lunedì, luglio 01, 2013

Louise Labé



Louise Labé

1525-1565

***



Begli occhi bruni, ahimé, sguardi distolti
Sospiri ardenti e lacrime versate
Oh notti scure perse in vane attese!
Giorni lucenti che in vano tornate

Oh tristi pianti oh disio ostinato!
Oh tempo perso oh dolore sprecato!
Oh mille morti in mille lacci tese!
Oh pene nove per me preparate

Oh riso, fronte, capelli e mani e dita
Oh triste liuto , viola, archetto e voce
Cotante fiamme per ardere una donna!

Di te mi lagno che con tanti fochi
In tanti lochi il core mio toccando
Non ti scottò neppure una scintilla.

***

Dacché crudele amor m’ha attossicato
Primieramente co’l su’ foco il petto
Sempre bruciai di sua fiamma divina
Ch’un giorno solo il mio cor non ha lasciato.

Qualunque pena di molte che mi diede
O minaccia di prossima ruina:
Pensier di morte che di tutto è fine
Nulla poté stupir l’ardente core.

Quanto più amor ci viene a indebolire
Tanto più nostra forza rinfranca
Sì che in tal lotta sempre siamo freschi

Questo non face siccome favore
Quei che i Superni e gli uomini disprezza
Ma contr’a’ forti per più forte parere.

***

Morir si vede ogne cosa animata
Quando dal corpo l’anima si parte
I’ sono ‘l corpo e tu la meglior parte
Ove sei tu anima beneamata?

Deh non lasciarmi così a lungo smarrita
Che per salvarmi potresti giunger tardi
Non porre a tal periglio il tuo bel corpo
Rendigli tosto la sua parte pregiata.

Fa’ bell’amico che non sia periglioso
Il nostro incontro e il colloquio amoroso
Ornalo tu non di severitate

Non di rigor ma di grazia amichevole
La tua beltà rendimi dolcemente
Da crudele che fu or favorevole.

***

18/06/02 18.44
Trad. genseki

Le cittá tentacolari



La pianura

La pianura è cupa le sue stoppie, i granai
E le cascine dalle travi marce
E’ cupa la pianura, sfinita, non si difende più
E’ cupa la pianura e morta la città la divora
Potenti e criminali
Le braccia di macchine iperboliche
Falciano l’evangelico frumento
Spaventano il seminatore malinconico
Il cui gesto pareva in armonia col cielo.
Lurido fumo in stracci di sego
Ha attraversato il vento e l’ha sporcato
Ed il sole povero e svilito
E’ come consumato dalla pioggia.
Là dove un tempo le luminose case
In gruppi l’una all’altra si stringevano
E i giardini dagli alberi dorati
Dal sud al nord infinita si scorge
La nera immensità dei capannoni.
Come una bestia enorme e taciturna
Che ronzi dietro un muro
S’ode il ronfare ritmico e duro
Delle caldaie e delle mole notturne
Vibra il suolo come fermentasse
Bolle il lavoro come un delitto,
E la fogna trascina un fango vellutato
A sporcare l’acqua del fiume
Un supplizio d’alberi scorticati
Torce convulso le braccia
Sulla facciata del bosco vicino
Sfinisce l’ortica il suolo sabbioso
E i letamai sempre più alti dei rifiuti
Unti cementi, putridi laterizi, pietre spaccate
Lungo i vecchi fossati dagli argini scuri
Si levano la sera in marci monumenti.
Sotto gli hangars pesanti di rimbombi,
Le notti e i giorni
Senz’aria e senza sonno
Lungi dal sole soffrono persone
Pezzi di vita nell’ingranaggio enorme
Pezzi di carne fissati con ingenio
Pezzo per pezzo, ripiano per ripiano
Da un capo all’altro della vasta giostra
I loro occhi son gli occhi della macchina
Sotto di essa piegano le schiene
Le loro vive dita si moltiplicano
In mille dita precise e metalliche
Tale è l’usura della loro fatica
Sulla materia sanguinaria
Che vi imprimono continuamente
Tracce di rabbia e gocce di sangue.
Dite l’antica fatica contadina d’agosto
Tra segale mature e avene rosse
Le braccia nella luce, alta la fronte
In mezzo al grano d’oro che si piega
Al torrido orizzonte di silenzio bollente.
Dite! Quella tiepida quiete i mezzogiorni eletti,
Nell’intreciare l’ombra per la siesta.
Sotto i rami di cui i venti lesti
Ritmano con lentezza gli ampi gesti frondosi
Dite, la gran pianura come un fertile orto
Folle d’uccelli sparsi nella luce
Che la cantano tutti a piena voce
Così prossimi al cielo che non li si ode.
Oggi la pianura è finita
E’ cupa la pianura e più non si difende
Il flusso ed il riflusso di rovine
L’hanno sommersa con monotonia.
Solo lontano muri d’orto diruti
Sentieri neri di scorie di carbone
Scheletri di masserie
Tagliano rapidi i treni i villaggi.
Tacciono le voci delle madonnine
Negli angoli dei boschi in mezzo agli alberi;
I vecchi santi  dalle nicchie di marmo
Sono caduti nelle fonti sacre.
Tutte le cose come bare vuote
Sono sfasciate disperse nello spazio
Ed è un lamento di defunti perduti
Singhiozzanti al tramonto nell’umida brughiera.
E’ morta la pianura, è finita!
Son morti i campanili inchiodati i mulini.
E gli ultimi rintocchi d’un angelus lontano
Sono i singulti della sua agonia.

Emile Verhaeren
Trad. genseki

Han Shan



Han Shan

 


L’eredità del padre e della madre

Basta per una buona vita
Alcun bisogno non v’è d’invidiare
I campi e gli orti dei vicini
Tesse mia moglie: - za, za –
Fa il telaio;
Il mio bambino gorgheggia:
glu, glu -.
Batto le mani, chiamo i fiori alla danza.
Col mento tra le mani odo cantar gli uccelli.
Chi mai potrà biasimarmi,
Chi farmi i complimenti?
Ogni tanto, di qua, passa un boscaiolo.

*

Travi e paglia, è la casa dell’uomo selvatico,
Alla sua porta son rare le carrozze.
Nel cuore della foresta si riuniscono gli uccelli
Ed abbondano i pesci nel torrente.
Con mio figlio colgo i frutti del monte
Con mia moglie aro i campi a terrazza
E in casa, cosa c’è?
Un letto pieno di libri.

*

I libri e la chitarra a portata di mano
A che mi vale un salario od un posto?
Ho rinunciato alla carrozza
Per consiglio della saggia mia donna.
Non ho nemmeno una carriola,
I mie figli devoti mi porteranno in braccio.
Il vento soffia sul grano
A seccare sull’aia solatìa
L’acqua deborda,
La piscina pullula d’ogni sorta di pesci
Medito spesso sull’uomo troglodita,
Intento a riposarsi sopra un ramo.

*

Godiam quando la gioia si presenta
La più insignificante occasione
Non lasciam che trascorra
Anche se di centanni disponiamo
Come riempire trentamila giorni?
In questo mondo dimoriamo un istante
Perché piagnucolare parlando di soldi?
Nel Classico della Pietà Filale, ultimo capitolo,
I funerali sono descritti in dettaglio.

*

In questo mese fuggono i contadini la canicola
Con chi dividere un buon gotto di vino?
Dispongo tutti i frutti di montagna,
Dispongo in cerchio le coppe da vino,
Canne come stuoie,
Le foglie del banano come piatti
Ebbro, il mento tra i palmi,
Seduto
Il Monte Sumeru è una piccola biglia.

*

Se la vita d’un uomo non arriva a cent’anni
Mille son gli anni di preoccupazioni.
Appena si ritrova la salute
Ci si sfianca pei figli e pei nipoti.
Ci si china per vedere se i cereali han messo radici
S’alza lo sguardo per controllare i gelsi
Quando pesi e bilance saranno inghiottiti
In fondo al mare orientale
Allora, infine, ci sarà la pace.


*

Vivo in paese
Ciascuno mi elogia, mi trovano incomparabile.
Ieri sono andato in città
Anche i cani mi guardavano in cagnesco,
trovavano troppo stretti i miei pantaloni,
La giacca troppo lunga.
Che si strappino gli occhi agli avvoltoi
E i passerrotti danzino a lor guisa.

*

Felice il corpo nell’era del caos
Non era d’uopo magiar né pisciare
Alla malora vi cavaron dei fori
Nove orifizi in tutto
Ogni giorno dobbiamo vestirci, nutrirci
Ogni anno pagare le imposte
Mille volti a disputarsi un soldo,
Urlano insieme fino ad ammazzarsi.

*

Nella casa dell’est c’è una vecchina
S’è fatta ricca or sono tre o quattro anni,
Prima era ben più misera di me
Oggi ella ride perché non ho una lira.
Ella ride di me che le sto dietro
Ed io rido di lei che stammi innanzi
Ridiamo entrambi, non possiam fermarci
Stanno così le cose ad est, ad ovest.

*

Un tempo fui abbastanza povero
Oggi son poverissimo
Quello che faccio fallisce subito
Duro è il cammino, penoso
Avanzando nel fango scivolo spesso
Seduto tra la gente del villaggio
La pancia vuota mi assilla
Anche il gatto se n’è andato
I topi
Girano intorno
All’orcio del riso.

*


giovedì, giugno 27, 2013

Bergson

Vista da fuori, la natura appare come un'immensa infiorescenza d'imprevedibile novità; la forza che la anima sembra creare con amore, gratuitamente, per puro piacere, la varietà infinita delle specie vegetali e animali; a ciascuna ella dona il valore assoluto d'una grande opera d'arte; si direbbe che si dedica con la stessa intensità a quella che capita che all'uomo: La  forma di un essere vivente, però, una volta disegnata, si ripete indefinitamente; gli atti di questo essere vivente, una volta compiuti, tendono a imitare se stessi, e a ricominciare automaticamente: automatismo e ripetizione che dominano ovunque meno che nell'uomo, dovrebbero metterci in guardia che siamo su di una soglia e che la marcia sul posto, che affrontiamo, non è il movimento autentico della vita.

Trad. genseki

martedì, giugno 25, 2013

Benozzo Gozzoli


30 propositions pour une société créaliste

1 - Dire oui au passage du dedans vers le dehors et vice versa.

2 - S'employer à gommer son ego.

3 - Rien n'est vrai, tout est possible.

4 - Règle d'apprentissage : partir d'un domaine éloigné pour se rapprocher du point à enseigner.

5 - Ne jamais imaginer la réponse de l'autre avant de l'entendre.

6 - Avoir toujours, partout et à chaque contact, de la bienveillance.

7 - Dream you heart forth. Take action to instill your reality.

8 - Prendre son voisin par les bras et le faire voler comme un papillon.

9 - La vraie vie doit commencer très tôt.

10 - Efforcez-vous de voir l'autre en vous.

11 - Parler pour créer.

12 - Censurer la censure.

13 - Ne respirer qu'avec le ventre.

14 - Être responsable de ses actes, assumer les conséquences de ses choix.

15 - La liberté est une valeur fondamentale non négociable.

16 - Toujours se demander : Que penserais-je de ce que je suis en train de faire si j'étais quelqu'un d'autre ?

17 - Chercher son bonheur dans quelque chose qui ne s'achète pas.

18 - Interdire des domaines à l'économie.

19 - Répondre aux propositions de faire l'amour selon son désir. Arrêter de considérer le désir comme une perversion.

20 - Abolir les frontières et remettre la calèche au goût du jour.

21 - Encourager et valoriser le développement des particularités propres de chaque individu naissant pour qu'il puisse offrir sa fleur unique au monde (au lieu d'abraser ces particularités pour en faire un être standardisé).

22 - Arrêter de faire la gueule sans raison et respirer sous l'eau comme les raies mantas.

23 - Rendre le déraisonnable obligatoire.

24 - Identité internationale pour tous. Possibilité d'aller travailler n'importe où.

25 - Respecter et préserver les lieux d'expression artistique.

26 - Arrêter de marcher pour danser dans la rue. Se donner des fleurs en échangeant des mots courtois.

27 - La fin ne doit jamais justifier les moyens.

28 - Se faire des baise-mains érotiques.

29 - Chaque personne qui émet un jugement critique doit aussitôt faire une contre-proposition positive.


30 - Et vous, quelle est votre règle pour une société créaliste ?

Luis de Miranda

Manifesto del crealismo

1. Au coeur du réel agit une création continue, matérielle et spirituelle. "Le monde est/doit être ma création" est l'éthique différentielle des sujets singuliers. Vérité dont l'événement inter-relationnel ne cesse de surgir çà et là au fil de l'Histoire. Vérité souvent oubliée face aux humiliations décourageantes du "monde comme il va" et des "humains comme ils sont". Le créalisme n'est pas un anthropocentrisme qui séparerait artificiellement une nature-objet d'un humain-maître et possesseur. Il y a des complicités et des affinités actives entre le chaosmos et celui qui se rend digne de l'écouter et de l'oeuvrer.

2. Le capitalisme altère le monde et pousse les humains à vouloir altérer leur corps et leur âme selon des standards anxiogènes. Ce qu'il s'agit de viser (tant d'autres l'ont mieux clamé avant moi), c'est à une altérité différentielle en acte, une éthique amoureuse, politique, érotique, esthétique, cosmique, professionnelle faite d'ascèse aventureuse et de tentative héroïque de ne pas monnayer ses extases. La stance contre le nihilisme hypnagogique passe par cette exigence apparemment mégalomaniaque de déconditionnement en devenir, une politique po(i)étique qui tente de redonner à l'imagination désirante, à l'idéation volontaire et généreuse, à l'effort d'invention et de soutien de structures nouvelles leurs lettres de noblesse en matière d'existence.

3. Bien entendu, à l'échelle in-dividuelle, les résultats ne sont pas souvent spectaculaires. Le créalisme est une autodiscipline parfois ascétique dans un monde où les complicités durables sont rares (l'envie compétitive a colonisé toutes les sphères, y compris là où la tradition l'attend le moins), les obstacles froids fréquents (idiotie et indifférence) et les puits de mélancolie omniprésents. Mais le créalisme est aussi une extase sensible et mentale, une source et une manifestation de joie.

4. Le créalisme pose le primat de la créativité au coeur de l'être, et loin d'être agencé aux seules disciplines artistiques, il concerne la dynamique d'extension des territoires vivants, une praxis éprouvable et collective de la singularité. Sous cette acception, le Créel est un bourgeonnement imprévisible, un tissu vif d'interrelations à vocation non-déterministe, tandis que le Réel est son compost, son encadrement automatisé.

5. Pour ceux qui croient en "Dieu", le créalisme revient à supposer qu'Il n'est pas figé une fois pour toutes. Son identité change sans cesse à mesure de sa co-création par ses créatures. L'univers est une partition musicale en constante (re)composition, au fil de laquelle les improvisations sont toujours possibles. Nous sommes tous plus ou moins divins selon les moments de notre vie, tantôt dormeurs avides, tantôt acteurs et senseurs du Créel. L'accès au dialogue lucide avec les forces aimant(é)es du monde est plus aisé lorsque le sujet tient une certaine ascèse antimimétique et maîtrise ses pulsions de consommation et de régression, au prix d'un effort de renoncement aux (dé)plaisirs pavloviens. Pas facile, car le totalitarisme de la consommation et de la fange sans cesse nous mobilise en excitant nos neurones fatigués de ses messages en apparence contradictoires (fausse liberté de choix entre l'hygiénisme et le caboucadin). Chaque jour, le système capitaliste dépense des sommes énormes pour nous débiliser. Mais heureusement, même les débiles sont mentaux...

6. Contre les castrations des sinistres contempteurs d'envol, contre la colonisation de l'intime par les impératifs publicitaires duplicitaires, les créalistes ont toujours été de relatifs sacrificateurs de confort standard (un certain luxe leur est pourtant essentiel). Ils ont été des filtres de l'être, des haut-parleurs, des raffineurs de chaos. Suivons leur exemple, ou supportons encore et toujours les conséquences schizonévrotiques d'un monde rendu stagnant par notre abandon ou notre collaboration avec la misère marchande, la morose émulation simulatrice, la soumission à l'argent que nous confondons, comme l'écrivait Marx, avec autrui. Agir ou subir la honte quotidienne que tentent de nous infliger les soldats (autant de femmes que d'hommes) de la société de classes. Se faire so(u)rcier des formes, des intensités et des coïncidences, plutôt que d'accepter la banalité des codes d'une époque saturée de culs-de-sac.

7. Une situation de bouillonnement amoureux, des synchronicités, un désir de justice allant au-delà des revendications salariales, une belle joute sans hypocrisies entre adversaires nobles. Tout sauf la pusillanimité des élans atrophiés, l'abrutissement des stimuli et l'idiotie affamée, larmoyante, ricanante, fataliste. L'Histoire est triste ? Deleuze disait : "L'histoire désigne seulement l’ensemble des conditions si récentes soient-elles, dont on se détourne pour 'devenir', c’est-à-dire pour créer quelque chose de nouveau."

8. Le créalisme est une politique du Réel en tant que co-création en devenir, où le sujet cohérent-actif occupe une place co-centrale avec l'harmonium cosmique, où l'imagination, la passion, la volonté, l'art, le désir, l'amour redéfinissent sans cesse, au présent et en acte, les conditions de possibilité d'une vie désaliénée, d'une existence libre.

Luis de Miranda

giovedì, giugno 13, 2013

Ferita

Ti sapevo ferita
Come quell'upupa che scorgemmo tra i mirti
Nell'estate delle nostre veglie
E perle rosse seminavano
Le ali
Nella tensione singolare del vento
Ma l'ansia che incrina il respiro
Come il piede scalzo sul cristallo
Era nuovo
Nel grido, nel battiti di ciglia
Nel distendersi delle dita sottili
Come nervature di ali
Nel vespro liquido delle robinie
Presagio d'un imminente congedo
La falce delle tue unghie incideva
L'ascella dei papaveri.

genseki

Verano

La falce del sogno balena
Tra l'aloè e il carrubo
Il pelago delle canne invita
Ai lavacri della menta
Basilico, hierbabuena
Ricamano artigli e segreti
Nella trama d'argento a rivi
Che tracima dagli olivi.

genseki

mercoledì, giugno 12, 2013

Paolo Sarpi

Quello che per il passato è riuscito, doversi tenere et osservar sempre: nissuna cosa far perire un governo maggiormente che il mutar i modi di reggerlo; ...

Istoria del concilio tridentino

Nubi

Di tutti quanti i tradimenti
Amor è quel che sa di sale
Ma quel che resta è reale
E l'anima lo presente.

genseki

Leggera come la tirannia
Del convolvolo sull'olivo
Sospesa è l'anima mia
Al goccciolio dell'aurora,
Al vento, al singhiozzo viola
Che fa danzare le vele.

genseki

La fonte

Nemmeno se quella fonte
Tra spruzzi m'avesse sorriso
Avrei bevuto le acque morte
Piuttosto l'assenzio, l'ortica
Che la saliva rilucente
Di quell'amor che conforta
Chi non depose le sporte
Che pesano immensamente
Questo corpo e questa mente.

genseki

lunedì, giugno 10, 2013

Fede

Il credente può reaizzare a fede solo ne'oceano del nulla.

*

Chi vuole sfuggire all'incertezza della fede finisce per cadere nell'incertezza dell'increduità, che non potrà mai giungere a stabilire che a fede non è verità in foma certa e definitiva.

*

Solo chi vuole rifiutare e confutare la fede si rende conto che è inconfutabile.

*

Nessuno può sottrarsi competamente aa fede o a dubbio. Per uno la fede sarà presente nonostante il dubbio, per un altro per mezzo de dubbio o in forma di dubbio.

*

La fede è una decisione per la quale affermiamo che nell'intimo dell'esistenza umana vi è un punto che non potrà essere sostenuto dal visibile o dal comprensibile ma che confina a tal punto con ciò che non si vede che questo lo affetta e appare come qualche cosa di necessario per la sua esistenza.


Ratzinger

Trad. genseki

mercoledì, giugno 05, 2013

La maschera

Il jacarandà insinua
Il muso fiorito alla finestra
Ma la voce che ferisce
È quella del merlo sull'acacia
Se almeno mi fossi perso
Ora si! Potrei pregare
Di ritrovare la traccia
Dei chicchi di riso sulla sabbia
Delle gocce di latte sul muschio
Fino all'uscio del perdono
Fino alla soglia dell'abbandono
Di questa maschera codarda.

L'ampolla

Se non ti avessi conosciuto
La mia vita sarebbe stata
L'ampolla di un filtro obliato
La radura di un bosco dopo l'incendio
Un pugno di cenere nel calice
Da cui bevvi l'indecenza
L'avvilimento spaurito
Che mi rese fosco e contrito
Tra le unghie del peccato.

*

Le donne sul ponte

Le donne salutavano dal ponte
Con i fazzoletti intrecciati
Col bel vento tra i capelli
E le rime di labbra e denti
Ma tutta l'acqua del mare
Non avrebbe potuto lavare
L'amarezza del nostro cuore
I colpi secchi delle vele
Che si tendevano al maestrale
Ci ammonivano che il peccato
È nostalgia del dolore
Che non abbiamo accettato.

In questa lingua

In questa lingua giaccio
Come fosse la mia tomba
Senza lacrime, senza rimpianti
Solo l'erba cresce lenta
E la carezza dei fiumi
Rende lieve anche la terra.

*

la falce della luna

La falce della luna
Decapita i serpenti
ma quella del tuo sguardo
Recide anche i papaveri
Lascia che le tue unghie
Mi siano come stelle
Nel fondo dell'abbandono
Un alfabeto difforme.

La tigre va a caccia di scimmie

La tigre va a caccia di scimmie
Come s'è fatto amaro questo esilio
Le lacrime non hanno più sale
Sono così lunghe e ripide
Queste scale.
La tigre va a caccia di scimmie
Quando cadono foglie e pietre
Abbiamo nostalgia della vergogna
Un frutto di sangue ancora
Ci potrá forse salvare?
La tigre va a caccia di scimmie
Quanto mi manca quel male
Il peccato livido del temporale
Su panni stesi ad asciugare
Piú amaro dell'esilio
Ê mancare l'incontro con il perdono
Con il vento che ci abbandona
alla fissitá del fuoco.

genseki

Canción erronea

Chiami la luce e la luce viene a e come
Un animale trasparente. Tu
La accarezzi, essa ti lecca le mani. Si
Adagia nei tuoi occhi e
Nei tuoi occhi si incendiano
I numeri dispersi.

Davanti a te, la purezza e i suoi rettangoli:
Un abisso creato da domande bianche
In apparenza immobili.

Appariranno volti che forse hai amato.
Si, appaiono volti abitati e esatti
Ti possiede una passione: ora è
Visibile l'invisibile.

Altre volte, succede
Che la luce si congeda dalle tue mani e
Cerca la sua libertà e si converte in
Pulsazioni, in
Colori prigionieri che non hanno nome.

                                                             Si:
Procedono dall'abisso. Sono
Frutti incandescenti, consegnati
Da te alla libertà.

Dipingi ciò che non esistette mai: hai visto l'inesistenza e la incorpori e
L'inesistenza è reale e libera
Persino da se stessa.

*

Hai attraversato lentamente la città.
Per una volta non vai a lavorare
Né a comprare una medicina e neppure a consegnare una lettera:
Sei uscito solo per stare nella notte.

Questa volta sei stato fortunato:
Tutta la notte è tua e ti avvolge
E tu ti senti come e dovessi riunirti con tua madre e pensi
Che forse è buona cosa esistere sotto le stelle

Vai avanti nell'oscurità e poco a poco impari che anche
Camminare per strada e ascoltare i tuoi passi è una cosa buona
E sentire la notte di quelli che dormono
E capire che sono un essere solo,
Che riposa di una stessa fatica
Nello stesso sogno

Vai avanti, però.

Ora vedi
La povertà insonne, vedi il freddo
Bianco e carnale, e, finalmente, senti
Che pesa molto, troppo,
Il tuo cuore.

Così ritorni.

*

Uno sconosciuto abita in me. Agonizza e, per agonizzare utilizza il mio cuore.

Penso a mio padre impazzito per la visione di frutta molto fresca, penso all'amore e alla morfina. No non è
Mio padre, ma chi è allora che
Agonizza in me?

È possibile che sia proprio io quello sconosciuto e che il il mio cuore non sia il mio anche se ci metto i miei battiti. È possibile.

Davvero non è un problema. In ogni caso io sarò, e già lo sono,
Orfano di me stesso.

*

...
Io vivevo in una creatura e il suo sangue confluiva nel mio sangue e la musica mi avvolgeva e io stesso ero la musica.

                                                                                        Ora,

Chi è cieco nei miei occhi?

*

I tuoi capelli scendono come ala d'ombra ma splende il tuo corpo come luce dentro la neve.

Ruoti in te come un pianeta doloroso.

Nuda: arde
In te la bellezza e
La sua negazione. Pronunci
Come un'arpa discorde
L'ultimo gemito.

Sei tagliente e fredda come il frutto del sandalo, segreta e bianca come alabastro assiro.
Una rosa di fuoco sorge dal tuo ventre e
Clamorosa si apre
Nell'inguinale ombra. Poi mi entra negli occhi. Dove
Si calcinano i suoi petali.

Gamoneda

Trad. genseki

martedì, giugno 04, 2013

Manifesto per gli studi umanistici

C’è mai stato un momento nella storia americana in cui gli studi umanistici siano stati ritenuti meno preziosi, e c’è mai stato un momento nella storia americana nel quale gli studi umanistici siano stati più necessari? Sono onorato di potervi parlare stamattina, dato che negli ultimi anni sono arrivato a concepire l’impegno negli studi umanistici come un atto di ribellione intellettuale, o di dissidenza culturale.
Da decenni in America assistiamo a una denigrazione costante e nauseante della conoscenza umanistica e del metodo umanistico. Viviamo in una società inebriata dalla tecnologia, felicemente, addirittura inconsciamente, governata dai valori di utilità, velocità, efficienza e convenienza. La mentalità tecnologica – la lente attraverso la quale l’America guarda il mondo – ci addestra a preferire questioni pratiche a questioni di significato – ci si chiede non se le cose sono vere o false, se sono buone o cattive, ma come funzionano. La nostra ragione è diventata una ragione strumentale, non è più la ragione dei filosofi, con la sua antica magnitudo di ambizione intellettuale, la sua convinzione che i temi propri al pensiero umano siano i temi più vasti, e che la mente, in un modo o in un altro, possa penetrare i princìpi più autentici della vita naturale e della vita umana. La filosofia stessa è ripiegata sotto il peso della nostra debolezza nei confronti dell’utilitarismo – la filosofia moderna americana è stata in realtà una delle cause di tale debolezza – e generalmente anch’essa preferisce aggiustare e ritoccare.
Le macchine di cui siamo divenuti schiavi, tutte abbastanza stupefacenti, rappresentano il più grande attacco all’attenzione umana mai concepito: sono motori di dispersione mentale e spirituale, che ci rendono più grandi soltanto perché meno profondi. Ci sono pensatori, e anche rispettabili se riuscite a crederci, che proclamano che la crescita esponenziale dell’abilità computazionale ci porterà presto ben oltre la limitatezza dei nostri corpi e delle nostre menti in modo che, come uno di loro dice, non ci sarà più alcuna differenza fra uomo e macchina. La Mettrie vive nella Silicon Valley. Questa, ovviamente, non è un’apoteosi dell’umano, ma l’abolizione dell’umano; ma Google ne è particolarmente felice.
Nell’universo digitale, la conoscenza è ridotta allo status di informazione. Chi ricorderà più che la conoscenza sta all’informazione come l’arte sta al kitsch – che l’informazione è il tipo più infimo di conoscenza, dato che è il più esteriore? Un grande pensatore ebreo del Medioevo si chiedeva perché Dio, se davvero avesse voluto che conoscessimo la verità su tutto, non ci avesse semplicemente detto la verità su tutto. La sua saggia risposta fu che se ci avesse semplicemente detto quello che avevamo bisogno di sapere, noi non lo avremmo, a rigor di termini, conosciuto. La conoscenza si può acquisire soltanto nel tempo e solamente con metodo. E i dispositivi che ci portiamo in giro come se ne fossimo dipendenti stanno deturpando le nostre vite mentali anche in altri modi: ad esempio, generano un numero finora inimmaginabile di numeri, numeri su tutto quello che esiste, e ci trasformano in una cultura di dati, in un culto dei dati, nel quale nessuna attività umana e nessuna espressione umana è immune dalla quantificazione, nel quale la felicità è un soggetto adatto agli economisti, nel quale le traversie del cuore umano sono inappropriatamente traslate in espressioni matematiche, lasciandoci con nuove illusioni di chiarezza e nuove illusioni di controllo.
La sfavillante èra del tecnologismo è anche una sfavillante èra dello scientismo. Lo scientismo non è la stessa cosa rispetto alla scienza. La scienza è una benedizione, lo scientismo è una maledizione. La scienza – intendo quella che gli scienziati veri praticano – è ammirevolmente conscia dei suoi limiti, umilmente ammette il carattere provvisorio delle sue conclusioni; ma lo scientismo è dogmatico, e spaccia certezze. E’ sempre pronto a fornire soluzioni a ogni problema, dato che crede che la soluzione a ogni problema sia scientifica, e quindi fornisce risposte scientifiche a domande non scientifiche. Ma persino la questione del posto della scienza nell’esistenza umana non è una questione scientifica. E’ una domanda filosofica, cioè umanistica.
A causa della propensione alla spiegazione totalitaristica, lo scientismo trasforma la scienza in un’ideologia, il che è ovviamente il tradimento del suo spirito sperimentale ed empirico. Non esiste alcuna perplessità dell’umana emozione o dell’umano agire che non venga accreditata alla genetica o spiegata nei presuntuosi termini della biologia evoluzionistica. E’ vero che il gene egoista è stato recentemente rimpiazzato dal gene altruistico, più carino certamente, ma è comunque il gene che domina. Lo scientismo liberal non dovrebbe essere per noi più filosoficamente attraente dello scientismo conservatore, dato che anch’esso riduce con arroganza tutte le aree che abitiamo in una singola area, e ci fa cadere nella tentazione di credere che l’eschaton epistemologico sia finalmente arrivato, che finalmente conosciamo quello che abbiamo bisogno di sapere per gestire saggiamente gli affari umani. Questo credo è invariabilmente falso, e occasionalmente disastroso. Stiamo diventando ignoranti dell’ignoranza.
Non esiste quindi alcun compito più urgente nella vita intellettuale americana in questo periodo che offrire resistenza all’imperialismo combinato di scienza e tecnologia, e di ricostituire l’antica distinzione – una volta contestata duramente, poi generalmente accettata, ora quasi completamente dimenticata – tra lo studio della natura e lo studio dell’uomo. Come Bernard Williams una volta ha rimarcato, “‘umanità’ è un nome non solo per una specie ma anche per una qualità”. Voi che avete scelto di votarvi allo studio della letteratura e delle lingue e dell’arte e della musica e della filosofia e della religione e della storia – voi siete i rappresentanti di tale qualità. Voi siete la resistenza. Avete avuto la sfrontatezza di scegliere l’interpretazione rispetto al calcolo, e di riconoscere che il calcolo non può fornire un quadro accurato, o un quadro approfondito, o un quadro completo, di esseri che si autointerpretano quali noi siamo; e io vi elogio per questo.
Non credete alle voci che dicono che il vostro percorso è obsoleto. Se Proust fosse stato un neuroscienziato, allora non avreste alcun bisogno della neuroscienza, avendo Proust. Se Jane Austen fosse stata una studiosa della teoria dei giochi, allora non avreste alcuna ragione di dedicarvi alla teoria dei giochi, avendo Austen. Per opporsi all’accelerazione ciarliera della consapevolezza americana non vi è baluardo più grande dell’incontro con un’opera d’arte, e dell’esperienza di un testo o di un’immagine. Siete i rappresentanti, i residui salvifici di tale incontro e di tale esperienza, e del serio studio di tale incontro e tale esperienza – cioè, voi siete la controcultura. Forse ora la cultura è la controcultura.
Quindi non perdete la testa. Non esitate. Siate molto orgogliosi. Usate nuove tecnologie per vecchi scopi. Non fatevi innervosire dai numeri, che non saranno mai germogli di saggezza. Nel sostenere gli studi umanistici, onorate una civiltà che è stata fondata sulla ricerca del vero, del bene, del bello. Perché fino a che saremo creature senzienti, creature che amano e immaginano e soffrono e muoiono, gli studi umanistici non saranno mai superflui. Da oggi in poi agite come se foste indispensabili alla vostra società, perché – che essa ne sia consapevole o no – lo siete.

di Leon Wieseltier
è il capo della cultura del magazine The New Republic. Questo è il discorso che l’intellettuale liberal ha tenuto alla cerimonia della consegna dei diplomi alla Brandeis University, il 19 maggio scorso.
    (traduzione di Sarah Marion Tuggey)