martedì, febbraio 02, 2010

È cercandolo che ve ne separate

La rete degli insegnamenti dispensati dai tre veicoli veicoli contiene molte cure e rimedi opportuni. È nella pratica viva e concreta che si applicano e non ve ne sono due uguali. Se lo comprendete non vi potrete piú sbagliare. Per prima cosa dovete perdere ogni attaccamento ai testi sulla base dei quali venite costruendo le vostre teorie, perché questi testi contengono degl insegnamenti che si riferiscono a determinate circostanze concrete, e non esiste un metodo propriamente detto che possa essere insegnato dal Tathagatha. La nostra scuola non ha tesiCu relativamente a questo. Noi ci accontentiamo sapere che il riposo è la calma dello spirito e che allora non vi è piú bisogno di produrre pensieri che si concatenano.


Dialogo II


  • Si sente dire sempre che lo spirito è il Buddhha ma io ancora non ho compreso di quale spirito si tratti?

  • Quanti spiriti ci sono in voi?

  • Insomma è lo spirito ordinario o quello straodinario che è Buddha?

  • Ma dov'è che avete uno spirito ordinario e uno straordinario?

  • I tre veicoli hanno sempre insegnato che vi è uno spirito ordinario e uno straordinario, allora perché lei, dice che non vi é nulla di simile, maestro?

  • I tre veicoli dicono e lo dicono chiaramente che è falso distinguere tra spirito ordinario e spirito straordinario. Siccome non lo capite vi mettete subito a cercare l'esistenza di uno spirito o di un altro, cioè a fare proprio il contrario e prendete il vuoto per una cosa concreta. È un grave errore e questo errore vi allontana dallo spirito.

    Solo quando avrete cacciato i “vostri sentimenti ordinari sullo straordinario”, allora non vi sará Buddha se non nel vostro spirito. Il primo Patriarca è venuto da Occidente per mostrare direttamente all'uomo la buddhitá di tutto il suo essere. Ma voi non ve ne rendete conto, vi attaccate ai concetti di ordinario e di straordinario, galoppate in tutte le direzioni fuori di voi, e, naturalmente, finite per distogliervi sempre di piú dallo spirito. È per questo che si dice che lo spirito è Buddha. Se solo per un istante sorge un'altra emozione cadete in preda a un altro destino. Oggi, come da tempo senza inizio, non esiste nessun altro metodo spirituale.

  • Per quale ragione, Reverendo, lei dice che lo spirito è il Buddha?

  • Che ragioni andate mai cercando? Non appena en avete trovata una ecco che vi separate dallo spirito.

  • Lei dice che le cose stanno cosí da un tempo senza inizio, per quale ragione?

  • È cercandolo che ve ne separate. Se non cercate dove sta la distinzone?

  • Se non vi è distinzione perchè ricorrere al verbo essere?

  • Se non discriminate tra ordinario e straordinario dove sta il predicato? Se “essere” vale come “non-essere” lo spirito non è nemmeno spirito. Una volta dimenticato tutto ció che riguarda lo spirito dove cercarlo ancora?

Huang-po

Dialoghi

trad. a cura di genseki

Alcol

Dreiser Cazzaniga e l'alcol

L'adolescenza di Dreiser Cazzaniga fu una traversata nella piscina dell'alcolismo. Una traversata verde e arancione che pareva non dovesse mai approdare all'altra riva. Vedeva il mondo come attraverso una pellicola d'acqua saldamente compressa sugli occhi, deformato, ora verdastro ora arancione, e gli arti senza gravitá dai movimenti immemori lo facevano sentire ora foglia ora pietra. Erano notti di vomito sulfureo e di pruriti insopportabile di catarro e di freddo. La mattina era il risveglio del Martini, poi vi era la colletta alla stazione per ragranellare quattrini per altri Martini. Molti Martini ebbero su Dreiser Cazzaniga l'effetto di facilitare un apprendimento inspiegabilmente rapido e sicuro del latino poetico. Da ubriaco Dreiser Cazzaniga soleva leggere la Farsaglia di Lucano seduto di fronte al mare, incurante degli spruzzi salini, in una vecchia edizione a cura dell'accademico d'Italia Ettore Romagnoli, dalla copertina nera che prendeva in prestito nell'aristocratica e polverosa biblioteca del prestigioso seminario Humboldt in cui studiava come paria. Di Lucano lo affascinava l'oscuro terrore e la vergogna deforme che impregnavano i suoi versi e la sua complicitá subdola nell'omicidio della propria madre. Lo sognava come un giovane brufoloso dal collo lungo lungo e dallo sguardo sfuggente, le labbra piegate in un sorriso di scusa.
Poi, dopo le lezioni era la volta delle sei o sette birre karlshafen e poi un paio di litri di rosso denso dolcetto a pranzo e altri ancora a cena e poi ricominciare il giorno dopo a sognare il martini mentre il tram franava tra scintille di metallica frizione da Briggio il Decimo al mare su cui splendeva la stella del pastore in un cielo di miniatura borgognona. Dreiser Cazzaniga voleva davvero essere un poeta maledetto, immaginava bandiere rosse sulla bianca torre arabeggiante di Avellano in un vorticoso volo di gabbiani. Le ragazzine, compagne di quotidiana discesa dalla neve briggesca al mare gli facevano paure rivestiva i loro corpi che la sua immaginazione tendeva a denudare con un pudico velo di distorsione alcolica.

a cura di genseki

lunedì, febbraio 01, 2010

Battesimo

Nella radura dei mandorli
Celebrammo il nostro battesimo
Fummo battezzati nel latte
Come scorie appassite di mughetto
La lingua dell'erba era piú bianca
Del tuo fiato e della mia costanza
Nelle tuniche viola ci stringemmo
Tu mi dicevi tutte le tue dita
Io ti cantavo il mio fiato e le orme
Che sfilacciano i rami degli ontani
I voli silenziosi mi dicevi
Da nocche e da pupille e poi gli specchi:
Fammi d'ogni tua sillaba riflesso
Laggiù nel fondo delle tue pupille
Dove scorre rovente la visione
Che alle nostre labbra come nebbia
Ci lasciava ubriachi tra le mandorle
Ma la terra riempiva ora le bocche
L'odore della terra nelle palpebre
Il peso delle terra sui menischi
Terra respiravamo come un bacio
E fummo infine piú bianchi del latte.

genseki

Luigi Nono : Como una ola de fuerza y luz (1971/72) ... 4/4

Il silenzio

Luigi Nono

Il silenzio.

È molto difficile ascoltarlo.
È molto difficile ascoltare , in silenzo, gl altri. Altri pensieri, altri rumori, altre sonoritá, altre idee. Attraverso l'ascolto, cerchiamo abtualmente di ritrovarci negli altri. Vogliamo ritrovare i nostri propri meccanismi, il nostro proprio sistema, la nostra razionalitá, nell'altro.

In questo vi è una violenza totalmente conservatrice.

Invece di ascoltare il silenzio, di ascoltare gli altri, speriamo di ascoltare ancora una volta di piú noi stessi. Questa ripetizione è accademica, conservatrice, reazionaria. È un muro elevato contro il pensiero, contro quello che ancora non si puó spiegare. È il prodotto di una mentalitá sistematica basata sugli a priori interni de esterni, sociali o estetici. Amiamo il confort, la ripetizione, i miti: amiamo ascoltare sempre la stessa cosa, cone le sue pccole differenze che ci permettono di dimostrare la nostra intelligenza.

Ascoltare musica.
È qualche cosa di molto difficile.
Credo che oggi sia un fenomeno raro.

Ascoltiamo abitualmente in modo letteraro, ascoltiamo quello che si è scritto, ci ascoltiamo ...

L'errore rompe le regole. È una trasgressione. È opposizione alle istituzoni stabilite. È ciò che ci permette di intravedere altri spazi, altri cieli, altri sentimenti all'interno e all'esterno, senza dicotomie tra i due, contrariamente alla mentalitá banale e manichea sostenuta oggi.

Risvegliare l'udto, gli occhi, il pensero, il massimo d interiorizzazone esteriorizzata: questo oggi è essenziale.

Luigi Nono
Intrevista a “Contrechamps”

Trad. e selezione genseki


sabato, gennaio 30, 2010

Gypsy holocaust Auschwitz song Latcho Drom

La prima volta che apprendemmo che i nostri amici venivano macellati ci fu un grido d’orrore. Poi ne vennero massacrati cento.
Ma quando ne rimasero uccisi mille e il macello non finiva, si estese una coperta di silenzio. Quando il male arriva come la pioggia, nessuno urla: alt!
Quando i crimini si ammucchiano diventano invisibili.
Quando le sofferenze diventano insopportabili, le grida non si sentono più.
Anche le grida cadono, come pioggia d’estate.


Bertolt Brecht

Dreiser Cazzaniga e la meraviglia

Dreiser Cazzaniga incontró innumerevoli volte nel corso della sua vita la meraviglia. No, non era certo un cacciatore di meraviglia, uno di quei tipi speciali dall'aria innocente che finiscono per arruolarsi in polizia per inseguire la propria personale meraviglia sulle autostrade e per gli svincoli del porto. Anzi, molte volte, avendo incrociato la meraviglia, essendosi imbattuto in essa, non la riconobbe, o avendola riconosciuta non seppe lasciare che lo invadesse davvero fino al midollo.
Eppure la meraviglia si trova intessuta a tutta la sua vicenda vitale. La meraviglia per la neve che sempre ritorna e che sembra cambiare il mondo per sempre. Poi se en va si scioglie e sembra che non ci sia mai stata. La meraviglia per la camminata di una ragazza sul marciapiedi davanti al bar in cui sta comprando il biglietto del treno e tante altre meraviglie di tipo minimalista come quelle di Amélie o del primo sorso di birra, insomma.
In realtá anche piú meravigliosa è la meraviglia oscura, la meraviglia per la testardaggine dei malvagi, per esempio, per la loro astuzia paziente, per la noncuranza dei violenti, per la viltá dei vinti, per la propria viltá.
La meraviglia oscura ebbe su Dreiser Cazzaniga un potere forse maggiore dell'altra. Questa è una affermazione dubbia perché effettivamente Dreiser fu sempre semplicemente schiacciato, annientato dalla meraviglia della natura. La meraviglia che sempre lo attendeva all'entrata di un sentiero nel bosco, alla scoperta di una radura, all'apparizione di una nuova sfumatuta dell'autunno.
Meraviglia e vergogna furono i due poli dell'anima rinsecchita di Dreiser Cazzaniga, almeno fino a quando non scoprí il sarcasmo e la frenesia dell'umorismo.
Un giorno la mamma comunicó solennemente al piccolo Dreiser Cazzaniga che il tempo era venuto per lui di scendere a giocare al patio con gli altri mocciosi e matotti di Briggio. Dreiser non sapeva che cosa fosse il patio, dalla finesta della cucina vedeva gli abeti sui fanchi dei monti che separavano Briggio dalla cittá che un grand'uomo batezzó Pastrufazio sventolare come manti d'avventura e rabbrividí di verde.
Il patio invece era un terreno tra i condomini recentemente innalzati, pieno di detriti metallici, mucchi di sabbia, pozze e scheletri di furgoni militari ianchi della lontana guerra dei padri rossi.
Accoccolato nella sabbia in un circolo col branco dei matotti Dreiser si sentí sereno, sicuro, concentrato a muovere un piccolo camion su strade immaginarie quando un moccioso scuro scuro chiamato Roberto gli gridó:
-ragno, ragno, sembra un ragno con quelle bianche gambette secche secche!
Dreiser non rispose la meraviglia gli colava in gola. Sorsi amari furono quelli. Perché, perché? Pensava e gli doleva il futuro troppo lungo e piano davanti alla sue mani incapaci di depredare.

a cura di genseki

venerdì, gennaio 29, 2010

Alamogordo

Le tue lacrime profumavano di miele
Come alcuni gelsomini sono latte
Le scostavi con una mano nuda
Come fossero cortina di pupilla
Entrava allora l'umido del lupo
Il roco alito del dirupo ventoso
E tante tante rose di caffé, sventate
Come fanciulle col primo completino di flanella
L'orbita sua era caverna al nostro tremare
Allo stringerci nei panni freschi dei tremuli
Pioppi
L'orizzonte era una sequenza di errori
Ritmati dai filari dei cactus.

genseki

M.Rostropovich - Bloch Schelomo (1)

giovedì, gennaio 28, 2010

Un amore di Dreiser Cazzaniga

Tra tutte le cocenti vergogne della gioventú di Dreiser Cazzaniga, particolarmente doloroso fu l'amore per la giovine Stefi Paglia parmense. Una piccola scintilla di carnalitá brufolosa nelle nebbie di Milano. Allora Dreiser Cazzaniga dormiva nella nebbia, mangiava nebbia, si dissetava con la nebbia e passava interminabili pomeriggi nelle librerie più prestigiose della cittá per dimenticare che non poteva saziare la fame, che le scarpe di plastica gli facevano puzzare i piedi e che la dermatite atopica di cui giá soffriva e che gli sarebbe stata diagnosticata solo molti anni dopo lo costringeva a grattarsi saguinosamente le gambe. Era però soddistatto viveva nella cittá,passava per corso di Porta Romana che gli pareva un canyon, godeva dei tram arancioni con le loro panche lignee, leggeva Quenau e Aragon: si sentiva un Paysan de Milan. Seguiva il ricordo delle sue precoci letture dadaiste nelle piccole gallerie commerciali e si svegliava presto la mattina per passeggiare tra i fuochi fatui delle discariche dismesse di Porto di mare fino a che la barba non si coprisse di brina. Un vero nebbioso e affumicato maudit che non beveva piú e fumava poco. Come conobbe la signorina Stefi? DreiseR Cazzaniga non ce lo racconta. Certo lo teneva ben impresso nella memoria; ma non lo racconta. O, almeno, io non ho trovato nel disordine delle sue carte la pagina a questo ricordo dedicata. Stefi Paglia era bassa, scura, morbida, flessibile e unta. avvolta in un costosissimo cappotto di montone, con un taglio di capelli da cosmopolitan e accettava di passare tantissime serate con lui e i suoi pruriti al cinema, al teatro al ristorante. Pagava lei! Gli regaló anche un paio di guanti di pelle che costavano una fortuna e che Dreiser Cazzaniga perse durante una partita di caccia al cinghiale mentre correva verso una rovere per mettersi al sicuro dalla furia di madre ferita di una rabbiosa cinghialessa. Fino ad allora gli pareva che Stefi Paglia gli accarezzase le mani dolenti.
Dreiser Cazzaniga passeggiava abbracciato a Stefi, la strizzava ma non la baciava, Stefi gli raccontava le pratiche sadomaso alle quali il fidanzato parmense era solito sottometterla nel fine settimana. Dreiser Cazzaniga non la vide mai nuda. Un volta lo invitó a dormire con lei nella sua casa di San Babila. Dreiser dormí sul divano lei gli versava il te in un bicchiere verde di quelli infrangibili avvolta in una camicia ibizenca dalle mille pieghe.
La mattina dopo Stefi gli raccontó che lo aveva sognato mentre entrava nella sua camera e le infliggeva larghe e profonde ferite slabbrate con un coltello da frutta arrugginito.
Dreiser Cazzaniga non la rivide mai piú.
genseki

Dialettica della memoria

Il “Giorno della memoria” è l'istituzionalizzazione della celebrazione rituale dell'unicitá e dell'eccezionalitá di quello che oggi viene comunemente chiamato “Olocausto”.

Il nazionalsocialismo tedesco segregó gli ebrei europei, li separó dalla comunitá umana li mise a parte come unici come eccezionali e giustificó in questo modo la necessitá del loro sterminio.

Proclamare oggi l'unicitá e l'eccezionalitá dello sterminio degli ebrei europei è assumere il punto di vista dei loro carnefici e consolidarlo.

Significa perpetuarlo attraverso la sua apparente negazione.

I nazisti commisero il genocidio perché considerarono gli ebrei a parte dell'umanitá, perché negarono il loro appartenere alla specie umana.

Proclamare l'unicitá dello sterminio degli ebrei relativamente a tutti gli altri stermini e genocidi che ritmano la millenaria preistoria umana è accettare questa loro separazione questa loro segregazione, significa fare proprio il punto di vista dei carnefici.

Lo sguardo con cui la vittima si guarda si confonde con quello con cui la guarda il suo carnefice.

Quello che si esecra è lo sterminio, ma si accetta la separatezza che en è la condizione teorica.

La negazione del nazismo sarebbe la negazione della separatezza, della segregazione sarebbe l'affermazione della comune dolente dignitá di tutte le vittime in quanto vittime e in quanto umane.

Affermare la natura unica e straordinaria dello sterminio significa accettare la logica che lo ha prodotto, perpetuarlo e quindi creare le condizioni per l'avvento e la giustificazioni di altri stermini, di altro orrore.

In questo senso la memoria è almento di odio sempre nuovo, condizione di possibilitá di altro orrore.

La perpetuazione della memoria non è la negazione dell'olocausto ne è la cattiva sintesi dialettica.

genseki

mercoledì, gennaio 27, 2010

Eduard Bagrickij (1895-1934)

In tutta a sua struttura psicologica, nella sua percezione Bagrickij era un poeta nel senso piú alto della parola -con una splendida comprensione della forza poetica, con un amore appassionato per il verso sonoro.
Lidiia Ginzburg

*

Benché giá famoso sulla scena degli albori della letteratura sovetica per la forza e la maestria de suoi versi vibranti e metaforici. in seguito alla morte prematura la vita e la poesia di Bagrickij furono converiti in una leggenda letteraria sovietica.
Tale leggenda venne poi consacrata dal primo congresso degli scrittori sovietici quello che codificó il realismo socialista come la ortodossia letteraria e artistica.

Le sue poesie furono materia per gli inni ufficiali e la legenda sovietica di Bagrickji finí per ridurre la sua poesia a un numero scelto e ridotto di poesie ideologiche.

Si dimenticó la sua critica all'oppressione burocratica e all'abbandono degli ideali egualitari.

Bagrickij fu insomma considerato soprattuto come l'autore di due opere: " la Giovane Pioniera" (1932) e "Il lamento di Opanas" (1926).

Diversamente da molti altri membri della prima generazione di poeti sovietici Bagrickij morí al culmine della sua carriera letteraria.

Egli era considerato come la figura principale del "Romanticismo Rivoluzionario Sovietico" e si lodava soprattutto il suo indistruttibile ottimismo sovietico nonostante la salute molto compromessa e il suo impiego dei temi clasici della poesia popolare ucraina e di quella russa. In effettii nella sua poesia sono forti gli influssi di Robert Burns e del poeta nazionale ucraino Taras Shevchenko ma anche quelli dei Poeti Maledetti, dei parnassiani e dei romantici tedeschi.

Valerii Kirpotin, capo del Dipartimento Letterario del Comitato Centrale e uno dei padri della dottrina del realismo socialista scrisse di Bagrickij che "egli era un romantico che, attraverso il canto e la parola si sforzó di esprimere la passione e il sogno della rivoluzione. La sua artiglieria poetica bombardava il vecchio mondo".


Viktor Shklovskii scrisse:

Uno strobscopio e un dosco rotante che al margine è perforato..

Il poeta contemla l mondo attraverso lo stroboscopio del suo cuore...
Bagrickij morí a trentasette anni. I suoi capelli erano tutti grigi. Centocinquanta scalini separavano la sua stanza dal mondo. Adorava il sole, il sud, l'anguria, gli uccelli, il mare, la prmavera e tra lui e il mondo c'erano centocinquanta scalini.
Nella sua stanza c'era un pesce; il pesce nuotava in acqua azzurra. Il pese nell'acqua azzurra fu l0ultimo frammento di vita che poté vedere dal suo giaciglio.

Eduard Bagrickij (1895-1934)

Eduard Bagrickij (1895-1934)

La sola resenza nella cultura italiana della figura e della poesia di Euard Bagrickij è un esile librettino della Collezione di Poesia Einaudi del 1965. La traduzione era di Strada e anche la brutta introduzione.
Dopo di allora nient'altro, Il libro me lo ha prestato Maresa quasi dieci anni fa. Devo ancora restituirglielo. Mi segue nascosto tra il passaporto e il permesso di soggiorno in tutti i miei ultimi viaggi.

L'ultima notte

Il fagiano esplose come un fuoco d'artificio
I pallini strapparono gli aghi dalle foglie.
L'uccello piomb'cometa di penne,
In uno scompiglio di albe primaverili.

L'Arciduca tornó a casa.
Si spoglió. Bevve del vino.
Il setter morbido gli si stese
Ai piedi, come una sfinge.

La pistola con cui fu ucciso
(Non ne ricordo il tipo)
Giaceva ancora dall'armaiolo
Fra una canna da pesca e un coltello.

Il futuro assasino sonnecchiava,
La testa reclinata
Sul duro pugno giovinetto
Coperto di bruno pelo.


A Odessa i castagni si vestivano di fumo
E quando scendeva la sera, il mare,
Ansando, si volgeva sul suo asse,
Simile a una ruota.

La mia finestra dava nel giardino
E nel crepuscolo, tra il fogliame,
Becchi di gas s'alzavano turchini
Sopra le insegne delle birrerie.

E su questa luce effevervescente
Rumoreggiando con un milione d'ali
Volavano gli stornelli a sfracellarsi
Contro i vtri e contro i cavi.

Primavera gl spingeva dalle rocce nere
Con la sferza ei venti di mare.

Uscii...
Dietro la porta mi si chiuse...
E la notte circondandomi
D'un moto d'ali, fiori e stelle,
Sorse in tutti gli angoli.

Oltrepasai le piccole case ebree.
Udivo il terribile ronfiare
Dei carrettieri stesi nei carri,
E nelle finestre si vedeva

Il sabato in parrrucca porporina
Che andava reggendo una candela.

Oltrepassai le piccole case ebree
Uscii al brillio delle rotaie
Al deposito tranviario si struggeva
Il lampione, circondato dalla grande primavera.

Avevo solo diciassette anni
E per questo certo la notte
Turbinava e respirava in me
E mi camminnava accanto.

Ero il suo specchio, il suo sosia,
Ero un secondo universo
I pianeti mi penetravano
Da parte a parte, come un bichier d'acqua,
E mi pareva che una luce leggera
Stillasse dai pori simile a sudore.

Oltrepassai il deposito tranviaruo
Dietro, imponderabile come il fumo
La via asfaltata, turbinando, volava
Ad occidente verso le onde del mare.

E d'un tratto udii un suono prolungato:
Sul mondo volava una tromba,
Languendo di passione. E io dissi
"Ecco le prime gru!"

Sulla polvere, sulla mia giovinezza
Passava echeggiando quella tromba,
E le stelle si gettavano da parte,
Con un palpito all'urto delle larghe ali.

...

trad. V. Strada

martedì, gennaio 26, 2010

Assente

Quando ti abbraccio stringo la tua assenza
Come tra i denti si asciuga lunga fame
Quando gli abeti si sfasciano a sciami
Mentre mi sfuggi respiro il tuo tepore
Viva presenza del tuo corpo in viaggio
Nelle contrade di granito e ghiaccio
Dove l'alloro è un sogno di metallo
E si stinge tra gli urti delle piume
La catastrofe oscura delle ciglia
Ti stringo assente come fossi pane
Per saziare la fame dei torrenti
Dorso d'anguilla lucida ti sciolgo
Perche mi sfugga all'orlo della bocca
Tutta la fresca estraneitá di un corpo
Che guizza e slitta dal mio deisderio.


genseki


lunedì, gennaio 25, 2010

Oltre

Cercavi di fissare il punto, l'istante
In cui l'animale alla soglia di se stesso
Sgorgava infine nel suo atto, nella negazione
Come sgorga il guanto dalle tua mano
E assume la casualitá della sua forma
Custodia del balenare tagliente
Delle tue unghie vere:
Il gatto dal nespolo transitava nel balzo
Per ricadere poi oltre se stesso
Con un cuore sanguinante e brandelli
Tra le fauci di un altro,
Mentre le tue unghie fredde
Azzurre ghigliottine delle pupille
Sorgevano incontro alla luna di settembre.

genseki

André Breton

domenica, gennaio 24, 2010

La Bandiera Rossa

Per la bandiera rossa, pura di qualsiasi contrassegno o distintivo, io ritroveró sempre lo sguardo che ebbi per essa, a 17 anni, quando nel corso di una manifestazione popolare, mentre si avvicinava l'altra guerra, l'ho vista dispiegarsi innumerevole nel cielo basso del Pré Saint-Gervais. E tuttavia - sento che la mia ragione non puó farci nulla, io continueró a fremer ancor di piú ricordando il momento in cui su quel mare fiammeggiante in alcuni punti non numerosi e ben circoscritti, apparve lo sventolío delle bandiere nere. Allora non avevo una grande coscienza politica e devo proprio dire che resto perplesso quand mi viene in mente di giudicare ció che me ne è venuto. Ma oggi piú che mai mi sembra che le correnti della simpatia e della antipatia siano dotate di una forza tale che permette loro di sottomettere le ideee, e io so che il mio cuore ha palpitato all'unisono con il movimento di quella giornata.
Nelle gallerie piú profonde del mio cuore ritroveró sempre l'andirivieni di quele innumerevoli lngue di fuoco alcune delle quali s attardavano a lambire uno stupendo fiore carbonizzato. Le nuove generazioni stentano a raffigurarsi uno spettacolo come quello di allora. In seno al proletariato non si erano ancora manifestati i dissidi di ogni tipo che hanno finito per lacerarlo.
La fiaccola della Comune di Parigi ancora non era stata spenta, vi erano tra quelle mani molte che l'avevano portata, ed essa unificava ogni cosa con la sua grande luce, che sarebbe stata meno bella e meno densa senza qualche voluta di fumo denso. Su quei volti si leggeva tanta fede individualmente disinteressata, tanta risoluzione e ardore, e tanta nobiltá anche sui volti dei vecchi.
Certo attorno alle bandiere nere le devastazioni fisiche erano piú sensibili, ma la passione aveva veramente traforato certi occhi lasciandovi dei punti indimenticabili di incandescenza, ra come se la fiamma fosse passata su tutti quegli uomini bruciandoli un po' di piú o un po' di meno...

André Breton
Da. "Arcano 17"

Antonio Porta

Dentro la poesia c'è quello che solo dentro di essa puó esserci. Futile è la vita del poeta. Disperata è la sua vita. Felice è la sua vita. Dipende dai giorni. Ma dove si gioca la sua pelle è nel linguaggio delle sue poesie, dove si chiude o si apre, anche alla vita.

Lettera a Nina Lorenzini
21.12.1977

sabato, gennaio 23, 2010

Era un aprirsi

Era un aprirsi e chiudersi improvviso
Di grandi foglie al fendere la ghiglia
L'impassibile palude della stanchezza
Soltanto un movimento di ventaglio
Negava il tempo e ne faceva perle
Una o due perle per ciascuna coppa
Da adesso a poi quindi da poi a prima
Era qualcosa come un dispiegarsi
Frullare forse schioccare da calice a calice
Dove il rumore si fondeva in luce
Liquida nelle bolle momentanee
Sfilare il tempo dalla guaina del desiderio
Era soltanto schiudersi di petali
Neri come campane di Bretagna
Quando il temporale gettava gli anni e i mesi
A manciate come stracci consunti
Sulle scogliere dove finiva il mondo
In un ansito asmatico di sputi.

genseki