martedì, gennaio 27, 2009

Anton Bruckner - Symphony n. 8, Furtwängler 4 (1/3)

I dadi eterni

Da “Gli araldi neri”

Mio Dio, resto piangendo l'essere che vivo
Mi duole aver gustato del tuo pane
Ma questo povero fango pensieroso
Crosta non è in fermento al tuo costato:
Le tue Marie non partono!

Dio mio, se mai tu fossi stato un uomo
Sapresti oggi esser Dio,
Ma tu te ne sei stato sempre bene,
Non senti niente della tua creazione:
È l'uomo che ti soffre ed egli è Dio!

Oggi ci sono fiamme nei miei occhi
Di stregone dannato
Vieni Dio mio con tutte le tue torce
E giocaremo con il vecchio dado.
E forse a dar la sorte
O giocator di tutto l'universo,
Sorgeranno le occhiaie della Morte
Come due assi funebri di fango.

Dio mio, in questa notte sorda, oscura,
Piú giocar non potrai, perché la Terra
È un dado corroso, arrotondato
A forza di ruotare senza meta
E fermarsi non può che nel gran vuoto
Il vuoto dell'immensa sepoltura.

Vallejo

trad genseki

lunedì, gennaio 26, 2009

La preghiera dell'ateo


Unamuno capovolge la prova di Anselmo. Il fatto che Dio possa essere pensato come dotato di ogni perfezione lo condanna all'inesistenza. L'inesistenza peró come è declinata nella tradizione apofatica. Inesistenza in quanto assoluta trascendenza, incommensurabile con quell'altra inesistenza, tragica per Unamuno, dell'uomo.
Dio è inesistente per l'uomo perché l'esistenza divina lo trascende in modo assolutamente radicale.
Si intravede nel testo di Unamuno l'ereditá di Ibn Arabi.
La traduzione non è all'altezza del testo.
genseki

Odi la prece mia, Dio inesistente
E nel tuo nulla accogli il mio lamento
Tu che l'uomo meschino mai non privi
Della consolazione dell'inganno
Al nostro anelo concedi alimento.
Quanto più dalla mente ti allontani
Mi sovvengo dei placidi consigli
Con cui la tata addolciva notti tristi.
Che grande sei Dio mio! Sei tanto grande
Che non sei che un'idea; è troppo angusta
La realtá nostra che tanto si espande
Per contenerti. Ed io soffro al tuo fianco
Dio inestistente, perché se Tu esistessi
Esisterei allora anch'io davvero.

Unamuno
trad genseki

sabato, gennaio 24, 2009

César Vallejo come l'ho conosciuto II

Quando ebbi finito di mettere a posto tutte le mie cose mi disse ancora:

- Molti bambini preferiscono sedersi piú in fondo perché non gli piace rispondere alle domande. Tu, peró sarai un bravo alunno, non è vero?

Io non sapevo niente dei piccoli trucchi dei bambini, cosí non capivo bene che cosa volesse dire e risposi ingenuamente:

- Si, la mia mamma si è raccomandata che studi molto...

Egli sorrise lasciando intravedere denti bianchissimi e poi mi accompagnó verso la porta. Chiamó uno dei ragazzetti che stavano ggiocando e gli disse:ç

- Questo è uno nuovo, accompagnalo a giocare...

Quindi se ne andó e vennero altri bambini, che tutti si misero ad osservarmi con curiositá, sorridendo: !Montanaro burino! Commentò uno notando le mie guance rosse dato che gli abitanti della costa per lo piú sono pallidi. Gli altri scoppiarono a ridere. Il bambino che doveva portarmi a giocare disse con calma:

- Sai giocare ad acchiappare?

Io gli dissi di no e egli sentenzió:

- Sei nuovo, chiaro che non sai giocare...

Mi lasciarono per continuare ad acchiapparsi, io ero molto confuso e il rumore della ricreazione mi intontiva.
Cercai con lo sguardo il maestro e alla fine lo trovai accanto alla porta, secco secco e scuro mentre parlava con un altro professore grasso e dai baffi diritti, un buon uomo che anch'io avrei finito per chiamare Champollion, come da alcune generazioni facevano tutti gli alunni. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi e me ne andai a zonzo. Attraversando una porta entrai in un grande cortile dove vi erano studenti piú grandicelli. Nessuno mi guardava e nessuno mi diceva nulla. Era li che doveva trovarsi mio zio. C'erano molti cortili, molte aule, molti archi. Le pareti erano dipinte di rosso chiaro, quasi rosa come per temperare la severitá di un edificio che in altri tempi era stato un convento. Suonó la campana e io non sapevo più ritornare in classe. Ero perduto de entrai per sbaglio in un'altra. Proprio Vallejo venne a recuperami. Si era accorto della mia assenza e si era messo a cercarmi di aula in aula, mi prese per mano e mi portó con lui. Ricordo ancora la sensazione che mi produsse la sua mano grande, fredda e nodosa, stringendo la mia timida e scivolosa per la tensione. Volli liberarla ma egli la trattenne. Mentre camminavamo per gli ampi corridoi desertimi andava dicendo senza che io mi azzardassi a rispondere:

- perché ti sei messo a camminare? Sei restato solo?. Un bimbetto come te non deve allontanarsi dalla sua aula e dal suo cortile. Questa scuola è moltogrande... Sei triste?

Giungemmo alla nostra aula e mi condusse al mio banco. Si mise dietro la sua cattedra che stava alla stessa altezza dei nostri banchi e molto vicina ad essi di modo che ci parlava proprio a fianco. Fu allora che mi resi conto che il maestro no si tagliava i capelli come tutti gli altri uomini ma che portava una grande chioma liscia, abbondante e negrissima. Senza sapere a che attribuirlo chiesi a voce bassa al mio compagno di banco:

- perché porta i capelli così?
- È un poeta, mi sussurró.

La personallitá di Vallejo cominciava a sembrarmi in po' misteriosa e cominciai a farmi qualche domanda a cui non sapevo rispondere. Egli mi scosse dalle mie perplessitá dando due colpi sulla cattedra con il righello. Era il suo modo di richiamare l'attenzione. Annunció che stava per dettare la lezione di geografia e imbricando le dite in modo da simulare la forma della terra con le sue mani scure e magre disse:

- Bambini, la terra è rotonda come una arancia... proprio questa terra in cui viviamo e che ci sembra piatta è rotonda.

Ciro Alegria
trad genseki

venerdì, gennaio 23, 2009

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Dedicato all'UAAR



La negazione dell'esistenza di Dio non è evidentemente esclusiva dell'ateismo come ci spiega Tomaso con limpida concisione:


Deus non est existens, sed supra existentia, tu dicit
Dionysius. Ergo non est intelligibilis, sed supra omnem
intellectum.



E in altro luogo:


Deus non sic diciturr non existens quasi nullo modo sit
existens, sed quia supra omne existens, inquantum est suum esse. (Summa T. I,
12;1)



Cioè di Dio si non esiste ma è oltre l'esistenza in quanto è l'essere di ogni esistenza.
Quindi il polemico slogan dell'ateobus di Genova potrebbe esssere, senza problemi, sottoscritto, con ogni probabilitá dallo stessissimo Tomaso.
genseki

Colui che conosce

Colui che conosce non puó essere conosciuto dall'oggetto della sua conoscenza.
Non si tratta quindi di conoscere il mondo ma di lasciarsi conoscere da esso.

genseki

L'Assoluto

Nel pensiero di Ibn Arabi l'assolutamente Assoluto (haq) si situa sul piano dell'unitá e non è mai svelato. Ovvero è inaccessibile per l'uomo e resta tale anche nel momento piú alto dell'unione mistica, nella Rivelazione e nella gnosi assoluta.
L'Assoluto è attingibile da parte dell'uomo solo quando si manifesta come Dio. Egli parla della manifestazione dell'Assoluto sul piano (hadra) di Dio.
L'uomo e tutti gli elementi del suo mondo esteriore e interiore sono parte di questa manifestazione, sono forme della divinitá sul piano della divinitá stessa. Il cammino che conduce alla conoscenza dell'Assoluto in quanto Dio è dunque quello che passa attraverso la conoscenza di se stessi.
Chi è in grado di conoscere e di riconoscere se stesso come forma del divino è in grado di comprendere ogni cosa come epifania della divinitá in tutto l'universo.
La conoscenza di se stessi ha due diverse modalitá:
Conoscenza dell'Assoluto come identitá del Sé
Conoscenza del Sé come manifestazione diretta dell'assoluto.
L'uomo prende inizialmente conoscenza dell'Assoluto come Dio della tradizione religiosa all'interno della quale nasce e si educa.

genseki

giovedì, gennaio 22, 2009

Ibn Arabi

Posto che null'altro esiste nel vero senso della parola, eccetto l'assoluto, un autentico conoscitore di Dio non vede, nelle forme molteplici che la manifestazione di Dio, giacché sa che Egli si manifesta in tutte le cose. In questa maniera, qualunque sia l'oggetto del suo culto sempre adora Dio. Ciò può essere inteso anche nel modi seguente: le forme divergenti del molteplice all'interno dell'Uno sono o spirituali come gli angeli, o visibili e sensibili esternamente come il cielo e la terra e tutte le cose materiali che si trovano nel mezzo. Quelle si possono comparare alle facoltá spirituali contenute nel corpo di un uomo, queste alle membra di quello stesso corpo.
L'esistenza di questa molteplicitá nell'uomonon impedisce che egli possagga una unitá.

a cura di genseki

mercoledì, gennaio 21, 2009

Virtú


Virtus omnis est purificatio quaedam

Plotino

Silvae


Le forêts futures se balancent imperceptibles aux forêts vivantes.

Maurice de Guérin

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Miguel de Unamuno


Questi due passi tratti dalla "Vida de Don Quixote" di Unamuno sarebbero una buona risposta alla ineffabile societá di atei che ha impostato la campagna sull'esistenza di Dio sugli autobus genovesi. Se fossero in grado, e non sono, di essere coscienti di quello che pensano
genseki

Se esistessero davvero soffrirebbero di esistere e non si accontenterebbero dell'esistenza.

Se in veritá esistessero realmente nel tempo e nello spazio, soffrirebbero di non essere nell'eternitá e nell'infinito. E questa sofferenza, questa passione che non è altra cosa cosa che la passione di Dio in noi, la nostra temporalitá, farebbe loro spezzare tutti quegli insifficienti passaggi logici con i quali tentano di legare i loro insufficienti ricordi con le loro insufficienti speranze, l'illusione del loro passato con quella del loro avvenire.


*


Non c'è nessun avvenire; non c'è mai nessun avvenire. Quello che chiamate avvenire è solo una grande menzogna. Oggi è l'autentico avvenire. Che ne sará di noi domani? Non c'è domani?

Che ne sará di noi oggi? Ecco la unica domanda.

Dalla "Vida de Don Quixote"
trad. genseki

martedì, gennaio 20, 2009

Paths of Glory La scena finale

Il filmato è una breve e terribile illustrazione di quanto espresso da Alain nel post precedente.
genseki

Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso




I brani seguenti non sono aforismi, anche se possono averne la tagliente secchezza, si tratta, invece, di brani tratti dall'opera “Mars ou la guerre jugée”, del filosofo francese Alain credo inedita in italiano.
In essa troviamo una delle analisi piú attente della guerra moderna (si riferisce alla Prima Guerra Mondiale) in tutto la sua efficace brutalitá.
Logica de efferatezza, economia e morale del sacrificio, psicologia e fisiologia si intersecano nell'edificio efferato dell'ideologia di guerra.
Alain partecipó alla Prima Guerra Mondiale all'etá di 46 anni come telefonista di artiglieria.


La guerre est toujours oubliée.


La guerra è sempre dimenticata
*
La guerre dépasse toujours les prévisions et le possible.


La guerra supera sempre le previsioni e il possibile
*
Il en faut jamais laisser entendre, ni en permettre de croire que la guerre soit compatible , en un sens quelconque, avec la justice et l'humanité.


Non bisogna mai far credere e neppure permettere che si creda che la guerra sia compatibile, in un senso qualsiasi, con la giustizia e con l'umanitá.
*
Aux premiers actes del la guerre, les fins trascendants périssent aussitôt, comme étrangers en cette mécanique ajustée pour se passer de tout, et même du courage.


Fin dalle prime mosse della guerra, i fini trascendenti periscono come estranei a questa meccanica concepita proprio per fare a meno di tutto e anche del coraggio.
*
La colère fille de la peur, n'attend pas l'ennemi pour combattre.
Ainsi la violence s'exerce d'abord contre elle-même, et toujours contre elle même...
(en guerre) l'ennemi n'est en vérité qu'un prétexte pour se nuire à soi-même.
Qui veut la guerre est en guerre avec soi.


La collera figlia della paura, non ha bisogno del nemico per combattere.
Così la violenza si esercita prima di tutto contro di sè, e sempre contro di sè...
(in guerra) il nemico è soltanto un pretesto per fare del mae a se stessi.
Chi vuole la guerra è in guerra con se stesso
*
Le pouvoir par ses ruses fait de toute guerre sa guerre. Dans le combat, ce qu'il y a de fureur contre les maîtres lointains et contre les féroces spectateurs, qui peut le savoir? Le gladiateur croyai égorger César peut-être.


Il potere grazie alle sue astuzie fa di ogni guerra la sua guerra. Quanto sia il furore che nella guerra è diretto contro i padroni lontani e contro i feroci spettatori chi mai lo puó sapere? Il gladiatore credeva, forse, di sgozzare Cesare.
*
Contrairement à l'impression que produit la parade le grand corps des combattants est écervelé: un monstre où la tête en sent pas le corps et le tyrannise sans être instruite par lui.
Contrariamente all'impressione che produce la parata il grande corpo dei combattenti è un organo convulso e senza cervello: un mostro la cui testa non ha il sentimento del suo corpo e lo tirannizza senza ricevere stimoli da esso.


L'homme humilié méthodiquement si borne qu0il soit finit par sentir sa puissance d'oser, en accord enfin avec les opinions, les exemples et les ordres...” Quand vient le moment de dépasser en courage ce chef si habile à mépriser, le troufion le saisit de toute son âme. Il force ainsi l'estime qu'on lui refuse par une auadace qui paraîtra surhumaine parce que l'homme aura perdu tout souci de se conserver.
C'est ainsi, du sommet au bas de l'echelle, toujours le chef méprise pour meu bander l'énergie de revanche des subordonnés et on voit ainsi “le plus humble et le plus méprisé courir devant comme l'art militaire l'exige”

L'uomo metodicamente umiliato, per quanto limitato egli sia, finisce per sentire la sua capacitá di osare, in accordo, infine, con le opinioni, gli esempi, gli ordini...” Quando viene il momento i superare in coraggio questo capo così abile a disprezzare, il marmittone lo afferra con tutta l'anima. Forza allora la stima che gli si rifiuta con una audacia che sembrerá sovrumana perché l'uomo avrá ormai perduto ogni preoccupazione di conservazione.
É cosí che dalla sommitá al fondo della scala, il capo disprezza per meglio mettere in tensione l'energia di rivincita dei subordinato e si vede cos`”il piú umile e disprezzato correre davanti a tutto come lo esige l'arte militare.

*
Il film di Syanley Kubrik “Paths of Glory” sembra l'illustrazione cinematografica perfetta delle idee di Alain.


a cura di genseki

lunedì, gennaio 19, 2009

Natira morta con guanti, scarponi, legna da ardere e Gramsci

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Lucian Blaga

Canto per l'anno 2000

L'avvoltoio che lassú si affanna
Sará estinto ormai da molti anni.

Vicino a Sibiu, nel verde manto
Solo le querce saranno rimaste

Forse un viandante mi ricorderá
O uno straniero nel tempo futuro?

No, nessuno racconterá di me.
Perchè si finirebbe per dire così:

Soleva passare di qua
Contemporaneo alle farfalle e a Dio.

trad. genseki

Lichenology

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Kodo Sawaki e Daichi

Kodo Sawaki

Il vecchio albero morto nel cuore del monte
Sporge il suo tronco sul dirupo scosceso
Lucidato dai venti
Dalle piogge dilavato
Spogliato dal temporale.
Due mila inverni sono passati su di lui
E hanno lasciato solo l'essenza
Di quello che fu un albero.
Eppure anche se lo tagliassimo
A colpi d'ascia,
Questa essenza noi non sapremmo ritrovarla.
Splendido
Anche se non ha né fiori né foglie
Se non ha rami, scorza né linfa
Completamente secco
Pura essenza concentrata
Di secoli di espeienza.
L'oscuritá dell'ombra dei pini
Dipende dalla luce della luna.

*

Daichi

Il Drago celeste si rivela con un ruggito
Sulla casa del monte
Non c'è modo di passare
Non si puó varcare
La porta:
Tendi l'orecchio:
C'è solo il vento
Apri gli occhi:
Ecco la chiara luna.
Quanti però
Vengono fin quassú
Per affacciarsi da questo balcone.

Trad a cura di genseki

sabato, gennaio 17, 2009

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Della Virtú


Michel De Montaigne

De la vertu


Il me semble que la vertu est chose, et plus noble, que les inclinations à la bonté, qui naissent en nous. Les âmes reglées d'elles mêsmes et bien nées, elles suivent mesme train et représentent en leur action mesme visage que les vertueueses. Mais la vertu somme je en sçais quoy de plus grand et de plus actif, que de se laisser par un douce complexion, doucement et paisiblement conduire à la suite de la raison. Celuy qui d'une douceur et facilité naturelle mespriseroit les offenses reçeues, feroit chose très belle et digne de louange: mais celuy qui picqué et outré jusques au vif d'une offence s'armeroit des armes de la raison contre ce furieux appetit de vengeance, et après un grand conflict, s'en rendroit enfin maistre, feroit sand doute beaucoup plus. Celuy-là feroit bien, et cestuy-ci vertueusement: l'une action se pourrait dire bonté, l'autre vertu. Car il semble que le nom de la vertu presuppose de la difficulté et du contraste, et qu'elle en peut s'exercer sans partie. C'est à l'aventure pourquoi nous nommons Dieu bon, fort, libéral et juste, mais nous en le nommons pas vertueux. Ses opérations sont toutes naïfves et sans effort


Montaigne
Les essais
Chapitre XII De la Cruauté



Parmi essere la virtú cosa piú nobile di quanto non siano le inclinazioni verso la bonta che sorgono in noi. Le anime ben organizzate in se medesime e bennate menano lo stesso treno di vita e mostrano nell'agir loro il volto istesso delle virtuose. Tuttavia la virtù aggrega un non so che di piú grande e di piú attivo che il mero lasciarsi condurre da una complessione dolce, pacificamente e mollemente, al seguito della ragione non sia.
Colui che con dolce facilitá naturale disprezzasse le offese ricevute farebbe, egli è certo, cosa bellissima e degna di essere commendata; ma colui che, ferito e oltraggiato da una qualche offesa nella sua carne viva si armasse con le armi della ragione contra la furiosa brama di vendetta, e dopo aspra pugna ne uscisse vincitore, certamente farebbe cosa ancora maggiore. Quegli farebbe bene, questi virtuosamente: quell'azione la si potrebe nomare bontà, l'altra virtú. Egli mi pare, infatti, che il nome di virtú presupponga difficoltá e contrasto, e che essa virtú non possa darsi senza urto. Per questo forse avviene che si chiami Dio buono, forte, liberale e giusto, ma non virtuoso. Le sue azioni sono senza calcolo e senza sforzo.
Trad genseki