venerdì, febbraio 12, 2010

Peter Maurin

Io studiavo alla Columbia, e anche qui giunse la notizia
Che un santo era morto nel quartiere dei mendicanti.
Peter Maurin il Santo agitatore
Predicava nei parchi:
“Licenziate i padroni” o
“Dare e non togliere
Rende l'uomo umano”
Con un solo vestito stropicciato e non della sua taglia. Senza un giaciglio
Nella casa che lui stesso fondó, neppure un angolo per i suoi libri.
Camminava senza far caso ai semafori.
...
E lei consagrata da allora a
“Opere di misericordia e di rivolta”. Una vita
Di quotidiana comunione e partecipazione
In ogni sciopero, manifestazione, marcia, protesta o boicottaggio,
Qui vengono a lavorare senza stipendio studenti, seminaristi
Professori, marinai, mendicanti, e a volte restano
Tutta la vita. Molti sono stati in prigione o ci stanno.
Hennacy digiunava davanti agli edifici del governo
Con un manifesto, distribuendo volantini e vendendo il giornale
E non pagava le tasse perché l'85% è per la guerra
Lavorava come bracciante nei campi per non pagarle.
Hugh magro, con i pantaloni corti sandali e poncho
Jack English, un brillante giornalista de Cleveland
Fu cuoco del Catholic Worker e poi si fece monaco.
Roger La Porte era bello e biondo aveva 22 anni: si sacrificó
Dandosi fuoco impregnato di benzina davanti alle nazioni Unite.
Un vecchio ex-marine, Smoky Joe, che lottó contro Sandino
In Nicaragua, morí qui convertito alla non violenza
Qui lavoró Merton prima della Trappa.
Il giornale si vende a 1 centesimo
Come lo vendette Dorothy Day per la prima volta
A Union Square il Primo Maggio del 1933
Il terzo anno della depressione
12 milioni di disoccupati
E Peter con il giornale cercava di fare una rivoluzione piuttosto che pubblicare opinioni
Le pentole fumano
Comnciano ad arrivare i poveri, i senza fissa dimora, quelli del Bowery
Fanno la coda. “Ecco gli altri USA” dice Dorothy
Gli uomini sradicati dalla macchina
E abbandonati dalla Santa Madre Stato.
Grida. Uno entra dando calci e spintoni
Due del catholic Worker lo portano fuori con calma.
“ Non chiamiamo mai la polizia perché crediamo nella non Violenza”
E mi dice: Quando fui a Cuba
Vidi che Sandino era un eroe
Ne godetti. Perché da giovane avevo raccolto denaro per lui.

Ernesto Cardenal
Trad genseki

giovedì, febbraio 11, 2010

Il Postino Cheval

Il Postino Cheval è il Lautréamont dell'architettura. Breton lo ha sacrificato per noi e ce lo ha servito nei modi dovuti per sempre nuovi festini.
Il palazzo ideale visto nella realtá è l'opera di un ortolano ossesionato dalla fertiltá. Un ortolano che coltiva la sua immaginazione come le melanzane.
genseki

Postino Cheval

Noi gli uccelli stregati da te per sempre su questo belvedere
E che ogni notte formiamo un solo ramo fiorito dalle tue spalle fino alle stanghe della tua carretta animata
Ci strappiamo con vivacitá di scintille dal tuo polso
Siamo noi i sospiri della statua di vetro che si solleva sul gomito quando l'uomo esce
E brillanti fenditure si aprono nel suo letto
Fenditure da cui si scorgono i cervi dalle corna coralline in una radura
E donne nude sul fondo di una miniera
Te ne ricordi ti alzavi allora e scendevi
Dal treno
Senza degnare di uno sguardo la locomotiva in preda alle immense radici barometriche
Che si lamenta nella foresta vergini delle caldaie ferite
Con i camini dal fumo di giacinto mossa dai serpenti azzurri

Ti precediamo allora noi le piante soggette a metamorfosi
Che ogni notte facciamo segni che l'uomo puó comprendere
Mentra la sua casa rovina e si meraviglia degli incastri singolari
Che il suo letto va provando con il corridoio e con la scalinata
La scalinata che si ramifica indefinitamente
E conduce alla porta di un frantoio che sbocca di colpo in una pubblica piazza
A schiena di cigno che apre un'ala come un rampa
Gira su se stesso come se dovesse mordersi ma no si accontenta d'aprire i suoi scalina ai nostri passi
Come cassetti
Come cassetti di carne dalla maniglia di capelli
Ora che migliaia di germani si pettinano le piume
Senza voltarti afferravi la cazzuola per modellare i seni
Ti sorridevamo cingevi la nostra vita
E assumevamo i modi i modi del tuo piacere
Immobile sotto le nostre pupille per sempre come la donna ama vedere l'uomo
Dopo l'amore,

André Breton
Clair de Terre
trad. genseki

mercoledì, febbraio 10, 2010

Il volo rosso

Il volo rosso dei colombi crepitava
Come un incendio di zolfanelli
Tra la nascente geometria degli olivi
Tutto continuava a colare: latte
Sangue e miele
Nella nebbia di zafferano.

Lo zoccolo appena oltre la vista
Spezzava l'asse dell'ora
Quando?
Palizzata di canne e palma
Scacchiera di ere adesso ritagliavano
L'immagine di un altro trapasso.

genseki


La Dama Bunducchia e Dreiser Cazzaniga

Prima parte

La dama Bunducchia era una signora di Gallura, proprietaria di varie centinaia di vacchette sarde e ossessiva bevitrice di Fernet. Non Branca. Fernet e basta. Una qualunque delle imitazioni che si trovano nel Liedl. La dama Bunducchia era bassa, nera, legnosa e con due immensi piedi nocchiuti come quelli di un santo eremita in un pala di altare tardogotica.
Aveva i capelli ricciuti come una africana, una risata improvvida e sorprendente e un guardaroba grigio. Un guardaroba i cui capi avevano ciascuno in un modo differente qualche cosa di topesco.
La dama Bunducchia beveva e viveva in un grandissimo appartamento di un edificio verdastro la cui facciata dava sui moli passeggeri del porto. I moli gitani, insomma. Beveva e forse sognava le sue vacchette sarde che dormivano nella macchia sotto i lentischi e i lecci. La dama Bunducchia aveva un amante ufficiale, un giovane muscoloso caribico, antico guerrigliero e disoccupato portuale.
Come accadde che la dama Bunducchia finisse tra le braccia di Dreiser Cazzaniga resta un mistero.
Allora Dreiser Cazzaniga soleva vestire di nero, sbandierava una lunghissima barba incolta che, come avrebbe capito solo molti anni dopo contribuva a mantenerlo in uno stato perenne di leggera tensione e nervosismo, Fu Cesare che gliela presentò, un gigantesco campiere rivoluzionario sempre vestito di fresco lino e panama ecuadoriano.
Cesare lo convinse che Bunducchia non era poi cosí brutta che il guerrigliero caribico non era poi così imprescindibile, che lui sì che avrebbe voluto goderne con una stretta feroce (di Bunducchia non del guerrigliero), che aveva programmato un fine settimana in Versilia, che aveva prenotato un albergo.
Dreiser Cazzaniga si ritrovó nel letto della dama Bunducchia che lo stringeva e si sfregava sulla sua pelle come una pietra pomice. Dreiser Cazzaniga non poté aprire gli occhi per tutto il tempo della relazione che allacció con la dama Bunducchia. Aveva vergogna del mondo, aveva paura della bocca sdentata della vecchia Bunducchia, aveva paura del suo proprio linguaggio che andava disfacendosi con il proggredire di quella scorticante relazione. La dama Bunducchia era insaziabile. Dreiser Cazzaniga poteva solo chiudere gli occhi prigioniero di quel suo incantesimo inacidito. Come si puó arrivare a questo? Si domandava Dreiser Cazzaniga in quell'estate di rovente agonia salina che trascorse nell'arida Gallura. Tutte le sue menzogne salivano alla superficie della coscienza si manifestavano nella loro abbietta natura, bruciavano e sparivano una ad una nel lungo processo di purificazione dalla vergogna che costituivano i prolungati e violenti abbracci della Dama Bunducchia. Correva per i monti aridi, la mattina si scorticava nella macchia si lasciava bruciare dai raggi spinosi del sole. Ritornava affranto la sera ai banchetti sontuosi che Bunducchia gli faceva preparare. Calava la sera. Chiudeva gli occhi. Non dormiva.

a cura di genseki

martedì, febbraio 09, 2010

La camera nuziale

La camera nuziale era un cesto di fiamme
Si aprivano ferite tra le ore ed il vento
Nell'aria si pettinavano i lamenti piú antichi
Precipitavano
Da Venerdí a silenzio per tutte le ruote
Del firmamento
La camera nuziale rinviava le immagini
Di fiamme e rotazioni
Di ruote vertiginosamente rotanti
Intorno all'asse del tempo
Fiamme tracimavano dall'una all'altra coppa
La camera nuziale era il nido del tempo
Il tempo una carola di fiammelle
Cercava una mano il suo velo
Ogni mano il suo scialle ricamato
Chi restava per lo sposo?
Olio, mandorle birra.

genseki

lunedì, febbraio 08, 2010

I sufi d'Andalusia

Ad-Durrat al fâkhirah

Non diceva mai "Io". Non l'ho mai udito pronunciare questa parola. Durante il periodo della mia ignoranza, cioé prima che entrassi nella Via soleva venire in visita da noi per incontrare uno dei miei zii.

Avevamo cercato per lui una moglie e avevamo cercato di fare le cose per bene. Accadde che io mi ammalai, e durante la malattia egli venne a farmi visita in modo che gli esposi il nostro progetto."Fratello mio", mi disse, "mi sono giá sposato e giovedi entrerò nella mia camera nuziale". Se ne andó. Qualche tempo dopo venne a trovarmi Umm az-Zahrá, una donna che era nella Via di Allâh e le spiegai l'assunto. Avendomi lasciato andó da lui e apprese che subito dopo aver lasciato la mia casa si era ammalato. Lei gli chiese del matrmonio e lui rispose: "O Fatima, mi sono giá sposato e tra cinque giorni entreró nella mia camera nuziale come ho detto a mio fratello Ibn 'Arabi. Lei gli chiese: "Con chi ti sposi? Perché hai tenuto segreto il tuo matrimonio?" Lui rispose: "Sorella mia saprai giovedí". Giovedí morí. Nella notte di venerdí entró nel paradiso. Secondo il volere di Dio come un novello sposo.

Ibn 'Arabi
I sufi d'Andalusia
trad. genseki

Luigi Nono: A Pierre. Dell'Azzurro silenzio, inquietum (1985)

Nichita Stanescu

Lezione di volo

Per prima cosa stringi le spalle
Poi ti sollevi sulla punta dei piedi
Chiudi gli occhi
Ti tappi le orecchie.
Dici a te stesso:
Ora prenderó il volo.
Poi dici:
Eccomi in volo, tutto qua?

Stringi le spalle
Come i fiumi che si radunano in uno solo
Chiudi gli occhi
Come fanno le nuvole intorno al campo.
Ti sollevi sulle punte dei piedi
Come la piramide emerge dalla sabbia.
Rinunci all'udito
L'udito di un secolo intero
Poi dici a te stesso:
Adesso prenderó il volo
Dalla nascita alla morte.
Poi dici ancora:
Volo -
Era proprio il momento giusto.
Raduni i tuoi fiumi
Come le tue spalle
Ti innalzi tra belati di capre
E dici: Nevermore
E subito dopo: froufrou, flûte!
Sbatti le ali di un altro,
E poi
Diventi questo qualcun altro
Che, lui, resterá per sempre
Quel qualcun altro.

Trad. genseki

sabato, febbraio 06, 2010

Ion Barbu

Ion Barbu

L'Ultimo Centauro

L'ultimo giorno si affrettó da loco a loco
Attonito... Al tramonto ratto si dispiegó
Sul crepuscolo verde, screpolando il travertino
Con il calice reale dei pensieri nella bestia cresciuti...

Fusero gli altopiani il raro blocco
Sera, al freddo bianco con la carne cosparsa
Uscí come chiocciola di vapore, mentre sradicato
Schiariva nella notte un cuore di fuoco.

Permanenente carnefice, l'ombra – lama, elsa -
Ricadde sulle braci con i suoi fili gravi
E la sfera lucente si dissolse in frammenti.

Già s'addorme la terra. Nessun centauro errante:
Solo il trotto mai spento della limpida mandria
È sogno di miniere di sorgenti dorate.

Trad. genseki

venerdì, febbraio 05, 2010

Bilinguismo

Dobbiamo essere blingui anche in una lingua sola. dobbiamo avere una lingua minore all'interno della nostra lingua, dobbiamo fare della nostra lngua un uso minore. Il plurilinguismo non significa soltanto il possesso di piú sistemi ciascuno dei quali sarebbe omogeneo in se stesso; signfica innanzitutto la linea di fuga o di variazione che intacca ogni sistema impedendogli di essere omogeneo. Non parlare come un irlandese o un rumeno in una lingua diversa dalla propria, ma al contrario parlare nella propria lingua come uno straniero.

Glles Deleuze - Claire Parnet
Conversazioni

Sulla cresta

Sulla cresta di sabbia seduti osservavamo
L'avanzata del sale in grandi getti
In cristalli in frequenti crolli,
Proprio sulla soglia tra il mare e le ali
nel punto esatto in cui si apriva
Il taglio la fenditura erosa scorticata
Come la lingua che negava ogni parola
Deglutiva, peró, sillabe come sciroccoo
Iodio celeste silenzio tra scoppio e scoppio.

genseki

giovedì, febbraio 04, 2010

Ereditá

Se scavi appena piú a fondo
Li vedrai gli occhi del pesce
Spalancati tra tutte quelle radici
Piangere fiotti di lacrime nere
Li vedrai gli occhi del pesce
Sperduti come le mani nell'autunno
Uno qua uno là tra le radici
Tra quegli autunni d'ororame
Stesi a marcire sugli steli morti
I ciottoli erano un fiume, in autunno
Ricordi? I pesci si perdevano tra i capelli
I tuoi - ciocche di riccioli, glebe
Ove ora la pala insiste, affonda
Cerca la luna, giú ancora piú a fondo
Come se pozzo fosse ove giace il cielo
Nel ricordo perduto dell'antico fiume
galleggiano come vesciche gli occhi dei pesci
E le tue mani e le tue piaghe e le ciocche
d'ororame dei capelli. Era autunno.
Cava, adesso! Pú a fondo. Fino agli occhi.
La tue mani saranno per gli eredi.

genseki

mercoledì, febbraio 03, 2010

Asura

Seyyed Hossein Nasr

La testa di Husayn

O Husayn, amato da Dio tra molti,
Il tuo corpo è sepolo nelle sabbie del'Iraq
La tua testa sulle sponde ondulate del Nilo.
Due mondi ti rendono omaggio nei due mausolei
Due riflessi in un piano d'anima maestosa.
La tua testa fu tagliata in quel giorno di lutto,
La asura in cui il cosmo pianse il tuo decesso.
La tua testa divenne spazio di vita
Nella terra dei faraoni e dell'Islam.
Una cittá intera è cresciuta in
Intorno alla tua nobile testa tagliata
Che ancora orbita intorno all'asse della tua tomba
Che diffonde una baraka palpabile ai sensi.
I fedeli pregano nella tua moschea,
I sufi intonano i nomi di Dio
Le nascite e le morti
Ritmano le visite ai tuoi luoghi santi
O Hussayn,
Tu che fosti luce degli occhi
Di chi Dio amó sopra tutte le creature,
Mentre il tuo corpo è testimone dei lamenti dei pellegrini
E dell'agonia degli afflitti sul cammino della terra
La tua testa detta il ritmo della vita in questa vasta cittá
La tua testa cuore della medina della Vittoria
La tua qahira in cui vivono e hanno vissuto santi e poeti
Celebrando con le loro vite e le loro azioni quella Veritá
Per cui hai sparso il tuo sangue benedetto
Per la quale hai dato la vita.
La tua moschea al Cairo è chiara testimonianza
Del trionfo di ció che è vissuto nella Veritá,
Percé anche se l'errore passa per la realtá,
Finisce per evaporare con la nebbiolina dell'alba
Davanti al sole della Veritá Suprema che sorge
Per la quale sei morto,
Martire esemplare,
Quella Veritá verso la quale ci conducono
Le tue reliquie terrene attraverso la baraka che spargono,
Evocando il messaggio della tua vita
Che è il trionfo finale della Veritá,
Essa sola avrá l'ultima parola.

16 Aprile 1967
trad. genseki

Hussain Hai - Marsiya - Nusrat Fateh Ali Khan

Culla

Sui tuoi petali cadeva la cannella
I pollici impastavano fili di polline
Lo strofinaccio bisunto ricordava
Il tepore del latte della madre
Smunto il formaggio si faceva nido
Nel cavo della clavicola, la scapola
Sbocciava a volo d'ape,
O mia cera sensata, modellata
Appena sul ritornello del fiato
Tra le lenzuola attente di novembre
Azzurra come la luna sulla culla
Dove il sogno di tante altre carezze
Ti afferrava i piedini come fiori

genseki

martedì, febbraio 02, 2010

È cercandolo che ve ne separate

La rete degli insegnamenti dispensati dai tre veicoli veicoli contiene molte cure e rimedi opportuni. È nella pratica viva e concreta che si applicano e non ve ne sono due uguali. Se lo comprendete non vi potrete piú sbagliare. Per prima cosa dovete perdere ogni attaccamento ai testi sulla base dei quali venite costruendo le vostre teorie, perché questi testi contengono degl insegnamenti che si riferiscono a determinate circostanze concrete, e non esiste un metodo propriamente detto che possa essere insegnato dal Tathagatha. La nostra scuola non ha tesiCu relativamente a questo. Noi ci accontentiamo sapere che il riposo è la calma dello spirito e che allora non vi è piú bisogno di produrre pensieri che si concatenano.


Dialogo II


  • Si sente dire sempre che lo spirito è il Buddhha ma io ancora non ho compreso di quale spirito si tratti?

  • Quanti spiriti ci sono in voi?

  • Insomma è lo spirito ordinario o quello straodinario che è Buddha?

  • Ma dov'è che avete uno spirito ordinario e uno straordinario?

  • I tre veicoli hanno sempre insegnato che vi è uno spirito ordinario e uno straordinario, allora perché lei, dice che non vi é nulla di simile, maestro?

  • I tre veicoli dicono e lo dicono chiaramente che è falso distinguere tra spirito ordinario e spirito straordinario. Siccome non lo capite vi mettete subito a cercare l'esistenza di uno spirito o di un altro, cioè a fare proprio il contrario e prendete il vuoto per una cosa concreta. È un grave errore e questo errore vi allontana dallo spirito.

    Solo quando avrete cacciato i “vostri sentimenti ordinari sullo straordinario”, allora non vi sará Buddha se non nel vostro spirito. Il primo Patriarca è venuto da Occidente per mostrare direttamente all'uomo la buddhitá di tutto il suo essere. Ma voi non ve ne rendete conto, vi attaccate ai concetti di ordinario e di straordinario, galoppate in tutte le direzioni fuori di voi, e, naturalmente, finite per distogliervi sempre di piú dallo spirito. È per questo che si dice che lo spirito è Buddha. Se solo per un istante sorge un'altra emozione cadete in preda a un altro destino. Oggi, come da tempo senza inizio, non esiste nessun altro metodo spirituale.

  • Per quale ragione, Reverendo, lei dice che lo spirito è il Buddha?

  • Che ragioni andate mai cercando? Non appena en avete trovata una ecco che vi separate dallo spirito.

  • Lei dice che le cose stanno cosí da un tempo senza inizio, per quale ragione?

  • È cercandolo che ve ne separate. Se non cercate dove sta la distinzone?

  • Se non vi è distinzione perchè ricorrere al verbo essere?

  • Se non discriminate tra ordinario e straordinario dove sta il predicato? Se “essere” vale come “non-essere” lo spirito non è nemmeno spirito. Una volta dimenticato tutto ció che riguarda lo spirito dove cercarlo ancora?

Huang-po

Dialoghi

trad. a cura di genseki

Alcol

Dreiser Cazzaniga e l'alcol

L'adolescenza di Dreiser Cazzaniga fu una traversata nella piscina dell'alcolismo. Una traversata verde e arancione che pareva non dovesse mai approdare all'altra riva. Vedeva il mondo come attraverso una pellicola d'acqua saldamente compressa sugli occhi, deformato, ora verdastro ora arancione, e gli arti senza gravitá dai movimenti immemori lo facevano sentire ora foglia ora pietra. Erano notti di vomito sulfureo e di pruriti insopportabile di catarro e di freddo. La mattina era il risveglio del Martini, poi vi era la colletta alla stazione per ragranellare quattrini per altri Martini. Molti Martini ebbero su Dreiser Cazzaniga l'effetto di facilitare un apprendimento inspiegabilmente rapido e sicuro del latino poetico. Da ubriaco Dreiser Cazzaniga soleva leggere la Farsaglia di Lucano seduto di fronte al mare, incurante degli spruzzi salini, in una vecchia edizione a cura dell'accademico d'Italia Ettore Romagnoli, dalla copertina nera che prendeva in prestito nell'aristocratica e polverosa biblioteca del prestigioso seminario Humboldt in cui studiava come paria. Di Lucano lo affascinava l'oscuro terrore e la vergogna deforme che impregnavano i suoi versi e la sua complicitá subdola nell'omicidio della propria madre. Lo sognava come un giovane brufoloso dal collo lungo lungo e dallo sguardo sfuggente, le labbra piegate in un sorriso di scusa.
Poi, dopo le lezioni era la volta delle sei o sette birre karlshafen e poi un paio di litri di rosso denso dolcetto a pranzo e altri ancora a cena e poi ricominciare il giorno dopo a sognare il martini mentre il tram franava tra scintille di metallica frizione da Briggio il Decimo al mare su cui splendeva la stella del pastore in un cielo di miniatura borgognona. Dreiser Cazzaniga voleva davvero essere un poeta maledetto, immaginava bandiere rosse sulla bianca torre arabeggiante di Avellano in un vorticoso volo di gabbiani. Le ragazzine, compagne di quotidiana discesa dalla neve briggesca al mare gli facevano paure rivestiva i loro corpi che la sua immaginazione tendeva a denudare con un pudico velo di distorsione alcolica.

a cura di genseki