martedì, gennaio 23, 2007

Poesie


Le poesie seguenti probabilemente non sono molto curate, non quanto dovrebbero esserlo per rispetto di chi casualmente dovesse leggerle.
Le ho scritte su un grosso quaderno grigio con pennarelli cinesi di diversi colori, in treno, in un fast food in una terrazza sul mare, sul divano, forse in un albergo.
Sono imprecise e sfuocate con qualche immagine gradevole. Parlano di questo mondo di sole e di polvere.

Thader

Non potevamo smettere di guardarlo
Piangere
Il cielo
Di osservarlo perdere ciuffi
Di grigio ovattato
Gocce di opaco sudore
Sulle guglie dei centri commerciali
E i nostri riti
Si facevano piú ardenti
Si sgranavano come fiamme
Rinchiuse in un pomo di vetro
Laggiú
Sotto le lastre di marmo
Finto
Gli ultimi limoni
Maturavano a soli
Privati del loro pascolo
Celeste.

*

Thader sarebbe un nome antico, il nome del povero fiume che bagna queste terre aride. Un nome preromano, adottato dai romani. Adesso è uno stremato strumento pubblicitario, amercaneggiante, vago, stupido, dal suono ambiguo, perduto tra altri sonagli e richiami porcini.
*

Autunni

L'autunno incide meraviglie
Sulla superrficie
Della luce
Smalti
Graffiti
Sulla lamina del cielo
Ogni colore
Corrisponde a un altro
Colore
Simili
Per occulta somiglianza.
Per nostalgie di petali
Si intenerisce
Il cuore di chi vive
All'altezza della luce
Nell'attesa di una chiamata
Che giá non è più che spina
Tra vertebra e vertebra
Tra cielo e roccia.

*

Improvvisamente

La ritrovi al suo posto
Prorio là
Dove
Ti aspettavi che ci fosse
La palma
Con il suo collare dorato
Amuleto di datteri
Diritta tra i cotogni
Polverosi
Consapevoli di essere
Un'immagine del passato
E ti conforta
Il sapere
Che chi non ha un posto
Dove ritrovarsi
Quello
Sei tu.

*

I cotogni giunsero dall'arabia, sono alberi vecchi, impolverati, dimenticati negli interstizi tra i condomini, i loro grandi frutti gialli, furono soli di dolcezza per palati resi nobili dall pronuncia incessante dei Nomi. Ora sono grigi fantasmi.
*

Adesso, finalmente,La hai raggiunta
O forse, meglio,
Te la sei conquistata
La solitudine
Che tanto hai amato
Che hai fuggito tanto
Per giorni e per boschi
Per settimane e nevi
Proprio ora la hai raggiunta
Quando non ti è dato piú
Non ti è concesso
Restare solo.
*

UN UOMO CHE È STATO IN UN ALTRO MONDO NON RITORNA UGUALE
È IMPOSSIBILE ESPRIMERE LA DIFFERENZA IN PAROLE.

Lewis – Perelandra

*

Huerta


Per lunghi secoli vissero
In un verde mare di foglie
Nell'ombra profonda di giardini
Come pelaghi
Tra odori acidi e dolciastri
Di polpe e di resine
Per lunghi secoli vissero
Nel crepuscolo acquoso
Degli orti
Alla luce stellare dei limoni
I monti, intorno,
Erano lingue di fuoco
Congelate in uno slancio
Verticale
Getti di rame
Cesellati in salmi
Il ritmo bronzeo
Dell'acqua nei canali
Organizzava il tempo e lo spazio
Poi si svegliarono
Scorsero altri azzurri
Cercarono l'orizzonte
E il volo.
Trovarono arene
Bagliori di ferro amaro
Il bacio ruvido
Dell'ariditá.

*

C'erano case nella huerta, quando ancora c'era la huerta, in cui vivevano uomini e piccioni e che le mattine le salutavano con voli tra i limoni. Ora ci sono rovine, troppo recenti per essere indecifrabili, cespugli, rifugio di coiti mercenari.

Vita

Non v'è davvero altra pena
Che vivere in trasparenza
Una vita come questa
Trafitti da consapevolezza
Spogliati dall'evidenza
Dell'elementare
Natura
Corrotta
Della mente
Caduca
Non v'è
Davvero
Altra pena che questa.

*

Foreste


Avremmo tanto desiderato
Muoverci in una foresta
Dai colori caldi
Dalle ramificazioni azzurre
Di rami e radici intrecciati
Alle falangi
Angeliche della luce
Consapevoli dell'acqua
Solo in quanto suono
Profondo
A volte anche oscuro
Più spesso cristallino.
Avremmo voluto
Afferrare i frutti
Con queste stesse mani
Con le quali eravamo abituati ad afferrare
Astri
Per bagnarci nel loro succo
Per nuotare nel loro liquido splendore
Le nostre stesse vene
Azzurre
Sarebbero diventate radici
A irrorare la carne tellurica
Prima che la notte deglutisse.
Ora siamo rimasti
Nudi
Lontani dall'olio della luce
Tra gli scoppi intermittenti
Dell'assenzio.

*

Palme

Che dire, poi, delle palme
Della loro natura i coltelli
Di lame luminose
In lotta con il sole
Lavate
Affilate dalla luce.
Che dire, del loro cuore
Dorato
Delle collane-amuleto
Ad allacciare la chioma
Guerriera?
Così lontane
Dal mio cuore
Assenti in tutti i racconti
Che mi sono raccontato
Si fanno di colpo
Evidenti per l'Occhio
Si adagiano nella mia vista.

*

Lichene

D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo foglie di pioppo
Monete morte
Piume di nebbia
D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo i licheni
Che tatuano di luce
Che incidano luce
Nelle nostre pupille.

*

Il fine della vita è farsi un'anima, un'anima immortale. Un'anima che sia la propria opera, perché morendo si lascia uno scheletro alla terra, un'opera alla storia.
Unamuno.
Agonia del Cristianesimo

*

La Rosa


Cresce la rosa
Ad un limone avvinta
E il giallo splendore
Inghiotte il rosso
Cupo
Dei petali vellutati
Nella notte delle foglie.

*

FEDE CHE NON DUBITI È FEDE MORTA
Unamuno

*

Il corpo
Dove posarlo
Il nostro corpo?
Dove sarebbe possibile riporlo
Dimenticarlo per un po'
Come quella camicia a quadri
Rossi e neri
Regalo di Nicoletta
Come il quarzo raccolto
Durante una gita in montagna
Con Edo
Quando incontrammo
Quel cagnolino privo di un occhio?
Dove abbandonarlo
Accuratamente
Protetto
Profumato
Pallido?
Fino a ritrovarlo
Un giorno
- quando ormai non ci stavamo già più pensando -
Laggiù
Nelle profondità dello specchio del bagno
Nell'odore del sapone di Marsiglia
E del vapore caldo
E domandarsi che cosa stiano guardando
Quegli occhi appena ritrovati
Che ora guardiamo con altri occhi
Che forse ora rivelano il senso di quelli
Che ora sta velando
Uno specchio.

*

Avrei voluto avvicinarmiA lei
Avrei voluto adeguarmi
Al ritmo dispari
Dei suoi passi
Che risuonavano
Sulle mattonelle nuove del porticato
Avrei voluto tirare fuori il desiderio dalla tasca
In cui lo avevo riposto
Molto tempo fa
e restare a guardare come si rianimava
A contatto con l'aria fresca
Portava stivali
E calze grige
Come se si trattasse di una nuova piccola morte supplente
In un pomeriggio di gennaio
Senza l'abbandono del pomeriggio
Ormai da tempo i pomeriggi non sapevano più di abbandono
Gli ultimi pini del monte
Asceti profumati
Sognavano dune color rame
Mentre seguivo il ritmo dei suoi passi
Con le orecchie ben tese
Il desiderio se en stava chiuso
Nella scatoletta di pastiglie Valda
Nella tasca di un altro cappotto.

*

Anche la morte ormai
S'è fatta precaria
Non è più certa
Come lo era un tempo
Non è puntuale
Non è più affilata
Ora resta ad aspettare alla fernata del bus
Come tutti gli altri impiegati
Che le ruote di un qualche camion
Schiaccino il volo di un passero
O di un colombo
Sull'asfalto bagnato di pioggia grassa
Poi, se en va contenta
Nei suoi jeans stretti
Comprati in un negozio cinese
Nell'impermeabile nero plastificato
Dalla forma di fungo
Scostando con la mano
Una ciocca di capelli
Che la pioggia le ha incollato
Sulla fronte.

*
genseki