Fu appena il fioco distenedersi
Della fiammella feconda
Che ci avvolse in rete fragile
Ora verde ora zampilli
Graffi di unghie nel fango
Congiurano il volo azzurro
Canoro della libellula
Che muta distende pastelli
È l'ora d'ogni abbandono
Della canfora delle stelle
Lascio cadere la pelle
Resta la perla del cuore
Rugiada di crespo splendore
Sospesa fra muschio e cielo
E anche il respiro si annulla
Nella curva dello sguardo.
genseki
lunedì, novembre 26, 2012
Mosche di stagno
Mosche di stagno
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
Colombe di cartone
Un lago in verticale
La corrente
Che modulava un volo di falene
Era il tuo ventaglio
Stregato dall'indifferenza
Delle tue unghie
Discutevo con i tuoi piedi
Fino allo sfinimento
Avrei voluto essere azzzurro
Nutrire delfini
Alimntare mantidi
O almeno la speranza
Bruciai colombe
Apparvero gemme
L'ultimo albero mi parlava
Scuotendo dalla chioma
Ruggine come forfora.
genseki
lunedì, novembre 12, 2012
Dietro la cortina della pioggia
Dietro la cortina della pioggia
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Scivola via l'aspide luminoso
Canne d'orzo, schiocchi,
In ginocchio, a tentoni
Nell'erba spruzzata di rosa
Cerco versi, versi nuovi,
I miei versi, con gli occhiali spenti
Raccolgo solo chiocciole, sputi,
Qualche frammento insanguinato
Dei miei denti di ieri, fradicio
Mi riscaldo come ad una fiamma
Al calore dell'abbandono.
genseki
Soledad
Bevo dalla fiasca dell'abbandono
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
La pioggia fiacca tutti i gemiti
Germogliano le mie unghie al flauto della luna
Resto solo come ognuna delle sue note.
genseki
sabato, novembre 10, 2012
Alberto Giacometti
Il
regrette les bordels disparus. Je crois qu'ils ont tenu-et leur souvenir
tient encore-trop de place dans sa vie, pour qu'on n'en
parle pas. Il me semble qu'il y entrait presque en
adorateur. Il y venait pour s'y voir à genoux en face d'une divinité
implacable et lointaine. Entre chaque putain nue et lui, il y avait
peut-être cette distance, que ne cesse d'établir chacune de
ses statues entre elles et nous. Chaque statue semble reculer-ou en
venir- dans une nuit à ce point lointaine et épaisse
qu'elle se fond avec la mort : ainsi chaque putain
devrait-elle rejoindre une nuit mystérieuse où elle était souveraine. Et
lui, abandonné sur un rivage d'où il la voit à la fois
rapetisser et grandir dans un même moment.
Je
hasarde encore ceci : n'est-ce pas au bordel que la femme pourrait
s'enorgueillir d'une blessure qui ne la
délivrera jamais plus de la solitude, et n'est-ce pas le
bordel qui la débarrassera de toute attribution utilitaire, lui faisant
ainsi gagner une sorte de pureté.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Plusieurs de ses grandes statues sont dorées.
Genet
L'atelier d'Alberto GIacometti
Destra e Sinistra
Se accettiamo la fraseologia politica corrente
dovremo ammettere che l'arte appartiene tanto alla sinistra come alla
destra, ovvero è radicata in una tradizione e si riflette in un futuro
che solo con molte difficoltá avrá contribuito a instaurare.
Jean Genet
Jean Genet
La rugiada sulla pelle
La rugiada sugli zucchini
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
Come una lacrima sulla pelle del rospo
Le murene le avevamo nutrite di funghi
I loro denti sibilavano adesso
Come carta vetrata.
genseki
I ceci
I ceci li avevamo condivisi
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
Con altri roditori
Ma era la luce che ci feriva
Il freddo scorreva lungo il vetro
Come fossero tanta tante sfere:
Nessuna aveva una forma.
Sotto la sferza della luna
Cercavamo di essere noi stessi
Come lupi scorticati
Fiutavamo la nostra pelle.
genseki
mercoledì, novembre 07, 2012
Rimbalzavano le perle
Rimbalzavano le perle sul mogano
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Proprio come componevo le parole
Cosí banali che certo nessuno
Le avrebbe volute comprare
Al mercato della menzogna.
Nudi miei cani
Nudi miei cani, piú nudo ancora
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
lunedì, novembre 05, 2012
Discorso sopra lo stato ...
In queste righe di Leopardi basta soltanto sostituire "conversazioni" con "web o rete" per avere una perfetta descrizione del perché è perfettamente impossisbile commentare su blog, facebook e riviste online senza essere massacrato di insulti e "railleries".
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
mercoledì, ottobre 31, 2012
Enantiodromia
La nada es menos que el frío
la nada o menos que nada
es como si Dios riera al ver
fracasar el poemma
Leopoldo Maria Panero
Macbeth
Il sonno mi tortura
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Il problema azzurro
Mi hai messo in un problema azzurro
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Pioggia
La pioggia mi aveva lasciato
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Leopoldo Maria Panero
Como la vida del verso es una partida
de ajedrez con el horror
y el poema es peor que la muerte.
Da: Teoria del miedo
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