giovedì, ottobre 11, 2012

Pontormo - Della Casa


Veniva prima

Veniva prima d qualunque ricordo
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.

genseki

mercoledì, ottobre 10, 2012

Le condamné à mort


Le condamné à mort


Pontormo - Cosimo


Blues castigliano

Da ventanni

Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.

Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.

Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi

Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.

Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.

Entravo al lavoro
                  La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
                   Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio

Per ventanni
                   Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.

                                      Terra instancabile
                                                              Firma
                                      La pace che sai
                                                              Darci
                                      La nostra esistenza
                                      la nostra.

Antonio Gamoneda
trad genseki

mercoledì, agosto 29, 2012

Antonio Gamoneda

L'autunno si esprime in uccelli invisibili.

Jean Genet

Qualcuno dei miei libri sarà mai altro che un pretesto per mostrare un soldato vestito di azzurro, un angelo e un negro che giocano fraternamente a dadi in una prigione chiara o cupa?

Antonio Gamoneda


Gamoneda

Ringrazio la povertà per non maledirmi e per concedermi gli anelli che mi distinguona da quando ero puro e legislavo nella negazione.

Trad genseki

Ecco finiva qui

Ecco, finiva qui,
Il tempo dei viaggi
Ora il tepo era quello delle alghe
Dei vascelli di campane
Sparsi per i prati
Era il tempo di dormire
Sotto i baldacchini di ossa
Di esercitare gli occhi al volo
All'ascesa,
Alla fiamma
Era il tempo immoto della nebbia
Delle greggi sudice
Sulle autostrade
Il tempo delle capanne
Del fuoco
Dell'asse di frassino
Dove pascere le parole
Pascere il senso,
Pascere le sillabe,
Ecco! Finiva qui.

 genseki

lunedì, luglio 30, 2012

Merleau-Ponty

"Le corps propre (existentiel) est dans le monde comme le cœur dans l'organisme: il maintient continuellement en vie le spectacle visible, il l'anime et le nourrit intérieurement, il forme avec lui un système."

Dietro la notte

Dietro la notte, qualcuno,
Fiutava il paesaggio,
Fiutava il mare, il carillon delle sue ossa,
Il petulante pigolío dei papaveri costieri,
Fiutava le ali che dispiegavano le tenebre
Sulla terrazza dei fiumi.
Qualcuno fiutava, dietro la notte
Con froge favolose, metalliche
Con corrosivi scoppi di tosse;
Colte di sorpresa
Le ortiche si coloravano di viola
E tu scendevi di scoglio in scoglio
Verso il battesimo delle mie mani
Verso quell'altro canto,
Verso la pergola, il chiostro
Le code di milioni di volpi
Erano incendi nella brughiera
Il suo respiro affannoso
Scuoteva la notte come un lenzuolo teso
E io pensavo che la paura
L'avevo deposta sul prato,
L'avevo dimenticata tra gli anemoni,
Dietro il bosso
Tra le ortensie
E che quella che fiutava era lei,
La paura
Dall'altra sponda della notte
I nudi limiti di me stesso.

genseki

Anche le nostre parole

Anche le nostre parole
Finalmente
Erano liquide
Come liquido mondo
Ci scorreva
Tra la vita
Verso i rami dei venti
La fioritura delle nuvole.
Poi furono i laghi
Che esplosero
Tra versanti di muschio
Fino all'orizzonte:
Come nere pupille
La processione dei rospi
Scuoteva l'abetaia
Produceva frane
Fratture
Smottamenti
Fino alla scuola
Al fondo della campagna, al patio,
Nulla piú sarebbe stato colto
Fermato, descritto
Nulla piú detto
Sotto questa luce densa
Come l'olio
Questo splendore viscoso
La pellicola di verde
Dell'istante.

*

Trapassare
Passammo
Con la sola forza dell'estate
Giá svaniti
I polpastrelli
Nell'abbraccio degli occhi
Nella carezza degli sguardi.

*

I nuclei sferici del vino
Come proiettili
Crivellavano le fronde del sicomoro
Per un attimo fummo Abramo
Poi il fumo verde
Raschió via la vista
Ceneri seccche
Tannino sugli zigomi
Agli angoli degli occhi.

*

Era un grande coniglio cornuto
Quello che stringeva la luna
Tra le ciglia
E noi eravamo questo e quello
Prima e dopo
Spenti, noi,
Nell'accensione del divenire

genseki

Entra

Entra nella sventura
D'una foglia
Fin che la notte sia solo disfatta
Sintesi
Di silenzio e clorofilla
E nel centro
Del dentro
Il tuo morire

genseki

lunedì, giugno 11, 2012

Ray Bradbury

Io muoio cosí muore il mondo


Povero mondo, che non conosce la sua rovina, il giorno in cui io muoio.
Duecento milioni di ore dura la mia ultima ora,
Porto con me nella tomba tutto il continente.
Sono i piú coraggiosi, tutti innocenti e non sanno
Che se io affondo, loro saranno i prossimi.
Cosí nell'ora della morte festeggiano i Bei Tempi
Mentre io, matto egoista, gli preparo un pessimo Anno Nuovo.
I paesi oltre il mio paese sono ampi e brillanti,
Ma io, con mano sicura, spengo la loro luce
Spengo l'Alaska, nego la Francia del Re Sole, taglio la gola alla Britannia,
Con un battito di ciglia faccio sparire la vecchia Madre Russia,
Spingo la Cina giú dalla scogliera,
Faccio cadere giú l'Australia e metto la lapide,
Do un calcio al Giappone mentre cammino. E la Grecia? Vola via alla svelta.
La faró cadere e volare come il verde Eire,
Torta nel mio sogno sudato, la Spagna si dispera,
Sparo ai figli morti di Goya, torturo i figli della Svezia,
Spacco fiori, fattorie e paesi coi fucili del tramonto.
Quando il mio cuore si ferma sprofonda nel sonno il grande Ra,
Seppelisco tutte le stelle nel Profondo Cosmo.
Allora, ascolta mondo, sii avvisato, conosci il puro terrore.
Quando io mi ammalo, quel giorno il tuo sangue è morto.
Comportati bene, rimarró e ti lascio vivere.
Comportati male, riprenderó quel che ti dono adesso.
Questa è la fine e tutto. Le tue bandiere sono ripiegate.
Se io sono colpito e cado? Allora finisce il tuo mondo.

Ray Bradbury
Trad Paolo Nori e Salim Catrina

Addio Ray, tutti quei meli, tutti sono fioriti

Omaggio alla Grecia

martedì, maggio 15, 2012


Bools Corracha

La poesia che segue è uno dei pochi testi che ci ha lasciato Bools Corracha proprio nei primi mesi autunnali successivi al suo arrivo a Jeve. In quel periodo il giovane ma provato Bools Corracha era fortemente influenzato dalla posia di Ferlingheti adepto di un tardo, patetico e anche un po ridicolo "hyppismo" (Spero che questa parola esista ed abbia un senso). I testi che pubblicherò in questo blog, quando ne avrò il tempo, li devo alla cortese liberalità di Tristan Lermita che di Bools  Corracha fu sodale e che fu testimone della tragica scomparsa del nostro Dreiser Cazzaniga,

La terra

Da qualche parte Debord
afferma che lo sviluppo della tecnologia
introdurrà inevitabilmente,
dopo l’automobile come mezzo di trasporto
per le masse,
l’elicottero
o qualche analogo veivolo,

questa previsione,
puntualmente,
non si è verificata,
ed è un grande scorno per l’inventore della psicostoriografia
il non aver capito che proprio sulla base degli assiomi di questa scienza
era evidente che essa non avrebbe potuto realizzarsi.

Se potessimo vedere il mondo dall’alto
tutte le mattine
quando andiamo al lavoro
tra la nebbia leggera
come il respiro delle
foglie
dorate dall’autunno incipiente
dall’autunno che annuncia
il trionfo
della sua trasparenza funerea
se l’angolo della vostra visuale potesse restringersi
dirigendosi in precipite
picchiata
verso il serpente grigio e argento del fiume
che striscia tra le foglie leggere
bianche
nitide dei
pioppi
variando di diversi gradi il piano
sui cui
scorre parallelo
come
in un quadro
cubo futurista
per poi innalzarsi
di colpo
verso il cielo
viola e argento
come la nota cristallina
di un violoncello di betulla
in modo tale che la nostra bocca
socchiusa potesse bere
i primi raggi candidi dell’alba
che sono frizzanti
e lattei
come le piume di un angelo
addormentato dopo l’amore
con una tenera angela pallida
incontrata a una curva del tramonto

allora

il nostro IO
IO
che è un meschino aggregato di dolorose abitudini
di costrizioni
e cogenze appuntite come aculei
rivolti verso il dentro
si dissolverebbe
in polvere di luce
e noi saremmo
piume
schiuma di luce
lievi balzi di azzurro
e vapore
appena percepibili
nell’abbraccio verde
e ocra della terra
nel suo caldo respiro bianco.

Per questo
è necessario
per la produttività
e il profitto
e forse anche per la professionalità che il nostro sguardo
abbia una sola prospettive
lineare
che la nostra vita sia un percorso
rettilineo su un unico piano
che il nostro corpo si
muova esclusivamente
sul nastro grigio viscido e sporco
delle strade
e non possa percepire null’altro che la superficie
dei centri commerciali
e delle zone industriali
e le cancellate delle villette
con il loro giardinetti
dove spunta un’araucaria
perfettamente stupida
nella sua minacciosa ottusità
e i cani dal pelo lucido
che latrano
l’aggressiva ignoranza dei loro padroni
pieni di odio
e di paura inespressa.

Il percorso lineare
educa la mente alla monodimensionalità
l’anima all’obbedienza,
il corpo al dolore

Il percorso lineare
educa l’uomo al lavoro

la strada è l’ipnosi dello sfruttamento.

Per queste ragioni
eminentemente
psicogeografiche
Debord
sbagliava
e non ci sarà mai
l’elicottero
utilitario
e le strade feriranno sempre
i boschi
e lungo le strade
sorgeranno sempre i capannoni vuoti
con gli spiazzi pieni di lamiere e laterizi e spazzatura e mucchi di terra
su quali spuntano rovi stenti
e ortiche pallide.
I capannoni sono vuoti perché la loro funzione non è produttiva ma educativa
o socioipnotica
essi iterano sul nostro percorso lineare
la rappresentazione dell’inevitabile cogenza del lavoro salariato
in tutta la sua
disperata bruttezza.

Bools Corracha