mercoledì, settembre 24, 2008

furu ike ya


Furu ike ya

Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto

*

Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.

Basho

***

Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana

*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia

Buson

***

Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi

*

Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana

Bosai

***

Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.

*

Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´

Ryokan

martedì, settembre 23, 2008

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Alla fine mi lasciai cadere

Alla fine mi lasciai cadere
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*

22/09/08
23:30:35

lunedì, settembre 22, 2008

Le visecere del tramonto, altri frammenti

Le viscere del tramonto, altri frammenti
formano questo romanzo giovanile
Dove una parte importante è lasciata agli agrumi
Al loro sostituire l'acqua per uno sguardo assettato.
Il mio allora era uno sguardo diverso
Dal tuo e anche dal mio come ferito dalle schegge del tramonto
Condividevamo la compassione per i picoli cadaveri dei limoni
Stelle mancate tra l'erba che gli accoglieva
Come fosse notte, secchi e raggrinziti come facce di neonati
E ci rimanevano solo le spine
Spine di limone come ghirlande coagulate
A ferire i tuoi occhi, appunto, e i miei spenti,
come fossero schegge di tramonto.

*

Avevo dimenticato allora cosa fosse piangere
All'accartocciarsi inopinato e improvviso
Di una foglia di limone
Una foglia, non una fiamma
Come un lampo, un tempo verde,
Si rivelava in un istante volto
D'infante morente.

*

Poi furono le stelle stremate a declinare
Come grandine sulle arterie dei tramonti.

*
21/09/08
22:50:42

giovedì, settembre 18, 2008

Nel ventre del verbo

Nel ventre del verbo fummo
tessuti di fiato da morula a feto
fissati in volute di sensi a cascata
di suoni salivali saziato ogni intersitizio
il verbo gonfiava le gote di vento
e sputava - il verbo - tutti questi pulcini
Noi, gli altri io incatenati per il collo
Da una parola che gocciolova senso
Sulle corde vocali dell'intento.

mercoledì, settembre 17, 2008

Benché stringesse le nocche

Benché strngesse le nocche
Fini a farsi bianche e gli infissi
costretti nelle feritoie
si lamentassero striduli
le ginocchia non si rifiutarono di sorreggerlo
nel passo dopo passo del dolore
disperso come un aroma tra costola e costola.
Ma non erano nuvole?
Avvolte variopinte alle pupille
Seccavano le lacrime insipide
Al tatto ovattate.
L'aroma della mente si fece insidia
pizzicando le squame dell'ossigeno
Prima che potesse vedere attraverso
Il suo sguardo.
*
Finalmente pensó invertebrato
Poi lisca luminosa
Lingua succhiata dal salino
Sciroppo bava bevve
E fu pesce
Nell'astrazione dell'azimut.
*
A ogni spina trafisse una foglia
Secernere chitina fu l'oggetto
Dei buoni propositi serali
Mentre goccia dopo goccia
La clorofilla residua si convertiva
In collagene, in verbena
In cartilagine.
*

lunedì, settembre 15, 2008

Lelio Luttazzi e Gorni Kramer - Carosello 1957

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Poesie di Maresa

Delle meraviglie dei mondi
il picco più alto, sulla cima innevata,
dove urla il fragore senza suono, lì,
sul ponte che unisce gli emisferi,
sale la dolcezza dell'incontro,
diavoli e diavoli rosso porpora
in un crescendo di manichee lo sguardo
che li inquadra fuori dal sogno,
finalmente viventi.

*
eccomi nella terra,
dorme la
tartaruga dal guscio giallo,
di case la città è piena,
verdi, gialle, rosa,
come un pensiero in embrione.

*
Dorme tranquillo il canto,
aspetto che si risvegli,
barcollo come un giovane barbagianni
venuto alla luce.

martedì, settembre 09, 2008


Eiheikoroku di Dogen Zenji II

Il rumore dell'onda
Che si frange suli scogli
Il fragore dei marosi
Dell'Oceano Infinito

È la fede, è il volto di Kannon
Che appare.

Solo guardare
I monti celesti
Dalla finestra degli occhi

a cura di genseki

Eiheikoroku di Dogen Zenji I

La nostra bella amicizia si manifesta
Nel Santo Volto
È il Santo Volto a creare la nostra Dignitá.

Allora è così che mi rivelgeró al mio ospite:

"Se desideri comprendere Kannon,
Sappi che non dimora
Sulle montagne di Hozara.

a cura di genseki

domenica, settembre 07, 2008

 
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Giacomo e Teresa

La casa è ancora vuota
È rimasta vuota e bianca nel vuoto dei miei ricordi
In una grande cassa c'era la legna
In uno scrigno prezioso gioielli per il gusto
dei bambini o dei pettirossi
Lui indossava sempre una tuta blu
O forse una giacca grigia
Ricordo adesso che ciondolava la testa
e aveva un dolce sorriso da idiota
Lei indossava qualche vestito di cotone stampato
E scialletti grigi
come pellicce di topolini del Reno
doveva essere davvero brutta
Forse quasi nana
Ma portava sul naso magici occhiali azzuri
Che illuminavano il vuoto
Con un mare di fronde
appena mosse dal vento
Dietro le lenti anche gli occhi erano grigi
Parlavano
- Non ricordo nemmeno di averli uditi parlare -
Con parole lumache
Le loro sillaba lasciavano scie d'argento viscoso
Nell'atmosfera umida d'autuno
Della loro cucina.
Non so bene chi fossero
Tornai da Milano per salutarli.
Parlai loro di Auerbach e della filologia romanza
Mi congedai
Avvolto dal loro silenzio
Continuando a non sapere bene chi fossero
Morirono dopo una duplice dolorosa agonia
La loro sofferenza
È incomprensibile e imperdonabile
Come quella degli animali.

venerdì, settembre 05, 2008

 
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Felissa

L'ultimo dei nostri autunni

L'ultimo dei nostri autunni
Fu ancora capace di agganciarci
Con fili sottili di perle
Filigrane di carpe
Davanti alle vetrine di legno
Delle botteghe dei ricordi
La tua mano era quella riflessa
Tra la colomba imbalsamata
E la torta di ricotta
La tua bocca, quella che non baciai
Nella luce azzurra della lampada
Che friggeva le mosche.

*

Felissa

Felissa era un angelo amaro
Custode della chiave dei pini
Custode della chiave delle conifere
E del mal di gola
Felissa e il suo scialletto nero
Gli occhi duri
Gli occhiali gialli
Felissa come le felci
Con iride a pastiglia valda
E fiato di eucalipto
Ricordo che mi parlave di San Biagio
Mentre con gli occhi cercavo le muscarie
Che sole mi avrebbero salvato
Dalla durezza dei suoi occhi giall
*

lunedì, luglio 28, 2008

Henri Corbin

L'Islam e le eresie cristiane

I passi che seguono sono tratti dall'opera di Henri Corbin sulla Filosofia Islamica. Si tratta di un tentativo di definire le differenze principali tra Islam e Cristianesimo sul piano teologico e su quello filosofico.
Nel quadro metodologico tracciato da Lucian Blaga nella sua opera "L'eone dogmatico" l'Islam sembrerebbe rappresentare la rivincitá del filone mitico-razionalista su quello "dogmatizzante".
La differenza tra Islam e Cristianesimo sarebbe quella tra una visione della religione compatibile con la ragione e una trascinata nel vortice del dogmatismo con le sue aporie e le sue abbaglianti contraddizioni.
L'Islam appare in questo quadro come l'erede diretto dell'adozionsmo e dell'arianesimo. Sembra sorgere dalla fermetazione dei resti compressi e schiacciati delle grandi eresie di massa dei secoli dei Padri.

Il fenomeno del Libro santo ha suscitato strutture corrispondenti nel cristianesimo e nell'Islam; ma, nella misura in cui differisce il modo di accostarsi al senso vero, situazioni e difficoltá differiscono da una parte e dall'altra.
Assenza nell'Islam del fenomeno Chiesa. Nell'Islam, cosí come non esiste un clero detentore dei “mezzi della grazia”, non esiste un magistero dogmatico, né un'autoritá pontificia, né un Concilio che definisce i dogmi. Nel Cristianesimo, a partire dal II secolo, con la repressione del movimento montanista, il magistero dogmatico della Chiesa si è sostituito all'ispirazione profetica e piú generalmente alla libertá di un'ermeneutica spiituale. D'altra parte il nascere e l'evolversi della coscienza cristiana annunciano essenzialmente il risveglio e lo sviluppo della coscienza storica. Il pensiero cristiano è centrato sul fatto avvenuto nell'anno I dell'era cristiana; l?incarnazione divina segna l'ingresso di Dio nella storia. Di conseguenza, il tema su cui la coscienza religiosa si concentrerá con crescente attenzione sará quello del senso storico identificato col senso letterale, col senso vero delle Scritture.
¨
L'allegoria è inoffensiva, il senso spirituale puó essere rivoluzionario
La coscienza religiosa dell'Islam è centrata non su un fatto della storia, ma della metastoria (che significa non post-storico ma trans-storico). Questo fatto primordiale, anteriore al tempo della nostra storia empirica, è costituito dalla domanda rivolta da Dio agli Spiriti degli esseri umani preesistenti al mondo terrestre “non sono forse il vostro Signore?” (Cor. 7/171) l'acclamazione di gioria che risponde a questa domanda suggella un patto eterno di fedeltá de è la fedeltá a questo patto che i profeti sono venuti, di periodo in periodo, a ricordare agli uomini; la loro successione forma il “ciclo della profezia”. Da ció che hanno enunciato i profeti risulta la lettera della religione positiva
¨¨
I pensatori islamici non vedono il mondo in evoluzione in un senso rettilineo orizzontale, a in ascensione: il passato non è dietro di noi, ma sotto i nostri piedi.
Ali Ibn Abu Talib:
Non esiste alcun versetto coranico che non abbia quattro sensi: l'essoterico (zahir), l'esoterico (batin), il limite (hadd), il disegno divino (mottala). L'essoterico è per la recitazione orale; l'esoterico per la comprensione interiore; il limite sono gli enunciati che stabiliscono il lecito e l'illecito; il disegno divino è ciò che Dio si propone di realizzare nell'uomo con ogni versetto”.
Hadith: “Il Corano ha un'apparenza esteriore e una profonditá nascosta, un senso esoterico e un senso essoterico; il senso esoterico nasconde a sua volta un senso esoterico (questa profonsitá ha una profonditá, a immagine delle Sfere celesti racchiuse le une nelle altre; cosí di seguito fino a sette sensi esoterici.
Il piú antico commento spirituale del Corano è dunque costituito dagli insegnamenti impartiti dagli Imam sciiti durante i loro colloqui con i discepoli. E sono i principi della loro ermeneutica che i sufi hanno raccolto.
A cura di genseki