giovedì, dicembre 01, 2022

Hugo Mújica

Poesie


Tad genseki


Alba



Quieto


Come chi non si muove

Perché il sangue non filtri

Dalla bocca,


Quieto,


Come un uccello 

Ferito

Nel palmo della mano


Senza chiudere la mano


Esiste una fede assoluta:


Una fede senza speranza.



***


Ci sono cani que muoiono della morte dei loro padroni


Certi cani

Muoiono della morte dei loro padroni


Corpi che non fanno l’amore,

Fanno paura


Che non si agitano,

Tremano.


In certi uomini 

Muore Dio

Come una goccia di ceralacca

Sul petto 

Di un torso di marmo,


Sono quelli che piangono quando credono

Di parlare,

O gridano nel sonno, ma giunta l’alba,

Si dimenticano del grido

Con cui incendiarono la notte.


In certi uomini geme dio

Per non incontrare un uomo dove morire di carne,


Ma non piange come chi piange

Solo

Piange come chi piange con un bambino in braccio.


**


Appena pochi giorni fa



Appena pochi giorni fa morí mio padre,

Da tanto poco.


Cadde senza peso,

Come le palpebre quando giunge

La notte o una foglia

Quando il vento non strappa, culla.


Oggi non è come altre piogge

Oggi piove per la prima volta

Sul marmo della sua tomba.


Sotto ogni pioggia

Potrei giacere io, ora lo so,

Ora che sono morto in un altro.



**


A notte avanzata non dormo


Da lontano un tramonti

Ove l’autunno

È un luogo nel mio petto,

Cominciano a illuminarsi le finestre,


La mia nostalgia

Di stare dove so molto bene che entrando

Ritornerei fuori.


Dolgono gli occhi per sognare tanto lontano

La fronte per pensare

L’impensabile di tanta vita

Che non ho abbracciato

Tanti debiti di ció che non è nato.


Si vanno spegnendo le luci,

Ê la soglia tra una notte e l’altra

La fragile vicinanza

Di paura e speranza.


L’ultimo giorno potrebbe essere questo che finisce,

Questa notte

In cui sto scrivendo


Uguale, ma senza nuova assenza

Per continuare a sperare.



**



Fino alla fine


Vidi un cane nero morto

Sulla via

Schiacciato in mezzo alla strada, macchiato

Dalla neve.


Vidi la vita, proprio li,

E vi era solo questo: l’alibi

Dell’innocente: pagare tutto.


Percepii la vita nella neve e mi vidi morire

Come un animale che resiste

Fino all’ultimo

Fino al desiderio di essere finito,


Fino al gemito finale,

Quello che chiede il perdono per ogni crimine altrui:

Quello che perdona dio.



**


Un pezzo di fame, un bicchiere d’acqua


Fedele all’umano,


Alle dimensioni di ciò che le braccia

Cullano,

Allla festa

Di ció che le mani contengono,


Alla silenziosa speranza

Che consiste in non chiudere le labbra,


Fedele a un bicchiere d’acqua

E al pezzo di fame

Che un altro corpo ci porta,


Fedele sorso a sorso, fame a fame.


Fedele al pudore di un cenno soltanto

Soltanto all’abisso

Dell’Altro

Quando il silenzio 

Tace nella pelle che ci separa.


Fedele al limite di morire uomo,

Di acera abbracciato quel vuoto

Che colma l’abbraccio stesso.



**


L’aperto



Quieta cade la pioggia

Sgorga l’aperto.


Piove, piove sull’attesa,

Cadere è il sentiero della pioggia

E il sentire è la sua meta.


Bisogna osare l’aperto e la caduta

Il deserto della sete

Non la sete del deserto.


**




Nel mezzo della notte


Anche nel mezzo della notte

La neve si scioglie bianca


E cade la pioggia

Senza perdere la sua trasparenza.


Ê lei, la notte,

Che ci libera dai riflessi,


Che ci dilata le pupille.


Il cieco col suo bastone

Cerca la luce, non il cammino.




mercoledì, novembre 30, 2022


Rafael Celaya


Trad. genseki




Se è vero che esisto e che mi chiamo Rafael

Se è vero che sono qui

E che questo è un tavolo

Se è vero che sono qualche cosa di più che una pietra scura tra le ortiche,

Qualche cosa di più che una pietra ruvida nel fondo di un pozzo.


Se è davvero reale la luce viola di questa sera,

Se questi grigi e malva sono case e nuvole;

Se davvero non è un sonnambulo quell’uomo che passa nella strada;

Se è reale questo silenzio che sale e scende tra vita e mistero;

Se è vero che esisto e che mi chiamo Rafael,

E che sono qualche cosa di piú di una pianta di carne;

Se le cose esistono davvero,

Se io pure esisto,

Se davvero questa sera dolce dal profumo di magnolia è almeno un poco reale;

Se è reale anche questo tremito di infinito che sento pulsare in me;

Se mi chiamo per davvero Rafael e penso ed esisto;

Se il mondo vive davvero Inn una densa atmosfera 

Di pensieri sconosciuti ed eterni

Se è davvero cosí,

Allora grazie, grazie per tutto questo!


***

Di piú


Le bestie i fulmini, gli uomini,

La caléndula que scoppia

Allegria! Allegria!

Con il suo strillo arancione:


L’erba dolce e sottomessa

Al fiato lentissimo della terra

E questo mare che dispiega la mia spossatezza,

E questa brezza che solletica la mia allegria,


Amo tutto questo in piena libertà e sono,

Sono, solo questo, sono

Sono contemporaneamente dentro e fuori.


Lasciate volare i versi!

Liberate la colomba trafitta dalla penna!!


Rompete il ritmo insieme a me!

Uccidetemi! Vi prego


Poesie, poesie di fronte al mare!

Non è il pensiero, è di piu

È l’allegria sufficiente a lasciarlo svanire.

Non il risultato , di piú!

Nell’errore, nell’amore, nel piccolo, la totalità.



***


Raccontami come vivi, come stai morendo



Raccontami come vivi;

Dimmi con semplicità come passi le tue giornate,

I tuoi odii lentissimi, le tue allegrie,

El le onde confuse che ti portano sperduto

Tra la schiuma cangiante di un bianco imprevisto.


Raccontami come vivi

Vieni a me, faccia a faccia;

Dimmi le tue menzogne (sono peggiori le mie),

I tuoi risentimenti (che sono anche i miei),

E questo stupido orgoglio (posso capirti).


Raccontami come muori

Nulla di te è un segreto:

La nausea del vuoto (o il piacere, fa lo stesso);

La pazzia imprevista di qualche istante vivo

La speranza che cava testardamente il vuoto.


Raccontami come muori,

Come rinunci - saggio -,

Come - frivolo - brilli da vero fuggitivo,

Come finisci in nulla

E mi insegni, é ben chiaro, a restare tranquillo.



***










martedì, settembre 08, 2020


GIORGIO CESARANO – Tre poesie

Epitaffio
 
Gli altri che t’amano e io
– “è finita, finita, finita” –
gli altri che t’amano e tu e io
giustamente per sempre feroci,
 
noi che ci perdiamo sempre
apparendoci in lunghi corridoi,
noi siamo – tu bene della terra
inguaribile e noi di tanto niente
 
gli eroi vivi, le anime del niente–
siamo noi, gli altri che t’amano e io
– così finita finita finita –
 
i morti della vita, e tu la tersa
faccia che ci trattiene veri di dolore,
della sorte, della vita che è persa,
 
ultimo crampo di inguaribile amore.
 
 
 
***
 
Con la testa sul mio cuscino
dormivi nei tuoi capelli
sanguiformi nell’alba
 
– ora ti guardo mentre perdi luce
piangendo nei tuoi capelli all’addio,
sul campo è l’ora dei pipistrelli –
 
debole come ora e tradito
da tanta mia spesa dolcezza
non sapevo vedere di te
che il nero, la cupa forma che mi assorbe
 
Con la testa sul mio cuscino
e questo che reggo sul mio gomito, mio
corpo, dai segni ancora di palestra e degli
strapiombi d’asfissia
 
a soffi il mare
vive per un momento in una
tenda spettrale
 
aveva i tuoi occhi
la ragazza che in questo stesso hotel
d’ironico nome Victoria
 
quand’ebbero gli anni principio d’amore
venne diritta, vita.
 
Gli occhi che ora si sognano, tuoi, chiusi
di me che discendendo li raggiungo.
 
Solo allungassi la mano
verso il soccorso della voce della
chiara serena Nina tutta certa.
 
Ma questo che reggo sul gomito, mio
corpo discende nel tuo sonno.
 
 
***
 
Fermo qui vicinissimo
amandoti con molto mio,
mentre tuo, tutto il tuo
– ferma qui vicinissima –
diminuire, rimpicciolirti,
con strazio non so (piccolo?)
mi sgorga per te via.
 
Dal Blog di Antonio Bux

TOMMASO LANDOLFI
 
(da Viola di morte, 1972)
 
 
 
Eternamente culmina la Lira,
Eternamente declina Boote,
Eternamente l’Orsa ruota
Dai lavacri del mar sempre divisa.
 
Eternamente?
                          E no: verrà quel giorno
Che sgomentata dal celeste corso,
Che scompigliata nel volante squadro,
Sarà rapita ogni costellazione
Da un vento rapinoso ed atro.
Folli comete dischiomate
Aborriranno in fuga il sole amato,
Si stemprerà nel buio il lume ardente
Delle stelle…
                        Compagna, questo evento,
questi capelli docili a quel vento,
questo universo ormai rifatto muto –
Compagna, tutto questo è già venuto.


Dal Blog Disgrafie di antonio Bux

martedì, febbraio 11, 2020


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Gabrielle Bossis

1936

22 Agosto, in un battello, durante il concerto di musica classica io gli offrivo come mazzolini i suoni con la loro dolcezza. Lui mi disse soavemente, come lo aveva fatto altre volte: "Figlia mia, mia piccina".

**

23 Agosto Si decoró il piano in forma di altare. Io pensavo ai gabbiani a certi aerei che atterrano sulle navi. Lui mi disse: "stavolta Colui che viene è Cristo".

**

Io dicevo vedendo il mare agitato: "Signore, Tu sai bene che tutto questo lo faccio per te, allora perché Te lo dico?" Lui: "È necessario che Me lo dica, perché Mi fa piacere udirlo. Dimmelo con frequenza. Non è forse vero che quando sai che qualcuno ti ama ti fa piacere che telo dica.

**

2 Settembre 1936. Nel Canadian Pacific tra Brando e Regina, mi sembró di baciare l'interiore della Sua Mano. Era la Sua Mano destra. Il Sangue sgorgava con abbondanza dalla ferita; un Sangue rosso, vivo, fresco che sgorgava quasi a fiotti. Mi parve di essere tutta nascosta da questa mano in modo che nessuno poteva scorgermi. Mentre baciavo la Mano, le mie labbra si sentivano purificate, Avrei voluto che il Sangue mi lavasse tutta. Mi disse: "Credi nella purificazione infinita del mio Sangue".

**

24 Settembre. In Canadá. La cappella si trova davanti alla mia stanza, ogni volta che passo gli sorrido. Lui mi disse: "Sorridi a tutti, Io metteró una Grazia in ogni tuo sorriso.

Trad Pietro