lunedì, giugno 16, 2008
pippa bacca
L'immagine della prima pagina del sito di pippa bacca è molto bella. Almeno io la trovo molto bella. La sua foto vestita da sposa migratoria, invece, mi fa rabbia. La prima impressione che da è quella di un'ingenuitá militante, di un disarmarsi violento.Il vestito da sposa è una anti-lorica. Un talismano inverso.C'è una smorfia di sfida infantile nel volto che appare in tutto quel bianco.Proserpina, tuttavia, va sposa alla casa di Plutone. Il viaggio di pippa bacca è un viaggio antiorario, va dalla merce-ragione al mito. L'arte è una sostanza intessuta di morte, una pasta che la morte fermenta e capita che l'artista la incontri in forme diverse, impreviste ma cercate, sul suo cammino. Così è stato per pippa bacca. La cui figura è tanto lontana dal mio immaginario, la cui rivelazione tanto vicina al mio cuore. Un mondo che sia davvero umano è ancora lontano. Come possiamo sopportarlo? Un mondo dove la negazione sia gioco e creazione ci appare insopportabile, a fulminarci basta il súbito bagliore della sua possibilitá dalla soglia dischiusa dell'informazione. Ed ecco il coro informe, quello si infernale, di coloro che accusano la stupiditá e l'ingenuitá dell'artista e dei suoi piú intimi: - è colpa sua, del suo esibizionismo irresponsabile, della sua cecitá, della sua ingenuitá idiota. È come il sospiro di sollievo di coloro che non possono sopportare nemmeno l'idea che il mondo non sia l'inferno, che la speranza possa affrontare il male, che si possa vivere per progettare l'esistenza. É il sospiro di sollievo di quelli che per stare tranquilli hanno bisogno di una conferma: la conferma che vivono e possono continuare a vivere nella routine dell'osceno; che chi depone il corpo e lo spirito in disarmata speranza è il vero nemico, l'imperdonabile, l'imperdonato.
giovedì, giugno 12, 2008
Inni e dinastie
L'Imperatore vide in sogno due dragoni che gli presentavano un disegno, si purificó con l'astinenza, poi si recó sulla riva del Fiiume Giallo. Improvvisamente un pesce-tartaruga gigantesco, risalendo la corrente si presentó a lui. L'Imperatore, prosternatosi copió il disegno che il pesce portava sulla schiena... Fece poi costruire un osservatorio che affidó ad alcuni ufficiali incaricati dei cinque grandi compiti: osservazione del cielo, calcolo del calendario, ispezione del vento, delle nuvole e delle emananzioni terrestri. È da allora che si registrano i fenomeni metereologici, che sono i segni attraverso i quali il cielo istruisce gli uomini. - L'Imperatore fece comporre il ciclo di sessanta anni, per contare gli anni. Fissó le leggi dell'aritmetica, da cui derivarono i toni musicali, le misure, i volumi e i pesi. Creó la gamma; fuse, per fissarla, dodici campane del diapason, che davano i dodici toni fondamentali; alla fine compose l'inno del suo regno, intitolato: "I Laghi"
*
Essendo apparsa la Fenice, l'Imperatore Shaohao classificó i suoi funzionari in Uccelli di diversi gradi. L'inno del suo regno fu intitolato "L'Abisso". Il suo governo fu troppo bonario, nove mebri del potente clan Li, feudatari di allora, misero disordine negli usi e negli insegnamenti antichi. Shaohao, troppo debole non seppe reprimerli. Allora il popolo si mise a temere gli Spiriti e i Mostri, a servirsi di stregoni nelle proprie case; ci si inebriava di oblazioni illecite. Shaohao morí dopo aver regnato 84 anni. Fu sepolto nella localitá di Yunyang (nuvole e sole) presso la sua capitale e ricevette il nome di Yunyangshi (Imperatore di nuvole e sole).
domenica, maggio 04, 2008
La forza mostruosa dell'intelletto
La forza mostruosa dell'intelletto ... (nel linguaggio) ..., fonda la separazione degli elementi e fondandola si fonda su di essa, all'interno di un mondo formato da entitá separate e nominate. Ma facendo questo l'animale umano incontra la morte: e precisamente la morte umana, la sola che spaventa, che raggela, ma soltanto l'uomo assorbito nella coscienza della sua scomparsa futura, in quanto separato e insostituibile; la unica vera morte, quella che suppone la separazione e, a causa del discorso che separa, la coscienza di essere separato - questi testi che ho un po' ricucito dalla Fenomenologia mi pare siano il commento filosico dettagliato di queste note, la loro traduzione in parole e in concetti, la chiave del loro mistero e del loro orrore.
genseki
venerdì, maggio 02, 2008
Fuçûç el-Hikam
Ibn Arabi
Fuçûç el-Hikam
giovedì, maggio 01, 2008
Wan Xiaoli II
Le cose sono migliori di quello che pensi.
Questa è un'altra canzone di Wan Xiaoli, non quella che ho tradotto qui sotto che non la ho trovata.
genseki
Wan Xiaoli
È la sola persona al mondo
Che comprende il canto degli uccelli
E dentro di lui cresce il desiderio
Di diventare un uccello
Dopo la sua morte
Non importa che tipo di uccello
Se un passero, una rondine o un aquila
Un pavone, una fenice o un corvo
Ogni giorno che passa lo rende
Un poco piú felice
Perché conosce meglio
La lingua degli uccelli.
Quelli che passano
Davanti alla sua finestra
Ascoltano il suo canto
Di passero, di rondine, di aquila
Di pavone, di fenice o di corvo
Nel sogno egli danza per il vento
Vola nella regione di bellezza
Nella luce dorata, dopo la pioggia
Si nutre del fragile profumo della terra
Un giorno ci fu nel cielo una danza di ali
Il sole del crepuscolo tingeva di rosso la grande terra
Tutti gli ucceli parlavano un'altra lingua
Che fino ad oggi nessuno ha saputo comprendere.
Wan Xiaoli
Trad. genseki
lunedì, aprile 28, 2008
Abd al-Qadir as-Sufi
Lo hai raggiunto, quel fuoco, nel bel mezzo della foresta. Ora lo vedi.
Sei tu il fuoco nella foresta.
trad. genseki
domenica, aprile 27, 2008
Maya Jie e l'Imperatore
Maya Jie, quando va a dormire, colloca nel sue letto tutte le sue bambole: un pappagallo di pezza di quattro colori: giallo,verde, rosso, nero, una scimmietta dagli arti lunghissime e le mani adesive, due “muñequitas” cinesi, con un visetto pallido, pallido, due bambolloti, anch'essi cinesi, che a peró stanno sempre nudi e si chiamano Tchop-po e Tchop-pa, un orso con una cicatrice sul volto che gli infligge un'emorragia severa di ovatta e che si chiama Ghetto, un'altro orso pancione e pieno di macchie, un gattino che una volta aveva il pelo bianchissimo. É la famiglia di Maya Jie che la accompagna nel viaggio in quel grande oceano che è la notte per una bambina. Nel lettino ci mette anche i suoi libri e i suoi puzzle preferiti e lascia la porta aperta per sentire il respiro della mamma e qualche parola ovattata.
*
L'imperatore Qin Shi Huangdi entra nel regno dela morte, nella sua ultima dimora colloca tutti i suoi soldati, i suoi cavalli, le sue spade, le picche, le frecce di Qin che oscurano il cielo, le sue mogli dalle lunge maniche, le linee degli esagrammi, i fiumi che solcano il suo regno, i pennelli e l'inchiostro rosso, i sigilli di pietra, i dischi di lacca, un leone che artiglia un globo e un leone che artiglia un cucciolo, le colline e le risaie e le case lontane dei contadini. Tutte queste cose saranno rinchiuse nella dimora di Qin Shi Haungdi, quando Qin Shi Huangdi entrerá nella dimora della sua morte.
*
Editto Funerario
Io, l'Imperatore ordino la mia sepoltura: questa montagna ospitale, felice è la campagna che protegge. Vento e acqua nelle vene della terra e le pianure del vento sono propizie. Gradevole questa tomba. Sará mia.
Chiudete dunque la valle con qiuntuplice arco. Chiunque vi penetri sará nobilitato.
Prolungate il viale d'nore: - animali, mostri, uomini.
Edificate lassù l'alta fortezza merlata. Scavate nel momte la solida grotta.
Forte è la mia dimora. Vi penetro. Eccomi, Chiudete la Porta, murate lo spazio davanti ad essa. Sigillate il sentiero per i viventi.
Non ho desiderio di ritornare, non ho rimpianti, non ho fretta né fiato. Non soffoco e non piango. Regno con mansuetudine.Il mio palazzo è comodo e oscuro.
Piacevole è la morte e nobile e dolce. Si abita bene nella morte. Abito nella morte e me ne compiaccio.
Tuttavia lasciate che prosperi laggiú quel piccolo villaggio contadino. Voglio fiutare il fumo dei suoi fuochi serali.
Ascolteró parole.
Victor Ségalen (Stèles) trad. genseki
giovedì, aprile 24, 2008
Because the Night
Cerca parole di cenere
Parole di sale
Parole dalle grandi ossa
Corte e robuste.
Per dire della notte
Cerca parole secche
Parole appassite
Tra pagine di quotidiano
Cerca parole lontane
Lontane dal latte
Che non possano
Suggerirne
Neppure le gocce.
Per dire della notte
Cerca parole cave
Parole lacustri
Parole barattolo.
Per dire della notte
Se ne vuoi dire
Ancora
Cercane parole
Ultime
Come corolle
Screpolate.
genseki
domenica, aprile 20, 2008
Gaber Vallejo - Paco G.
Il brano dei pesci di Paco Yunque mi ha fatto ritornare alla mente il Signor G. che ascoltai alla televisione ai tempi studiosi del ginnasio.
Il pesce fu il simpbolo per indicare Cristo nel cristianesimo catacombale. In fondo Il Signor G e Paco Yunque hanno qualche cosa di cristico. Certamante sono pesci fuor d'acqua.
genseki
PACO YUNQUE
Farina si voltó a guardare Grieve e il Grieve mostró i pugni anche a lui, borbottando non so che cosa, di nascosto dal maestro.
Signor Maestro – gridó Farina – 'sto Grieve mi sta mostrando i pugni.
Il maestro disse:
- shhhht! Silenzio, vediamo un po'! Adesso parliamo dei pesci e poi faremo un esercizio scritto su un foglio di quaderno, e poi mi darete la copia perché la corregga.Voglio vedere chi fará l'esercizio piú bello per scrivere il suo nome nel quaderno d'onore della scuola come l'alunno migliore del primo anno. Mi avete sentito bene? Faremo lo stesso che abbiamo fatto la settimana scorsa. Proprio come abbiamo fatto la settimana scorsa. Dovete fare molta attenzione. Dovete copiare bene l'esercizio che sto per scrivere sulla lavagna. Avete capito bene?
Gli alunni risposero in coro:
- Sissignore!
- Molto bene – disse il maestro – Vediamo un po', parleremo dei pesci.
Diversi bambini volevano parlare e il maestro disse di parlare a uno degli Zumiga.
Signore – disse Zumiga -: sulla spiaggia c'era molta sabbia. Un giorno ci siamo messi nella sabbia e abbiamo trovato un pesce quasi vivo e lo abbiamo portato a casa e è morto per strada...
Humberto Grieve disse:
-Signor Maestro: io ho raccolto molti pesci e li ho portati ha casa e li ho iberati nel salotto e non muoiono mai.
Il maestro domandó:
- Ma lei li tiene in qualche vaso pieno d'acqua?
- No, signore. Stanno liberi. In mezzo ai mobili.
Tutti i bambini scoppiarono a ridere.
Un bambino magrolino e pallido disse:
- Bugie Signor Maestro. Il pesce muore subito, quando lo tirano fuori dall'acqua.
No, Signore – diceva Humberto Grieve – nel mio salotto non muoiono. Il mio salotto è molto elegante. E il mio papà mi ha detto di portare i pesci e di lasciarli liberi tra le sedie.
Paco Farina moriva dal ridere. Gli Zumiga pure, il ragazzo biondo e grasso con la giacca bianca e l'altro ragazzo dalla faccia rotonda e dalla gacchetta verde, ridevano rumorosamente. Che ridicolo Grieve! I pesci in salotto! Tra i mobili! Come uccellini! Che balle contava Grieve. Tutti i bambini esclamavano insieme contorcendosi dalle risate:
- Ah!Ah!Ah!Ah!Ah! Bugie Signor Maestro Ah!Ah!Ah!Ah! Bugie!Bugie!
Humberto Grieve si arrabbiava perché non credevano a quello che raccontava. Tutti lo prendevano i giro per quello che aveva detto ma Grive si ricordava che aveva portato a casa due pesciolini e li aveva mollati nel salotto e erano rimasti li molti giorni e lui li toccava e si muovevano. Non era sicuro se fossero vissuti a lungo o fossero morti subito, perño voleva che credessero a quello che diceva. In mezzo alle risate di tutti disse a uno degli Zumiga:
- Sicuro, il mio papà c'ha tanti soldi. E mi ha detto che mi farà portare a casa tutti i pesci del mare. Tutti per me. Per giocarci. Nel salotto buono.
Il Maestro disse alzando la voce:
- Bene! Bene! Silenzio! Certamente Grieve non si ricorda bene. I pesci muoiono quando...
I bambini continuarono in coro
- ... si itrano fuori dell'acqua.
-È proprio cosí - , disse il maestro.
Il bambino magro e pallido disse:
.Perché i pesci hanno la mamma nell'acqua e se li tiri fuori, poi, restano senza mamma.
- No, no, no! . Disse il maestro. I pesci fuori dall'acqua muoioni perché non possono respirare. Prendono l'aria che sta nell'acqua e quando escono fuori non possono assorbire l'aria che si trova fuori dall'acqua.
- Perché sono giá come morti – disse un bambino.
Humberto Grieve disse:
- Il mio papà può dargli aria anche in casa mia, perché ha abbastanza soldi per comprare tutto.
Il bambini vestito di verde disse:
- Anche mio padre c'ha molti soldi.
Anche mio padre – disse un altro bambino.
Tutti i bambi i dissere che i loro papá avevano molto denaro. Paco Yunque non diceva niente e stava pensando ai pesci che morivano fuori dell'acqua.
sabato, aprile 19, 2008
mercoledì, aprile 16, 2008
Tibet
XII
A me Thibet, Aiuto! Aiuto! A me! Ecco l'ostacolo imprevisto
Ecco la frontiera del finito.
Occorre passare. Devo passare, malgrado tuto il peso delladisfatta,
Varcare il grande fiume dell'Infinito.
Tasto con il piede la ta falesia e questa faglia terrestre;
Questo ponte che si inarca tra il cielo e l'inferno:
Ha solide balaustre oppure è tessuto d'aerei ricami?
È un sentiero di tavole cerchiate di ferro?
È tronco che sfugge sotto il piede o guado profondo con otri gonfi d'aria?
Sul bacino torrentizio del TA-KIANG,
Oppure si tratta di un getto inventato a misura del misterioso flusso poderoso
Che i Brahamani chiamano Brahmaputra?
Scivola leggero come un cavo unto burro
O si slancia come freccia prigioneira?
Infine si tratta forse del vertiginoso ordigno, che va e vieno, come un pendolo?
Se non lascio la presa - sprofondo - al momemto voluto
Tempo pulsatile,
In questo sudario fluviale.
trad genseki
martedì, aprile 15, 2008
Tibet
Tibet
Odi
IX
Nel rumore, nella nebbia grigia, nella vergogna
Ovattata, terrosa e sordida
Invoco la tua immensa acconciatura
Orecchini di metallo pregiato e di pietre fatte di te
A coprire il seno della tua pellegrina
Giovinetta con lórica d'argento, coronata, serto e diadema
Indossati con cura
Tibet, Dea Incastonata,
Io ti soppeso ti sorrido come un mercante del Ladak, che sbava
Sulla sua preda risplendente,
Molto piú avaro di lui
Con entrambe le mani stringo le mie ricchezze: i tuoi metalli
e le tue pietre... i tuoi monti, i tuoi laghi e le tue rocce...
Che d'ora innnanzi mai piú
Si possa pensare a te o pronunziare in un grido: “Tibet!”
Senza udire tra le orecchie l'impietoso tichettío di questa parure cesellata,
Sequela delle mie parole gemme,
Pietre mie incastonate miei cristalli tintinnanti in cascata
Che senza alcun timore dell'opera mia,
Minuscolo, in basso, ma non annullato, né troppo umiliato,
Si possa ancora decifrare il mio nome nell'angolo.
**
X
Figlia della terra, figlia dei monti, Signora di un corpo sfinito.
Fatica – ecco l'ora d'ebrezza
Che l'oscuro cantore Indú distilli dalla sua erba pepata
Il liquido pio, ardente e astuto,
Sacrificio e sacrificatore dio.veleno in girandola scoppiettante...
Bevo la tua fatica idolo mio.
Su di un ritmo preparatorio l'incantesimo: “O mortaio! O pestello!
Strumenti d'ebbro sacrifizio
Servitori in marcia ondeggianti in quotidiano supplizio,
O ginocchia, o piante, o talloni!
Spremete e estraete dalla mia carne oh! Il solo succo che le dia vigore:
Succhiate la mia mandragora umana:
Schiacciate, calpestate e vendemmiate l'offerta a te solo Re-Thibet
Bestiame abattuto con una sola mazzata!
Gregge ansimante delle mie membra: devozione mai sopita
La mia pelle si svuota della mia vita
La riconosco e la appendo come dono per te
Con un solo veto
Qual trofeo
Il solo dono del mio essere morente.
Trad genseki