venerdì, novembre 10, 2006

Vi fu un tempo


Vi fu un tempo in cui si ammazzavano i bambini nel sonno, li si bruciava vivi, in un lampo. Poi si chiedeva scusa e tutto era dimenticato.


Al-Muntaqimu

Nominerò i vostri nomi ad uno ad uno
Voi che non avete piú occhi
Per la mia cecitá
Per l'opacità di questa luce opaca
Per la mia opaca cecitá
Per la luce delle vostre pupille vuote
Nominerò i vostri nomi ad uno ad uno
Perchè sono i piú belli di tutti i nomi.
Il nome più bello di Dio è il Misericordioso
Questo è il piú bello di tutti i Nomi
Ma i vostri nomi sono nominati
Nella Sua misericordia
Perché davvero egli è il Compassionevole.
Non ci sono piú altri nomi
Non c'è piú altra luce
Oltre la luce opaca
Che ferisce i vostri occhi perduti
Occhi come pietre
Occhi come foglie
Occhi come perle
Come monete
Per pagare anime
Scorre la catena dei vostri Nomi
Si sgrana il rosario dei vostri Nomi
Come i fiumi, come le cose che emanano
Dall'assoluti immoto
Secondo le parole
Dei filosofi antichi
Nomi perle
Nomi di Rondini
Nomi di frutti maturi
E di cuccioli
Li nomineró tutti i vostri nomi
Che sono i nomi di Dio
I piú belli di tutti i Suoi Nomi
Il piú bello dei nomi di Dio è
Il Vendicatore
I vostri nomi saranno come stelle
Nel giorno della sua vendetta.
genseki

giovedì, novembre 09, 2006

Beit Hanoun


Il nostro concetto di tempo si fonda sulla successione, quello di spazio sulla simultaneitá e stabilitá; solo quando la successione si fa stabile si puó penetrare nell'autentica realtá. Il tempo non è uno sviluppo lineare dal passato al futuro, quanto piuttosto una sfera. Per questo esistono uno spazio e un tempo sottili che hanno un significato autentico, di fronte al tempo e allo spazio opachi che sperimentiamo nel mondo dell'apparenza.
Qazi Said Qommí

Nella sfera del tempo della realtá i volti bestiali delle SS e quelli dei soldati di Israele intenti a massacrare donne e bambini stanno gli uni accanto agli altri. Sono intercambiabili, nulla li separa. Il ghigno fosco dell'odio annulla tempo e spazio. Entrambi sono dentro di noi sorridono addentandoci i polmoni. Le lacrime dei bambini sono la sfera del tempo.
Nella Realtá che porta il sigillo della Veritá, prego, che incontrino eterna consolazione.
genseki

Beit Hanoun

mercoledì, novembre 08, 2006

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Alejandra Pizarnik

Dai "Diari"
Traduzione e scelta a cura di genseki

Poche righe quelle che seguono dai "Diari" di Alejandra Pizarnik pubblicati dall'Editore Argentino "Lumen". Pagine di confusione e di dolore. Anche, peró, laboratori di una parola che non cerca nessuna seduzione, una parola solitaria, ruvida, oltre la consolazione dell'arte, oltre la facilitá della conciliazione. Ricorrono le fiamme associate al volo, il mare come origine e purificazione e la gabbia protagonista di avventurose, memorabili metamorfosi. Tutto questo tra ingenuitá di un'adolescente apprendista di dolore.


Il sole. Sempre il sole a fendere il mattino. Per la mia voce, per la mia danza, un feretro a motor lacrimale. Per la mia trascendenza un test dellaccademia psicoanalitica. Per la mia sete sacra un vestito nuovo, sigarette di importazione, un'aria bohemienne che annuzia la rogna degli ospizi. Un unico problema. Tra i miei desideri e la mia realtá un ponte che non so attarversare. Da qui il nulla.
Ho preso assolutamente coscienza del fatto che non posso vivere la mia vita.
Non posso vivere come un essere umano.
*
Musica infinita con velo biance esce dalla tasca del mezzogiorno. Gli atti ballano la giostra dell'assurdo e una paurosa necessitá di essere sequestra una giovane donna dalla chioma silenziosa che vorrebbe accendersi de esplodere in un istante come un fuoco fatuo.
*
I sogni si siedono sul mondo...
*
Volano treni. Gli ucceli vestono finimenti e fuggono verso la pianura per cercare la donna folle che ha appena rubato il fuoco. Lui le taglia il seno e lo divore mentre un intero popolo di umini-scimmia piange sulle reive del Swaney River. Lui sputa le sue ossa. Rintocchi di campane a morto. Il bechino del cielo si inginocchia davanti al mio ritratto e chiede perdono.
*
Il portiere in fiamme illumina l'insegna della morte perchè anche la gabbia ha ereditato la vocazione al perdono.
*
Una famiglia di rondini si spoglia sul Mar del Plata. Se lo bevono tutto, il mare.
*
La luce ha gambe, la notte testicoli, la luna splende con cosce di zingara gravida.
*
Essere eterna per un secondo...
*
Non dubito che le stelle malvage divorino le stelle buone, che i fiori grassi divorino i fiori magri, che il deserto di cenere divori il deserto in fiamme. Non dubito di nulla. Solo una tregua, solo una tregua. Allora crederò in tutto, anche in me stessa.
Voglio essere quella che sono -disse,
La mia ombra,
Il mio nome,
La mia carenza.
Tutto si riduce
A un sole morto.
Tutto è mondo
E solitudine
Come animali
Distesi nel deserto.
*
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martedì, novembre 07, 2006

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Melancholia

Ficino come è ben noto fu tormentato per tutta la vita dalla melancolia saturnina. Che la melancolia corrisponda a quella infermitá paralizzante la volontá che oggi è chiamata depressione non é, a parer mio cosa del tutto certa. Le malattie dello spirito variano profondamente nel tempo e nello spazio. La “Melancolia” era per Marsilio il tratto distintivo del genio creatore o comunque del filosofo e dell'uomo di lettere. Questa non è una caratteristica che si possa attribuire alla depressione che colpisce, piuttosto, piazzisti e segretarie.
Comunque le medicine che egli propone come efficaci nell'alleviare il dolore hanno in se stesse il sapore della poesia.
Sono opere d'arte di botanica e elevano la pratica dello speziale a vera e propria arte che evoca suoni, colori, regioni lontane, tramonti, variare di verde nei campi.
Eccone qui due diverse:

In primo est syrupi optimi compositio, in secundo pilulae pro-batissimae, in tertio electuaria saluberrima. His tribus opportune adhibitis, melancholicus humor mollitur et digeritur atque solvitur, spiritus acuuntur et illustrantur, fovetur ingenium, memoria confirmatur. Syrupus est huiusmodi: sume boraginis, buglossae, florumque utriusque, melissae, capillorum Veneris, endiviae, violarum, cuscutae, polypodii, senae, epithymi, singulorum quantum manu capitur, pruna Damascena numero vi-ginti, odora poma numero decem, passularum unciam unam, liquiritiae un- ciam dimidiam, cinnami, sandali rubri, corticum citri, singuorum drachmas tres, croci drachmam dimidiam. Coquantur in aqua omnia praeter epithy-mum et aromata, donec pars tertia consumatur. Decoctio expressa post cum saccharo iterum et epithymo moderate coquatur. Postremo infundantur aro-mata, scilicet cinnamum atque crocus. Huius syrupi aurora calefacti unciae tres bibantur, simulque unciae duae aut tres aquae buglossae, atque una cum his ex sequentibus pilulis accipi debent duae saltem ac plures, prout cuique convenit, eo scilicet pacto ut alvus quotidie paulum moveatur.
*
Pillularum vero, quantum ad propositum spectat, duo sunt genera: aliae delicatis congruunt, robustioribus aliae. Primae aureae sive magicae no-minari possunt, partim Magorum imitatione, partim nostra inventione sub ipso Iovis Venerisque influxu compositae, quae pituitam, bilem, atram bilem educunt absque molestia, singula membra corroborant, spiritus acuunt et il-luminant. Ita eos dilatant, ne constricti maestitiam pariant, sed dilatatione et lumine gaudeant; ita rursus stabiliunt, ne extensione nimia evanescant. Sume igitur auri grana duodecim, maxime foliorum eius si pura sint, thuris, myrrhae, croci, ligni aloes, cinnami, corticis citri, melissae, serici crudi coc-cinei, mentae, been albi, been rubei, singulorum drachmam dimidiam, ro-sarum purpurearum, sandali rubri, coralli rubri, myrobalanorum trium, sci-licet emblicarum, chebularum, Indarum, singulorum drachmam unam, aloes rite ablutae tantundem quantum cunctorum pondus. Confice pilulas mero quam electissimo. Sequuntur pilulae ad solvendam melancholiam aliquanto validiores, ve-rumtamen minime violentae. Sume paeoniae, myrrhae, stichados Arabici, melissae, thuris, croci, myrobalanorum trium, scilicet emblicarum, chebula-rum, Indarum, rosarum, singulorum drachmam unam, trochiscorum agarici, polypodii, epithymi, senae, lapidis lazuli loti rite et praeparati, lapidis Ar-meni affecti similiter, drachmas tres singulorum, aloes lotae uncias duas; vino perfecto pilulas confla. Si cum melancholia manifesta caliditas dominetur, quae in hac compositione sunt frigida, ad tertiam insuper ponderis sui partem augenda erunt. Has pilulas, ut litterarum studiosis convenit, Graecorum, La-tinorum Arabumque imitatione composui. Nolui vero fortiora miscere, qualeveratrum, quo Carneades phanaticus utebatur. Viris enim litteratis tantum vel paulo firmioribus consulo, quibus nihil pestilentius est quam violentia. Ideo praetermisi pilulas Indas lapidisque lazuli vel Armeni notas et quam compositionem hieralogodion appellant. Si denique decet simpliciorem compositionem inserere qua ego familiarius utor, sume aloes lotae unciam unam, myrobalanorum emblicarum atque che-bularum, utriusque pariter drachmas duas, masticis drachmas duas, duas quoque rosarum, praesertim purpurearum; confice pilulas vino. Proinde pi-lulis aut iis aut illis, ex iis scilicet quas probavimus, nemo unquam solis uti debet, ne forte nimium exsiccetur, quod quidem in melancholia pessimum est; immo vel una cum syrupo quem secuti partim Mesuem, partim Genti-lem Fulginatem supra descripsimus, vel cum vini odori levisque uncia una sive duabus sive tribus, ut cuique convenit, aut cum aqua mellis et passu-larum atque liquiritiae aut, sicubi caliditas dominatur, cum iuleb violaceo aquaque violacea. Omnino autem consulo litteratis, quicunque ad atram bilem sunt pronio-res, ut hac purgatione bis quolibet anno, vere scilicet autumnoque utantur diebus quindecim continuis vel viginti, pilulis scilicet cum syrupo atque si-milibus. Quicunque vero paulo minus huic morbo obnoxii sunt, sat habe-bunt si pilulas primas aut ultimas toto anno sumant semel hebdomada qua-libet, aestate quidem cum iuleb, ut diximus, alias vero cum vino.


Entrambi gli esempi sono tratti dall'opera: « De Vita »

lunedì, novembre 06, 2006

Alejandra Pizarnik


Dal Diario

Le righe seguenti sono tratte da una pagina di Diario di Angela Pizarnik dedicata in gran parte a César Vallejo:

"Caro Vallejo! Mio amato poeta triste! Tu con le tue ossa affamate, i capelli disordinati, il pomo d'Adamo anelante, la schiena spezzata, e la sensibilitá scabra, e l solitudine e il sesso balbuziente e la solitudine e l'occhio vestito di grigio e la solitudine e il caro pianto di sempre e la solitudine e i colpi della vita tanto forti e la solitudine e il non lo so, il perché di tanto male di tanti colpi duri e crudeli, di tanta sporcizia in gioco e il nulla e l'orrendo mefistofelico bastone cui non ci si deve appoggiare e il benedetto Iddio che cammina al tuo fianco e il terribile esilio degli eterni fuggitivi e le lacrime calde una dopo l'altra fino all'ultima equazione impossibile e le dolci scimmie di Darwin che agitano venti dita a testa e il tric-trac delle ossa che chiedono un pezzo di pane ove sedersi e e e e la solitudine il pianto l'angoscia il nulla la solitudine!!!! Amatissimo, carissimo César!!!! Fino a quando!!
Per sempre?? Piango.

Giugno 1955
ed. lumen, pag. 25
trad genseki
*

Nel blog http://turcimanno.blogspot.com si trovano le traduzioni di Vallejo cui ho lavorato nell'ultimo anno.

giovedì, ottobre 26, 2006

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Plotino

Enneade V, 2
Cogitare debet inprimis omnis anima, animam ipsam animalia omnia effecisse, inspirantem eis vitam: fecisse inquam, viventia omnia, quae nutrit tellus, et quae mare, quae in aere sunt, et quae in coelo stellae divinae. Anima solem, anima ingens hoc caelum, exornavit, ordine que perpetuo ducit, exsistens profecto natura quaedam ab his diversa, quae ornat, quae movet quibus suggerit vitam: ideoque necesse est his omnibus esse praestantiorem: quippe cum haec et oriantur, quando anima suppeditat vitam, et occidant, quando destituit: ipsa vero sit semper, propterea, quod nunquam deserit semet ipsam. Quis autem modus sit vitae suppeditandae cum universo, tum singulis animalibus, ita potissimum cogitetur. Consideret itaque ingentem animam alia quaedam anima, non parvam in considerando dignitatem adepta, a deceptione videlicet libera, et ab his omnibus, quae ceteras animas fascinare consueverunt, ideoque in habitu quodam quietissimo constituta: non solum vero quiescat illi circumfusum corpus corporisque procella, verum etiam, quicquid extrinsecus ambit, undique conquiescat. Torpeat ergo terra et mare aerque, et ipsum caelum praestantissimum. Excogitet mox in torpentem eiusmodi molem undique aminam extrinsecus influentem penitusque infusam et omnia penetrantem nec aliter illustrantem, quam solis radii obscuram caliginem illuminare soleant, nubesque saepe aspectu aureas reddere: sic itaque anima caeleste corpus ingressa dedit vitam, dedit immortalitatem, torpens protinus excitavit. Hoc autem motu perpetuo agitatum sapientis animae ductu beatum animal est effectum, ...
trad. Marsilio Ficino
*
Ogni Anima deve pensare, per prima cosa, a come essa stessa fu quella che generó tutti gli animali, insufflando in essi la vita: a come generó tutti gli esseri viventi che nutre la terra e che si trovano in mare, nell'aria e nel cielo degli astri divini. Generato dall'Anima è anche il sole e quell'immenso cielo cui diede bellezza e regolare rotazione. Eppure la sua esistenza è di natura diversa da quella delle cose cui dona bellezza, movimento e vita; essa, infatti, ha maggior valore di tutte queste, dal momento che tutte le cose sorgono quando l'anima fornisce loro la vita ma devono poi perire quando essa gliela sottrae, mentre l'Anima continua ad essere sempre e non puó privarsi di se stessa. Chi fornisce la vita all'universo e ai singoli essere non puó non essere considerato potentissimo. L'Anima, infatti, puó contemplare la grande anima, è capace di questo non piccolo onore, quando, lontana dalle delusioni e da tutte quelle cose che di solito affascinano le altre anime riposi finalmente in somma quiete. In questo riposo si quieta non solo il corpo che fluendo la circonda e le tempeste corporali, ma tutte le cose esteriori si calmano. Dormono la terra e il mare e l'aria e la stessa immensa potenza del cielo. Si pensi allora l'Anima come quella che penetra in questa mole addormentata come dall'esterno e si diffonde ovunque e ovunque porta la luce come il sole suol illuminare l'oscura caligine e rendere d'oro le nubi. Allo stesso modo, l'Anima penetrando nel corpo celeste, gli diede vita, lo rese immortale, risveglió il dormiente. Guidato dall'Anima in perpetuo moto, il cielo divenne un animale beato, ...
trad. genseki
*

lunedì, ottobre 23, 2006

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Poesie di genseki


Tatuavano la tua pelle viti antiche

Viti autunnali
A ricamare i fianchi
A coronare i seni trasparenti
Pampini
Pallida

Bianca
Nel ricordo felino
Balenavano denti solari
Tra erbe taglienti
Distesa nell’ultima ombra
Ti rivedo
Un piede abbandonato
Nel torrente

*

Questa fu soltanto

L’ultima delle tue forme
Nel ricordo
Ci furono – anche –
Corse tra le canne
Scivoloni su ciottoli
Muschiosi
Il suono delle pietre
Lanciate nel Boschetto di Bambú
A inaugurare
La festa d`autunno
Con uno xilofono vivente

Mentre disponevo una zucca matura
Tra le castagne
Un raggio di sole
Obliquo
Illuminava a neve i tuoi capelli

*

Bianco il tuo scudo
Bianco il tuo mantello
Bianca la polpa
Bianco zibellino
A fasciare le pallide caviglie.

*

genseki
23/10/2006 19:27

mercoledì, ottobre 18, 2006

Ti amavo, bianca



Ti stringevo bianca,bianca e cedevole
Ti stringevo per sentire le ossa
E avrei voluto plasmarle le calde
Ossa, ostie del corpo bianco
Le tiepide ossa di argilla
Le tue ossa come pane
Bianco
Le tue ossa come carene
Di battelli, di voli, di profili
Di bianca dolcezza
Ti amavo, bianca
Per la tua ferita
Che non sapeva sanguinare
Tra le mie braccia.


*

Con un kesa con una khirba
Coprirò questa terra
Coprirò le sue ossa
Nello scorrere incessante dei nomi
Menzionerò le sfere dei palmizi
Le fiamma delle atalaye
Perdute
Quando una nota nasale
Apre la porta dell’Iran
Nevica sugli abeti
Nell’arcipelago
Con un kesa
Con la khirba coprirò questa terra
Resterò qui
Vegliando le sue ossa.

*

All’incrocio di mille incendi
Sta questo giardino
Dove entrano i portatori dei mantelli
Avvolti nei loro mantelli
Reggendo il peso dei loro infeltriti mantelli
Quando la luna sarà
Simbolo di rosa
E rosa
E rosa una brezza marina.

genseki
17/10/2006 22:5o

martedì, ottobre 17, 2006

La dichiarazione di Alamût


(Mowlana Alazikrihis-salâm) 8 agosto 1164

Il diciassettesimo giorno del mese de Ramazân dell’anno 559 dell’egira, sotto il segno della Vergine, essendo il sole nella costellazione del cancro, Imâm diede ordine che un scranno (minbar) fosse posto rivolto all’Ovest, sulla spiananta di Alamût) quattro stendardi furono fissati rispettivamente a ciascuno dei quattro angoli dello scranno. I compagni del Khorassan furono posti destra della scranno. Quelli dell’Irâq persiano alla sinistra. I Daylamiti e i compagni di Rûdbar furono sistemati proprio di fronte. Nel mezzo, davanti allo scranno, fu posta una piattaforma e il faqîh Mohammad Bostî ricevette l’ordine di restae su questa piattaforma. Verso mezzogiorno, il gran maestri (Khodâvand) 'alâ dhikri-hi's-salâm vestito con una tunica bianca e con in capo un turnabte bianco, discese dalla Rocca di Alamut. Si avvicinò allo scranno da destra e ne salì gli scalini con lentazza e maestà. Tre volte, egli espresse i suoi saluti ; una prima volta ai Dalamiti davanti a lui, una seconda volta volendosi a destra, una terza volta volgendosi a sinistra. Per un momento restò seduto sui talloni. Poi si drizzò in piedi, passò il cinturone cui era sospesa la sua spada, e, a voce alta lesse questo proclama :

“Alzatevi, perchè il giorno della Resurrezione s’è levato. L’attesa del Segnale compiuta, Ecco giunta la Resurrezione che è il culmine di tutte le resurrezioni. Oggi non si devono più cercare prove nè indizi; oggi la Conoscenza non dipende piú dalle Scrittre, nè dai discorsi, nè dai simboli, nè dagli atti di devozione che piegano il corpo. Oggi, gli atti e le parole, i segni e i simboli, sono giunti al termine di tutti i termini. Colui che con i suoi occhi ha contemplato l’essenza in persona, quegli ha contemplato con i suoi occhi la totalità dei segni e degli indizi di tutte le Rivelazioni, mentre quello che ne conosceva attraverso nomi e qualificazioni ne era il contrario e l’opposto, quello che continuava a restare nascosto dietro un velo”. “O voi, esseri che popolate gli universi! Voi geni, uomini e angeli ! Sappiate che Mawlana è il resurrettore. Signore degli esseri, Signore che è l’esistemza assoluta, che esclude ogni determinazione esistenziale, perchè le trascende tutte. Egli apre la porta della sua Misericordia, e grazie alla luce della sua Conoscenza, fa in modo che ogni essere sia veggente, udente, parlante, vivente per l’eternitá”.
“Colui che sa ha il dovere di lodarLo e di ringraziarLo, anche se Egli trascende tutto ciò, perché Egli è lode a Se stesso, Egli è per Sua essenza Colui che conosce”.

Dopo questo, l’Imam pronunció una prima esortazione. Poi diede letturan della copia dell’epistola che comincia con queste parole: “Noi siamo gli eternamente esistenti al presente...”

A cura di genseki

*

Laura Silvestri


Perché il faro lo ha fatto costruire un tizio, un artista, trasportando sul continente da navi e vagoni tonnellate di lastre di ferro predisposto alla ruggine, a farsi brunito e scorticante, fastidioso alla vista. Un pozzo sotterraneo lo blocca ancorandolo ai ghiacci e alla terra incrostata, ancora adesso ogni tanto mi sembra di sentirli sfrigolare e spaccarsi e quella vibrazione sale su, agrappandosi alle spire della scala interna e arriva fino alla stanza bianca, perfino i vetri ne crepitano ... Dunque il tipo vadicendo che qua sotto quella buca è simile a un immenso recipiente dove cuociono come in un grande uovo, una matrice gorgogliante, gli ingredienti del mondo, acqua zolfo seme mercurio e chissá cos’altro, insomma un bel minestrone, così me l’immagino, per sempre intento a riprodursi e maturare ed esalare, e il faro... il faro sarebbe la strada, lo stretto canale in cui quei fiumi, quegli spiritelli leggeri quando è il loro momento se ne scappano via, liberi finalmente, in corsa verso il cielo, facendo a gara a chi per primo tocca il vuoto. Così. Andarsene in alto, affinati e ripuliti, lubrificati quel tanto che basta alla fuga e alla visione. E dice, l’artista di aver preso l’idea da un tal gesuita che qualche secolo fa divenne famoso assicurando che avrebbe di lì a poco decifrato i geroglifici, ma ancor più idolatrato per uno strano museo delle meraviglie dove aveva raccolto di tutto, marchingegni per il moto perpetuo, giochi ottici, obelischi di legno, idoli, feti, bastoni di sciamani, animali impagliati. Per questo poi il faro non è più alto dei suoi trenta metri, non sia mai, come ammoniva il monaco, che crescendo in eccesso e arrivato a 178 miglia d’altezza cominci a pesare un po’ troppo e svellere non solo il suo pozzo nascosto ma perfino la terra dal suo asse.

Canti di lontananza
pp. 16-17

*

lunedì, ottobre 16, 2006

La dimora freatica

Thierry Metz


La dimora freatica

XV

Amore, mio frutteto
È l'albero il destino di chi veglia
Ospite suo
Congiunto
Dominano i suoi rami la sorgente.

Albero
Veemenza della spiga e della canna

*

XVI

Su terra senza vele
Conduci il temporale
Sassosa fecondi l'utensile e la giovine madre
Stagione della Svestita
Azzzurro nascente anticipa il mondo.

XVII

Nuvole e venti
Ostacolo è la sorgente.
E geyser
O tu che sgorghi in villaggi di sale
QUI non ha fondo.

XVIII

Aprire la dimora freatica
Esserci
In acque meditanti una cascata
Nulla v'è più di più fresco.




XIX

Azzurro d'acque sciolte
Fiume ove scende a bere
La nostra selvaggina
Fiume da cui si slancia
Risorgenza dell'astro
E dell'uccello.

XX

Da fertili pendii della poesia
Fino all'estreme frasi de' ghiacciai
Artesiana
Figlia tu del cipressp
Stupore della nostra sete.

XXI

Nell'ombra che spezza di netto
Lontano dal paese assetato
Un'ala ti rifrange
Cipresso
Demone folgorante del poema.


Lettere alla più amata

Ti scrivo da un'altrove nel quale non v'è altrove. La vita resta vita, morte resta la morte.
La voce non si volta, ritorna coi silenzi.
O con il peggio.

*

Tu lo sai che da sempre
Uno di noi si assenta
Per dimorare nella sua chiarezza
Nella sua lingua
Manovale o poeta
Ospiti d'una parola
Illuminata.

*
Intatto il muro
Il manovale resta legato solo a ciò che ha fatto
E che tiene.
Velato dalla morte
Che ogni presenza ci vela.

*

Scriverti? Fin dove? Fino al sonno? O fino ai girasoli?

*

Sto nelle mie parole. Fino alla scrittura. Appartengo al già detto, al sentiero. Così posso caricarmi il giorno sulle spalle e salire.
E partire.
Verso la casa della mie mani.

*

Non ho che le mie mani, e più in alto il mio nome… sogno sotto la terra.

*

Talvolta la scrittura, come un vuoto, un secchio che non dobbiamo rovesciare.

*

Tanto vale disfarsi
Di ogni parola
Che l'anima avrà
Rivolto alla morte.

*

Se lo vuoi abiteremo questo piccolo libro (doveva essere una lettera) con matite colorate e carta da disegno, con giornate di pioggia e di sole che si passano il plico da una mano all'altra, fino a farlo pervenire al rabdomante o all'idiota, a colui che tutti deridono, ma che vive, lui in un dimora inversa, dipinta e ridipinta con la calce ove la morte può entrare e uscire come vuole, con chi vuole.

*

Una vocina che conosciamo bene ci visita ogni sera. Voce di bimbo ci racconta ciò che accade laggiù, com'è la gente, che cosa vi si trova. Ci culla dolcemente, ci accompagna fino al sonno, ci chiude gli occhi.
No.
Niente di tutto questo.
Solo un'assenza inesorabile, inesauribile.
Solo una morte
E un nome:
VINCENZO.

Terra

Mi alzo
Devo cercare, continuare
Mi aggrappo alle nuvole.
Talvolta è come avessi
Perduto la parola
Parola che mi mette
Fuori di me
Ritorno sui miei passi
Ma non resta che l'ala
E l'albero
E la lepre
Soltanto una corrente
Che mi trapassa in voce. Mi volto
Per cogliere gli uccelli
Il cielo, però, non c'è più
È biancheria
Lenzuolo
Come se avessi seguito una dimora
Una ruota
Un altro secchio…

*

Villaggio di parole senza inchiostro
Villaggio puro di rovi tra i serpenti
Che si svegliano
Tra le nubi e l'impasto della calce.
L'olio
L'acqua
D'ogni parola
Non lungi dalla morte
Qui,
Pochi giorni senza uccello, senza
Il volto ritrovato di ogni uomo,
Tra platani, raccolto
Ben noto al sale, sul bordo del canale
È così
Una tavola
A tre assi dalla morte.

Trad. genseki