lunedì, aprile 02, 2007

Unamuno

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Aquila

Aquila bianca che bevendo luce
Del sol eterno con lucide pupille
A noi la doni, pellicano, nel sangue
Delle tue stesse viscere mutata
Aquila bianca perché nei tuoi occhi
Veglia una nube nera, cupa chioma
Di nazareno? Ci fa luce, o torcia!
Il cuore tuo che ci illumina ardendo
Ci avezza a far del nostro sangue luce
Della tua luce, Tu che sei quell’Uomo
Che il mondo rischiara pei mortali.
Luce, Cristo Signor, la luce é vita!
Quando moriam nelle tue bianche braccia,
Le ali della Morte Imperatrice,
Ci sollevano su fino a quel sole
Ove si perdon gli occhi nostri e miran
Volto di Veritá quello che uccide
L’uomo perche’ rinasca, Aquila bianca
Che a gran sorsi bevendo viva luce
Del Sole Eterno con occhi divini
Ce la doni nel sangue che hai versato
Portaci a gustar del Sole eterno,
Con gli occhi nostri, qual ne sia la luce,
A contemplar la Verità nel viso.
Cerchi la nottola che la luce abbaglia
Nel buio la sua preda. Aquile sono
L’anime nostre che vivono morendo
Per contemplare il volto del Signore
Sguardo di pura fede che non pieghi
Al raggio di quegli occhi abbacinanti
Di Verità del Sol che non si estingue
D’Iddio dal volto che ci da la vita
Quando con il suo sguardo ce la toglie.!
***
Bianco lino il tuo corpo, frágil tela
Che dalla grigia terra Iddio filando
Tessé e tinse e ne vesti’ il Pensiero
D’un nudo ed invisibile vestito
Donando al mondo di che illuminarsi
Luce della Parola, eterna cappa
Ricamata di stelle innumerevoli.
Si tinse il lino di porpora regia
Estratta dall’abisso dell’oceano
- Ove giunti riposano coloro
Che furo e che saranno – e della Morte
Fu sudario d’amor nell’immolarla.
Con mano irata il popolo a strattoni
Denudo’ la Parola creatrice,
Ma Ella raccogliendo il suo vestito
Di nuovo se lo cinse come un manto
E lo tese qual volta al nostro cielo.
Il Fattor del paesaggio illimitato
Di greggi d’astri e soli pellpellegrini
Che l’orbe nostro – spenta scintilla traen –
Dalle ceneri sue ando’ tessendo
Con incorporee mani tenebrose
- Che son strumenti dell’onnipotenza -
Per nove lunghi mesi dentro il seno
Oscuro d’una vergine la tunica
Che rivestito al fine lo mostrasse
All’anime sgorgate dal suo senno.
Trad. genseki

mercoledì, marzo 28, 2007

Rivelazioni

La Rivelazione di Muhammad è, temporalmente, la terza delle grandi rivelazioni semitiche. Il nucleo della Rivelazione di Muhammad é il tawhid ovvero l'unita, il farsi Uno di Dio, o il fare che Dio sia uno. Dio, nella prospettiva del tawhid non è separato dal mondo, non è altra cosa rispetto al mondo ma, piuttosto la totalità di tutto il Reale, il Reale che è Uno E non si tratta di un Reale statico ma che si ampia senza sosta e si modifica. Il Reale nella prospettiva del tawhid non é un dato, ma deve essere realizzato, vissuto, trasformato, ampliato.
L'Uno Reale integra il divenire.
In questo quadro la Rivelazione di Muhammad non è la negazione delle Rivelazioni precedenti, secondo il Corano, infatti, tutti i profeti sono uguali e Muhammad è soltanto l'ultimo di essi in ordine cronologico. La molteplicitá delle Rivelazioni è manifestazione di un Dio che diviene ampliandosi, modificandosi, estendendosi come Reale. Il Corano è l'ultima Rivelazione peró essenzialmente, non contiene un messaggio differente da quello delle altre due. La torah e il Vangelo sono contenuti in esso nella loro totalità. Contemporaneamente il loro nucleo è interpretato, realizzato e ampliato. Il succedersi temporale delle Rivelazioni corrisponde a un Dio, a un Reale che muta divenendo incessantemente.
Lo spazio del Reale in cui sono possibili le Rivelazioni è il Mondo Intermedio, il Mondo Imaginale, il Malakut.
In questo spazio e secondo le leggi che governano le relazioni di causa ed effetto e di successione al suo interno si svolgono anche tutte le Rivelazioni che restano nell'ambito della coscienza individuale e tutte le Rivelazioni che non giungono mai ad essere attuali nel mondo fenomenico.
Qui tutti possono incontrare Yibril e morire alla sua voce e dissolversi al vento della sua parola. Qui ogni Rivelazione si comprende alla luce di tutte le altre. La Realtà Unica, infatti, contiene tutte le Rivelazioni sia quelle effettive che quelle solo possibili e tutte le loro interpretazioni. Ne consegue che tutte le Rivelazioni sono vere proprio in quanto sono reciprocamente contradditorie.
Aprirsi alla Rivelazione significa aprirsi al divenire Uno del Reale.
In questo senso l'ultima Rivelazione, quella di Yibril a Muhammad è anche quella che ponendosi con le altre due nella particolare relazione che ho tentato di descrivere nelle linee precedenti definisce la Rivelazione come apertura assoluta all'assoluto.
genseki

giovedì, marzo 22, 2007

Biclette di Pechino II

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Omaggio alle biciclette di Pechino




Era un fiume nero e grigio
Un serpente di polvere e fatica
Calde nubi di fiati
Sudori
Bambini come gomitoli di sporcizia e
Stanchezza
Nell'alveo dei grandi viali di pioppi
Nel profumo acido della primavera
Nel molle calore di agosto
E nel freddo fumoso dell'inverno
Era un fiume nero e grigio
Che cigolava, crepitava
Frusciava
Sotto il cielo altissimo
Punteggiato di aquiloni neri
Rotanti attorno a un asse inestimabile
Il Fiume delle Biciclette di Pechino.
Biciclette da trasporto pesante
Portavano acqua pacchi vetri
Verdura escrementi carne rossa penzolante ai lati
Foglie morte
Viluppi di fili metallici palle di vestiti
Giocattoli rotti scarpe e pneumatici
Biciclette ristoranti
Con fornelli ravioli e secchi di salsa di soya
Biciclette di mamme
Con un bambino che faceva i compiti
Era un fiume di povertá e coraggio
Il fiume delle biciclette di Pechino
Che mi trascinava da Xizhimen a Haidian
Come un atomo di carne esotica
Dissolto in un grande corpo affaticato
Dedicato ad uno sforzo senza fine.
Presto scompariranno
Le biciclette di Pechino
Le biciclette nere con le scritte rosse
Le ultime riposano ai lati delle strade
Agili ma invecchiate, eleganti ed ingenue
E io non so perché provo
nostalgia vergognosa
Di una povertá che si allontana.

genseki
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giovedì, marzo 01, 2007


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Ibn Arabi e il Mondo Imaginale



"Barzakh" è la congiunzione di due mari: il mare dei significati spirituali e il mare degli oggetti sensoriali. Le cose sensoriali non possono essere significati e i significati non possono essere sensoriali. Peró il mondo Imaginale o "barzakh", da forma corporea ai significati.
Il Mondo Imaginale è uno dei concetti piú significativi dell'opera di Ibn Arabi: esso coincide in parte con il "barzakh" e con il ""barzakh"”.
Nella teologia classica islamica il "barzakh" è lo stato intermedio che segue inmediatamente la morte:

Li ognuno esperimenterá di nuovo quello che fece in vita poi saranno restituiti ad Allah il lo vero Signore e si dissolveranno tutte le loro illusioni”- Corano 10, 30.

Lo spazio nel quale avviene questa esperienza è quello che nella teologia viene chiamato "barzakh".
Nel "barzakh" il contenuto del proprio sé si riversa all'esterno e il suo contenuto si esperisce come quello di un universo che ruota intorno a noi, proprio come in un sogno in cui paure e ansie possono assumere forme e apparenze concrete, nel "barzakh" si esperimenta come concreta la sostanza propria dell'anima che si manifesta in un vero e proprio mondo di immagini reali. La realtá del "barzakh" é, tuttavia, piú reale della realtá del mondo in cui viviamo, relativamente alla gerarchia della creazione e, quindi la nostra esperienza nel "barzakh" é corrispondentemente piú intensa. Il se si trova ad interagire con un universo che non é nient'altro che una rappresentazione, un'immagine viva della nostra interioritá, uno specchio della nostra autentica natura.

Cosí il "barzakh" puó assumere l'aspetto di un giardino del Paradiso o di un incubo o di una mescolanza delle due cose, secondo il contenuto proprio del se di ciascuno..
Nel pensiero di Ibn Arabi questo concetto teologico è profondamente rimodellato, ferma restando la sua base coranica.

In Ibn Arabi, il termine "barzakh" ha un duplice significato. Egli lo impiega, in primo luogo, per indicare il mondo delle immangini (amtal) che rappresenta il quarto dei cinque mondi o awalim, in ordine discendente, ovvero il mondo che, dal punto di vista ontologico, costituisce il terreno intermedio di contatto tra il mondo puramente sensibile e quello puramente spirituale. Questo è il mondo nel quale viene a trovarsi l'anima dei defunti prima del Giudizio, ma è anche il mondo in cui ha luogo il “Tawhid”, la rivelazione profetica che quindi in qualche modo coincide con l'esperienza della morte, così che morire sembra significare aderire definitivamente al “Tawhid”, farsi uno con la propria profezia.
Il secondo significato di "barzakh" in Ibn Arabi è quello di: “stato intermedio che si situa sempre tra due Awalim”. Tra due Awalim c'è sempre un "barzakh".
Gli awalim sono 5 e quindi i "barzakh" possibli sono 4, secondo lo schema seguente:

Mondo dell'essenza
"barzakh" 1
Mondo dei Nomi
"barzakh" 2
Mondo dell'azione
"barzakh" 3
Mondo delle Immagini
"barzakh" 4
Mondo sensibile

Il primo impiego del termine "barzakh" si situa sul piano esistenziale, sul piano dell'esperienza individuale e dell'esperienza profetica.
Il secondo impiego invece si situa sul piano ontologico.
Per comprendere come sia possibile l'impiego di questo stesso termine in due accezioni apparentemente tanto diverse occorre tener presente che il Mondo delle Immagini è esso stesso un "barzakh", dal momento che è un piano intermedio tra il mondo sensibile e gli altri mondi che sono tutti mondi assolutamente spirituali.
Il Mondo delle Immagini, cioè, è un Mondo-"barzakh".
Estendendo questa interpretazione si puó giungere anche ad affermare che anche il Mondo dei Nomi e il Mondo delle Azioni, sono "barzakh" uno relativamente all'altro e il primo al Mondo dell'essenza, il secondo al Mondo delle Immagini.
Lo schema precedente dovrebbe quindi essere riletto nel modo seguente:

Mondo dell'Essenza
Mondo-"barzakh" dei Nomi
Mondo-"barzakh" delle Azioni
Mondo-"barzakh" delle Immagini
Mondo Sensibile.

Effettivamente scrive Ibn Arabi:
Tra questo mondo e la resurrezione ci sono i livelli intermedi "barzakh" ciascuno con i suoi limiti ... essi non né realtá essenziali, né puri effetti. Essi dicono a Dio: “Sia” e Dio li crea, come puó un uomo mortale fugire alla loro influenza? ...
Attraverso di loro appaiono i segno e i miracoli...
La parola “"barzakh
"” è l'espressione di qualche cosa che separa nel modo in cui una linea separa la luce dall'ombra senza che una si confonda con l'altra, ma nessuno dei sensi puó percepire che cosa separi i due elementi anche se l'intelletto comprende che c'è qualche cosa che separa, la separazione percepita dall'intelletto è per l'appunto il “"barzakh"”.

A questo punto dell'esposizione si puó intuire che qualche cosa di analogo al "barzakh" si trova nella tradizione buddista degli stati di bardo.

Continua Ibn Arabi:

“Il “"barzakh"” è qualche cosa che separa il conoscibile dall'inconoscibile, l'esistente dal non esistente, l'intellegibile dall`inintellegibile, l'affermato dal negato.
Esso è comprensibile in se stesso ma non é nient'altro che immagine immaginata. Questa immagine immaginata non é nè interamente esistente e neppure interamente inesistente, non é interamente conoscibile né inconoscibile, affermata o negata.
È come quando si percepisce in uno specchio: la persono sa che in un certo senso ha percepito qiualche cosa e in un certo senso non ha percepito nulla.
Alcuni uomini percepiscono questa dimensione nel sogno, e altri dopo la morte. La perana vede allora qualitá e caratteristiche
morali e spirituali come forme autosussistenti con le quali conversa come se fossero corpi umani”.

Qui, invece, quello che viene irresistibilmente in mente sono le conversazioni di Dante nel corso dl suo viaggio. Che si tratti di un viaggio nel “"barzakh"”?

Il ""malakut"" è la parola con cui il "barzakh" è definito nella tradizone iraniana dell '”Ishraq”.
"malakut"" e "barzakh" coincidono. "barzakh" peró è anche il mondo dgli angeli “malaika” , delle anime. In "malakut" si svolgono tutti i riti e si ripetono tutti i miti, hanno luogo tutte le rivelazioni. È il mondo dell'immaginazione oggettiva. Questo mondo ha una sua storia e una sua geografia. La sua storia possiamo conoscerla grazie al taw'il. La geografia del "malakut", il suo paesaggio, sono la proiezione dei nostri stati interiori, in questo mondo essi prendono la forma di fiori o di alberi, di palazzi, di vergini, di laghi e di montagne. Queste forme di "malakut" sono esteriori ma contemporaneamente costituiscono realmente l'interioritá psichica dell'uomo che si trova immerso in esse. Sono i suoi attributi, i suoi modi di essere. Per questo, secondo Ibn Arabi, l'atto stesso è la sua retribuzione e la retribuzione è l'atto stesso.
Oggi, nella nostra societá ogni forma di fiducia nelle rivelazioni e nel “taw'il” è letteralmente scomparsa dal senso comune.
Uno spazio immenso è rimasto vuoto: lo spazio oggettivo della rappresentazione degli stati interiori.
Esso viene riempito con i prodotti dell'industria dell'immaginario: il Mondo Intermedio, il “barzakh” è per moltissimi il mondi della televisione, dei Grandi Fratelli, dei videogiochi, il mondo delle rivelazioni e delle profezie è considerato superstizione, esoterismo, ignoranza esotica.
L'aggressione della merce penetra nel mondo interiore e lo inaridisce, chiude l'accesso alla veritá del corpo, alla realtá del nostro essere nel mondo.
Al nostro interno dentro di noi, cerchiamo la nostra terra la patria che ha il nostro stesso volto.


Gli Arconti


Sottile è la presenza degli Arconti
Appena un incresparsi
Della Luce
Ad avvertirla per primi
Sono i topi
Si stringono nei cappottini
Di pelo grigio
Con consumata umiltá
Poi egli distende le braccia
Nell'aria tiepida, profumata
Ad accogliere i chiodi
Nei palmi
E tutto si bagna
Di sangue
Di luce.
*
La cittá di Jabalsa
È tutta di rame
Gli Arconti sono voci concave – qui -
Rintocchi
Tra i vicoli rossi
Sulle piazze roventi.
La ali di Yibril
Hanno il suono
Di mille vetrate
Frantumate
In una notte di nebbia
Ma non c'è nebbia
A Jabalsa
Solo un cielo
Azzurro o nero
Puro come uno smalto.
Accanto
A questo antico pozzo
Lo attendiamo
Fedeli
Nell'ora esatta dell'appuntamento
Una brezza leggera
Ci sfiora
Profumata di fieno
Montano
Nella terra di Hurqalya.
*
genseki

mercoledì, febbraio 21, 2007

Sarà più bella

Sará piú bella Genova
Quando non ci sarò
Genova di latte, marina
Bagnata di luce sottile
Che piove sul grigio dei tetti
Genova di pietre antiche
Di fiori a cascata dai muri
Di pietre che stillano amore
Di pietre che covano il dolore
Sará piú bella Genova ancora
Sará davvere Genova ai miei occhi
Se non potranno vederla
Svegliarsi nei nodi dei ponti
Di ferro e cemento
Salati
Nel tepore dei fiati
Nello sporco dei treni
Pendolari
Genova nel mio abbandono
Nel mio lasciare doloroso
Di certo non potró rivederla
E questo la rende perfetta
Che esista senza la mia vista
Che resti
Senza di me la stessa.

genseki

20/02/07

mercoledì, febbraio 14, 2007

Islam zen



Yarir Ibn 'AbdAllah al-Bayili raccontò:

Eravamo seduti con il Profeta quando questi guardò verso la luna, ed era a quattordicesima notte del mese, notte di luna piena e disse:

- Vedrete il Vostro Signore direttamente, come ora state vedendo questa luna, senza che nulla turbi la Visione -.

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lunedì, febbraio 12, 2007

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Nainuema

Canto della creazione Huitoto
Non esisteva nient'altro
Solo un fantasma esisteva
Il Padre toccó una chimera, afferrò qualcosa di misterioso
Non esisteva nulla. Con un sogno il padre Nainuema
Trattenne quell'immagine e cominció a pensarla
Non c'era nemmeno un palo per legarla; con un filo immaginario del suo fiato
La legó.
Fu alla ricerca del fondamento della pura chimera.
Ma laggiú non c'era proprio niente.

“Eppure, qualcosa la sto allacciando!”.

E non c'era niente.
Continuó la sua ricerca il Padre,
A tentoni cercó la base di quella cosa il suo posto vuoto e fittizio.
Avvolse il vuoto con il filo sognato. Un filo di fumo.
Gli appiccicó una gomma magica,
Con un altro sogno magico lo legó.

Afferró il fondo illusorio e lo calpestó molte volte.
Si sedette su terra piana per livellarla.
Possedeva la terra chimerica,
Su di essa sputó la sua saliva,
E germinarono le acque.
Seduto su questa terra immaginaria
le distese sopra il cielo; azzurro e bianco.
Piú tardi raccontó tutto
Nel suo mondo sotterraneo,
Perchè noi potessimo raccontarlo quassù, sulla terra.

Poi sulla terra nacquero alberi selvatici
E la palma Canaguche ci diede frutti perché avessimo da bere.
Nell'acqua del Padre crebbero alberi e rampicanti.
Egli, da solo, creò la cicala,
Le scimmie che mangiano gli alberi
La scimmia del mais che apre i frutti,
Il tapiro che mangia i frutti sul suolo,
I grandi cinghiali, che divorano il bosco,
Creó tutti gli animali, come il cervo
I formichieri grandi e quelli piccoli.
Le aquile nel cielo e i pappagall
L'ararà rosso e la pernice con gli altri uccelli,
Il pavone e l'avvoltoio
Insomma creó gli uccelli
E persino le rane
Le grandi e le piccole.

La vespa ci taglió la coda
Prima ce l'avevamo
La taglió prima alla rana
E poi agli uomini
E quando si stancó di tagliare
Quelli che rimasero ritornarono scimmie
Anche se prima erano stati uomini.

A cura di genseki

*

Il Sognatore

Il Sognatore sogna
Sempre anche se stesso
Si sogna nel suo sogno
Si sogna come una parte
necessaria -
Del suo sogno
Non ci potrebbe essere
Nemmeno il sogno
Se il Sognatore
No si sognasse:
Nel sogno c`è anche un filo di fumo
Lontano
Perfettamente verticale
Sullo sfondo del cielo grigio
Su una pianura
Un altopiano? -
Di erica e rovo
Nel silenzio
Il fumo è l'anello
Che unisce il Sognatore
E il sognato
C'è odore di potassio
Intorno
E alcuni sassi bianchi
Taglienti
Il sognato no conosce
Il Sognatore
Ma può coincidere con Lui
In questo istante di unione
Supremo
Poco prima che il sorgere della Luna
Bagni di azzuro
Tutto la spazio
Contenuto nel circolo della percezione
Il sognato pronuncia questa frase:

“Videtur mihi sicut in somnio esse”

E finisce per fondersi
Con chi lo sta sognando

La brezza fredda
Un filo di vento gelido
Paralizza le lucertole
Nere
Sulle pietre umide di Luna

*

genseki

mercoledì, febbraio 07, 2007

Tutte le giornate di Minne Midons


Quelle che seguono sono le poesie d'amore per Minne Midons. Sono un po' claudicanti nel ritmo e troppo vegetali. Ma sono calde come le mani di Minne Midons, e mi da gioia copiarle e rileggerle, scorrendole col movimento leggero del cursore.
Sono state scritte in spagnolo e quella che segue è una traduzione affrettata, il che peggiora ancora lievemente le cose.

genseki

Sulla Vetta

Sulla vetta d'amore
Il vento ci schiaffeggia
Come la neve
Che copre ossa adorate
Sulla vetta d'amore
I gabbiani hanno artigli
Di falco
Con cui ferirci
Finché le nostre grida
Portate via dal vento
Si fondano in un solo battito
Sulla vetta d'amore.

*

Ogni anno

Ogni anno
Si stacca
Una foglia d'argento
Dall'albero dell'Anima
Ogni anno
Vi sboccia
Fior di fiamma
Ogni anno
Matura
Un frutto di luce
Fino a che l'anima
Si disciolga in Rosa
Brillando
A riva
Del fiume del tempo.

*

Quanto più t'amo
Meno ti conosco
Se ti guardo con gli occhi dell'amore
Quasi non ti vedo
Mi avvicino
Con il cuore che batte
Ti allontani
Con corpo di nebbia
Tu che sei carne e latte
Tiepido fiume
Sono il freddo
L'Altro
Che ogni giorno
Ti cerca
La dove solo resta
La traccia del tuo corpo.

*

Amarci é abbandonare
Tutti i giorni
La nostra cara terra solatia
Il deserto interiore
Coi suoi venti
I palmizi bruciati
Amarci é abbandonare
La terra solitaria
Nostra patria
E i suoi monti
I suoi pozzi profondi
Come occhi di falco
Per vivere tra il vento
E gli spruzzi
Dell'onda

Due
Uno.

*

Forse che il muschio

Non ama
Le lacrime di resina del pino?
O il fiume
La sua riva?
E la pioggia le rocce
Che ferisce
Di freddi baci
Lungo lenti secoli?
Ci amiamo
Come la natura insegna
Con silenzio
Con crepe
Con dolore
E riposo.

*

AdessoIn Autunno
Ci accorgiamo
Che non abbiamo corpo
Ma qualche cosa di piú
Di un corpo
Qualcosa d'altro
Che sono i nostri corpi
Uniti
Cercandosi
Piú il corpo invisibile
Dell'Amore
Che li unisce
Che li spinge
A cercarsi.
Come l'autunno
Non è solo una stagione
Ma il cercarsi
Degli ultimi fiori
Nei primi frutti.

*

Quante cose
Bisogna imparare
Quando si vive insieme:
Dove stanno i nostri occhi
Di chi sono quelle palpebre
Se il piede disperso
Tra le lenzuola
È il mio o è il tuo
Chi deve vederci al buio
Chi deve proteggersi gli occhi
Dai radianti
Lampi
Del sole
Siamo uno per l'altro
Albero e terra nutrice
Abbiamo radice e foglie
Negli stessi medesimi cuori.

*

Amare é specchio
Amando siamo acqua
Che riflette
L'azzurro
Il grigio del cielo
E voli e nubi
E il movimento degli aghi
Dei pini
Sotto la brezza
E trascina il ricordo
Di tutti i riflessi
In mulinelli d'argento
E spruzzi
Fino al mare
Dove si fonde
In quell'amore
Che di tutti fa
Uno.

*

Nell'Antico EgittoSi metteva uno scarabeo
Al posto dei cuori
Per ragioni religiose
Che mi sfuggono
I nostro vecchi cuori
Gli abbiamo scambiati
Con due scarabei cardiaci
D'eternitá d'amore
Nella pagina vuota
Che precedeva queste parole
Se en poteva vedere uno
Disegnato di mano
Di Midons.

*

Nella foresta d'Amore
Fitte crescono le male piante
Di menzogna, invidia ed orgoglio
Se insieme le tagliamo
Faremo un gran deserto
Terra
E cielo
Soli e nudi
Duri
E nel mezzo
Tra essi
I tuoi occhi
I miei occhi
Che si guardano.
Un giardino
Di acque profonde.

*

Questa poesia fu scritta in occasione del viaggio di Minne Midons a Brusela.

Se te ne vai al Nord
È nel mio Sud
Che la pioggia trascina
Le sue melanconiche ragnatele
Di dolce solitudine
Tenerezza obliata.
Nel Brabante
Il sole accarezza vecchie pietre
Verdi
Il muschio si muta
Nel solare lichene
Le foglie gialle in sabbia
Sulla riva del mar
Delle scintille.

*

Ci stancano, a volte,
I giorni che ci battono,
Son come il vento
I giorni
Come la pioggia;
Come la terra
Sono le nostre anime
Ci spoglia il tempo
Ci lavano le ore
Ci prosciugano
Ci fanno rinsecchire
Come alberi
Nell'estremo autunno
Ah! Le nostre anime
Che i giorni perseguono
D'amore
Del lucido amore
Dell'amore rovente
Che ferisce
Ferisce
E ci fa vivere.

*

Non ci mancheranno giorniCelesti di luce
Di mar diamantino
Di muschi dorati
Li avremo ancora
I giorni dei castelli
Dei bianchi padiglioni
Dei nostalgici boschi
E un giorno ancora:
Tremiti di colomba
Profumi verdi
E di foglie autunnali
Insetti come gioielli
In un raggio di sole
Il nostro abbraccio
Sará un tappeto d'erbe.

*

Mare d'AutunnoGiace in abbandono
Nella sua tomba di verde cristallo
La spuma traccia
Effimeri disegni
Sopra gli schermi
Di luce spezzata
Nello specchio dei tuoi occhi
Volano liberi
Gabbiani in fiamme.

*

Nella forestaDi frutta
Crescono banane lunari
Mele del peccato amare
Kaki di dorata polpa
I Kiwi sono testuggini
Le pere bottiglie di liquori bianchi
Arance
Limoni
Son astri
Son stelle
Bagnati di succhi
Fragranti
Noi, nudi, nuotiamo
Nel mar della frutta
Polposa
Cristalli di luce e di acqua
Le onde di fronde verdastre
Si rompono in sabbie
Di zucchero
Son baci conchiglie rosate
L'amore è un sogno
Più giallo.

*

Non c'è vuotoSe ti attendo
Solo un battito di rosso
Tra nuvole e sale
Il nostro cuore d'arancio
Si cela di verde in verde
Dammi la mano
Amara è la vita
Il nostro abbraccio
Un albero.

*

Saranno frutti
Le anime nostre
Di dolce polpa
Di noce amara
Di dorato sangue
Sarnno frutti
Le anime nostre
Rotondi
Macchiati di rame
Vellutati
Con foglie verdi
Como diamanti organici
Saranno frutti
La nostre anime
Sui rami
D'argento
Dell'albero
D'Amore.

*

genseki

martedì, gennaio 23, 2007

Poesie


Le poesie seguenti probabilemente non sono molto curate, non quanto dovrebbero esserlo per rispetto di chi casualmente dovesse leggerle.
Le ho scritte su un grosso quaderno grigio con pennarelli cinesi di diversi colori, in treno, in un fast food in una terrazza sul mare, sul divano, forse in un albergo.
Sono imprecise e sfuocate con qualche immagine gradevole. Parlano di questo mondo di sole e di polvere.

Thader

Non potevamo smettere di guardarlo
Piangere
Il cielo
Di osservarlo perdere ciuffi
Di grigio ovattato
Gocce di opaco sudore
Sulle guglie dei centri commerciali
E i nostri riti
Si facevano piú ardenti
Si sgranavano come fiamme
Rinchiuse in un pomo di vetro
Laggiú
Sotto le lastre di marmo
Finto
Gli ultimi limoni
Maturavano a soli
Privati del loro pascolo
Celeste.

*

Thader sarebbe un nome antico, il nome del povero fiume che bagna queste terre aride. Un nome preromano, adottato dai romani. Adesso è uno stremato strumento pubblicitario, amercaneggiante, vago, stupido, dal suono ambiguo, perduto tra altri sonagli e richiami porcini.
*

Autunni

L'autunno incide meraviglie
Sulla superrficie
Della luce
Smalti
Graffiti
Sulla lamina del cielo
Ogni colore
Corrisponde a un altro
Colore
Simili
Per occulta somiglianza.
Per nostalgie di petali
Si intenerisce
Il cuore di chi vive
All'altezza della luce
Nell'attesa di una chiamata
Che giá non è più che spina
Tra vertebra e vertebra
Tra cielo e roccia.

*

Improvvisamente

La ritrovi al suo posto
Prorio là
Dove
Ti aspettavi che ci fosse
La palma
Con il suo collare dorato
Amuleto di datteri
Diritta tra i cotogni
Polverosi
Consapevoli di essere
Un'immagine del passato
E ti conforta
Il sapere
Che chi non ha un posto
Dove ritrovarsi
Quello
Sei tu.

*

I cotogni giunsero dall'arabia, sono alberi vecchi, impolverati, dimenticati negli interstizi tra i condomini, i loro grandi frutti gialli, furono soli di dolcezza per palati resi nobili dall pronuncia incessante dei Nomi. Ora sono grigi fantasmi.
*

Adesso, finalmente,La hai raggiunta
O forse, meglio,
Te la sei conquistata
La solitudine
Che tanto hai amato
Che hai fuggito tanto
Per giorni e per boschi
Per settimane e nevi
Proprio ora la hai raggiunta
Quando non ti è dato piú
Non ti è concesso
Restare solo.
*

UN UOMO CHE È STATO IN UN ALTRO MONDO NON RITORNA UGUALE
È IMPOSSIBILE ESPRIMERE LA DIFFERENZA IN PAROLE.

Lewis – Perelandra

*

Huerta


Per lunghi secoli vissero
In un verde mare di foglie
Nell'ombra profonda di giardini
Come pelaghi
Tra odori acidi e dolciastri
Di polpe e di resine
Per lunghi secoli vissero
Nel crepuscolo acquoso
Degli orti
Alla luce stellare dei limoni
I monti, intorno,
Erano lingue di fuoco
Congelate in uno slancio
Verticale
Getti di rame
Cesellati in salmi
Il ritmo bronzeo
Dell'acqua nei canali
Organizzava il tempo e lo spazio
Poi si svegliarono
Scorsero altri azzurri
Cercarono l'orizzonte
E il volo.
Trovarono arene
Bagliori di ferro amaro
Il bacio ruvido
Dell'ariditá.

*

C'erano case nella huerta, quando ancora c'era la huerta, in cui vivevano uomini e piccioni e che le mattine le salutavano con voli tra i limoni. Ora ci sono rovine, troppo recenti per essere indecifrabili, cespugli, rifugio di coiti mercenari.

Vita

Non v'è davvero altra pena
Che vivere in trasparenza
Una vita come questa
Trafitti da consapevolezza
Spogliati dall'evidenza
Dell'elementare
Natura
Corrotta
Della mente
Caduca
Non v'è
Davvero
Altra pena che questa.

*

Foreste


Avremmo tanto desiderato
Muoverci in una foresta
Dai colori caldi
Dalle ramificazioni azzurre
Di rami e radici intrecciati
Alle falangi
Angeliche della luce
Consapevoli dell'acqua
Solo in quanto suono
Profondo
A volte anche oscuro
Più spesso cristallino.
Avremmo voluto
Afferrare i frutti
Con queste stesse mani
Con le quali eravamo abituati ad afferrare
Astri
Per bagnarci nel loro succo
Per nuotare nel loro liquido splendore
Le nostre stesse vene
Azzurre
Sarebbero diventate radici
A irrorare la carne tellurica
Prima che la notte deglutisse.
Ora siamo rimasti
Nudi
Lontani dall'olio della luce
Tra gli scoppi intermittenti
Dell'assenzio.

*

Palme

Che dire, poi, delle palme
Della loro natura i coltelli
Di lame luminose
In lotta con il sole
Lavate
Affilate dalla luce.
Che dire, del loro cuore
Dorato
Delle collane-amuleto
Ad allacciare la chioma
Guerriera?
Così lontane
Dal mio cuore
Assenti in tutti i racconti
Che mi sono raccontato
Si fanno di colpo
Evidenti per l'Occhio
Si adagiano nella mia vista.

*

Lichene

D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo foglie di pioppo
Monete morte
Piume di nebbia
D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo i licheni
Che tatuano di luce
Che incidano luce
Nelle nostre pupille.

*

Il fine della vita è farsi un'anima, un'anima immortale. Un'anima che sia la propria opera, perché morendo si lascia uno scheletro alla terra, un'opera alla storia.
Unamuno.
Agonia del Cristianesimo

*

La Rosa


Cresce la rosa
Ad un limone avvinta
E il giallo splendore
Inghiotte il rosso
Cupo
Dei petali vellutati
Nella notte delle foglie.

*

FEDE CHE NON DUBITI È FEDE MORTA
Unamuno

*

Il corpo
Dove posarlo
Il nostro corpo?
Dove sarebbe possibile riporlo
Dimenticarlo per un po'
Come quella camicia a quadri
Rossi e neri
Regalo di Nicoletta
Come il quarzo raccolto
Durante una gita in montagna
Con Edo
Quando incontrammo
Quel cagnolino privo di un occhio?
Dove abbandonarlo
Accuratamente
Protetto
Profumato
Pallido?
Fino a ritrovarlo
Un giorno
- quando ormai non ci stavamo già più pensando -
Laggiù
Nelle profondità dello specchio del bagno
Nell'odore del sapone di Marsiglia
E del vapore caldo
E domandarsi che cosa stiano guardando
Quegli occhi appena ritrovati
Che ora guardiamo con altri occhi
Che forse ora rivelano il senso di quelli
Che ora sta velando
Uno specchio.

*

Avrei voluto avvicinarmiA lei
Avrei voluto adeguarmi
Al ritmo dispari
Dei suoi passi
Che risuonavano
Sulle mattonelle nuove del porticato
Avrei voluto tirare fuori il desiderio dalla tasca
In cui lo avevo riposto
Molto tempo fa
e restare a guardare come si rianimava
A contatto con l'aria fresca
Portava stivali
E calze grige
Come se si trattasse di una nuova piccola morte supplente
In un pomeriggio di gennaio
Senza l'abbandono del pomeriggio
Ormai da tempo i pomeriggi non sapevano più di abbandono
Gli ultimi pini del monte
Asceti profumati
Sognavano dune color rame
Mentre seguivo il ritmo dei suoi passi
Con le orecchie ben tese
Il desiderio se en stava chiuso
Nella scatoletta di pastiglie Valda
Nella tasca di un altro cappotto.

*

Anche la morte ormai
S'è fatta precaria
Non è più certa
Come lo era un tempo
Non è puntuale
Non è più affilata
Ora resta ad aspettare alla fernata del bus
Come tutti gli altri impiegati
Che le ruote di un qualche camion
Schiaccino il volo di un passero
O di un colombo
Sull'asfalto bagnato di pioggia grassa
Poi, se en va contenta
Nei suoi jeans stretti
Comprati in un negozio cinese
Nell'impermeabile nero plastificato
Dalla forma di fungo
Scostando con la mano
Una ciocca di capelli
Che la pioggia le ha incollato
Sulla fronte.

*
genseki

venerdì, gennaio 12, 2007

Huitotos

Gli Huitotos venerano un Dio Creatore,
Il Dio Creatore degli Indios Huitotos si chiama
Nainuema
Nainuema significa:
Colui che possiede quello che non esiste
Egli creò il mondo sognandolo.
In realtà lo stesso Nainuema
Non è che un sogno
Un sogno che sogna
Di creare;
Un sogno che crea un sogno

Quando non vi era ancora nulla
Nainuema creò sognando le parole

Poi, con le parole e con un tamburo
Creó la pioggia.

I sogni sognati quando fuori piove
Sono i più dolci
Sono i più tristi
Sono sogni di pelle
E di vene.

genseki
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giovedì, gennaio 11, 2007

Tanzih e Tasbih


Ibn Arabi
La dialettica tra tanzih e tasbih

Tanzih e tasbih sono due termini che Ibn Arabi trae dalla teologia islamica tradizionale e che impiega per indicare l'aspetto occulto e l'aspetto autorivelatore dell'assoluto.
Il significato di tanzih nella teologia é quello di considerare l'assoluto in quanto Dio come totalmente libero da qualunque imperfezione. Questo vuol dire che nella forna del tanzih Dio è concepito come essenzalmente incomparabile con ciascuna delle sue creature, cioè come assolutamente trascendente. Il tanzih é il modo naturale con il quale la ragione tende a rappresentarsi l'assoluto come Dio.
In questo senso il discorso di Ratzinger a Ratisbona vede l'Islam come una religione dominata dal tanzih, in quanto esso rifiuterebbe a livello teologico qualsiasi relazione tra la ragione umana e Dio, tra Logos e Dio. Evidentemente il tanzih é solo una possibilitá per l'Islam, come per il cristianesimo all'interno di una dialettica molto piú complessa, come vedremo di illustrare nelle righe seguenti.
Il tasbih, invece, é la concezione dell'assoluto in quanto Dio come esso si autorivela nella sue creature.
Per Ibn Arabi il tanzih rappresenta l'assolutezza dell'assoluto e il tasbih la sua determinazione.
Per lui quindi i due termini non vanno concepiti come opposti quando piuttosto come complementari. Ibn Arabi definisce una dialettica di tanzih e tasbih nel quadro della conoscenza, possibile all'uomo dell'assoluto.
Il tanzih e il tasbih sono entrambi parziali. Infatti concepire Dio in modo che sia totalmente separato da qualsiasi creatura è ancora una maniera di limitarlo e di restringerlo.
Secondo Ibn Arabi vi sono due tipi di tanzih: il subuh che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo che significhi imperfezione e il quddus che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo degli esseri possibili, ogni connessione con gli esseri sensibili e ogni qualitá pensabile o immaginabile. Il secondo tipo di tanzih é detto “tanzih del sapere inmediato” e è rappresentato dal profeta Enoch, il primo dal profeta Noé. Il tanzih coincide largamente con la teologia negativa o apofatica da Massimo il Confessore a Dionigi Aeropagita fino a Nicola Cusano.
Ibn Arabi afferma tuttavia che la vera comprensione del'Assoluto é resa possibile solo dalla combinazione di tanzih e tasbih. Questa combinazione dialettica e detta da Ibn Arabi Qu'ran, Corano.
Nella teologia islamica tradizionale il tanzih è identificato con l'idolatria e il tasbih con il monoteismo.
In Ibn Arabi la vera adorazione dell'Assoluto è dialettica: il versetto coranico: “Il tuo Signore ha stabilito che solo a Lui va reso il culto” va interpretato che qualunque sia l'oggetto di culto in realtá attraverso di esso non si fa altro che adorare l'Assoluto. Infatti, siccome nel vero senso della parola nulla esiste realmente al di fuori dell'Assoluto, chiunque adori qualche cosa in realtá lo fa perché rconosce in essa, al di lá della sua esistenza fenomenica fallace, la luce dell'Assoluto. In questo senso politeismo e monoteismo sono due modi complementari di conoscere e adorare l'Assoluto.
Collegata alla relazione dialettica tasbih-tanzih é la coppia Uno- molteplici.
Il tasbih consiste nel riconoscere l'Uno nei molteplici, il tanzih nel negare i molteplici nell'Uno. La conoscenza dell'Assoluto consiste nella comprensione della veritá per cui l'Assoluto consiste nell'Uno e nei Molteplici insieme.
L'Islam è, secondo Ibn Arabi la sola religione in cui tasbih e tanzih siano compresi correttamente nella loro reciproca relazione. Questo è reso possibile integrando il mondo fenomenico conoscibile nell'Assoluto inconoscibile. Nell'Islam l'uomo prende coscienza dell' Unitá di tutti gli attributi divini sapendo peró che ciascuno degli attributi si realizza concretamente nel mondo fenomenico come oggetto o come avvenimento. In questo senso l'Assoluto non é pura astrazione razionale, bensì la base essenziale del mondo, la sorgente dell'essere. L'Assoluto cosí concepito corrisponde al Nome “Il Misericordioso” che viene ad essere il piú perfetto dei Nomi di Dio, quello che contiene tutti gli altri nomi.
Il tasbih corrisponde all'Immaginazione e il tanzih corrisponde alla Ragione. Nella Rivelazione coranica la Ragione e l'Immaginazione di armonizzano.
Una forma del tasbih particolarmente poetica e sorprendentemente lontana nel tempo e nello spazio dal Mondo del Doctor Maximus è data da Ernesto Cardenal:

Io che sembravo essere, tra tutte le persone della terra, colui che era piú fortemente destinato all'amore umano, all'amore sessuale, colui che piú di chiunque altro era nato per questo, il piú sensuale dei poeti, proprio io.: condannato alla castrzione del celibato (peró castrazione spirituale, che non estingue l'amore sessuale), condannato a non toccar donna a vivere per tutta la vita una vita perduta. Tu, l'inventore del sesso, Amore Infinito, premierai il mio cuoe: In questo mondo il mio amore per le donne è rimasto per sempre insaziato. Tu dovrai saziarlo quando celebreremo le nostre nozze. Tu dovrai riempire questo cuore vuoto.
...
Questa notte ho sognato che baciavo una ragazza che fu la mia fidanzata, e mi sono svegliato sentendo sulle labbra il sapore di quei baci. E la vivissima sensazione che mai piú nella mia vita sarei tornato a baciare altre labbra io che ero un essere nato specialmente per baciare, e che se c'erano labbra fatte per baciare quelle erano proprio le mie di labbra. Che cosa feci allora? Stringevo piú forte Dio contro il mio petto, avvicinavo di piú la mia anima a Lui. Mi inondava il Suo amore, un amore senza labbra, senza seni da toccare, un amore senza niente, l'amore puro. Amore, Ti diró una cosa: credono che il tuo amore non abbia niente a che vedere con l'amore del mondo, l'amore dei baci e degli abbracci, l'amore del letto, l'amore libidinoso, l'amore; e, in veritá, con queste labbra mie libidinose mi sono unito con Te senza labbra, oltre il bacio delle labbra, con quello stesso amore che sarebbe stato libidinoso in un ballo e questa mattina nella comunione, nella cappella del seminario, c'è soltanto amore, ouro amore. Sarebbe da raccontare quello che erano per me le ragazze. Le adoravo come Dio. E avevo ragione, lo vedo chiaramente ora, perché riflettevano Dio, c'era uno splendore divino che brillava in loro, de era questo che mi faceva impazzire, come potrebbe non far impazzire Dio, ma il fatto era che nessuna di loro cosí belle, era Dio, la ragazza che non invecchia che dice Fernando Gonzalez. Nessuna era la bellezza totale, bensí riflessi frammentati di tale bellezza, come pezzi di uno specchio rotto. Peró adesso esse non erano nulla o quasi nulla per me che avevo provato un sorso, soltanto un sorso del diletto di Dio. Da allora lo splendore dei loro volti impallidì fino a divenire quasi invisibile, come la fiamma di una candela davanti al sole. Tuttavia come mi accese l'umana bellezza che brillava nell'oscuritá.
...
Parlai a Eduardo Perilla il cowboy ... di come la bellezza delle ragazze ci possa condurre a Dio. Gli parlai dei tre modi di conoscere Dio: l'affermativo, il negativo e quello per eminenza. Per il primo tutta la bellezza che sta in una ragazza sta anche in Dio (tasbih), per il secondo ogni mancanza di bellezza che sta in una ragazza non sta in Dio (tanzih), per il terzo ogni bellezza che sta in una ragazza sta sommamente in Dio. (tasbih) E gli dissi che secondo San Paolo la bellezza invisibile di Dio la possiamo conoscere attraverso la bellezza di questo mondo visibile. Così il sorriso di una ragazza ci rivela un attributo speciale di Dio, l'attributo Sorriso (Ibn Arabi parlerebbe di nomi; del nome Sorriso). Il Sorriso Infinito, perché in Dio tutto è infinito.
Ernesto Cardenal
Las insulas extrañas (trad. Genseki)

E questo dimostra ancora una volta a quale profonditá si incontrino e si incrocino quelle radici che tanti si ostinano a confondere con gli steli.
Sarebbe interessante continuare ad esplorare questa rete che unisce un mistico arabo-andaluso di Murcia ad un prete sandinista e tutti e due a Plotino prendendo in considerazione la relazione tra le coppie tanzh-tasbih e nirvana-samsara e spero di poterlo fare presto in un nuovo articolo.


genseki