giovedì, dicembre 11, 2008
Alfonso Cortés (1893-1969
Un frammento d'azzurro ha maggiore
Intensità del cielo intero
Sento che là vive quel fiore
Estasi del mio aneloVento di spiriti passa
Alla finestra, così lontano
Soffio nel quale si spezzacarne d'angelica diana
E nell'allegria dei gesti
Ebbri d'azzurro, fluenti
Odo il fermento di folli pretesti,
Di là mi chiama,
Più non lo sento.
*
Passi
Quando fra il tumulto della terra
Gli esseri sentiran la solitudine
Avrà tregua eterna la guerra
Del rumore e spingeranno i passi
L'Uomo e la Donna nell'eternità
Fino a percorrere le rughe della fronte
Di Dio, donde si innalza
L'estasi del passato in vapore incessante
Gli amanti resteranno, a due a due,
Come fossero svegli
Fisso lo sguardo ai pori
Sacri, impregnati d'eterni sudori,
Della divina fronte corrugata.
*
Aria
Suona l'aria d'un bimbo dietro il muro, la piazza
Guida pattuglie d'estasi antiche alle mie stanze
Canto di bimbo a passettini lassi
Trascorre come un oboe sopra i tetti,
Riempie di un'estasi crepuscolare
Tutto il giardino gonfio d'angoscia
Vuole parlare le sue parole
Che tra le foglie ha mormorate…
Si contorcono, allora, nella bruma
Con la letizia di folli moti
Le bianche pieghe come di spuma
D'anima appena sfiorata dai fiati.
*
Occaso
Occaso bianco d'estasi trattieni
Solo un momento nell'azzurro il tuo passo,
Non affrettare il tuo bene tranquillo,
Occaso,
L'ora triste del tempo, fa risorgere,
La visione potente di Betlemme;
Il notturno levriero sta latrando,
E nel silenzio di tempi passati
A lontani orizzonti van calando
lente le ombre di corpi ignorati...
*
La pace del sole
Io sono il vino, l'uomo la semente
Accumuliamo terra in mezzo ai rami
D'un'immutabile domenica di palme
Per proteggere Dio eternamente.
E' giunta la mia terra ad occidente
Dell'esser mio sigillo e prolunghiamo
Nuda d'ore una sera in cui restiamo
Volti all'eternità del fuoco ardente.
Vano è lo scriver poi che nessun scrive
E l'esser nostro ha soltanto il potere
Di dettare all'amor quel che concepe
Sol basta un buon silenzio, ben del dire:
ogni cosa è così come la brami
Naufrago Iddio di questa nostra plancia.
*
Fior di frutto
Nel silenzio dei fiori si nasconde
Un sacro amore che al futuro invita:
L’essere è meta al suo stesso cammino
Se vi è una grazia che profuma e tace.
Il dolce sangue che scoppia nella bocca
Quando si schiaccia la polpa di un frutto
E’ la parola viva ed assoluta
Ove saggia ogni pianta sua virtute.
Arbor mistico l’uomo solo a stento
Comprende Spazio e Tempo se si muta
Dell’alma sua nel fiore, frutto delle sue vene;
Che da sua doppia essenza non confusa
Traggono miele le api della Morte
E profumo le rose della Vita.
*
Anime sporche
Apro per il silenzio della fluida
Distanza sconosciuta tra l'una e l'altra vita
E dietro cui ci osservano, le cose che guardiamo.
Elencherò le vaste essenze che conservano
Il silenzio dei sogni nel loro petto enorme
E vi unirò i dettagli di forma, luce, accento
Che unifica la pallida lontananza del vento;
Perché in basso, nel mezzo, nei cieli la distanza
E' quell'idea medesima che pone la fragranza
di unite relazione sottili come lastre
Che tacciono, Oh! L'inerzia, anima delle cose.
*
mercoledì, dicembre 10, 2008
Un popolo di poeti
Leone Africano
Descrizione dell'Africa
martedì, dicembre 09, 2008
Fede e Volontá
Paolo di Tarso
Col cuore si crede così da giungere alla giustizia: e con la bocca si fa la confessione che conduce alla salvezza.
Romani X,1o
*
Commento di Tomaso d'Aquino.
Dante e l'Islam
“Sufi è colui il cui linguaggio, quando egli parla, riflette la realtá del sustrato, ovvero che nulla dice che egli non sia, e, quando è silenzioso, la sua condotta spiega il suo stato, e il suo stato proclama che egli ha spezzato ogni legame col mondo.
Hujwîrî
***
Dante
E io a lui: “I' mi son un che quando
amor mi spira noto e a quel modo
ch'ei ditta dentro vo significando
Purgatorio
Canto XXIV, 53-54
a cura di genseki
venerdì, dicembre 05, 2008
Montaigne in blog
Michel de Montaigne
Alla fine, davvero, dopo una serena riflessione ho deciso di porre anche Montaigne che da tantissimi anni non fequentavo più, tra i lari di questo blog.
Per quali ragioni?
Eccone alcune qui di seguito:
"Io, che ultimamente mi sono ritirato in casa deciso, per quanto dipende dalla mia volontá a passare riposatamente e in solitudine quel piccolo resto di vita che ancora mi tocca, parvemi non poter fare cosa piú grata all'anima mia che lasciarla libera, pienamente, abbandonata alle sue proprie forze, affinché ella si fermasse ove lo ritenesse maggiormente profittevole, sperando cosí che potesse per l'avvenire acquisire un grado maggiore di maturazione, tuttavia, cred'io che siccome
Variam semper dant otia mentem
quello che occorre è l'opposto. Cavallo che solo se en fugge corre cento volte piú rapido di quando alcun fantino lo governa, lo spirto mio ozioso tante chimere genera, tanti mostri fantastici senza tregua e senza riposo, senza ordine e senza armonia veruna, che per poter contemplare comodamente la debolezza e bizzarria di essi tutti
mi avvenne di ponerli per iscritto, sperando che col tempo gli sia causa di vergogna contemplare simiglianti spropositi." (trad. genseki) Montaigne Essais I,6
Che è la definizione esatta della ragion d'essere di questo blog.
genseki
giovedì, dicembre 04, 2008
Egemonia
Questa riflessione è anche amaramente critica ma non vi è nessun dubbio che l'orizzonte nel quale si muove è questo.
Il Partito di Lenin è considerato da Gramsci come un apparato di egemonia su piani differente, da quello economico a quelli sovrastrutturali tra cui il piano culturale. Certamente Gramsci concentra la sua riflessione in modo significativo sull'egemonia culturale. L'interesse a questa particolare forma di egemonia e al ruolo degli intellettuali mi sembra, implicitamente dipendere dall'ansia di comprendere come la macchina del partito di Lenin abbia potuto trasformarsi nell'incubo barbarico scita dello stalinismo.
Nonostante quest'ansia la nozione di egemonia resta in Gramsci sempre all'interno della nozione di Partito considerato come avanguardia necessaria di ogni movimento storico progressivo:
“Elementi di storia etico-politica nella filosofia della praxis: concetto di egemonia, rivalutazione del fronte filosofico, studio sistematico della funzione degli intellettuali nella vita statale e storica, dottrina del partito politico come avanguardia di ogni movimento storico progressivo.” 1235
Il Partito che, come è noto, Gramsci descrive come il nuovo Principe, è lo strumento nuovo, che forgiato da Lenin nella forma di un intellettuale-militante collettivo ha il compito di realizzare la famosa tesi di Marx a proposito di Feurbach e della filosofia.
Certamente uno degli antecedenti del Partito è stata la Compagnia di Gesú di Ignazio da Loyola.
Come si vede c'è davvero poco che possa servire al no-globalismo, o ai manifestanti anti-gelmini.
Mi sembra che una delle cose piú negative di quella che si pretende ancora una sinistra antogonista è aver perduto la nozione di quanto lavoro sia necessario, quanto tempo, quanto studio e soprattutto quante, quante sconfitte e amarezze, per creare una qualunque forma di opinione organizzata che permetta di introdurre cambiamenti, appunto, radicali nelle societá odierne.
Il compito principale di una simile struttura, oggi, poi, sarebbe quello di sopravvivere e di riprodursi salvaguardando il patrimonio di conoscenze e di pratica politica che è venuta accumulando nel tempo.
La qual cosa non sigifica ritirarsi dalla politica in un isolamento settario, ma essere presenti nel conflitto politico senza rinnegare mai per nessuna ragione nessun principio.
La battaglia politica sui principi è la sola forma conosciuta di selezionare militanti de intellettuali che costituiscano l'embrione di una futura possibile egemonia:
“La proposizione contenuta nell'introduzione alla Critica dell'economia che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura nel terreno delle ideologie deve essere considerata come un'affermazione di valore gnoseologico e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teorico politico dell'egemonia ha anch'esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico massimo di Ilici alla filosofia della praxis. Ilici avrebbe fatto progredire la filosofia in quanto fece progredire la dottrina e la pratica politica. La realizzazione di un apparato egemonico, in quanto crea un nuovo terreno ideologico determina una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza, è un fatto di conoscenza, un fatto filosofico.” 1249-1250 Quaderno X – XXXIII
“Ho accennato altrove all'importanza filosofica del concetto e del fatto di egemonia dovuto a Ilici. L'egemonia realizzata significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica”.
882
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L'egemonia è appunto la realizzazione di quanto è stato pensato nella storia filosofia.
È la filosofia diventata pratica.
Il concetto di egemonia è dunque molto, molto vicino a quello di fine della storia come viene letto da Kojève in Hegel.
L'egemonia è la forma della fine della storia nel pensiero di Gramsci. Naturalmente Gramsci ovviamente avrebbe piuttosto parlato di iniszio della Storia e di fine della preistoria.
Infine, l'egemonia si colloca in una visione della storia che ha nella lotta di classe e nella lotta di classe sul piano economico il suo asse:
“... se ne deduce che il contenuto dell'egemonia politica del nuovo gruppo sociale che ha fondato il nuovo tipo di stato deve essere prevalentemente di ordine economico: si tratta di riorganizzare la struttura e i rapporti reali tra gli uomini e il mondo economico o della produzione. Gli elementi di superstruttura non possono che essere scarsi e il loro carattere sará di previsione e di lotta, ma con elementi di piano ancora scarsi: il piano culturale sarà soprattutto negativo, di critica del passato, tenderá a far dimenticare e a distruggere...”
Tutte le letture post-moderniste, e noglobaliste di Gramsci sembrano davvero molto poco legittime alla luce delle linee precedenti.
L'egemonia non si riduce solo all'egemonia culturale e per egemonia culturale si intende soprattutto egemonia sul ceto intellettuale.
Ma l'egemonia non è una proposta teorica alla quale omologare la realtá.
Il concetto di egemonia è uno strumento di analisi della storia e della pratica di costituzione e di perpetuazione del dominio di classe.
La teoria di Gramsci dell'egemonia è la descrizione scientifica di come la borghesia costruisce il suo domino e di come lo mantiene.
Questa descrizione è fatta al fine di fornire alla classe antagonista gli strumenti perfezionati e coscienti che le permettano di costruire una nuova egemmonia e di subentrare agli antichi dominatori:
“Ogni rapporto di egemonia è necssariamente un rapporto pedagogico e si realizza non solo all'interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell'intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltá nazionali e mondiali.”
1331
Riduzione a politica di tutte le filosofie speculative, a momento della vita storico-politica; la filosofia della praxis concepisce la realtá dei rapporti umani di conoscenza come elemento di “egemonia” politica.
1245
Le domanda da porsi quindi sarebbe:
È ancora possibile e in che termine è possibile riproporre qualche cosa di simile al Partito di Lenin?
Perché dalla risposta a questa domanda dipende l'attualitá della figura dell'egemonia gramsciana.
Da questa risposta dipende se la storia è finita nel regno dell'animale consumatore o se quella che si avvicina alla fine è la preistoria della specie umana.
I numeri delle pagine si riferiscono all'edizione Einaudi Tascabili dei Quaderni a cura di Valentino Gerratana. 2001
a presto
genseki
mercoledì, dicembre 03, 2008
La dialettica di Paco Yunque
Il racconto per bambini Paco Yunque di César Vallejo che fu rifiutato da diversi editori perché considerato, probabilmente, oltraggiosamente senza speranza, puó essere letto come un'illustrazione pedagocica della dialettica.
La poesia di Vallejo e segnatamente i “Poemas humanos” puó essere interpretata, certamente come un gigantesco sforzo di creare una dialettica poetica.
Paco Yunque fu scritto intorno al 1931, quando Vallejo era giá seriamente impegnato in una convinta militanza marxista.
La relazione che intercorre tra Paco Yunque il giovane andino e il bambino inglese Humberto Grieve è una relazione servo-padrone.
Humberto Grieve dice subito ai compagni di classe che Paco Yunque è il suo “muchacho” e per questo puó obbligarlo a sedere nel banco che decide lui e costrigerlo a lasciarsi picchiare e umiliare a suo arbitrio.
La relazione tra Paco Yunque e Humberto Grieve pare essere accettata senza nessun problema dalle autoritá: il maestro.
Non è accettata in modo altrettanto acritico dai compaghi di Paco come Fariña e i gemelli Zuniga che cercano di rendere Paco cosciente di una qualche anomalia della sua condizione servile e di spingerlo alla ribellione mostrandogli affetto naturale e spontaneo sostegno.
Paco Yunque non puó accettare la ribellione perché ha paura, paura del dolore sprattutto che Humberto Grieve puó decidere di infliggergli o forse perché non intravede la possibilitá di una relazione diversa come qualche cosa di reale.
Nel mondo da cui proviene tutti sono servi o padroni. Egli e la sua famiglia appartengono alla famiglia di Umberto Grieve: sono servi!
Servo e suo padre che accetta come naturale qualsiasi umiliazione gli venga dal Signor Grieve, seserva è sua madre che accetta con rassegnazione che il gioco preferito di Umberto Grieve sia quello di picchiare crudelmente suo figlio.
La servitú per Paco Yunque è un fatto naturale.
La scuola non è il mondo di Paco Yunque. La scuola è una soglia, il limbo di una nuova forma della coscienza.
Il mondo della servitú è per Paco anche il mondo della madre. Il mondo in cui vi è tenerezza e amore.
Servitù, dolore, paura, amore sono i sentimenti contradditori che si agitano nell'anima del bambino che poco a poco diviene cosiente di essi per il fatto stesso di aver varcato la soglia, per il fatto di trovarsi nel limbo della scuola.
Per Hegel, nella “Fenomenologia dello Spirito” la dialettica servo-padrone, è una figura del processo di formazione dell'autocoscienza. Il Signore è colui che sfida la morte e il dolore e per questa sua capacitá di sfida finisce per subordinare coloro che non sono in grado di affrontare queste realtá con altrettanta forza. Il Signore, peró, una volta costituitosi come tale dipende dal lavora del servo. È il servo che lo nutre e gli permette di restare in vita e nello stesso tempo e il servo che lo separa dalla realtá, dalle condizioni reali della sua stessa riproduzione nel tempo come individuo. Il padrone non puó piú fare a meno del servo.
Questo schema del pensiero hegeliano è chiaramente semplificato nella relazione tra Paco e Humberto.
Humberto ha assoluto bisogno di Paco per sopravvivere nella scuola. Ha necessitá che Paco stia nel suo stesso banco. È costretto a dipendere da Paco per poter svolgere i compiti e per poter avere un quadro accettabile della realtà. Humberto dice al maestro che in casa sua i pesci vivono sul tappeto del salotto di casa perché suo padre ha molto denaro e quindi in casa sua i pesci non hanno bisogno dell'acqua. Humberto non ha quindo quasi nessun rapporto con la realtá del mondo. Paco sa cosa è un pesce, sa che cosa è la morte e sa che cosa è il dolore. Per questo Humberto ha bisogno di Paco per poter sopravvivere nello spazio limbico della scuola.
È Humberto che ha bisogno di Paco e non Paco di Humberto. È Humberto che dipende da Paco.
A questo punto la relazione servo-signore, come in Hegel, risulta invertita. Invertita peró in modo dialettico. Nel cortile o nell'aula della scuola la relazione tra Paco e Humberto si inverte pur restando anche sempre la stessa. Restando cioè anche quella che è fuori della scuola.
Paco si trova preso nel compito di conseguire la consapevolezza di questa realtá e le sue lacrime alla fine del racconto sono il primo paso in questa direzione.
Paco Yunque non si chiude dunque su una nota disperata ma si apre su di un processo di liberazione e di conquista della dignitá nella sua fase embrionale.
genseki
lunedì, dicembre 01, 2008
Argerich Gaspard de la Nuit - Scarbo
Guardó sotto il letto, nel camino e nella credenza: nessuno. Non riuscí a capire da dove fosse entrato e da dove, poscia, se ne fosse uscito.
Hoffmann
Notturni
Oh! Quante volte ho visto e udito Scarbo, quando a mezzanotte la luna brilla nel cielo come uno scudo d'argento su una bandiera di lapislazzulo costellata di api dorate.
Quante volte l'ho udito ronzare, il suo riso, nell'ombra della mia alcova e stridere la sua unghia sulla seta delle cortine del mio letto.!
Quante volte l'ho visto scendere dal soffitto, fare le capriole con un piede solo e rotolare per la camera come il fuso caduto dalla conocchia di una strega!
Credevo che fosse svenuto? Cresceva, il nano, tra me e la luna come fosse il campanile di una cattedrale gotica, un sonaglio d'ro in movimento sul berretto appuntito.
Presto, peró, il suo corpo azurrava, trasparente come la cera d'una candela, il suo volto impallidiva come la cera di un lumicino, e - di colpo si spegneva.
A. Bertrand
trad. genseki
Gaspard de la nuit
Le precauzioni non sono mai abbastanza con i tempi che corrono, soprattutto da quando i falsari si sono stabilito nel nostro paese.
L'assedio di Berg-op-zoom
Si siede nella sua poltrona di velluto di Utrecht, Mastro Bissio, il mento nel suo colletto finemento ricamato, come un pollo che il cuoco abbia arrostito in un tegame di ceramica.
Si siede al suo banco per registrare la moneta di mezzo fiorino; io, povero scolaro di Leida, non ho che un berretto e un par di braghe bucati, e resto dritto su un piede solo come una gru su di un palo.
Ecco il bilancino che esce dalla sua custodia di lacca decorata di strane figurine cinesi, come un ragno, che ripiegando le sue braccine lunghe si rifugia in un tulipano dalle sfumature di mille colori.
Dalla sua faccia allungata, dal tremito delle sue dita secche secche che saggiano i pezzi d'oro, Mastro Bessio sembrerebbe propio un ladro colto sul fatto e obbligato con una pistola puntata alla gola a restituire a Dio ció che gudagnó come mercede del diavolo.
Il mio fiorino che esamini con la tua lente è meno equivoco e meno losco che il tuo occhietto grigio che fuma come uno stoppino mal spento.
Il bilancino è rientrato nella sua scatolina di lacca su cui brillano le figurine cinesi, Mastro Bessio si soleva un pochino dalla sua poltrona di velluto di Utrecht, e io, povero scolaro di Leida con le scarpe e le calze bucate, mi inchino fino al suolo e esco come un gambero.
Preghiera prima della studio
O Creatore ineffabile, che con il tesoro della tua sapienza hai tre gerarchie angeliche e le hai disposte sul cielo empireo in un ordine meraviglioso, tu che hai dsistribuito con suprema eleganza gli elementi dell'universo. Ti che sei detto fonte della luce e della sapienza, principio supereminente, degnati di illuminare con i raggi del tuo chiaro splendore le duplici oscure tenebre del mio intelletto, con le quali sono nato, ovvero il peccato e l'ignoranza. Tu che conferisci alla lingua degli infanti la facoltá di parlare, istruisci la mia lingua e poni sulle mie labbra il dono della tua benedizione.
Concedimi l'acume dell'intelligenza, la capacitá di assimilare, metodo efacilitá nell'apprendere, intuizione nell'interpretare, e una fluente eloquenza. Veglia sulla preparazione, dirigi il progresso e conserva il frutto. Tu che sei vero Dio e vero uono e vivi nei secoli dei secoli. Amen.
domenica, novembre 30, 2008
Epistola sul metodo di studio
Carissimo Giovanni, amico mio in Cristo, siccome mi hai chiesto in che modo tu debba impegnarti per acquisire il tesoro della scienza ti do questo consiglio: scegli di bagnarti prima nei ruscelli e non subito nel mare, perché occorre giungere alle cose più difficili passando per quelle più facili. Questo è il mio insegnamento e la tua istruzione: ti ordino di non essere precipitoso nel parlare, lentro ad entrare nei discorsi; difendi la purezza della coscienza. Non tralasciare di dedicarti alla preghiera. Ama la tua cella se vuoi entrare in quella che custodisce il vino. Mostrati amabile con tutti; non chiedere mai nulla che riguardi i fatti degli altri; non mostrare molta familiarità, perché la familiarità eccessiva genera il disprezzo e fornisce pretesti per sottrarsi allo studio; non intrometterti in nessun modo nelle parole e nei fatti dei laici; evita soprattutto di andare a zonzo senza scopo; non trascurare di imitare l’esempio dei santi e dei buoni; non distoglierti da quello che odi, ma custodisci nella memoria tutte le cose buone che vengono dette; cerca di capire ciò che odi o leggi; cerca di chiarificare i dubbi; datti da fare per riporre nello scrigno della mente tutto quello che potrai come se volessi colmarne il vaso; non cercare cose più alte. Seguendo questo sentiero produrrai frutti fecondi e le tue fronde si estenderanno nella vigna del Signore Sabaoth per tutti i giorni della tua vita. Se seguirai queti insegnamente potrai giungere a ciò che aspiri.
Trad. genseki
***
sabato, novembre 29, 2008
Gilles de Rais II
Le armate inglesi si congiungevano, inondavano il paese, si estendevano sempre di più, invadevano il Centro. Il re pensava a ripiegare nel Sud, ad abbandonare la Francia; fu allora che apparve Giovanna D’Arco.
Gilles ritorna allora presso Carlo che gli affida la guardia e la difesa della Pulzella. Egli la segue dovunque, l’assiste nelle battaglie, anche sotto le mura di Parigi, è accanto a lei a Reims nel giorno della consacrazione, quando il Re a motivo del suo valore lo crea Maresciallo di Francia a venticinque anni!
Come si comportò Gilles de Rais con Giovanna D’Arco? Non abbiamo informazioni. Vallet de Viriville l’accusa di tradimento senza però portare nessuna prova. L’abate Bossard afferma al contrario che gli fu fedele e che lealmente vegliò su di lei portando ragioni plausibili a suffragio della propria opinione. Quello che è certo è che si trattava di un uomo la cui anima era saturata di idee mistiche come prova tutta la sua storia. Visse a fianco di questa fanciulla straordinaria le cui avventure sembrano attestare che un intervento divino negli avvenimenti di quaggiù è veramente possibile.
Assiste al miracolo di una contadinotta che piega una corte di cialtroni e di banditi, rianima un Re vile e in procinto di fuggire. Assiste all’incredibile episodio di una vergine che conduce come un gregge docile al suo gesto dei tipi come La Hire, Xaintrailles, Beaumanoir, Chabannes, Dunois e Goncourt vecchie belve che belano al suo comando e rivestono l vello degli agnelli. Anche lui, come loro bruca l’erba bianco delle prediche, fa la comunione, venera Giovanna come una santa. Vede infine che la Pulzella mantiene le sue promesse. Toglie l’assedio di Orléans, fa consacrare il Re a Reims e dichiara, allora, ella stessa che la sua missione è terminata, domandando la grazia di potersene tornare a casa.
E’ facile scommettere che un tale ambiente abbia potuto esaltare il misticismo di Gilles; ci troviamo di fronte ad un uomo la cui anima è divisa tra l’ussaro e il monaco.
La Pulzella aveva portato a termine la sua missione. Che cosa avvenne di Gilles dopo ch’ella fu catturata, dopo la sua morte? Nessuno lo sa. Tutt’al più viene segnalata la sua presenza nei dintorni di Rouen quando viene istruito il processo; ma da questo non si può concludere, come fanno certi suoi biografi ch’egli nutrisse l’intenzione di salvarla.
Comunque, dopo aver perduto le sue tracce lo ritroviamo chiuso a ventisei anni nel suo castello di Tiffauges.
Il vecchio soldato che che era in lui scompare. Nello stesso tempo in cui iniziano i delitti cominciano a svilupparsi in Gilles l’artista e il letterato, debordano, lo incitano perfino, sulla spinta di un misticismo capovolto, alle più sapienti crudeltà, ai crimini più raffinati. E’ quasi isolato al tempo suo il barone de Rais! I suoi pari non sono che dei bruti, lui cerca le appassionate raffinatezze dell’arte, sogna una letteratura e lontana, compone persino un trattato sull’arte di evocare i demoni, adora la musica ecclesiastica, vuole circondarsi soltanto di oggetti introvabili, di cose rare.
Erudito latinista, conversatore spiritoso, amico generoso e fedele. Possedeva una biblioteca straordinaria per quei tempi in cui la lettura restava chiusa nei limiti della teologia o delle vite dei santi. Possediamo la descrizione di alcuni dei suoi manoscritti: Svetonio, Valerio Massimo, un Ovidio pergamenaceo, rilegato di cuoio rosso con fermaglio di vermiglio e chiave.
Era pazzo di questi libri e li portava con sé dovunque andasse; aveva assunto un pittore chiamato Thomas che li decorava con lettere miniate, lui stesso dipingeva smalti che uno specialista scovato con grande fatica incastonava nell’oro delle rilegature, I suoi gusti in fatto d’arredamento erano strani e solenni; restava senza fiato davanti alle stoffe abbaziali, alle voluttuose sete, alle tenebre dorate degli antichi broccati. Amava i piatti accuratamente speziati, i vini ardenti, resi cupi dagli aromi; sognava gioielli insoliti, metalli spaventosi, pietre di follia. Era il Des Esseintes del XV° secolo!
Ma tutto questo costava caro, anche se meno caro di quanto non costasse la corte fastosa che lo circondava a Tiffauges e rendeva questa corte un luogo unico. Aveva una guardia di più di duecento uomini, cavalieri, capitani, scudieri, paggi e tutti avevano a loro volta i propri servitori magnificamente equipaggiati a spese di Gilles. Il lusso della sua cappella e della collegiata tendevano positivimente alla demenza.
venerdì, novembre 28, 2008
Trilce
Il viaggio che è un “nostos” e una “nekuya” andini, la porta serrata, la casa vuota, la vertigine della natura minerale, sono elementi che generano un certo numero di testi importanti della seconda raccolta di Vallejo.
Eccone alcuni:
XLVI
Il vespro culinario si trattiene
Alla mensa alla qualte ti nutristi
Morto di fame viene il tuo ricordo
Senza neppure bere di tristezza
Ma come sempre umile accconsenti
Che ti si offra la bontá più triste.
Gustare tu non vuoi se sai chi viene
Come figlio alla mensa ove mangiasti
Il vespro culinario ti scongiura
Ti piange nel grembiale tanto sudicio
Che ci comincia a piangere di udirci
Anch'io mi sforzo perché non c'è piú
Corraggio per servirsi questo pollo.
Ahi che non ci serviremo piú di nulla.
*
XXIII
Forno rovente di quei miei biscotti
Puro tuorlo infantile, innumerevole madre
I tuoi quattro colletti. paurosamente
Mal pianti, madre: i tuoi mendichi
Le due sorelline. Miguel che è morto
E io che ancora trascino
Una treccia per ogni lettera del abecedario.
Nella sala di sopra ci spartivi
Quelle tue ostie così ricche di tempo
Perché ci avanzassero ora
Gusci d'orologio in flessione di mezzanotte
Fermi in orario.
Madre, e ora! Ora in qual alveolo
Resteresti, in che germoglio capillare,La briciola che oggi si lega al mio collo
Passare non vuole. Oggi quando persino
Le tue pure ossa saranno farina
Di cui non si fará pasta
Dolce pasticcera d'amore,
Anche nell'ombra cruda, anche nel gran molare
La cui gengiva pulsa nella lattea fossetta
Che occulto si prepara pulllante! Quanto lo hai visto!
Nelle manine novelle strette strette,
Anche la terra udrá nel tuo silenzio
Come tutti ci chiedano l'affitto
Del mondo in cui ci abbandoni
E il prezzo del pane inesauribile.
Ce lo fanno pagare, quando, eravamo piccini
Allora, come sai,
Non lo avevamo portato via
A nessuno; ce lo hai dato tu,
Mamma! Non è vero?
Trad genseki