lunedì, novembre 08, 2010

Virgilio

Dall'Egloga I

Perché non resti a dormire da me stasera?
Ho un letto di frasche che ho appena tagliato
Nel bosco
E per colazione ci sonole castagne,
Quelle belle tenere e le mele le la toma di capra.
E poi, lo vedi? I camini fumano giá in paese
E l'ombra dei molti piú alti, guarda come cresce
Nella valle!

trad genseki

José Hierro

Beethoven davanti alla televisione

Tedesco, di Bonn, identificava
Tutti i suoni della natura:
Quello del mae, quello del fiume, quello del vento e la pioggia,
Il canto dell'usignolo, quello dell'upupa e del cuculo.
Un giorno un uccello cantó de egli non udiva il suo canto:
Fu il primo segnle di allarme.
Poi, implacabile, a poco a poco, la sorditá crebbe
Finché la notte sonora lo avvolse.
Da allora compose con il suono che solo immaginava.
Non poté mai ascoltare la sua Messa in Re,
I suoi ultime quartetti, la sua ultima sinfonia.

Ludovico Van Beethoven morí nel milleotocentoventisette
(è quello che pensano i disinformati),
Io, tuttavia lo vidi al Lincoln Center.
Fu negli anni novanta. Sedevamo in poltrone contigue.
Scrissi sul mio programma:
“Concerto eccelente”. Assentí:
“Non si prenda il disturbo di scrivere, ci sento perfettamente”.

Poi, nell'intervallo, parlammo della sua musica,
(Forse si rese conto
Che lo avevo appena riconosciuto.)
Avvisarono che era il momento di tornare in sala
Per ascoltare la Nona.
Van Beethoven si voltó e fece per andarsene.
“Perché proprio ora?” Gli chiesi.
“Torni in albergo. Ascolteró la Nona
In televisione, c'è la diretta”, rispose.
“Permette che l'accompagni?”, dissi.
Si strinse nelle spalle.

Tutto finiva cosí
Seduti davanti al televisore.
Ascoltammo il galoppo della battuta
Sul leggío: Silenzio. Ruggí l'orchestra.
Allora Ludwig Van Beethoven
Si alzó e tolse l'audio.
Il silenzio era allora assoluto.

A volte canticchiava, alzava la mano
Per indicare l'entrata dei timpani
Nello scherzo. Pianse con l'adagio,
Si riprese entusiasta quando il coro cantava
Le parole di Schiller.

Io non udró mai, nessuno potrá
Udire ció ch'egli udiva.
Il concerto terminó. Egli si alzó di nuovo,
Si avvicinó al televisore.
Le camere inquadravano adesso
Il pubblico entusiasta.
Van Beethoven udiva, nel millenovecentonovanta,
Quegli applausi che non poteva udire a Vienna,
Nel milleottocentoventiquattro.

José Hierro
Trad genseki

giovedì, novembre 04, 2010

Pasolini, Jara, Hernandez

Adesso che sappiamo con certezza che il loro sacrificio è stato inutile, che la brutalitá delle loro morti è abisso di abiezione, posto che i loro popoli hanno dimostrato di non essere degni di loro, di non voler percorrere il cammino della dignitá da loro indicato, anzi di volerlo piuttosto ostruire con la spazzatura dei loro consumi infantili, adesso ancora piú grande è l'affetto che vogliamo offrire alle loro ombre senza pace, quando i nostri occhi ancora una volta vedono seccarssi anche le lacrime della speranza e tutto è corruzione, intorno a noi, corruzione dei ricchi come dei poveri, prepotenza dei forti e ahimé anche dei deboli e persino l'odio è inaridito dall'aviditá, dall'usura che siede trionfante alle fonti della vita.

genseki

In memoria di Pier Paolo Pasolini, Victor Jara e Miguel Hernandez

Axion Esti Anigo To Stoma Mou Odysseas Elytis Mikis Theodorakis Grigori...

Odysseas Elytis

Odysseas Elytis

Traduzioni di genseki

“Orientamenti”

Marina delle rocce

Hai sapore di tempesta sulle labbra – Ma dove te ne andavi
Per intere giornate nella dura fanasia della pietra e del mare?
Il vento che porta le aquile spoglió le colline
Spoglió il tuo desiderio fino alle ossa
Le figlie dei tuoi occhi raccolsero la testimonianza della Chimera
Mentre la linea del ricordo rabbrividiva di schiuma!
Dove sta la costa ben nota del piccolo settembre?
Sulla terra rossa con cui giocavi con il capo basso
La macchia d’arbusti delle altre ragazze
Gli angoli dove le tue amiche abandonavano fasci di rosmarino.

Ma dov’era che te ne andavi
Tutta la notte con il duro incantesimo della pietra e del mare?
Ti diceva di misurare nell’acqua nuda i suoi giorni luminosi
Che supina godessi dell’alba delle cose
Che ancora andssi errando per i campi dorati
Col trifoglio della luna in petto eroina del giambo

Hai sulle labbra il sapor del temporale
E un vestito rosso come il sangue
Nell’oro piú profondo dell’estate
Nell’aroma dei giacinti – ma dov’era che te ne andavi?

Quando scendevi verso le spiagge, verso le baie, i ciottoli
V’era fresca erba marina, salubre
Ma sul fondo un’emozione umana sanguinava
Sorpesa spalancavi allora le braccia pronunciando il suo nome
Risalendo leggera fino alla trasparenza delle profonditá
Dove luceva la tua stella marina.

Ascolta, la parola è la sapienza degli ultimi
Il tempo un frenetico scultore di uomini
E sopra il sole ci mette una bestia di speranza,
E tu, ancora piú vicina a lui stringi un amore
Che sa di temporale sulle labbra

Azzurro fino al midollo non potrai contare su un’altra estate
Perché i fiumi invertano il corso
E ti portino indietro da tua madre,
Perché tu possa ribaciare altri ciliegi
O cavalcare il Mistral

Ferma sulla roccia senza oggi, senza domani
Tra i pericoli delle rocce con chioma di temporale
Prenderai congedo dal tuo enigma.

*** ^


Etá del glauco ricordo

Lontano viti e olivi fino al mare
Ancora piú lontano rosse barche di pescatori fino al ricordo
Elitre dorate di Agosto durante la siesta
Con alghe o conchiglie. E quella imbarcazione
Appena varata, verde che nella calma del seno delle acque
Ancora puó leggersi Dio provvede

Passarono gli anni come foglie o ciottoli
Ricordo i ragazzini, i marinai che partivano
Tinte le vele come i loro cuori
Cantavano ai punti cardinali
Portavano i venti del nord tatuati sul petto.

Che cosa cercavo quando giungesti tinta d’aurora
Negli occhi l’etá del mare
Il vigore del sole nel corpo – che cercava
Nel fondo delle grotte marine dei sogni spaziosi
Dove il vento faceva schiuma dei suoi sentimenti
Glauco e sconosciuto, incidendo sul mio petto il suo emblema marino

Con sabbia tra le dita chiudevo le dita
Con la sabbia negli occhi stringevo le dita
Era il dolore –
Era aprile ricordo quando sentii per la prima volta il tuo peso umano
Il tuo corpo umano fango e peccato
Come nel nostro primo giorno sulla terra
Facevan festa le amarillidi – Ricordo tuttavia che provasti dolore
Fu un profondo morso sulle labbra
Un graffio sulla pelle proprio dove resta inciso per sempre il tempo
Allora ti lasciai

E un alito rumoroso sollevó le candide case
I bianchi sentimenti appena lavati lassú
Nel cielo illuminato da un sorriso.

Lo avró allora vicino a me un otre d’acqua immortale
Un abbozzo della libertá dl vento che si agita
E quelle mani tue ove l’Amore si tormenterá
E quella tua conchiglia in cui risuonará l’Egeo.

*** ^


Trad. genseki

Il Fabbro

Era solo il vento che si udiva
Fischiare fuori dalle tapparelle verde oliva
Quel vento che adesso modellava le lenzuola
Le ginocchia si infiltrava tra braccia
E ombelico
Increspava il vino rosso nel bicchiere
Del Fabbro all'osteria del borgo
Conferendogli quel lieve gusto di prezzemolo
Perché era una gabbia non un prato
Una gabbia piena di scintille
Una voliera piena di schegge luminose
In cui si carbonizzava il suo dolore
Nelle infinite cerimonie dell'accoppiamento
Perché era solo in fondo, dentro di lei
Era sempre solo semre piú solo
In gabbia e le tapparelle che sbattevano
Alcuni isolati piú in la come nacchere
Gigantesche aprendosi e chiudendosi
Sulle gengive grige dei davanzali
Come valve di vongole sudate
Non potevano servire da messaggeri
Tra la sua fiamma e quelle ginocchia
Tra la pupilla del suo stupore
E l'affronto consumato dal vento al loro tepore
Quanto vento ha soffiato o Fabbro!
Da piazza Baracca al Kon tiki
Eppure quel ventre. Il suo:
Come ogni altro ventre è rimasto sterile
Vuoto come una bottiglia verde
Sul tavolo zoppo di un'osteria
Mentre il mattino trascina il suo guanciale
Tra i frassini e le farnie in cerca del vento
Che solo puó spegnere l'arsura
Di tutta questa inconsapevoe sterilitá.

*

genseki

Feu de joie

Camera ad ore

Alla locanda dell'Universo alla locanda dell'Aveyron
La metropolitana passa dalla finestra
La ragazza dagli occhi in sol forse verrá da me
Cuor mio
Che mai le diremo quando infine la vedremo
Conta i fiori cara mia
Conta i fiori del muro
Un gerbido è il mio cuore
Attenzione la scala è instabile, salire non è sicuro
Dove sei bella cow-girls
Che pascoli gli amanti lungo il Tigri.

Louis Aragon
Feu de Joie
trad genseki

American String Quartet - Shostakovich String Quartet No. 3 in F Major -...

Feu de joie

Giovedí puro

Strade, campagne, dove correvo? Gl specchi mi cacciavano alle svolte, verso altre paludi.
I viali verdeggianti! Un tempo, ammiravo senza sbattere le palpebre, ma il sole non è piú un'ortensia. La victoria rappresenta un carro allegorico: Flora e quella sgualdrina dalle labbra esangui. Troppo lusso per un prato senza tante pretese: ai pavesi, le bandiere! Tutte le morose saranno alla finestra. In mio onore? Che granchio state pigliando. Il giorno va penetrandomi. Che cosa vogliono da me gli specchi bianchi e le donne incrociate? Gioco o menzogna? Ad ogni modo non è questo il colore del mio sangue.
Sul fiammeggiante bitume di Marte, o bucaneve! Tutti mi hanno letto nel cuore.
Che vergogna! Che vergogna!
L. Aragon
Feu de joie
Trad. genseki

La morte dei castagni

La morte dei castagni era una morte che scorreva
Scorreva nelle vene del latte
Nel grigio di tutti i muschi era una morte
Senza scheletro una morte falena
Una morte di feltro tra le pagine di una morta poesia
Una morte di pane tra mani empie
Una morte di farina avvolta in banconote
Una morte scabbiosa in un letto di rame
La morte dei castagni era anche la mia polvere
Il bruco bianco, quello di gelo sul manto azzurro
Della Vergine Maria la ruggine roca del suo seno
Il dolore dell'assenza del bambino
La morte dei castagni era luce azzurra
Era parrucca di mosche voraci
Era la cipria della vecchia dimenticata
Nella sua stanza dal napalm
Di guerre scadute era il siero sul mio palmo
Il flusso dei tuoi occhi non di lacrime
Non di sale dolce come una candela spenta
Prima del sipario voluttuoso dei profumi
Incenso felci amarezza
Un vescovo verde decapita i piselli
Il loro sangue colloso schizza sui paramenti
La morte era solo quella dei castagni
Nelle mani troppo nodose dei vescovi ortolani.

6 ottobre 2010

genseki

Odysseas Elytis

mercoledì, novembre 03, 2010

Il sole soliarca

Odysseas Elytis

Il battello impazzito

Il battello impazzito che salpa verso il monte
Alzando il gran pavese inizia la manovra.

Ecco l'ancora affonda tra i pini da pinoli
Carica aria fresca per casi di emergenza

Fatta di pietra nera, fatta di sogni tenui
Un capitano ingenuo astuti marinai

Raggiunge il tempo andato attraverso l'abisso
Scarica delusioni e gemiti e sospiri

Vieni Cristo Signore esclamo con stupore
Che battello impazzito proprio un battello folle

Per anni ci ha portato non abbiam naufragato
Con mille capitani tutti li sostituimmo

I cataclismi mai li abbiamo messi in conto
Siam penetrati ovunque sempre ne siamo usciti

Sull'albero maestro sta la vedetta attenta
Eternamente vigile il Sole Soliarca

trad genseki

lunedì, novembre 01, 2010

Nel mio sogno morivi

Nel mio sogno morivi
Finalmente eri vinto
Che non c'era paura
Ormai capivi
Nel mio sogno morivi
Ed era la tua morte
Anche la mia
Nel sogno a me
Infine tu morivi
Libero ormai
Da quanto ti sconfisse
Dolce sconfitta
Ora sapevi accogliere
Ora sapevi accettare l'abbraccio
E del mondo sereno
Nella pioggia
Ascoltare il tepore
Nel sogno a me morivi
Dal tuo sogno fuggivi.

*

genseki

lunedì, ottobre 25, 2010

Marina

Odysseas Elytis

Marina

La menta mi devi donare
Verbena e basilico aspetto
Perché ti possa baciare
Che mai dovró ricordare?

Fonte di vaghe colombe
La sciabola degli Arcangeli
Giardino di bianche stelle
La sotto il pozzo insondabile

Quando di notte ti portavo
All'altro estremo del cielo
Ascendere ti contemplavo
Di Vespero come sorella

Marina verde stella mia
Marina luce vespertina
marina tu colomba mia
E giglio della calura

Trad. genseki

Mikis Theodorakis- Maria Farantouri: MARINA - ΜΑΡΙΝΑ

sabato, ottobre 23, 2010

José Coronel Urtecho

José Coronel Urtecho

Questo è come la luce
Questo è luce
Utile come la luce
Così adorabile
Incantevole

La poesia è di sicuro
Pú interessante e più apprezzata
E certamente piú incantevole
Delle cascate del Niagara, del Gran Canyon
l'Oceano Atlantico
E altri ancora piú ammirevoli fenomeni naturali.
È utile almeno come la luce e altrettanto meravigliosa.
Stravagante
Precisamente perché rende possibile dire
Che non è possibile far muovere una montagna ma una poesia
Puó
Essere mossa ovunque.

Gratamente mostruosa
Perché puó dire sul serio o per scherzo:
"La poesia è migliore della speranza,
Perché la poesia è la pazienza della speranza,
E tutte le immagini vive della speranza,
La poesia è meglio dell'eccitazione, piú deliziosa,
La poesia è superiore al successo e alla vittoria.
La sua serena benedizione persiste
Molto dopo che la piú favolosa prodeza
È decollata come un bengala ed è caduta
La poesia è un animale molto piú afascinante e potente
Di quanti bosco, giungla, arca, circo, o zoo
Possano contenere".

Perché la poesia ingrandice e sublima la realtá:
La poesia dice della realtá che se è magnifica
È pure stupida:
Perché in certo modo la poesia è onnipotente,
Perché la realtá è varia, ricca, potente e viva,
Ma non basta,
Perché è stupida e disodinata o solo a tratti
In modo erratico, intelligente:
Perché senza la poesia la realtá è muta
O incoerente:
È incipiente, come la pompa e la magniloquenza del tuono
I suoi sermoni confinano conl'incessante orazione dell'oceano:
Perché lo splendore e la gloria della realtá
Senza la poesia,
Impallidiscono, come le rosse recite del crepuscol
I fiumi blu, le finestre matutine.
L'arte della poesia rende possibile dire
Pandemonium.
Perché la poesia è allegra e esatta. E dice:
"Il tramonto sembra una corrida.
Un braccio addormentato si sente come soda,
Effervescente".

La poesia risuscita il passato, come Lazzaro,
Trasforma un leone in sfinge e ragazzina.
Conferisce a una ragazzina lo splendore del latino
Converte acqua in vino in tutte le nozze di Cana in Galilea.
Insomma è un fatto che la poesia inventó
L'unicorno, il centauro e la fenice.
Eppoi! La poesia è un'arca perenne,
Un autobus che custodisce, trasporta e partorisce tutti
Gli animali della mente.
Per questo la poesia diede e da la parola al perdono
Per questo una storia della poesia sará una
Storia dell'allegria e una storia
Del mistero d'amore,
Perché la poesia fornisce spontanemene
Abbonantemente e liberamente
Tutti quei vezzeggiativi e diminutivi di cui
L'amore ha bisogno e senza i quali il mistero dell'amore non si domina.
La poesia è come luce è luce.
Risplende su tutte le cose come il cielo azzurro
Con eguale azzurra giustizia.
La poesia, infatti, è la luce del sole del conscio.
È la terra dei frutti del sapere
Negli orti dell'essere:
Ci insegna i piaceri della cittá
Illumna le strutture della reatá.
È una delle cause del sapere e del ridere:
Affila i fischi degli intelligenti:
È come il mattino e i flauti della
Mattina che cantano incantatori.
È come nascita e rinascita della
Prima mattina per sempre.
La poesia è rapida come le tigri, abile come
I gatti, piena di vita come le arance.
E tuttavia è immortale: sempre-verde e
Sempre-in-fiore; molto dopo che i faraoni e i cesari sono crollati,
Continua a brillare e dura piú che diamante,
Perché la poesia è la attualitá della
Posibilitá. È
Realtá dell'immaginazione
Garanzia di esaltazione
Processione di possesso
Attivitá di significazione e
Significazione del mattino e
Maestria di significazione.

La lode della poesia è come la chiaritá delle
Cime dei monti,
Le cime della poesia sono come l'esaltazione delle montagne.
È la consumazione della coscienza nel paese del domani!

Da Pol-la d'anánta, katánta, paránta .... 1970