Erano pochi passi soltanto
E finivi per entrare nella morbida nebbia
delle campane.
L'udito lo avevi lasciato fuori,
Ascoltavi coi polpastrelli
Il lento ascendere delle stelle.
genseki
venerdì, dicembre 21, 2012
Ti lasciavi
Ti lasciavi spalancare
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Dall'offerta delle sue mani
Dalle falde delle sua ciglia
Tutte le spighe, allora,
Erano candele
E le stelle piú amare
Macchiavano di verde la sua tunica.
genseki
Un'altra dea
Era la dea dei muri a secco
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
La ninfa della lucertole
Le crepe del suo ventre
Distendevano la tunica tra i rami secchi
Lo marcarono a fuoco, allora,
Con il vecchio ferro da stiro - a carbone -
Lo strazio del suo grido
Prese il posto del sole,
Generó lucertole,
Prima azzurre. Poi grige
Feconde
Madri di dee
Di amadriadi
Di mandorle
Di foglie
Poi la pace scivoló lungo il pendío
Fino al fondo umido del bosco.
genseki
Elicottero
Un elicottero sbucato d'improvviso
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
da una curva troppo stretta
La travolse mentre avanzava tra i mughetti,
Con i capelli recentemente azzurrati,
Frammenti di latrato schizzarono in tutte le direzioni
Le mascelle dei mastini dilaniarono cristalli
La stagione dei castelli stingeva nel sogno dell'araucaria,
Nella foresta di cactus
Il suo sangue era miele d'opale.
genseki
Jabès
Dio è il punto incandescente di fronte al punto scuro della pagina scritta: infatti il libro delle notti dell'uomo corrisponde al libro accecante di Dio.
Jabès
Che cosa resta?
Che cosa resta della parola
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Quando oltre il velo non incontra l'occhio?
Come rosario di foglie
La sillaba il vento
Dalla cresta del monte
Al fondovalle
Le risponde il corno della luce:
Nessuno, piú -
L'aveva mai detta -.
genseki
Jabès
Il silenzio è la mandorla del rumore; per questo Dio, che è duro silenzio, non puó essere udito, solo postulato, come le ore del frutto dalle ore dell'albero.
Jabès
venerdì, dicembre 14, 2012
domenica, dicembre 09, 2012
Comunismo
La filosofia attraverso il nome comunismo pensa
«la
passione ugualitaria, l’Idea della giustizia, la volontà di rompere
coi compromessi relativi al servizio dei beni, la rinuncia all’egoismo,
l’intolleranza dell’oppressione, il desiderio della fine dello Stato.
L’assoluta preminenza della presentazione molteplice sulla
rappresentazione. L’ostinazione militante, obbligata da qualche evento
incalcolabile, a reggere per caso il discorso di una singolarità senza
predicato, di un’infinità senza determinazione né gerarchia immanente».
Alain Badiou
lunedì, novembre 26, 2012
Appena
Fu appena il fioco distenedersi
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
Mosche di stagno
Mosche di stagno
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
lunedì, novembre 12, 2012
Dietro la cortina della pioggia
Dietro la cortina della pioggia
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Soledad
Bevo dalla fiasca dell'abbandono
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
sabato, novembre 10, 2012
Alberto Giacometti
Il
regrette les bordels disparus. Je crois qu'ils ont tenu-et leur souvenir
tient encore-trop de place dans sa vie, pour qu'on n'en
parle pas. Il me semble qu'il y entrait presque en
adorateur. Il y venait pour s'y voir à genoux en face d'une divinité
implacable et lointaine. Entre chaque putain nue et lui, il y avait
peut-être cette distance, que ne cesse d'établir chacune de
ses statues entre elles et nous. Chaque statue semble reculer-ou en
venir- dans une nuit à ce point lointaine et épaisse
qu'elle se fond avec la mort : ainsi chaque putain
devrait-elle rejoindre une nuit mystérieuse où elle était souveraine. Et
lui, abandonné sur un rivage d'où il la voit à la fois
rapetisser et grandir dans un même moment.
Je
hasarde encore ceci : n'est-ce pas au bordel que la femme pourrait
s'enorgueillir d'une blessure qui ne la
délivrera jamais plus de la solitude, et n'est-ce pas le
bordel qui la débarrassera de toute attribution utilitaire, lui faisant
ainsi gagner une sorte de pureté.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Genet
L'atelier d'Alberto GIacometti
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