei filosofi più liberi e interessanti del pensiero neo-andalusì.
I concetti di nafs e ruh hanno corrispetivi scolastici: intellectus agens, intellectus possibilis e possono essere utilmente posti a confronto con la coppia dialettica intelletto/ragione in Hegel. Una mappa della analogie e delle differenze debe essere ancora tracciata
genseki

La ruh è il soffio di vita nell'uomo, appartiene ad Allah ma vivica l'uomo mentre dura la sua esistenza temporale in lui. In quanto ruh non giunge mai a far parte dell'uomo. È come la pioggia che cade dal cielo e feconda la terra al suo passaggio, ma che quando è tempo evapora di nuovo senza portare con sè la terra che ha irrigato.
Che funzione compie la ruh? Animare gli esseri viventi. Tutti. La ruh è la vita. L'uomo confonde la presenza di questa ruh dentro di sè e crede che il lui abiti Allah. La ruh, tuttavia non è Allah, e non sará mai proprietá dell'individuo, bensì da Allah viene ad Allah fa ritorno. ... Tu vivi grazie alla ruh, peró la ruh non è parte di te; ti muovi, vivi e i sviluppi grazie ad essa, ma non puoi dire la mia ruh come, invece, puoi dire la mia nafs. Con ragione puoi dire che la tua nafs è tua perchè essa muore con te; l'uomo non si divide in ruh, nafs e corpo, bensì è solo un corpo attivato dalla ruh di Allah e che in funzione delle proprie necessitá materiali va forgiando la propria nafs.
Il sentimento di se stessa che ha ogni creatura, e che nell'Islam si chiama nafs non è una invenzione perversa della natura.
(...) In realtá non ci sono “invenzioni perverse” nella natura. La nafs è la maniera di organizzare l'esistenza in modo che ogni cosa badi a se stessa- Quando un shaij consiglia qualcuno di far scomparire la propria nafs, in realtá gli sta chiedenso di dare compimento alla necessitá della sua natura di estendere i limiti del suo “io” -quello che lo proccupa, che ama, per cui morirebbe – tanto lontano quanto gli paia possibile. Perché la vita altruistica di quelli che vivono per gli altri non è altro che un “io” grande come tutta la societá, e portato ancora piú avanti, non è altro che identificare la propria nafs con l'unitá fondamentale della natura – che chiamiamo Allah – è l'unione mistica. Il mistico non è l'uomo che, arrivato a un certo punto della sua vita, abbia cominciato a distruggere il proprio “io” come falso e veicolo di tutti gli errori e di tutti i vizi.
In primo luogo, che l'uomo abbia coscienza di se non è falso e non è erroneo che l'uomo creda nella realtá della sua nafs, come la foglia di un albero non si sbaglierebbe se avesse coscienza di essere una foglia. La nafs non è una struttura illusoria della realtá. Questa è la differenza tra l'induismo e l'Islam. La foglia è altrettanto reale dell'albero di cui fa parte. Questo non vuo dire che la foglia pensante che abbiamo posto come esempio non abbia una comprensione di se stessa piú ampia, una comprensione completa, nel tutto in cui si trova. L'albero, peró, non è più vero della foglia. Di piú, ancora, l'albero è reale perché sono reali le sue foglie, le sue radici, i suoi rami de i suoi fiori. Ció che ci porta a considerare l'Uno e il Molteplice, Allahu Ahad e le sue manifestazioni nell'esistenza, come punti di vista differenti nel considerare il reale. In secondo luogo, gli errori e persino le cattiverie che comette la creatura non sono da attribuirsi alla sua nafs. Il danno che, con questi atti, la creatura fa a se stessa non è causato dal fatto che l'uomo obbedisce agli impulsi della sua nafs ma perché confonde ciò che gli giova con ciò che lo pregiudica. La funzione della nafs non è sapere ció che conviene alla creatura, per questo essa ha un cuore, è conseguire per la creatura ció ch'essa pensa le convenga. Per questo un uomo con un cuore sano che obbedisca alla sua nafs non si sbaglierá.
...
Ciò che esiste – la manifestazione di Allah – si organizza mediante la divisione in individualitá, ciascuna delle quali si occupa di preservare la sua parcella di esistenza. Il mistico non fa eccezione. Non cerca di destrutturare l'esistente per mezzo di quella specie di boicottaggio ontologico che è l'abolizione del proprio io. Al contrario il mistico è l'espressione piú alta della legge di Allah nella natura.
Il cui compito dalla cellula fino all'uomo è di estendere l' “io” tanto quanto possibile. L'obiettivo del mistico è il tawhid che non è un pensiero o una credenza ma una missione: rendere l'uno possibile. La missione del mistico consiste nell'essere parte dell'esistenza che , ritornando continuamente verso Allah realizza la coscienza dell'unitá del tutto. La sua missione è essere gli occhi di Allah e le sue orecchie, e le sue mani come ci ricorda lo hadith qudsi.
Fondamentalmente il mistico non è qualcuno che abbia distrutto il proprio “io”, la sua unitá come essere vivente, ma al contrario: con il contatto con Allah la creatura diventa piú sana, piú allegra, piú forte e maggiormente capace di amore sociale, famigliare, ecologico e dell'amore del propro corpo
Il mistico è l'uomo perfetto in quanto è la massima espressione di ció che organizza l'esistente: l'io che distingue un essere dall'altro e che differenziando le parti dal tutto lo rende possibile. Senza comprendere l'io non si puó comprendere la Natura e neppure intuire che siamo in Allah.
Si dice spesso che il mistico è colui che cerca, risalendo a ritroso il cammino percorso, di distruggere la nafs costruita da quando era bambino fino all'etá adulta, di ritornare all'innocenza. Ma il mistico non distrugge nulla. Chi sente la forte pulsione di ritornare a Allah si costituisce in quel punto della natura dove la nafs non si trattiene nei limiti del “mio” ma prosegue oltre, fino all'unitá che ingloba il cosmo intero.
Infatti tutte le espressione di nafs sono mezzi differenti con cui l'individuo protegge quello che esiste. Protegge se stesso, la sua famiglia, la sua societá e rende possibile il tawhid.

Le citazioni qui sopra sono tratte da:
“Opuscolo contro l'anima” di Abdelmuninn Aya.
Trad genseki

mercoledì, gennaio 23, 2008

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Islam e politica

Il brano che segue è tratto dal terzo volume delle memorie del poeta e monaco benedettino del Nicaragua Ernesto Cardenal. Sono uno degli approcci possibili all'Islam da un punto di vista cristano e rivoluzionario. Tratta del valore della vita e della morte, dell'amore e della guerra e certamente apre una breccia di comprensione che nessuno poi si é curato di ampliare.
genseki

Iran
Ho incontrato un mistico che pare non essere tale (forse è uno di quei sufi che, ho letto, fanno credere di non essere religiosi per essere tenuti in poca stima) e è anche un rivoluzionario che è stato molto torturato. Gli ho chiesto delle cause immediate dell'insurrezione. Egli mi ha parlato di cose non cosí immediate (rimontó a molti secoli prima) che peró mi hanno spiegato molte cose relative a questa rivoluzione. Mi disse che in primo luogo devo tener conto del fatto che la dottrina del perdono e dell'amore per i nemici che ci fu insegnata da Gesú non è una dottrina islamica. La guerra santa, invece, è uno dei pilastri dell'Islam. “Nell'Islam il lider religioso debe essere un uomo di orazione, un mistico e anche una persona del cambio sociale e della guerra santa, Anche il leader politico debe essere un mistico. (Penso che questo lo insegna anche la Bibbia anche se il papa ha dichiarato a Puebla che il sacerdote non debe mettersi in politica). Mi disse anche. “Un leader religioso cattivo che agisca male in politica può far molti danni e en ha fatti in passato. Nella religione musulmana il diritto non è qualche cosa che si riceve, ma che si conquista. Nell'Islam la morte è qualche cosa che si desidera, che si anela. Ma non la morte nel proprio letto. La morte la si ambisce, però è la morte per difendere le strutture della Vita. ... E la guerra santa è per questo. Khomeini la dichiaró; ma non volle dichiararla per tutto l'Iran perché così si sarebbero lanciati a morire trentacinque millioni, ma solo per Teheran. L'esercito aveva anticipato il coprifuoco, quel giorno doveva essere alle quattro e mezza invece che alle sei. Chiunque uscisse in strada dopo quell'ora doveva essere ucciso. Khomeini ordinó che a Teheran tutto il mondo uscisse in strada dopo quell'ora, dopo il coprifuoco. E tutti uscirono, molti con il sudario nel quale sarebbero stati sepolto sotto i vestiti, e molti dopo essersi lavati, perchè qui i morti li si lava. E fu allora che cadde lo Sha.”
Terminò dicendo: “la morte per i musulmani, quando è in queste condizioni è come seminare un seme”.
Restai con il pensiero che dovevano esserci molti mistici travestiti, sufi, tra quelli che stavano facendo quella rivoluzione.

Ernesto Cardenal
La revolución perdida
trad genseki

domenica, gennaio 20, 2008

Beethoven Grosse Fuge pt-1

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Fronesis

Una descrizione dettagliata della virtú della Prudenza si trova nella “Summa Teologica di Tomaso d'Aquino, Secunda secundae quaestiones 50-51”.

Le righe che seguono ne sono un tentativo goffo e confuso di riesposizione. Il discorso e la riflessione sulle virtú sono scomparsi dal nostro orizzonte culturale.
L'azione degli uomini, oggi, non è orientata ad esse e non è orientata da esse, bensí dalla cieca contingenza.
Per questo è così forte l'impressione che le nostre azioni manchino quasi totalmente di libertá, per questo il mondo ci appare come una rete di sentieri tracciati, di binari fissi, di percorsi obbligati.
Le virtù, spesso, rappresentate nelle pedanti allegorie medioevali nelle forme vaghe di possenti e mature vergini dai gesti maestosi de eleganti, definivano lo spazio di una possibile libertá, indicavano il cammino della scelta e del significato.
Per questo puó essere utile, oggi, come forma di nostalgia, ritornare a contemplarle, anche se da lontano, anche se per poco, anche se in modo inadeguato.
La prudenza

La prudenza è la virtú che i greci chiamavano Fronesis e che Agostino ha descritto così: “Amore che sceglie con sagacitá tra le cose che lo favoriscono e quelle che gli si oppongono”.
La prudenza
non è amore secondo l'essenza, si dice che la prudenza è amore, in quanto è l'amore quello che ci spinge alla prudenza nei nostri atti.
La prudenza ci permette di ordinare secondo l'utilitá o il danno le cose che stiamo per fare. La prudenza, peró non consiste solo nella valutazione bensì anche nell'applicazione del risultato della valutazione ai nostri atti.
Quindi non si tratta solo di una qualitá dell'inteletto come l'arte ma comporta l'applicazione nell'azione concreta.
La prudenza è sapienza applicata alle cose umane, peró non è in alcun modo sapienza assoluta, in quanto non si occupa del bene piú alto, ma appunto dell'uomo che non è il meglio di quanto esiste.

Le parti della prudenza

Secondo Tomaso la prudenza consta di otto parti integrali: memoria, intelligenza sagacitá (che i greci chiamavano eustochia), ragione e docilitá che appartengono alla prudenza considerata come virtú conoscitiva; previsione, precauzione e circospezione che corrispondono alla prudenza come virtú precettiva, cioè che applica la conoscenza alla pratica.
Oltre alle parti integrali la prudenza possiede tre parti potenziali, ovvero tre virtú coadiuvanti che non coincidono totalmente con essa ma che ad essa sono indispenzabili.

Queste virtú sono:

Eubulia
Synesis
Gnome

La Eubulia è la virtù di dare buoni consigli. La parola “Eubulia” è una parola greca, presente nell'”Etica Nicomachea” è composta dalle parole greche “eu” che significa buono e “boule” che significa consiglio. Si tratta dell'arte, della capacità di dare buoni consigli agli altri de a se stessi. In quanto arte di consigliare bene Eubulia richiede non solo la capacitá di escogitare consigli che siano adeguati al proprio fine, al fine che si propongono, ma deve tener conto, soppesare anche molte altre circostanze, come, per esempio, che i tempi del consiglio siano quelli giusti , un consiglio non deve arrivare troppo presto, e neppure troppo tardi; o la maniera di proporre il consiglio che può essere, per esempio, più o meno ferma, piú o meno dolce e cosí via.

La Sinesi è la virtù che permette di giudicare rettamente. La Sinesi è una virtú di un grado superiore alla Eubulia come il giudizio è superiore al consiglio. La Sinesi comporta il retto giudizio non relativamente alle cose che sono oggetto di speculazione ma alle cose particolari concrete oggetto dell'azione, si tratta. Insomma, di una forma di buon senso. Il retto giudizio, secondo Tomaso consiste nel fatto che la forza conoscitiva comprende la cosa, la afferra, così come essa è in se stessa. Proprio come fa lo specchio, che se ben orientato riproduce le forme dei corpi proprio come sono. Se lo specchio é mal orientato, invece, le immagini che si formano sono brutte o deformi. La virtú conoscitiva é ben disposta quando la si esercita molto,oppure per dono della grazia.
Il giudizio dei malvagi puó essere retto nell'ambito delle cose generiche ma è sempre corrotto nel particolare.
Così i malvagi nopn hanno possibilitá di esercitare la Sinesi.

La Gnome è l'ultima delle virtú potenziali della Prudenza
Così come la sapienza, nella speculazione si occupa di principi piú alti che la scienza e per questo si distingue da essa, la stessa cosa accade nella pratica. Ovvero ci sono atti che devono essere giudicati senza riferimento ai principi comuni, alle regole abituali, ma in base a principi e a regole più elevate di quelli che determinano il giudizio secondo la sinesi. Questi principi e queste regole piú alti richiedono una virtú giudicativa anch'essa più alta che si chiama gnome.
La sinesi è sufficiente per giudicare tutte quelle cose che dipendono dalle regole comuni, ma per quello che sfugge alle regole comuni é necessaria la gnome.
Tutte le cose che stanno al di sopra o al di la del corso comune possono essere giudicate soltanto dalla provvidenza divina, tuttavia tra gli uomini, chi sia piú perspicace puó giudicare molte di esse in ragione dei loro propri principi. E questo è il caso della gnome che comporta proprio questo tipo di perspicacia.
Genseki
01:41:4720/01/08

martedì, gennaio 15, 2008

Rapsodia sul tema di Antigone


Come figlia, la donna deve veder disparire i genitori con commozione naturale e con calma etica; ché solo a costo di questa relazione essa giunge all'esser-per-sé, di cui è capace; intuisce dunque nei genitori il suo esser-per-sé, ma non in guisa positiva. Ma le relazioni di madre e di moglie hanno la singolarità, da una parte, come qualcosa di naturale appartenente al piacere, d'altra parte come qualcosa di negativo, che ivi scorge solo il suo dileguare; e d'altra parte ancora appunto per ciò quella singolarità è un alcunché di accidentale che può venire sostituito da un'altra. Poiché dunque a tale comportamento della moglie è mista la singolarità, l'eticità di esso non è pura; ma in quanto l'eticità è tale, singolarità è indifferente, e la moglie è priva del momento del riconoscersi come questo Sé nell'altro.

(Hegel, Fenomenologia dello spirito)


Canto del riflesso

Mio limpido specchio - pensò quel giorno
salendo per l'ultima volta sull'autobus -
vado alla città del dolore ma è mattina
di gran sole oggi d'illusione di erbe profumate
di tutte le estati vissute di corse nei campi
di risate nella gola. Mio specchio mio riflesso
di giovinezza quando correvi veloce
quando poi allungavi come i miei i capelli
e quasi m'invidiavi il canto.
Lo so - diceva - è inutile l'agire
dispendio senza misura e senza approdo.
Come se in lei premessero generazioni
sconosciute. Una cripta segreta, mio specchio,
una immensa spaventevole folla
ho al posto del cuore, una nebbia.
Anche tu, infine, sei andato.
Chiudiamo allora questo assedio - pensò -
diamo oblio a queste schiere di non dimenticati
a questi resti mai inceneriti.
Così - dice - guardai nei giorni che restavano
il verde dei campi, il verde più di tutto
mancherà a questi occhi,
e il mutare della luce nelle ore
come l'alba arrivava lentamente
come alla sera si spegnevano sui volti i colori.
E notti intere ho vegliato per contare
ancora una volta i minuti nel silenzio
e portare nella mente come di lontano
i gridi si rispondono di animali spaventati eccitati
come le cose si richiamano nel buio
assicurandosi così del loro esistere.
Confine. Invidiabile licenza.
Lei non più tra i vivi, non ancora tra i sepolti
ma accesa, come se il vasto mondo
la prendesse nel suo sogno
solo allora a lei svelandolo, in dono.
Infine, mio chiaro specchio, ho preso quell'autobus.
Ma prima, nella vetrina del negozio, a lungo ho guardato quelle bellissime
scarpe - erano rosse, erano di vernice
erano come le avevo sempre
sognate

Laura Silvestri

***

Un problema nuovo si presenta, non era chiaro nemmeno a Hegel. Hegel ha lungamente cercato, nella "Fenomenologia dello spirito di articolare" la tragedia della storia umana in termini di conflitto di discorsi. Si è compiaciuto, tra tutte, della tragedia di Antigono, in quanto vi vedeva , l'opposizione piú chiara tra il discorso della famiglia e quello dello stato. Per noi, però, le cose sono molto meno chiare.

...

Goethe corregge, con sicurezza ció che per Hegel rappresenta il tema essenziale, l'opposizione di Creonte ad Antigone come due principi della legge, del discorso. Il conflitto sarebbe legato alle strutture. Geothe mostra al contrario che Creonte, spinto dal suo desiderio, batte la campagna, prendendo di mira il suo nemico Polynice oltre i limitia lui consentiti.

...

Non si tratta di un diritto che si oppone a un diritto, ma di un torto che si oppone - a che? a un'altra cosa che è rappresentata da Antigone. Vi dirò che non si tratta semplicemente della difesa dei sacri diritti del morto e della famiglia.

...

Quando si spiega davanto a Creonte su ciò che ha fatto. Antigone si presenta con un : "è così perchè è così", come la presentificazione dell'individualitá assoluta. In nome di che cosa? E, prima di tutto, sulla base di cosa? Ella dice nettissimamente - Hai fatto le leggi. E di nuovo si elude il senso per tradurre alla lettera - perché in nessun modo Zeus era colui che ha proclamato a me queste cose. - Naturalmente, si comprende quello che vuole dire, e io vi ho sempre detto che è importante che la comprensione non sia fine a se stessa: Non è Zeus che ti da il diritto di dire queste cose. Ma non è quello che lei dice. Ella nega che sia Zeus che gli ha ordinato di fare ció.
ma Antigone conduce al limite il compimento di ció che si puó chiamare il desiderio puro e semplice, il desidrio di morte come tale. Questo desiderio, ella lo incarna.

Pensateci bene, che fine ha fatto il suo desiderio? Non è forse il desiderio dell'Altro, collegarsi al desiderio della madre? Il desidero della madre, il testo vi allude, è all'origine di tutto. Il desiderio della madre è contemporaneamente il desiderio fondante di tutta la struttura, quello che fa venire alla luce questi discendenti unici, Eteocle, Polynice, Antigone, Ismene, ed è al tempo stesso un desiderio criminale.

Lacan
Seminario
Libro VII

a cura di genseki

Jacques Lacan - hacen bien en creer que van a morir.

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Eielson


Ormai tutto si fa rapidamente
La rugiada
Si fabbrica in un minuto
Lo sguardo non è più necesario
Al suo posto
C'è uno schermo
Che sa tutto. Ma non fa niente.
Ci restano sempre le magnolie.
Le cose si metteranno male davvero
Quando sparirá il dolore
O si sintetizzerá la solitudine
Artificiale.

***

Jorge Eduardo Eielson

trad. genseki

lunedì, gennaio 14, 2008

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Haiku

Anno concluso
Pregano rosse foglie
Degli aceri.

*

Bosco intatto.
Fremono al vento i faggi,
Morde la notte.

*

A chi dici addio
Luna lupino,
A chi lo dici?
E chi resta?

*

L'amore inquieto
Delle tue cellule
Morde il cuore.

*

Maresa di Noto

***

Troppo spesso, quasi sempre lo haiku occidentale è ideologia, esotismo, genere, escapismo.
Anche nei massimi poeti come Borges e nei minimi come Sanguineti.
Gli haiku di Maresa, sono carezze, parole d'amore sono tracce di carne paure e lacrime, poi c'è la notte, solo la notte, la notte per sempre o per un solo istante.
Gli haiku di Maresa meriterebbero di essere liberati dal punto finale. Esso è il solo limite al loro farsi istante ad ogni istante.
genseki

giovedì, dicembre 20, 2007

Un antico Budda

Il melo nell’Oceano

Un vecchio mastro, un antico Buddha disse:

In un luogo dell’Oceano, a una profondità infinita, un melo sboccia in una moltitudine di fiori. Chi vuole vederlo e si immerge nell’acqua deve perdere qualche cosa, una scarpa, i capelli o un ricordo.
Più profondamente egli si immerge più cose di se stesso perde ed oblia nell’acqua verde e frusciante come un bosco di faggi.
Per esempio dimentica di respirare.
Eppure respira. E non respira acqua.
Chi giunge a vedere il melo come lui sboccia in fiori di carne e di acqua luminosa.
Come fare a immergersi?
In quel punto dell’Oceano l’acqua è così densa che neppure uno spillo potrebbe penetrarla!
Dimentico anche dello spillo, il drago azzurro vi scompare in un diadema di spruzzi.
Ogni goccia ricadendo diviene un seme.
Ogni seme, sul fondo dell’Oceano, si sviluppa in un albero di melo. Ogni melo fiorisce di fiori preziosi.
E il drago?
Non c’è mai stato.
Così neppure l’albero di mele.
Ogni respiro si fa fiore nella profondità della mente.

genseki

Hui Neng


mercoledì, dicembre 19, 2007

Hui Neng

Il Maestro Konin si era fatto vecchio e voleva sapere quale dei suoi discepoli avrebbe potuto spstituirlo e trasmettere il suo insegnamento. Chiese, perció a tutti i monaci di esprimere la loro comprensione dello zen con un poema. Molti conoscono,ormai, questa storia che è diventata famosa.
Jinshu che era il primo, il piú prossimo dei discepoli compose questo poema:
"Il corpo è l'albero della Bodhi
Lo spirito è uno specchio puro
Senza sosta abbiamo da spolverarlo
Per non permettere che la polvere vi si depositi.


Lo scrisse su di una parete. Tutti quanti ne furono impressionati.



Hui Neng lavorava in cucina. Era stato boscaiolo e non sapeva scrivere. Passando di là, sorpreso dall'asembramento chiese che qualcuno gli leggesse il poema e poi che qualcuno volesse scrivere un suo testo al lato di quello di Jinshu. Eccolo:



Bodhi non è albero
Specchio non v'è
Né nulla consiste
Ove la polvere possa posarsi."



Questo è uno dei testi fondativi del Buddhismo Zen nella versione, che ho liberamente tradotto, data da Raphael Triet in Usui 3 (pag. 44).



Le due poesie rappresentano i due poli della dialettica zen: Attenzione-Abbandono, Concentrazione-Dispersione.

Il testo di Hui Neng (Eno) sembra la negazione puntuale del testo di Jinshu:
Non c'è albero, non c'è specchio, non c'è nemmeno polvere.
A una metafora triadica si contrappone una negazione metaforica triadica.
Hui Neng, tuttavia, chiede ai monaci di scrivere la sua poesia accanto a quella di Jinshu, e lo fa dopo averla lodata.
Non pone il suo testo al posto di quello del rivale nè al di sopra e neppure al di sotto. Bensì accanto.
Inoltre la scelta della negazione puntuale dello schema metaforico del testo di Jinshu fa sì che la poesia di Hui Neng si possa comprendere solo se si conosce quella del suo antagonista. Hui Neng lega il destino del suo testo al destino del testo dell'altro. A tal punto che il testo di Jinshu appare come la chiave per la decifrazione del testo di Hui Neng.
Si tratta del primo movimento di una variazione. Non si intenderebbe Beethoven senza aver prima ascoltato con attenzione Diabelli.
Il secondo movimento è quello che fa dipendere la comprensione del testo di Jinshu da quello di Hui Neng, è la poesia del sesto patriarca che rende possibile lo schiuderi del senso dell'altra.
La variazione musicale è una forma della dialettica, forse la piú alta.
"L'Aufheben" di Hui Neng consiste nel movimento che fa della negazione una variazione, nel movimento che nega l'opposizione nel momento stesso in cui la innalza.
Non è pòssibile Hui Neng senza Jinshu ed è Hui Neng che rende possibile Jinshu e Hui Neng.
genseki

lunedì, dicembre 17, 2007

Manos


Natale 2007

Rivoluzione

***

Una mano
Più un'altra mano
Non son due mani
Son mani unite
Unisci la tua mano
Alle nostre mani
Perché il mondo
No sia in mano di pochi
Ma in tutte le mani.

*

Gonzalo Arango
trad genseki

lunedì, dicembre 10, 2007

The Legend of Suram Fortress

Mi sono ricordato di questo viaggio magico leggendo il bellissimo post di Kelebek sulla poesia di Rustaveli. Da dove viene la bellezza di quella scrittura la sintassi perfetta di queste immagini che decifrano e rappresentano il Mundus Imaginalis nelle sue articolazioni in forma tanto pefetta? Quale grazia le permette di varcare i secoli e di parlarci del bene e del male, del bello e del tutto in una lingua che non possiamo decifrare ma sulla cui perfezione non possiamo non piangere, noi ridotti a cercare i suoni della foresta nei parcheggi dei CARREFOUR di questo mondo.
genseki

martedì, dicembre 04, 2007

Sugli aforismi di Gómez Dávila

Che senso ha essere antimoderno nella Colombia di oggi? Che significa richiamarsi all' "ancien Régime?
Gómez Dávila è un pensatore irreale. Un pensatore che non ha realtá che è stato immaginato da qualcuno o da qualche cosa per essere asslutamente fittizio.
Gli aforismi che ho tradotto nella pagina precedente sono stati scelti in modo del tutto casuale. Il quadro che se ne ricava è quello di un mimetismo sospetto, il mimetismo di qualcuno che non è reale ma che gesticola per sembrare tale. Nel suo gesticolare il buon Gómez assume toni da giansenista, si atteggia a Arnauld o a Nicole, a gran signore nello stile La Rochefoucauld, per ricadere poi nello schema della dialettica decimomonica, quasi senza rendersene conto, come nell'aforisma sulla veritá e la coerenza che è comprensibile solo nel quadrodell'hegelismo. Dell'hegelismo aforismatico, naturalmente.
La "Fenomenologia dello Spirito" non è forse una raccolta di aforismi presentata come un lungo discorso apparente? Se la si legge così è di sicuro meno oscura.
Il buon Gómez gesticola ancora come quegli alcolizzati nelle mattine grige sui viali lungo il grande fiume di qualche capitale e gesticolando dimentica che uno dei principi base del marxismo è che la coscienza di sè può venire ala classe dominata solo dall'esterno, cioè dalla classe dominante: la borghesia. Così i marxisti non solo non occultano di essere borghesi ma adirittura lo teorizzano come necessario.
Gómez smarrito si atteggia ad aristocratico, cattolico e libertino e non si avvede che la figura più prossima a quello che doveva essere un nobile del secolo XVIII è in Colombia il Narcotrafficante e che il modello del Reazionario gomeziano sembra il medesimo Pablo Escobar?
Il filosofo inesistente a fianco del narcotrafficante reale.
Leo Strauss ha stancato i neocon, Adelfi serve loro un altro mito strampalato.

genseki

lunedì, dicembre 03, 2007

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Aforismi colombiani

Nicolás Gómez Dávila


Le perfezioni di coloro che amiamo non sono finzioni dell'amore. Amore, è, al contrario, il privilegio di avvertire una perfezione invisibile agli occhi degli alri.

Degli esseri che amiamo ci basta l'esistenza.

Dio è la sostanza di quello che amiamo.

Se Dio fosse la conclusione di un ragionamento non sentirei la necessitá di adorarlo. Dio, peró non è solo la sostanza di ció che spero, bensì la sostanza di ciò che vivo.

La coerenza di un discorso non prova la sua verità , bensí la sua coerenza. La veritá è la somma di evidenze incoerenti.

La societá del futuro: una schiavitù senza padroni.

Dare una definizione di nobiltá sarebbe impertinente con certi lettori e enigmatico per altri.

La volgaritá consiste nel pretendere di essere ió che non siamo.

Le idee confuse e gli stagni torbidi sembrano profondi.

Necessitiamo che ci contraddicano per affinare le nostre idee.

La prolissitá non è eccesso di parole, bensí scarsezza di idee.

Diciamo egoista colui che non si sacrifica al nostro egoismo.

L'intelligenza da tutto alla mente che sceglie, meno la certezza di essere intelligente.

Eleganza, dignità, nobiltà, sono gli unici valori cui la vita non giunge a mancare di rispetto.

La gente difficilmente comprende che non comprende.

La libertà non è un fine ma un mezzo, chi la prende per un fine non sa che farsene quando la ottiene.

Borgehsia è ogni gruppo di individui scontenti di quello che hanno e soddisfatti di quello che sono.

I marxisti definiscono economicamente la borghesia per occultarci che le appartengono.

Negarsi alla meraviglia è il marchio della bestia.

Non concediamo alle opinioni stupide il piacere di scandalizzarci.

Chi reclama eguaglianza di opportunità finisce per esigere che si penalizi chi é ricco di talenti.

L'antagonismo radicale tra gli uomini si rivela nel modo in cui, parlando del piacere, gli uni si sollevano verso la metafisica e gli altri scivolino verso la filososfia.

La vita è la ghigliottina delle verità.

Gli uomini cambiano meno di idea di quanto le idee non mutino di travestimento. Nel corso dei secoli sono sempre le stesse voci che dialogano.

Solo ci convince pienamente quell'idea che non ha bisogno di argomentazioni per convincerci.

Ogni fine che non sia Dio ci disonora.

Di ció che conta davvero non abbiamo prove, solo testimonianze.

***


Scelta e traduzione a cura di genseki

sabato, dicembre 01, 2007

Omaggio alla Romania

Lucian BLAGA (1895 - 1961)

Le tre etá dell’uomo

Ride il bambino:”Il gioco è per me saggezza e amore”
Il giovin canta:”L’amore è per me gioco e saggezza”
Il vecchio tace: ”Amore e gioco è per me la la saggezza”.

*

Trad. genseki

giovedì, novembre 29, 2007

 
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Omaggio alla Romania

Lucian Blaga

Eraclito sulla riva del lago

Presso le acque verdi crocevia di sentieri.
Vi sono silenzi in questo luogo,
pesanti silenzi abbandonati.
Cane che fiuti il vento con il muso
ora taci!
Non scacciare i ricordi che ritornano
a seppelire quei volti nella cenere
piangendo.

Appoggiato a un tronco leggo il mio destino
nel palmo di una foglia autunnale.

Quando sceglierai, o tempo, il cammino piú corto?
Dove mai ti dirigi?

I miei passi risuonano nell'ombra
come frutti marciti
che cadono da un albero mai visto.
Roca di vecchiaia s'è fatta
la voce della sorgente.

Ogni mano che si leva
è solo dubbio
Gravano dolori
sull'occulto mistero
della terra.

Getto spine dalla riva del lago,
con esse in larghi circoli mi disfo.

trad genseki

martedì, novembre 27, 2007

Omaggio alla Romania I


Tristan Tzara


A una morta

non cessi di avanzare
ai confini della notte
il fuoco si è spenti
là dove declina la pazienza
nemmeno i passi su imprevisti sentieri
possono risvegliare la magia dei fini

braci braci
le ricorda l'amore

nulla che ci distragga da attendere seduti
sulle ginocchia bimbi di calda pienezza
potrei dimenticarlo il suono di quella voce
che contribuisce a spargere luce
oltre la nostra stessa presenza

fragole fragole
per amor di labbra

contenuta come un mare
tutta una vita allacciata
e sui petti innumerevoli d'onde
l'immenso sfregarsi do orsi sfiorati

sogni sogni
dal silenzio di braci

potrei domenticare l'attesa che reca ricompensa
il tempo che si raccogli su se stesso
la luce che scaturisce da ogni parola detta
il lungo abbraccio della persistenza conquistata

linfe linfe
nei ricordi della mia sete

trad genseki

venerdì, novembre 23, 2007

Genova II

anche genova – poi –
finì per tramontare
nel trambusto dei suoi molti satelliti,
tra il folgorío di un codazzo
di comete
e io continuavo lo stesso
a stringere i tuoi occhi
nelle mie mani
in mezzo a tutta quell'erba
quella sabbia di cobalto
e lo sapevo bene,
lo presentivo
che la pornografia
prima o poi ce l'avrebbe fatta
a inchiodare quello che resta
del mio sguardo
a qualcheduno dei suoi molti
schermi

genseki

giovedì, novembre 22, 2007

Elissi

seduto qui
in uno dei due fochi dell'elisse
in uno dei due fochi della vita
seduto qui nella calda luce
nella luce di agrumi della vita
fisso il margine slabbrato
la linea indecisa
tremula di sangue luminoso
trasparente :
la soglia oltre la quale
tutto si rovescia
in altra vita, in luce inversa
in speculum pensa il pensiero
nell'altro foco
mi attende
in quiete
il mio cuore.

genseki

El porvenir


De Veritate


“Si cerchi di comprendere bene il nostro pensiero. Non giochiamo con il paradosso di negare che la scienza debba conoscere la verità, peró nemmeno possiamo dimenticare che la verità è un valore che risponde all'incertezza da cui l'esperienza vissuta dell'uomo si trova fenomenologicamente marcata e che, alla voce spiritualitá gli slanci del mistico, le norme del moralista, l'orientamento dell'asceta e le scoperte del mistagogo appaiono come animati storicamente da una medesima ricerca della veritá”.

*
La veritá nel suo valore specifico rimane estranea all'ordine della scienza: questa può gloriarsi della sua alleanza con la veritá, può gloriarsi della sua alleanza con la verità, puó proporsi come oggetto il suo fenomeno e il suo valore, ma non può identificarla in nessun modo con il suo proprio fine.

*

J Lacan
Oltre il principio di Realtà
trad. genseki
*

Appare in queste righe come in controluce lo sguardo di Hegel. La veritá si frammenta nella psiche, si frantuma nelle vicende delle menti individuali, nella loro concretezza e nella loro finitezza.
Tuttavia non cessa di essere vera: è la verita del delirio e della confabulazione, la veritá della psicosi e degli atti mancati l'ultima lontana frontiera della Razionalità di tutto il reale dalla Fenomenologia dello Spirito fino alla Fenomenologia della Psiche Concreta.
Hegel pare aver indossato un paio di spessi occhiali da sole, come quelli delle spia sovietiche nella pellicole di serie B.

genseki

giovedì, novembre 01, 2007

Esferas

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La Cattedrale V

Il libro della Cattedrale

Lo spazio sacro della cattedrale è anche l'immagine simbolica del Libro, o megli dei libri sacri: l'Antico e il Nuovo Testamento.
Il testo di parole diventa testo di pietra, qui, il Logos diventa edificio e l'edifcio rappresenta a sua volta il corpo morente del Logos incarnato: parole, carne e pietra. Ma il Logos di pietra è simbolicamente femminile, umido, sotterraneo, cupo e lunare.

Come testo la cattedrale può e deve essere letta, bisogna però possedere le chiavi che permettano di accedere alla sua scrittura, conoscere il suo linguaggio e le sue regole.
Tuttavia non c'è dubbio la cattedrale va letta, è fatta per essere letta, è leggibile.


“Ed egli ripensó a questa cripta tiepida di Chartres. Si, non vi era dubbio, come tutti gli edifici dell'epoca romanica, essa simboeggia bene lo spirito dell'Antico testamento, ma non è soltanto cupa e triste, è anche avvolgente e discreta, e così tenera e dolce!E poi, se ammettiamo che essa sia l'immagine in pietra del Vecchio Libro, non lo rappresenta certo nel suo insieme, quanto piuttosto nella scelta speciale, invece, delle grandi oranti che prefigurano la Vergine nelle Scritture. Essa è la traduzione in pietra delle pagine riservate soprattutto alle donne illustri della Bibbia che furono in qualche modo incarnazione profetiche della nuova Eva.

Insomma, disse Durtal, malgrado le contraddizioni di alcuni dei suoi testi la cattedrale é leggibile.
Essa contiene una traduzione dell'Antico e del Nuovo Testamento; innesta inoltre sulle sacre scritture le tradizioni degli apocrifi che riguardano la Vergine e San Giuseppe, le vite dei santi raccolte nella Leggenda Aurea di Jacopo da Voragine e le monografie dei Celicoli della diocesi di Chartres.
La cattedrale è un immenso dizionario della scienza del Medio Evo, su Dio, sulla Vergine e sugli eletti.

*

Il testo di pietra che si trattava di comprendere era, se non difficile da decifrare, almeno imbarazzante per i passaggi interpolati, perl le ripetizioni, per le frasi scomparse oppure troncate; per dirla tutta, anche, per una certa incoerenza che si spiegava, del resto, quando si constatava che l'opera era stata continuata da diversi artisti, da essi alterata in forma o dimensioni, in un lasso di tempo di più di duecento anni.

genseki

mercoledì, ottobre 17, 2007

L'Arcano dello Stupore



"Dico dunque che, passando il mar Maggior, me en andai in Trebisonda, anticamente chiamata Ponto Eusino. Questa terra è molto ben situata de è porto e quasi scala di Persiani, di Medi e di tutti quelli che sono di là dal mare. Qui vidi cosa che molto mi piacque: eravi un uomo qual menava seco più di quattromila pernici, de esso camminava a piedi per terra, e quelle lo seguivano volando per l'aere; e se en aandavano a un certo castello chiamato Zanga, , lontano da Trebisonda tre giornate. Queste pernici erano di tal sorte che volendo il dito uomo riposarsi, tutte, a guisa de polli, intorno a lui si acconciavano; e così le conduceva in Trebisonda, sino al palazzo dell'imperatore, ove egli eleggeva quante ad piacevano, e l'altre menava da novo al loco di dove prima l'aveva tolte".

Odorico da Pordenone
da “Navigazioni e viaggi” di Giovan Battista Ramusio


Con queste parole inizia il resoconto del viaggio in Cina che il Beato Odorico da Pordenone compì dal 1314 al 1330 con propositi di evangelizzazione.
Inizia il viaggio con questa immaggine di meraviglia e di leggerezza: un gregge volante che segue un pastore pedestre.
Ingenua meraviglia e allegra leggerezza, la leggerezza del viaggiatore che affronta l'ignoto che si segue il cammino senza bagaglio e senza beni si riflette in questo confuso frullo di ali.
Il Pastore del gregge Volante è il simbolo della vicenda terrena del Beato Odorico, sotto questo segno, che varrebbe la pena di essere rappresentato in un arcano maggiore di un nuovo Tarocco, viene a svolgersi la sua avventura nell'universo dello stupore.
Il tarocco potrebbe mostrare il pastore con una veste azzurra e pantaloni azzurri con una verghetta gialla nella mano sinistra e nella destra una fune alla quale sono legate altre funicelle che terminano nei collari fissati al collo delle pernici, il gregge delle pernici potrebbe essere asimmettrico con tre uccelli alla destra del pastore e sette alla sinistra, numeri e posizioni evidentemente simbolici.
Le pernici nere e verdi con ali goffamente spiegate su un cielo cobalto.
Questa arcano potrebbe avere come titolo: il limite.
Il limite tra il nostro mondo e il mondo dello stupore e quello della meraviglia: il mondo in cui i buoi sono divinitá, i pesci vengono spontaneamente alla spiaggia per farsi pescare, i figli si mangiano i padri per orrore della putrefazione, il mondo dove si puó incontrare il lago formato dalle lacrime di Adamo e Eva piangenti il figliuol loro Abele, dove dentro i meloni, come fossero uova vegetali nascono agnelli.
E il buon Odorico si appresta a varcare questo limite senza però potersi separare dai suoi preconcetti, dalle sue convinzioni, dalle sue opininioi, in una parola dalla sua cultura, che anche se non gli servono piú da guida, continuano, tuttavia a frullargli nel cervello, non gli indicano il cammino ma lo seguono svolazzando come un gregge di pernici segue il suo pastore.
Con questa immagine, sulla soglia dell'avventura, Odorico rappresenta se stesso nell'atto di prepararsi a varcarla e insegna al lettore come deve porsi davanti all'avventura dell'esplorazione del testo nato dallo stupore, a tutti noi insegna a varcare la soglia della meraviglia.
genseki

martedì, ottobre 16, 2007

 
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Dialettiche



In ogni attimo della storia in fieri c'è lotta tra razionale e irrazionale, inteso per irrazionale ciò che non trionferá in ultima analisi, non diventerá mai storia effettuale, ma che in realtá è razionale anch'esso perché è necessariamente legato al razionale, en è un momento imprescindibile; che nella storia, se trionfa sempre il generale, anche il “particulare” lotta per imporsi e in ultima analisi si impone anch'esso in quanto determina un certo sviluppo del genere e non un altro.
Gramsci
Quaderno II
p. 690

Questo passo di Gramsci si intende solo all'interno di una concezione precisa del tempo. Una concezione in cui il tempo è lineare e finito.
Se pensiamo ad una dimensione circolare del tempo risulta, infatti, difficile parlare di trionfo in termini storici, in quanto qualsiasi cosa si affermi in questa particolare struttura temporale è destinata a rivolgersi nel suo contrario.
Anche in un tempo concepito come infinito non puó trionfare proprio nulla in quanto qualsiasi avvenimento storico, sarebbe solo un punto senza dimensioni, senza significato particolare che non sia il fare parte di una catena di successioni.
Il tempo in cui si muove il pensiero di Gramsci è dunque un tempo lineare e finito.
Solo un tempo finito puó essere storico cioé adeguato all'essente che è naturalmente finito, adeguato all'uomo che anche considerato come specie è sempre, inesorabilmente imprigionato nel finito.
La storia è quindi concepibile solo come finita, perché solo se finita puó essere umana, puó essere la storia dell'uomo, se no si tratterá di "historia naturalis" o di teostoria.
È la certezza della fine della storia che rende la storia “storica”
Si tratta peró di un finito che non finisce mai; la storia è finita in quanto comporta un numero inifinito di fini (o di trionfi).
Oppure si puó pensare a un tempo finito a cui manca sempre una parte per finire come nel paradosso di Zenone la freccia non puó raggiungere il bersaglio, proprio allo stesso modo la storia non può raggiungere la sua fine, c'è sempre un frammento di tempo ancora da trascorrere.
In questo tempo che lascia sempre un resto si fa possibile la storia, la storia dell'uomo.
Eppure non é proprio la dialettica con il suo movimento avvolgente che pare suggerire un'altra forma del tempo?
Razionale e irrazionale, generale e particolare sono due elementi della dialettica la cui sintesi é il superamento-assunzione di entrambi.
Quindi non si può parlare di un movimento del tempo che va dal particolare al generale in linea retta, ma piuttosto di due movimenti a spirale che si avvolgono l'uno con l'altro.
Il tempo della dialettica non sembra essere un tempo lineare. Il tempo del particolare non é solo precedente al tempo del generale ma è anche contemporaneo e successivo ad esso.
La concezione del tempo che è sottesa a questo brano di Gramsci è una concezione cristiana piuttosto che dialettica; si tratta di un tempo che si estende da una origine ad una fine (creazione e giudizio) Il trionfo del generale e del razionale stanno al posto della “parousia” e com ella “parousia” la loro realizzazione si trova sempre dopo un residuo di tempo che é “sempre” ancora non consumato.
Il tempo della dialettica non va da un cominciamento ad una fine perché il cominciamento è sempre presente nella fine e la fine è già tutta nel principio.
La tensione che innerva questo frammento di Gramsci e forse tutto il suo pensiero è proprio in questa contraddizione tra procedere dialettico e fondamento cristiano.
genseki

martedì, settembre 18, 2007

Le Concentrazioni


Il testo che segue è tratto dal SUTRA del Loto, Capitolo XXIII “GADGADASVARA” e si colloca tra i capololavori del genere letterario definito da Borges: il Catalogo di cui si trattava qui esattamente un anno fa presentando un catalogo sublime come quello de veli di Ibn Arabi (12 settembre 2006.
In realtá il Sutra del Loto ci é giunto solo nella traduzione cinese e circola abbastanza sotto forma del pasticcio giapponese diffuso dalla neo-religione SOKA GAKKAI.
Il Testo che riporto qui contiene le parole sanscritte frutto di retrotraduzione perché non so poroprio come scrivere in cinese in questo blog.
Genseki

Questo è il catalogo delle concentrazioni:

La concentrazione Dvajagakeyvia : Braccialetto dello stendardo
La concentrazione Saddharmapundarika : Loto della Vera Dottrina
La concentrazione Vimaladatta : Dono di Vimala
La concentrazione Naksatrarajavikiridita: Divertimento del Re degli Astri
La concentrazione Anilambha: Senza Oggetto
La concentrazione Jnanamudra: Sigillo della conoscenza
La concentrazione Candrapradipa: Luce della luna
La concentrazione Sarvarutakausalya: abilità in tutti i suoni
La concentrazione Sarvapunyasamucaya: Raccolta di tutti i meriti
La concentrazione Prasadavati: Signora Gentile
La concentrazione Rdivikiridita: Divertimento dei poteri miracolosi
La concentrazione Jnanolka: Lampada della conoscenza
La concentrazioneVyuharaja: Monarca dei ragionamenti
La concentrazione Vimalaprabhasa: Luce immacolata
La concentrazione Vimalagarbha: Ventre immacolato
La concentrazione Apkrstna: Totalmente acquatica
La concentrazione Surynavarta: Volgersi del sole.
***

venerdì, agosto 03, 2007

Verano

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Gli Dei

Alain

Da cosa dipende l'assenza totale di Alain dlla cultura italiana? È un'assenza tanto piú stupefacente quando si consideri la presenza della sua discepola piú importante Simone Weil.
La lettura di Alain mostra quanto i "Quaderni" di Simone dipendano dal suo pensiero. Quanti fili legano questi due universi, in quanti punti essi si intersechino e quante forti siano i ponti che li pongono in comunicazione Senza Alain il percorso filosofico e poetico di Simone Weil appare come un notturno volo spettacolare e luminoso che si accende in un punto qualsiasi della notte e scompare tra le nebulose.
Quella che segue è una piccola antologia tratta dal ñibro: "Les Dieux" a cura di genseki.


Alain
Les Dieux
Gli Dei


Spinoza dit qu'il n'y a rien de positif dans l'erreur, ce qui signifie qu'en Dieu l'imagination de l'homme est toute vraie.

Spinoza dice che nell'errore non c'è nulla di positivo, il che significa che in Dio l'immaginazione dell'uomo è perfettamente vera
*

Si je pouvais penser les dieux en dieu et comme dieu, tous les dieux seraient vrais ; mais la condition humaine est d'interroger un dieu après l'autre et une apparence après l'autre, ou, pour mieux dire, une apparition après l'autre, toujours poursuivant le vrai de l'imagination, qui n'est pas la même chose que le vrai de l'apparence.

Se potessi pensare gli dei in dio e come dio, tutti gli dei sarebbero veri; ma la condizione umana è di interrogare un dio dopo l'altro e un'apparenza dopo l'altra, o, per meglio dire un'apparizione dopo l'altra, perseguendo sempre la verità dell'immaginazione, che non è la stessa cosa che la verità dell'apparenza.
*

L'imagination est toute dans le corps humain, et consiste seulement dans les mouvements du corps humain.

L'immaginazione sta tutta nel corpo umano, e consiste soltanto nei movimenti del corpo umano
*

L'homme fut condamné à travailler. Très vrai. Et très vrai aussi qu'il y comptait bien. Toutefois cette acceptation ne va jamais sans tricherie. C'est que jamais le travail ne fera exister tout l'Univers.

L'uomo fu condannato a lavorare. Verissimo. Ed altrettanto vero e che ci contava. Tuttavia questa accettazione comporta anche un inganno: il lavoro non farà mai esistere l'universo intero.
*

L'être de l'enfant n'est jamais sans travail ; seulement c'est la nécessité du travail qui ne lui apparaît pas.

L'essere del bambino non è mai senza lavoro; soltanto la necessità del lavoro si situa al di là del suo orizzonte.
*

L'idée de travailler seulement pour apprendre est l'utopie essentielle ; ce n'est que l'enfance continuée ; et ce qu'on nomme la curiosité, qui promet plus qu'elle ne tient, est la suite d'un travail musculaire qui ne mord point, et qui explore seulement. Dont le goût de la promenade, toujours décevant, est un reste pur. Il y a une rupture éton­nante entre la fatigue du promeneur et le repas qu'il trouve préparé.

L'idea di lavorare soltanto per apprendere è l'utopia essenziale; è soltanto infanzia protratta; ciò che chiamiamo curiosità, che promette più di quanto non mantenga è la conseguenza di un lavoro muscolare che non incide, che soltanto esplora. Il gusto della passeggiata, sempre deludente, ne è un puro residuo. C'è una cotraddizione stupefacente tra la fatica di chi passeggia e il pasto che egli trova pronto.
*

Il n'y a que le chasseur devenu cuisinier qui connaisse le chemin d'un oiseau qui s'envole au succulent rôti.

Soltanto il cacciatore che sia divenuto cuoco conosce il cammino che conduce dall'uccello in volo all'arrosto succulento.
*

Mais ce qui est surtout à remarquer, c'est une avance du discours sur la pensée ; ce qui serait peu croyable, si l'on ne comprenait pas que l'enfant parle naturellement avant de savoir ce qu'il dit. Analysez le dialogue entre la mère et l'enfant, vous verrez que l'enfant renvoie les mots comme des balles, et admire qu'il s'entende lui-même comme il entend l'autre ; cette sorte d'écho est le premier sens du langage, et le sera toujours. Cette résonance humaine se développe en musique ; mais d'autre part la musique des mots se développe en magie, par la nécessité de prier continuelle­ment tous les génies familiers maîtres des jouets, maîtres des fruits, seigneurs souverains des portes, fenêtres, et escaliers. Cette méthode d'obtenir, qui est d'abord la seule, et longtemps la principale, rend compte d'une fonction des mots que l'on oublie presque toujours, d'après cette idée que l'on forme d'abord la connaissance, et qu'on l'exprime ensuite. Or, si la connaissance d'un objet résulte toujours des essais par lesquels on l'atteint, on le manie, on le conquiert, il est clair, seulement par la faiblesse première de l'enfant, que le langage est la première manière de conquérir, et donc la première connais­sance. Les noms de personne, les politesses, les cris imitatifs, les noms com­muns, sont d'abord directement liés à nos besoins, à nos peurs, à nos affections, à nos désirs, et sont tous, à vrai dire, des « Sésame, ouvre-toi ». L'incantation, qui fait paraître ce qu'on nomme, seulement par l'exactitude, la répétition et l'obstination, est la première physique. Et cette position d'attente et d'espérance est ce qui conserve aux mots leur puissance d'exprimer.

Ma quello che bisogna notare soprattutto è un anticipo del discorso sul pensiero; cosa che sarebbe difficile da credere se non si capisse che il bambino parla naturalmente prima di capire quello che dice. Analizzate il dialogo tra la madre e il bambino, vedrete che il bambino rinvia le parole come delle palle, e si stupisce di coomprenderle anche lui, come l'altro le comprende; questa specie di eco è il primo significato del linguaggio, e sempre lo sarà. Questa risonanza umana si sviluppa nella musica; ma, d'altra parte, la musica delle parole si sviluppa nella magia, per la necessità di pregare continuamente i geni familiari signori dei giocattoli, dei frutti, sovrani delle porte, delle finestre, delle scale. Questo modo di ottenere che è il primo, resta a lungo il principale, esso spiega una funzione delle parole che si tende a dimenticare sempre, seguendo l'idea che prima si forma la conoscenza e poi la si esprime con le parole. Ora, se la conoscenza di un oggetto sempre deriva dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, secondo l'idea, che si formi dapprima la conoscenza, e che la si esprima successivamente. Ora, se la conoscenza di un oggetto risulta sempre dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, appare chiaro, già per la primaria debolezza del bambino, che il linguaggio è il primo modo di conquistare e quindi la prima conoscenza. I nomi delle persone, le formule gentili, le grida onomatopeiche, i nomi comuni, sono dapprima direttamentelegati ai nostri bisogni, alle nostre paure, ai nostri affetti, ai nostri desideri, e sono tutti, a dire il vero degli: "Apriti sesamo". L'incantesimo, che fa apprire la cosa nominata, solamente attraverso l'esattezza, la ripetizione, l'ostinazione, è la prima fisica. E questa posizione di attesa e di speranza è ciò che conserva alle parole la loro potenza di espressione.
*

Nos sens sont remués par le sang et les humeurs de façon à produire des commencements de fantômes, tels que bourdonnements, nappes de couleurs, mouches volantes, fourmillements, salivation, nausées, et autres effets de l'attente passionnée ; mais ces formes mouvantes, si nous y faisions attention, ne nous présenteraient jamais que la structure de notre propre corps, et encore en un mouvement de fleuve. Toutefois ce murmure du corps à lui-même est effacé par le discours qui est un objet réellement produit et réellement perçu. La conjuration par les paroles fait donc surgir premièrement les génies de la chair et du sang, mais aussitôt les disperse par la déclamation rituelle, solennelle, qui ouvre sur l'événement une porte de silence.

I nostri sensi sono commossi dal sangue e dagli altri umori in modo da produrre degli abbozzi di fantasmi, ovvero ronzii, macchie di colore, mosche volanti, formicolii, salivazione, nausee e altri effetti di un'attesa appassionata; ma queste forme mobili , se prestassimo loro attenzione, non ci presenterebbero altro mai che la medesima struttura del nostro proprio corpo, e per di più nella forma del movimento di un fiume. Questo movimento del corpo, tuttavia, è anch'esso cancellato dal discorso che è un oggetto realmente prodotto e realmente percepito. La congiura delle parole fa dunque sorgere in primo luogo i geni della carne e del sangue, ma subito li disperde per mezzo della declamazione rituale, solenne che apre sull'avvenimento una porta di silenzio.
*

L'enfant, de même que l'homme, ne voit jamais que le monde comme il se montre, et le monde se montre comme il doit, je dirais même comme il est. Mais le discours, qu'il soit récit, poésie ou prière, fait un autre monde, de choses, de bêtes, et d'hommes, et de tout ce qu'on peut nommer ; un monde qui n'apparaît jamais. La magie ne peut pas plus aisément évoquer un homme qu'une forêt. Le lien magique n'est pas d'un homme imaginaire aux choses qu'il nous donne et nous enlève ; il est du mot à la chose invisible et à l'homme invisible ; et cette présence que nous cherchons toujours derrière la présence résulte d'une impérieuse, disons même impériale, manière d'agir qui est la première pour tous.

Il bambino, così come l'uomo, non vede il mondo che come esso appare, e il mondo appare come deve, direi quasi come è. Ma il discorso, sia esso racconto, poesia o preghiera, crea un altro mondo, di cose, di bestie e di uomini, e di tutto ciò che può essere nominato; un mondo che non appare mai. La magia ha la stessa difficoltà a evocare un uomo piuttosto che una foresta. Il legame magico non è quello tra un uomo immaginario e le cose ch'egli ci da o ci toglie; è quello tra la parola e la cosa invisibile e l'uomo invisibile; e questa presenza che noi sempre cerchiamo dietro la presenza risulta da una maniera di agire imperiosa, persino imperiale, che è per tutti la prima.
*

On s'étonne du prodigieux effet des prières ; je ne pense pas qu'une prière soit jamais plus crue qu'un récit, et c'est déjà beaucoup. Au reste les contes sont des récits de prières exaucées ; la parole se confirme elle-même. Telle est la vertu des paroles.

Ci si stupisce dell'effetto prodigioso delle preghiere; io non penso che una preghiera sia mai più ddi un racconto, ed è già molto: Del resto i racconti sono racconti di preghiere esaudite; la parola conferma se stessa. Tale è la virtù delle parole.
*
Ce qui fait l'existence, ce n'est pas le paraître, c'est le paraître au commandement et sous la condition d'un travail.

Ciò che fa l'esistenza non è l'apparire, ma l'apparire a comando in dipendenza da un lavoro.
*

giovedì, agosto 02, 2007

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La Cattedrale III


La fortezza, l'armatura

La Cattedrale è paragonata a una fortezza e persino all'armatura i un cavaliere di quella crociata predicata da S. Bernardo proprio nella Cattedrale. Si tratta di una “Lorica” l'armatura magica fatta di orazioni e di scongiuri che avrebbe dovuto proteggere il cristiano che se en serviva. La cattedrale è una “Lorica” ma non una “Lorica” di parole o di altri segni verbali, quanto piuttosto di pietre e di segni architettonici:

“Ritornava a casa sua per mangiare qualche cosa e, abracciando, con un'ultimo sguardo, la chiesa ammirevole, ricapitolando i simulacri guerrieri così come apparivano: le forme di scudo dei rosoni, di lama di spade dei vetri , i contorni dei caschi e degli elmi delle ogive, la somiglianze di alcune vetrate in grisaglia filigranata di piombo con le tuniche di maglia di ferro dei combattenti, e, fuori, contmplando uno dei campanili intagliato a lamelle come una pigna, come una cotta di maglia, si diceva che pareva davvero che “gli ospiti del buon Dio” avessero preso in prestito i loro modelli ai bellicosi arnesi dei cavalieri; che avessero voluto perpetuare come per perpetuare il ricordo delle loro imprese, raffigurando dovunque l'immagine ingrandita di quelle armi di cui i Crociati si cinsero quando si imbarcarono per partire alla riconquista del Santo Sepolcro".

genseki

mercoledì, agosto 01, 2007

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Son così fresche le foglie d'acacia

Son così fresche le foglie d’acacia
Son così verdi che si fanno azzurre
Scorrono come l’acqua dentro di noi
Quando ti stringo e mi stringi
E siamo vene d’acqua celeste
Linfa d’autunno che si fa bagliore
Teneri e verdi
Scorriamo uno nell’altro
Fatti a vicenda alveo e corrente.
Son così verdi le foglie d’acacia
Son così fresche che si fanno azzurre
Quando corteccia avvolgi la mia linfa
Ed io son foglia delle tue pupille
E siamo luce che trascorre il fiume
Alto e sottile delle nostre vene.
Freschi esistiamo come foglie verdi
Tremo al tuo vento
Fremi alla mia brezza
Siamo fronde d’acacia nell’autunno
Gocce di linfa
Dei rami della pelle.
Son così freschi e verdi i nostri corpi
Son così freschi che si fanno azzurri
Se nella trasparenza ci mutiamo
Intrecciando le dita alle pupille
Attraversati di stupore azzurro:
Esserci
Nudi
Freschi come foglie.

genseki
1998

Pino negral

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Scienza della Logica


Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò si intende che non solo hanno una determinatezza, che non solo hanno la qualità come realtà e determinazione, che è in sé, non solo son limitate, così da aver poi un esserci fuor del loro limite, ma che anzi la lor natura, il loro essere, è costituito dal non essere. Le cose finite sono, ma la loro relazione a se stesse e che si riferiscono a se stesse come negative, che appunto in questa relazione a sé si mandano al di là di se stesse, al di là del loro essere. Esse sono, ma la verità di questo essere è la loro fine. Il finito non solo si muta, come il qualcosa in generale, ma perisce; e non è già soltanto possibile che perisca, quasi che potesse essere senza perire, ma l’essere delle cose finite, come tale, sta nell’avere per loro essere dentro di sé il germe del perire: l’ora della nascita è l’ora della lor morte.

*

Il pensiero della finità delle cose porta con sé questa mestizia, perché una tale finità è la negazione qualitativa spinta al suo estremo, perché alle cose, nella semplicità di codesta determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dalla loro destinazione a perire.
*

La finità è la negazione come fissata in sé, epperò si erge rigida di contro al suo affermativo. Quindi è che il finito si lascia bensì portar nella corrente; esso consiste appunto in questo, nell’esser destinato alla sua fine, ma soltanto alla sua fine; - anzi è il rifiuto di lascairsi affermativamente portare al suo affermativo, all’infinito, di lasciarsi unire con quello. Il finito è dunque posto inseparabilmente dal suo nulla, ed ogni conciliazione col suo altro, coll’affermativo, è così impedita.
La destinazione delle cose finite non è nulla più che la lor fine.

*
Il finito si distrugge in sé ma risolve effettivamente la contraddizione, non già ch’esso sia soltanto caduco e che perisca, ma che il perire, il nulla, non è l’ultimo, ossia il definitivo, ma perisce.
Hegel
Da: La scienza della Logica

lunedì, luglio 30, 2007

Rivelazioni

Il Corano non è un libro che parla di Allah, bensì un libro che lo rivela, cioè che lo mostra, segnala la sua direzione e riconduce chi lo recita alle sue proprie origini, là dove tutto si incontra di nuovo.

La Rivelazione, però, non è solo il Corano, Il Corano è solo l'esterno della Rivelazione, una delle sue manifestazioni storiche, in realtá, tutto ció che è, è Rivelazione, Sura di un Corano non scritto.

Il Corano si dischiuse in Mohammad perchè incontrò un cuore vuoto.


Gonzalez e Haya
Islam para ateos
trad genseki

domenica, luglio 22, 2007

VIVIT

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VIVIT

Sopra ognuna delle figure in bassorilievo
È incisa la parola VIVIT
La si legge per tre volte
VIVIT VIVIT VIVIT
Come uno scongiuro
Eppure le forme limate dei volti
Nella pietra non sono nemmeno più umane
Non ci parlano piú di affetto o di attitudini
Ma di erosione, di disgregazione
del succedersi di temperatura e di umiditá,
Forse anche di reazioni chimiche e di batteri.
Quello che ci racconta la pietra
È un racconto appunto minerale,
Un racconto che non coincide
Con la dimensione dell'umano,
E quello che resta di volto, nelle pietre
È, proprio per questo, ancora piú morto.
La pretesa che la parola VIVIT
Grida ai nostri occhi
Rende la morte ancora piú ignobile
Anzi, è questa pretesa che la rende ignobile
Là dove quelli che furono volti
Si rivelano parti della storia minerale
Il loro essere scolpiti vicenda meccanica
Della materia
Il loro essere ricordo
Sfigurato dalla volontá di persistenza
Di separatezza dalla forza vitale
Delle pietre del vento, dell'acqua e dei batteri
Delle molecole e delle stelle
Delle crepe e degli insetti
Un dolore acuto ci rende liberi dalla paura
Dalla paura della vita giocosa delle pietre
Delle loro lente metamorfosi che piegano il tempo
Fino a farne la culla della vita.

venerdì, luglio 20, 2007

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Il Canto dell'Autunno

Il canto del nostro autunno
Era un canto terso d’attesa
Un canto di cristallo di speranza
Fresco come l’aria del mattino
Era un vetro venato di voli
Nel cielo di nuvole accartocciate
Dall’estinguersi ocraceo della luce
Un canto senza tamburi
Ma con vuoti di basso profondo
Come gesto d’intelletti senza forma
Intenti a rispecchiarsi negli stagni
Oh era un canto di spine
Un canto di rose di carta velina
Di corteccia svilita dalla pioggia
Perché noi sapevano cos’era il fango
Allora sapevamo che era reale
Che nel fango marciscono i frutti
E le piume dei voli defunti
Ed anche per questo cantavamo
Cantavamo un canto d’autunno
Un canto che abbiamo dimenticato
Latrando catarrosi dietro ai claxon
Delle vecchie berline giapponesi.

genseki
10/10/00 21.35

giovedì, luglio 19, 2007




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La Cattedrale II


Nel terzo capitolo la comparazione tra lo spazio naturale della foresta e lo spazio sacro della chiesa diventa sempre piú chiara, l'intuizione di Chateabriand sull'origine del gotico, è sviluppata in modo analitico e estetico minuzioso:

"Senza sminuire la teoria che consiste nel vedere in questo problema soltanto una questione materiale, tecnica, di stabilitá e di resistenza, una invenzione dei monaci che avevano scoperto un bel giorno che la soliditá delle loro volte sarebbe stata meglio assicurata dalla forma a mitra dell'ogiva che da quella mezza luna dell'arco pieno, non sembra che la dottrina romantica, la dottrina di Chateaubriand di cui ci si è fatto beffe sia la meno complicata di tutte, la piú naturale, insomma la piú evidente e la piú giusta?
Per me è quasi certo, proseguí Durtal, che l'uomo ha trovato nei boschi la forma tanto discussa della navata e dell'ogiva. La piú stupefacente cattedrale che la natura ha costruito, da se stessa, prodigandovi l'arco spezzato dei suoi rami, si trova a Jumièges. Là, accanto alle magnifiche rovine dell'abazzia che ha conservato intatte le sue due torri e la cui navata scoperchiata e ricoperta di fiori si collega ad un coro di fronde circondato da un'abside di alberi, tre immensi viali, bordati di tronchi secolari, si estendono in linea retta; uno, quello del mezzo, molto largo, gli altri due, che lo affiancano, piú stretti; essi disegnanono l'immagine astratta di una nave e delle sue fiancate, sostenute da pilastri neri e avvolte da fasci di foglie. L'ogiva vi è chiaramente riprodotta dai rami che si toccano, così come le colonne che la sostengono sono imitate dai grandi tronchi. Bisogna vederla d'inverno, con la volta ad arco spolverata di neve, i pilastri bianchi come tronchi di betulla, per comprendere l'dea originaria, il seme dell'arte che ha potuto far sorgere lo spettacolo di simili viali, nell'animo degli architetti che sgrossarono, poco a poco, il romanico e finirono per sostituire completamente l'arco acuto all'arco pieno.
E non vi sono parchi, piú o meno antichi dei boschi di Jumièges, che non riproducano con altrettanto esattezza gli stessi contorni; ma quello che la natura non poteva dare, era l'arte prodigioso, la scienza simbolica profonda, la mistica appassionata e placida dei credenti che edificaron le cattedrali. Senza di loro, la chiesa restata allo stato bruto, così come la natura l'aveva concepita, sarebbe rimasta un abbozzo senz'anima, un rudimento; essa era l'embrione di una basilica, cangiante secondo le stagioni e i giorni, inerte e viva al tempo stesso, animandosi al suono dell'organo del vento, che deformava il tetto mobile dei suoi rami, al suo solo spirare, era inconsistente e spesso taciturna, assolutamente sottomessa alle brezze, serva rassegnata dell piogge; non era stata illuminata, insomma, che da un sole che setacciavatra le losanghe e i cuori delle foglie, così come tra le maglie delle piastrelle verdi. L'uomo, con il suo genio, raccolse questi sparsi bagliori, li condensò in rosoni e in lame, li riversó nei viali di bianchi fusti; e persino con il tempo peggiore, le vetrate risplendettero, imprigionarono fino alla piú piccola luce del tramonto, rivestirono il Cristo e la Vergine degli splendori piú favolosi, quasi giunsero a realizzare su questa terra il solo abbigliamento che potesse convenire ai corpi gloriosi, vestiti diversi di fiamme!"

In questo testo non è solo la cattedrale che riproduce la foresta aggiungendo la profonditá simbolica e mistica che manca alla natura, ma è la natura stessa che cerca di riprodurre la Cattedrale. Si genera u movimento circolare che va dalla foresta alla cattedrale e dalla cattedrale alla foresta il cui asse mediano è costutuito dal simbolo.

martedì, luglio 17, 2007

Añoranzas

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Prossimitá

Ogni lacrima è un grappolo d’occhi.

*

Com’è lontano il ramo
Del melo spezzato
Il suono liquido dell’organo
L’alito acre della marmitta
Il tavolo di legno della trattoria!
Con un dito cancello
Il semicerchio rosa
Tracciato dal bicchiere di vino
Come siamo lontani
Seduti faccia a faccia
Come siamo vicini
In distinto tramonto!

*

Essere il bastone spezzato
Nel riflesso dell’acqua
Immerso in questo tempo
D’implacabile verde
Eppure dritto nell’attimo -
Emerso.

*

Mi parli della tua gatta
Ma a quale distanza
Sono le tue parole dalla gatta?
Più morte delle tegole rosse
Su cui danza con passo straniero
Le nostre parole
Più prossimo al suo riflesso
Sui vetri dell’abbaino
Il suo essere viva
Di morto istante a istante morto.

*

Le nostre parole
Son cerchi concentrici
Sul lago dell’essere prossime
Ogni cerchio si allontana
Nell’onda del successivo.

*

Da silenzio a silenzio
Gocciola la musica
Quasi immobile
Nel tempo dell’udito.

*

E le lacrime?
Riflettono gli occhi
In schegge ricurve
Di tempo.

genseki
12/07/04 23.50