
Agostino
Confesiones I, 13
trad. genseki
Il contenuto concreto della certezza sensibile fa che questa si manifesti come la conoscenza più ricca, ossia come una conoscenza infinitamente ricca tale che – anche movendosi nello spazio e nel tempo come nl mezzo in cui essa si espande oltre se stessa, oppure prendendo un frammento di questa pienezza e entrando per suddivisione, dentro quel frammento medesimo – non sapremmo trovarne il limite.
Hegel
Fenomenologia dello Spirito
Cap. I
trad genseki
La prima frase della fenomenologia, il punto di partenza dell'avventura della Bildung univesale è anche il punto di arrivo, ovviamente, quello del sapere piú ricco.
La certezza sensibile è quel genere di immediatezza che corrisponde al pensiero hishiryo del Maestro Dogen: “non pensare con il pensiero, pensare con il non pensiero. Come si pensa con il non pensiero? Col pensiero hishiryo”.
Cioè saltando inmediatamente, oltre ogni mediazione nella certezza sensibile,
Cioè raggiungere la meta al principio del camminoAppena prima, nulla; dopo, fumo!
Eppur nutro ambizioni, eppur presumo
E punto son del cerchio che mi serra.
Breve battaglia d'importuna guerra
In mia difesa son periglio estremo
Con le mie mani il mio essere scemo
Meno m'alberga il corpo che m'interra.
Ier non é pú, domani non ancora
L'oggi trascorre, è fu giá con movimento
Che mi getta di morte nella gora.
E vanga è l'ora che per le mie ossa
Con mercé della pena che m'accora
Scava nella mia vita la mia fossa.
trad genseki
Ma se è tuo dovere
Contar i giorni della vita mia
Presto riposerai poiché le cure
E le tante premure
Che nutre lacrimoso
Il cor mio doloroso
L'ardente fiamma ria
Ch'amor attizza nelle vene oscure
(men che di sangue son di fuoco piene)
Mi spinge con gran possa
Nel grembo della morte, e mi accorcia il cammino
Ché con pie doloroso
Misero pellegrino
Vo`dando giri presso la nera fossa.
Ben so che sono fiato fuggitivo
Giá so, già temo, già son fatto accorto
Che polvere saró, quale tu, da morto
E vetro son, quale tu sei, da vivo.
Quevedo
Poesie Morali
Trad. genseki
“Il “Vakúf”, - Ció che è rovina di chiesa o bene che gli appartenga – nell'idea del popolo ha in se stesso una forza misteriosa, quasi magica. Guai a chi tocca quella pianta o introduce tra quella rovine il gregge, le capre divoratrici di ogni fronda; sará colto all'improvviso da un malanno; rimarrá storpio, paralitico, mentecatto, come se si fosse imbattuto, in mezzo agli ardori meridiani o durante la notte oscura e piena di perigli in qualche “Ora” o “Zana” laddove queste fate invisibili e in perfetto silenzio stanno sedute a una tavola rotonda o in mezzo al sentiero.”
C'è ancora qualche altro accenno nel corso dell'articolo.
Questa nota di Gramsci cosi estranea al corso delle sue preccupazioni intellettuali quali esse ci appaiono nei Quaderni, cosí apparentemente divagatoria nella ci permette forse, per un istante di entrare nell'intimo della sua mente, di intravedere una fazione infinitesima del gomitolo di pensieri e desideri che continuamente si srotola nel suo e nel nostro cevello e che come un ronzio ci assicura che esistiamo. È questo ronzio quello che abbiamo di piú nostro, di piú personale, di piú simile ad una Io permanenente.
In queste poche righe di annotazione possiamo cogliere la tenerezza infantile del desiderio di un mondo di favole e di leggende, forse un appena un bagliore della strana convinzione di Gramsci di essere di origine albanese, la nostalgia della Sardegna arcaica, proprio quando anche la sua infanzia si fa per lui aracaica e il passato della terra leggendaria e della biografia perduta il solo orizzonte possibile.
L'isolamento delle rovine delle vecchie chiese è il correlativo simbolico dell'isolamento carcerario del suo corpo, anch'esso appunto segregato e in rovina.
Gramsci sente il suo corpo come il tempio, come il recinto del sacro nella sola forma in cui a lui è dato sentirlo.
Tutto questo nellinfinita noia dolente, nell'agonia ovattata di un pomeriggio carcerario.
genseki
di esso parla Cesare Abba nel suo memoriale garibaldino pare che lo leggesse il Padre Canata nel Liceo Scolopico di Carcare.
Il contrasto tra l'abiezione, l'indifferenza e lo spettacolo è qui rapresentata con una precisione geometrica che ne fa qualche cosa di piú e di diverso da un testo di propaganda o di battaglia culturale anticlericale, ne fa una riflessione lucida su come la violenza e il dolore inflitto distruggano e le vittime e i carnefici, spoglino entrambi di qualsiasi dignitá. Gli inquisitori e gli eretici sono ridotti a grige comparse dementi bloccate nella confabulazione piú viscosa, triturate dalla tautologia, sfigurate dala perversione sistematica di ogni parola.
Tutti sono macchine che producono non senso. Passa nella mente di chi legge l'alito cinerino e morbido della demenza. Quello che resta è vergogna una vergogna piú profonda di ogni possibile pietá.
genseki
Compiute le formalità, bandito ad alta voce l'ostinato proponimento d' colpevoli, lette le sentenze in latino, prima la donna salì sul palco; e due frati manigoldi la legarono al tronco, e diedero fuoco alle chiome, imbiotate innanzi di unguenti resinosi acciò le fiamme durassero vive attorno al capo: indi bruciarono le vesti, anch'esse intrise nel catrame, e partirono.
La misera rimasta sola sul palco, mentre gemeva e le ardevano intorno e sotto i piedi le fiamme, cadde col coperchio del rogo; scomparso il corpo, rimasero ai sensi degli spettatori i gemiti di lei; le fiamme, il fumo, che andavano ad oscurare l'alta croce di Cristo svergognata.
Così fra' Romualdo morì nell'altro rogo, dopo aver visto il martirio della compagna.
Tra gli spettatori notatasi un drappello sordido, mesto, di ventisei prigioni del Santo Uffizio, voluti presenti alla cerimonia: soli fra tutti che piangessero di quei casi, perciocché gli altri, sia per viltà, o ignoranza, o religion false, o empia superstizione, applaudivano l'infame olocausto……
…Descrisse quell'atto in grosso volume Antonio Mongitore……