giovedì, settembre 25, 2008

L'eone dogmatico IV


Lucian Blaga

La dialettica

La dialettica antica, di Eraclito è troppo metaforica, quella diProclo troppo mitologica per servire da modelli decisivi di questo specie di pensiero: sceglieremo, invece, alcuni esempi del filosofo che portó il pensiero dialettico ad un livello tale che difficilmente sará possibile che possa proggredire ulteriormente. ... Solo in Hegel appare la dialettica per quanto possibile libera da contaminazione con altre forme di pensieri e pienamente cristallizzata dal punto di vista metodologico. ...
Quello che interessa soprattutto in uno studio dedicato al pensiero dogmatico è l'idea hegeliana di concetto concreto. Il pensiero dialettico opera, secondo Hegel, con concetti concreti. Cercare di determinare questi concetti significa, in fondo, esporre proprio il metodo dialettico. I concetti concreti, espressione espressione sommaria de azzeccata di un metodo, non sono concetti nel senso classico della parola. Rappresentano un tipo di costruzione sui generis, di carattere centaurico, ibrido.
Il “concetto concreto” è un costrutto che si avvale tanto dei privilegi dell'astrazione come dei vantaggi della concretezza. Un esempio tra cento possibili è il concetto concreto di “divenire”, preso come concreto e considerato in tale qualitá dal punto di vista astratto-logico, acquista uno strano aspetto di tensione interna, di problemático, sfiorando l'impossibile; considerandolo più da vicino sotto l'aspetto puramente logico, si suddivide in componenti contraddittorie che si escludono reciprocamente. Lo stesso concetto concreto di “divenire”, preso come astratto e visto in questa condizione dal punto di vista “concreto”, si presenta come qualche cosa in perfetto equilibrio, libero da difetti e da qualunque tensione interna, come un tutto solidale al suo interno. Qualunque concetto concreto puó essere scomposto, dal punto di vista logico-astratto, in momenti che si oppongono, qualunque concetto concreto comporta da questo punto di vista formule antinomiche, rappresenta, nel concreto, una sintesi possibile di momenti astratti contradditori. L'antinomia inesistenza-esistenza, alla quale riducimo il concetto concreto di “divenire”, dal punto di vista astratto, è annullata nella sintesi da una totalitá concreta (alla quale sul piano concettuale corrisponde proprio il concetto di “divenire”). Il concetto concreto, come voleva Hegel e come deve essere in ogni sistema dialettico, non si identifica completamente né con il momento astratto né con quello concreto intuitivo; è una formazione per sé, intermedia, o, se così vogliamo chiamarla: centaurica. Un cosiddetto concetto concreto, riflesso nello specchio del logico astratto, si presenta come antinomia; riflesso nel concreto si presenta come sintesi di momenti escludentisi: “Non sarebbe difficile, dice Hegel, mostrare l'unitá di nulla e di esistenza in qualunque atto o pensiero... A proposito dell'esistenza e del nulla si deve affermare che nulla v'é nel cielo e sulla terra che non contenga esistenza e inesistenza” Perché tutto è divenire. Ció che logicamente pare impossibile, antinomico, paradossale, risulta possibile e sintetico una volta concretamente realizzato. Il concreto è il gran campo in cui si risolve qualunque paradosso dialettico. (unitá dei contrari).
Comparato con i paradossi dialettici, il paradosso dogmatico presenta una natura distinta. L'antinomia dogmatica si differenzia da quella dialettica per il fatto che esclude la sintesi nel concreto. Mentre la sintesi dialettica puó essere conosciuta concretamente, la sintesi dogmatico è in contrasto con il concreto. Tutta la struttura, articolazione e configurazione del concreto rigetta l'accordo con l'antinomia dogmatica. Il concreto che, per il paradosso dialettico costituisce il campo supremo della giustificazione si oppone, invece, al paradosso dogmatico. La sintesi antinomica può essere perfettamente concepita con l'aiuto del concreto: “inesistenza+esistenza=
divenire”. Lo stesso concreto, tuttavia, si oppone in modo definitivo e categorico a una sintesi di contenuto come questa: “una sostanza puó perdere sostanza restando comunque integra”. I paradossi dogmatici non sono tali solo sul piano logico come quelli dialettici ma anche sul piano della concreteza. La conoscenza no offre la soluzione del paradosso dogmatico; essa postula la trascendenza.
Se le antinomie dogmatiche si potessero davvero sovrapporre a quelle dialettiche, ci sarebbero tanti dogmi quanti concetti concreti ci sono, poiché ogni concetto concreto ammette, per Hegel, formulazioni antinomiche. Tuttavia conosciamo soloun numero ridotto di dogmi (nel senso che abbiamo dato a questa parola). Solo i pensatori che hanno edificato i propri sistemi sullo scheletro della dialettica possono sostenere che il dogma è una sorta di dialettica embrionaria, un principio, una prima fase. I due tipi di pensiero differiscono essenzialmente. La formulazione dogmatica è una categoria a parte. La relazione della dialettica con ilconcreto è completamente distinta da quella dogmatica.
...
La sintesi dogmatica si trova in radicale disaccordo e fisso con il concreto, non per il fatto di riferirsi alla trascendenza ma indipendentemente da questo. Ci sono tante tesi metafisiche che si riferiscono alla trascendenza, senza per questo essere dogmatiche, ovvero in contrasto con il concreto. I concetti usati nei dogmi, sono concetti comuni, con corrispondenze concrete o pensabili concretamente nell'immaginazione (“persona”, “essere”, “sostanza”, “numero”, “natura”, “essenza”, etc.); il dogma distorce le relazioni logiche inerenti a questo concetti, in modo tale che risulta impossibile una sintesi nel campo del concreto; per questo si postula che la sintesi abbia luogo nella trascendenza.
traduzione e adattamento di genseki

mercoledì, settembre 24, 2008

furu ike ya


Furu ike ya

Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto

*

Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.

Basho

***

Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana

*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia

Buson

***

Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi

*

Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana

Bosai

***

Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.

*

Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´

Ryokan

martedì, settembre 23, 2008

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Alla fine mi lasciai cadere

Alla fine mi lasciai cadere
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*

22/09/08
23:30:35

lunedì, settembre 22, 2008

Le visecere del tramonto, altri frammenti

Le viscere del tramonto, altri frammenti
formano questo romanzo giovanile
Dove una parte importante è lasciata agli agrumi
Al loro sostituire l'acqua per uno sguardo assettato.
Il mio allora era uno sguardo diverso
Dal tuo e anche dal mio come ferito dalle schegge del tramonto
Condividevamo la compassione per i picoli cadaveri dei limoni
Stelle mancate tra l'erba che gli accoglieva
Come fosse notte, secchi e raggrinziti come facce di neonati
E ci rimanevano solo le spine
Spine di limone come ghirlande coagulate
A ferire i tuoi occhi, appunto, e i miei spenti,
come fossero schegge di tramonto.

*

Avevo dimenticato allora cosa fosse piangere
All'accartocciarsi inopinato e improvviso
Di una foglia di limone
Una foglia, non una fiamma
Come un lampo, un tempo verde,
Si rivelava in un istante volto
D'infante morente.

*

Poi furono le stelle stremate a declinare
Come grandine sulle arterie dei tramonti.

*
21/09/08
22:50:42

giovedì, settembre 18, 2008

Nel ventre del verbo

Nel ventre del verbo fummo
tessuti di fiato da morula a feto
fissati in volute di sensi a cascata
di suoni salivali saziato ogni intersitizio
il verbo gonfiava le gote di vento
e sputava - il verbo - tutti questi pulcini
Noi, gli altri io incatenati per il collo
Da una parola che gocciolova senso
Sulle corde vocali dell'intento.

mercoledì, settembre 17, 2008

Benché stringesse le nocche

Benché strngesse le nocche
Fini a farsi bianche e gli infissi
costretti nelle feritoie
si lamentassero striduli
le ginocchia non si rifiutarono di sorreggerlo
nel passo dopo passo del dolore
disperso come un aroma tra costola e costola.
Ma non erano nuvole?
Avvolte variopinte alle pupille
Seccavano le lacrime insipide
Al tatto ovattate.
L'aroma della mente si fece insidia
pizzicando le squame dell'ossigeno
Prima che potesse vedere attraverso
Il suo sguardo.
*
Finalmente pensó invertebrato
Poi lisca luminosa
Lingua succhiata dal salino
Sciroppo bava bevve
E fu pesce
Nell'astrazione dell'azimut.
*
A ogni spina trafisse una foglia
Secernere chitina fu l'oggetto
Dei buoni propositi serali
Mentre goccia dopo goccia
La clorofilla residua si convertiva
In collagene, in verbena
In cartilagine.
*

lunedì, settembre 15, 2008

Lelio Luttazzi e Gorni Kramer - Carosello 1957

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Poesie di Maresa

Delle meraviglie dei mondi
il picco più alto, sulla cima innevata,
dove urla il fragore senza suono, lì,
sul ponte che unisce gli emisferi,
sale la dolcezza dell'incontro,
diavoli e diavoli rosso porpora
in un crescendo di manichee lo sguardo
che li inquadra fuori dal sogno,
finalmente viventi.

*
eccomi nella terra,
dorme la
tartaruga dal guscio giallo,
di case la città è piena,
verdi, gialle, rosa,
come un pensiero in embrione.

*
Dorme tranquillo il canto,
aspetto che si risvegli,
barcollo come un giovane barbagianni
venuto alla luce.

martedì, settembre 09, 2008


Eiheikoroku di Dogen Zenji II

Il rumore dell'onda
Che si frange suli scogli
Il fragore dei marosi
Dell'Oceano Infinito

È la fede, è il volto di Kannon
Che appare.

Solo guardare
I monti celesti
Dalla finestra degli occhi

a cura di genseki

Eiheikoroku di Dogen Zenji I

La nostra bella amicizia si manifesta
Nel Santo Volto
È il Santo Volto a creare la nostra Dignitá.

Allora è così che mi rivelgeró al mio ospite:

"Se desideri comprendere Kannon,
Sappi che non dimora
Sulle montagne di Hozara.

a cura di genseki

domenica, settembre 07, 2008

 
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Giacomo e Teresa

La casa è ancora vuota
È rimasta vuota e bianca nel vuoto dei miei ricordi
In una grande cassa c'era la legna
In uno scrigno prezioso gioielli per il gusto
dei bambini o dei pettirossi
Lui indossava sempre una tuta blu
O forse una giacca grigia
Ricordo adesso che ciondolava la testa
e aveva un dolce sorriso da idiota
Lei indossava qualche vestito di cotone stampato
E scialletti grigi
come pellicce di topolini del Reno
doveva essere davvero brutta
Forse quasi nana
Ma portava sul naso magici occhiali azzuri
Che illuminavano il vuoto
Con un mare di fronde
appena mosse dal vento
Dietro le lenti anche gli occhi erano grigi
Parlavano
- Non ricordo nemmeno di averli uditi parlare -
Con parole lumache
Le loro sillaba lasciavano scie d'argento viscoso
Nell'atmosfera umida d'autuno
Della loro cucina.
Non so bene chi fossero
Tornai da Milano per salutarli.
Parlai loro di Auerbach e della filologia romanza
Mi congedai
Avvolto dal loro silenzio
Continuando a non sapere bene chi fossero
Morirono dopo una duplice dolorosa agonia
La loro sofferenza
È incomprensibile e imperdonabile
Come quella degli animali.

venerdì, settembre 05, 2008

 
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Felissa

L'ultimo dei nostri autunni

L'ultimo dei nostri autunni
Fu ancora capace di agganciarci
Con fili sottili di perle
Filigrane di carpe
Davanti alle vetrine di legno
Delle botteghe dei ricordi
La tua mano era quella riflessa
Tra la colomba imbalsamata
E la torta di ricotta
La tua bocca, quella che non baciai
Nella luce azzurra della lampada
Che friggeva le mosche.

*

Felissa

Felissa era un angelo amaro
Custode della chiave dei pini
Custode della chiave delle conifere
E del mal di gola
Felissa e il suo scialletto nero
Gli occhi duri
Gli occhiali gialli
Felissa come le felci
Con iride a pastiglia valda
E fiato di eucalipto
Ricordo che mi parlave di San Biagio
Mentre con gli occhi cercavo le muscarie
Che sole mi avrebbero salvato
Dalla durezza dei suoi occhi giall
*