giovedì, maggio 18, 2006

Lo scarabeo



Lo scarabeo non conosce i battelli
Le carezze della schiuma, il sole delle valve
Dolce come le fragole in battigia,
S’adagia invece dove stagnano fanghi
Dove si vende il sangue
La vita le ore i sospiri e il senso
Dove si indeboliscono gli argini
A ridosso dei quartieri più sfavoriti
In modo che si infiltrino che si infiltrino
Negli acquedotti e che le infiltrazioni
Imputridiscano negli acquedotti
Marcendo i paragrafi di inchiostri scaduti di postille lacerate
Di carezze febbrili di strette ai fianchi tra lenzuola madide
Lo scarabeo è un ciottolo stridente
Che si condensa nei baci – delle filatrici –
Delle frese
Dei giocattoli cinesi a uneuro, nelle camicie
Di infima qualità dei mercati rionali
Dove ai tempi dell’Impero si quotavano sete e pece
Mirra e cloroformio
Quando il mare odorava di rabarbaro
E le onde erano lingue vinose che leccavano i tronchi dei pini
Lo scarabeo si posa sulle dita
Si posa sulle dita, sugli asparagi
Sulle dita più delicate
Sulle dita dei bambini
Sulle dita
E le sfiora
Come fossero cose.

*

A questo punto lo scarabeo
Dovrebbe infrangersi
Separarsi negli elementi che lo costituiscono, dividersi, insomma,
Farsi analisi delle sue rette dei
Vettori,
Degli ausiliari, degli specchi, delle spinte, delle suppliche
Di tesi e virgole,
- sarebbe un bel carosello di virgole vuote –
Davvero,
Penetrare lo spazio in un solo punto con tutti questi frammenti
E le speculazioni dell’industria farmaceutica
Trovarsi qui
E al tempo stesso di sopra
Come sasso e geranio, come mano e conchiglia, come foglia e chiocciola,
Lo scarabeo è dialettica e consiglio
Lampo rupe
Palma e dirupo
Si apre (come nel ’77) e scricchiola
Se è una buona annota
Ma non è una parola
Al massimo soltanto un accento.
Talvolta.

*

Cella cellula, cranio
Stupore
Scarabeo, arnia
Adesso apri la porta – dai! –
Vedrai che meraviglia:
Lavorano tutti! – Là fuori –
Cinesi marocchini sciiti; alla massicciata
Tra voli di scarabei
Porosi.

*

Parlavo della democrazia, allora
Parlavo della Democrazia, allora
Mi torcevo le mani
Recidevo fiori
Garantivo rimborsi
Correvo sui balconi
Sulle terrazze
Sugli spalti
Sui merli
Sulla biancheria stesa
Parlavo dell’Impero, allora
Lo esportavo
Per carità, non dimentichiamo la nonviolenza
Tagliavo qualche orecchio
Ascoltavo la radio spesso
In macchina
Nella cabine del telefono
Nella scatolette di tonno
Entravo in Europa, allora
Uscivo dalle bottiglie
Scorrevo a fiotti, poi
Fin dove scattano gli inizi,
Sfregiavo gatti.

*

Quello che non mi aspettavo
Quello che non mi aspettavo
Era ritrovarmi nell’orto
Ritrovarmi allo scoperto
Ritrovarmi senza orologio
Ritrovarmi più forte
Anche se avevo perso quella fluidità di movimento
Tanto caratteristica
Ma sempre rigorosamente bipartizan
Nel ritrovarmi dicotiledone
In un paese spaccato in due
Con una piccola coda
Come uno dei lombrichi meccanici
Del cugino Buckminster.

*

genseki

Nessun commento: