martedì, settembre 09, 2014
Il Padre di Famiglia
C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel
mondo moderno: è il padre di famiglia. Gli altri, i peggiori
avventurieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto.
Non corrono assolutamente alcun pericolo, al suo confronto. Tutto nel
mondo moderno, e soprattutto il disprezzo, è organizzato contro lo
stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?
Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale
audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una
famiglia. Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato
contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. Gli uomini, i
fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi
economiche. E infine il resto. Tutto è contro il capo famiglia, contro
il padre di famiglia; e di conseguenza contro la famiglia stessa,
contro la vita di famiglia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel
mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre
un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con
la testa, che non è niente. Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue
membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non
è niente. Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono
solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri.
Alii patitur. Al secondo, al ventesimo grado. Fa soffrire altri, ne è
responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la
malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. Gli altri
navigano a secco di vele. Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è
obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui
non ha vantaggio su nessuno. Si muove continuamente con i suoi
ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che
accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i
guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in
pieno, di fronte, perché naviga su una larghezza immensa. Gli altri
scantonano. Sono corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa
rotta immensamente larga, lui solo non può assolutamente passare senza
che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coinvolto nel
mondo, e lui solo. Tutti gli altri possono infischiarsene. Lui solo
paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre
ostaggio. Che importa agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili
e guerre straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla
città, la decadenza di tutto un popolo. Non rischiano mai altro che la
testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto
dappertutto nella città presente. Dalla famiglia, dalla sua razza,
dalla sua discendenza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella
citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il temporale accadere
della città. Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società,
mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente,
passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano
sempre. Sono carene leggere, sottili come lame di coltello. Lui è la
nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di
tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono
d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si
intersecano da tutti i punti dell’orizzonte per assalirlo. Lui scopre
alla sorte, alla fortuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una
larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un volume
incredibile. Non è coinvolto solo nella città presente.
È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il
passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli,
straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in
quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in
quale miserabile città, in quale decadenza, in quale decadenza di tutto
un popolo lasceranno, consegneranno, domani, stanno per lasciare,
entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri
si sentono così pienamente, così assolutamente responsabili, di cui
sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente.
Niente di quello che succede, niente di storico è per loro
indifferente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno
esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo.
Chi non ha mai avuto un bambino malato non sa cosa sia la malattia.
Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non
sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni
parte nelle sofferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono
tutti ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi,
impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano;
sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e
appesantiti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri,
prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi,
ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano,
sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia
sconcertante. E tutti li disprezzano e, quel che è peggio, hanno
ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli.
Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scantonano con
districamenti eroici, con districamenti d’audacia. Temporali,
scantonano verso la carriera e le dominazioni temporali. Spirituali,
scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici,
scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella
regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non
può mai scantonare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è
molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna
parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella
regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo.
Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella politica e
non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno
al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha
socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende
inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non
è altro che concorso e concorrenza. Gli altri corrono, intanto, gli
altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi,
sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di
loro, lo schermiscono; sordamente, involontariamente congiurano contro
di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno
questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si
riaccaniscono di preferenza. Preferenzialmente. E quello che chiamano
la carità.
Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita
più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la
meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi
abbindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più
smaccato, e anche naturalmente il più comune, l’errore più frequente,
quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è
silenziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e
quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di famiglia è
ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e
concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita
di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica
che se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più
grossolane apparenze. È diametralmente il contrario.
La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. Nessun
uomo al mondo è coinvolto nel mondo, nella storia e nel destino del
mondo quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia,
così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir
politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto
nella storia e nel destino del mondo. Cosa importa all’uomo politico, al
demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche
all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo
di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa
importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e
al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali
al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore,
al giornalista, al pubblicista, all’esattore, e all’usciere del
ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni
uomo pubblico delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la
destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo
popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la
testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno:
niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al
maximum; al meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno
l’apice; miserie. Gloria temporale, onore temporale; niente, meno di
niente. Avanzamento temporale, carriera temporale, apice temporale,
testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le
gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come
tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente
rara, l’operazione è tutta diversa, il comportamento e l’azione
pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così
dire topografica, geografica, demografica. Cosa importa loro, come
tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di
tutto un popolo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse
irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al
più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria,
ulteriore, l’onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo
di considerazione li lascia abbastanza freddi. Sono abbastanza poco
sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna
infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella
destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di
tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette
tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il
popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre
di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli,
assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto
commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri
commetteranno, sente oscuramente, molto profondamente, che è lui, in
effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È
uno dei casi più significativi che ci siano di responsabilità senza
colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di
colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche;
infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la
creazione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre
proprie responsabilità, personali, particolari, limitate, note,
individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più
vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo),
quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazione stessa, al
mistero, al segreto della creazione; una colpevolezza, allora,
infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente
criminali.
Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato
situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe
condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il
pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il
midollo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua
regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la
sua regola di secolo. Ed è un pover’uomo; innocente criminale;
innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da
scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni
parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico
mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni pericolose; confuso,
prigioniero, ostaggio, manette alle mani, ganasce ai piedi, capo,
responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena,
è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a
una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro,
di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamente più grave di quella
formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come
se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché
tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa
alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. È infinitamente
peggio di una cosa infinitamente concertata, che una cosa
universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata.
Così è infinitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si
sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.
Allora, ringalluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus.
Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo avverte, uno
degli avvertimenti, uno degli istinti più sicuri, uno degli istinti più
infallibili, un segreto orgoglio infallibile lo avverte che è lui il
nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il
padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla
clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto
segreto lo avverte che lui è infinitamente più vicino al pubblico
peccatore; e reciprocamente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente,
l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito,
infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del
meeting, della pubblica riunione è infinitamente più vicino all’uomo
della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per
l’altro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insieme
l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e
quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa,
interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più
che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe,
l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostaggio, lo slegato, il non
legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il
corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente
più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con
lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un
personaggio gradevole. Il padre di famiglia è un povero essere. Tirar
su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le
forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del
genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle
forze della società. Allora tutti calpestano il padre di famiglia.
Allora il sacerdote, ardito, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che
indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe,
l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avventuriero, che
vive di avventure.
Invece è l’uomo di famiglia che è un avventuriero, che vive non solo
alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale
avventura; l’avventura più terribile, la più costantemente tragica; la
cui vita stessa è un’avventura, il tessuto stesso della vita, la trama e
l’ordito, il pane quotidiano. Ecco l’avventuriero, il vero, il reale
avventuriero.
Charles Péguy
da Dialogo della storia e dell'anima carnale
Da Tempi.it
Frammento di Bools Corracha
Finimmo per vivere qui,
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...
Bools Corracha
A cura di genseki
E
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...
Bools Corracha
A cura di genseki
E
La poesia si disfó di me
La poesia si disfó di me
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Il Verbo
In principio era la Parola (Verbum), questo non si puó capire senza le parole, non si intende con parole umane. La parola è qualche cosa che non ha forma e, tuttavia, è la forma di tutte le cose che hanno una forma...
Agostino
*
È strano che nessuna delle tre cose: lo Spirito, il Sangue e l'Acqua, che testimoniano la Veritá sulla terra sia Parola (Verbo), e, tuttavia, tutte diano testimonianza della Parola che è Cristo: lo Spirito come Dio ispiratore, l'Acqua come il risultato efficiente della Parola, la Chiesa, e il Sangue, finalmente, nel momento in cui nel silenzio e nel grido inintellegibile si realizza ció che nella Parola è decisivo.
Hans Urs Von Balthasar
*
Trad genseki
Anton Reiser
L'aria era fredda e umida, cadeva un nevischio fradicio che inzuppava i vestiti, di colpo lo invase la sensazione di non poter sfuggire a se stesso. Bastó che questa idea si manifestasse e fu come se una montagnag li fosse franata addosso. Si sforzava di trovare una via di uscita verso l'alto, ma era come se il peso dell'esistenza lo schiacciasse. Doversi alzare al mattino e andare a letto alla sera in compagnia di se stesso, giorno dopo giorno! Doversi trascinare dietro quel suo io odioso passo dopo passo!
La sua coscienza di sé con la sensazione di essere rifiutato e disprezzato, gli risultava tanto sgradevole e opprimente come il suo corpo fradicio e infreddolito.
Moritz
Anton Reiser
Trad. genseki
lunedì, settembre 08, 2014
L'olivo di Tiro
Due grandi rocce chiamate Ambrosie
galleggiano sulle acque, su di esse:
Fiorisce
Il germoglio di un un olivo altrettanto
antico, da nessuno piantato e ad esse unito,
Ombelico della roccia che attraversa le
acque, Tra i suoi rami
Riposa un'aquila
E una coppa finemente cesellata.
L'albero arde
Sprigionando scintille meravigliose di
un fuoco spontaneo
E la fiamma circonda i germogli senza
consumarli.
Un serpente è il guardiano dell'albero
frondoso
Sí che ne stupiscono lo sguardo e
l'udito.
Il serpente, infatti, striscia
silenzioso verso l'aquila che si libra in alto,
Ma non la avvolge sinuoso nelle spire
minacciose,
Non inietta veleno mortale coi denti, e
neppure
L'aquila ghermisce il rettile avvolto
in molli spire,
Levandosi a volo e fendendo l'aria,
Né potrebbe lacerarlo con il becco
adunco.
Il fuoco non si propaga ai rami, al
fusto,
Non consuma il germoglio che permane
intatto,
Anzi la fiamma amichevole genera vapore
tra le fronde,
Senza consumare le spire scagliose del
serpente
Avvolte al fusto, la vampa del fuoco
non si trasmette
Alle ali intrecciate ai rami del
rapace,
Né la coppa immobile, sospesa in alto
precipita per il soffio dei venti
Nonno di Panopoli
Dionisiache
Canto 40 – 468, 491
Trad. genseki
lunedì, giugno 30, 2014
Luce
Chi partecipa dell'enjergia divina, si converte in luce; è unito alla luce, con la luce vede in piena coscienza tutto quello che resta celato a coloro che non possiedono tale grazia...; perché i puri di cuore vedono Dio che, in quanto luce, abita in loro, e si rivela a coloro che lo amano, ai prediletti.
Palamas
martedì, giugno 10, 2014
giovedì, giugno 05, 2014
Alasdair MacIntyre
“A crucial turning point…occurred when men and women of good will turned aside from shoring up the Roman imperium….
what they set themselves to achieve instead—often not recognizing fully
what they were doing—was the construction of new forms of community
within which the moral life could be sustained…..we ought also to
conclude that for some time now we have reached that turning point. What
matters at this stage is the construction of local forms of community
within which civility and the intellectual and moral life can be
sustained through the new dark ages which are already upon us. …This
time however the barbarians are not waiting beyond the frontiers; they
have already been governing us for quite some time. And it is our lack
of consciousness that constitutes our predicament. We are not waiting
for a Godot, but for another—doubtless very different—St. Benedict.”
A.C.
sabato, aprile 19, 2014
Sonetos de la Pasión
1. Pastor que con tus silbos amorosos me despertaste del profundo sueño, Tú que hiciste cayado de ese leño, en que tiendes los brazos poderosos, vuelve los ojos a mi fe piadosos, pues te confieso por mi amor y dueño, y la palabra de seguirte empeño, tus dulces silbos y tus pies hermosos. Oye, pastor, pues por amores mueres, no te espante el rigor de mis pecados, pues tan amigo de rendidos eres. Espera, pues, y escucha mis cuidados, pero ¿cómo te digo que me esperes, si estás para esperar los pies clavados? Lope de Vega 2. En la muerte de Cristo, contra la dureza del corazón del hombre Pues hoy derrama noche el sentimiento por todo el cerco de la lumbre pura, y amortecido el sol en sombra oscura, da lágrimas al fuego, y voz al viento; pues de la muerte el negro encerramiento descubre con temblor la sepultura, y el monte, que embaraza la llanura del mar cercano, se divide atento, de piedra es hombre duro, de diamante tu corazón, pues muerte tan severa no anega con tus ojos tu semblante. Mas no es de piedra, no; que si lo fuera, de lástima de ver a Dios amante, entre las otras piedras se rompiera. Francisco de Quevedo El Cristo crucificado de Velázquez 3. Soneto a Cristo crucificado No me mueve, mi Dios, para quererte el cielo que me tienes prometido, ni me mueve el infierno tan temido para dejar por eso de ofenderte. Tú me mueves, Señor, muéveme el verte clavado en una cruz y escarnecido, muéveme ver tu cuerpo tan herido, muévenme tus afrentas y tu muerte. Muéveme, en fin, tu amor, y en tal manera, que aunque no hubiera cielo, yo te amara, y aunque no hubiera infierno, te temiera. No me tienes que dar porque te quiera, pues aunque lo que espero no esperara, lo mismo que te quiero te quisiera. Anónimo 4. Sobre estas palabras que dijo Jesucristo en la Cruz: “Mulier, ecce filius tuus: ecce Mater tua” (Ioan, 19) Mujer llama a su Madre cuando expira, porque el nombre de madre regalado no la añada un puñal, viendo clavado a su Hijo, y de Dios, por quien suspira. Crucificado en sus tormentos, mira su Primo, a quien llamó siempre «el Amado», y el nombre de su Madre, que ha guardado, se le dice con voz que el Cielo admira. Eva, siendo mujer que no había sido madre, su muerte ocasionó en pecado, y en el árbol el leño a que está asido. Y porque la mujer ha restaurado lo que sólo mujer había perdido, mujer la llama, y Madre la ha prestado. Francisco de Quevedo 5. Fuerza de lágrimas Con ánimo de hablarle en confianza de su piedad entré en el templo un día, donde Cristo en la cruz resplandecía con el perdón que quien le mira alcanza. Y aunque la fe, el amor y la esperanza a la lengua pusieron osadía, acordéme que fue por culpa mía, y quisiera de mí tomar venganza. Ya me volvía sin decirle nada, y como vi la llaga del costado, paróse el alma en lágrimas bañada: Hablé, lloré y entré por aquel lado, porque no tiene Dios puerta cerrada al corazón contrito y humillado. Lope de Vega Detalle de los pies en el Cristo crucificado de Velázquez 6. A Cristo en la Cruz Pender de un leño, traspasado el pecho y de espinas clavadas ambas sienes; dar tus mortales penas en rehenes de nuestra gloria, bien fue heroico hecho. Pero más fue nacer en tanto estrecho donde, para mostrar en nuestros bienes a dónde bajas y de dónde vienes, no quiere un portadillo tener techo. No fue esta más hazaña, ¡oh gran Dios mío!, del tiempo, por haber la helada ofensa vencido en flaca edad, con pecho fuerte —que más fue sudar sangre que haber frío—, sino porque hay distancia más inmensa de Dios a hombre que de hombre a muerte. Luis de Góngora 7. ¡Cuántas veces, Señor, me habéis llamado, y cuántas con vergüenza he respondido, desnudo como Adán, aunque vestido de las hojas del árbol del pecado! Seguí mil veces vuestro pie sagrado, fácil de asir, en una cruz asido, y atrás volví otras tantas, atrevido, al mismo precio en que me habéis comprado. Besos de paz os di para ofenderos, pero si fugitivos de su dueño hierran cuando los hallan los esclavos, hoy que vuelvo con lágrimas a veros, clavadme vos a vos en vuestro leño, y tendréisme seguro con tres clavos. Lope de Vega Cristo después de la flagelación, de Murillo 8. Al buen ladrón, sobre las palabras: “Memento mei” et “Hodie mecum eris in Paradiso”, acordando lo que dice: “Non rapinam arbitratus” ¡Oh vista de ladrón bien desvelado, pues estando en castigo tan severo vio reino en el suplicio y el madero, y rey en cuerpo herido y justiciado! Pide que dél se acuerde el coronado de espinas, luego que Pastor Cordero entre en su reino, y deja el compañero por seguir al que robo no ha pensado. A su memoria se llegó, que infiere con Dios su valimiento, porque vía que por ella perdona a quien le hiere. Sólo que dél se acuerde le pedía cuando en su reino celestial se viere, y ofreciósele Cristo el mismo día. Francisco de Quevedo 9. Muere la vida, y vivo yo sin vida, ofendiendo la vida de mi muerte, sangre divina de las venas vierte, y mi diamante su dureza olvida. Está la majestad de Dios tendida en una dura cruz, y yo de suerte que soy de sus dolores el más fuerte, y de su cuerpo la mayor herida. ¡Oh duro corazón de mármol frío!, ¿tiene tu Dios abierto el lado izquierdo, y no te vuelves un copioso río? Morir por él será divino acuerdo, mas eres tú mi vida, Cristo mío, y como no la tengo, no la pierdo. Lope de Vega Agnus Dei de Zurbarán 10. Refiere cuán diferentes fueron las acciones de Cristo Nuestro Señor y de Adán Adán en Paraíso, Vos en huerto; él puesto en honra, Vos en agonía; él duerme, y vela mal su compañía; la vuestra duerme, Vos oráis despierto. Él cometió el primero desconcierto, Vos concertastes nuestro primer día; cáliz bebéis, que vuestro Padre envía; él come inobediencia, y vive muerto. El sudor de su rostro le sustenta; el del vuestro mantiene nuestra gloria: suya la culpa fue, vuestra la afrenta. Él dejó horror, y Vos dejáis memoria; aquél fue engaño ciego, y ésta venta. ¡Cuán diferente nos dejáis la historia! Francisco de Quevedo |
mercoledì, aprile 16, 2014
Simondon
L'homme qui veut dominer ses semblables suscite la machine androïde.
Il abdique alors devant elle et lui délègue son humanité. Il cherche à
construire la machine à penser, rêvant de pouvoir construire la machine à
vouloir, la machine à vivre ...
Gilbert Simondon
Du mode d'existence des objets techniques (1958)
mercoledì, aprile 09, 2014
Ossa
“Può
darsi Spirito se c’è un osso, e cioè un dato materiale in cui
incarnarsi, in cui possa farsi mondo”.
Isabella
Guanzini
giovedì, aprile 03, 2014
Persona e organismo
The crucial concept for any philosophical attempt to provide the basis for human understanding is the concept of the person. It is a well-known thesis of philosophy — expressed in countless idioms and in countless' tones of voice — that human beings may be described in two contrasting (and, for some, conflicting) ways: as organisms obedient to the laws of nature, and as persons, sometimes obedient, sometimes disobedient, to the moral law. Persons are moral agents; their actions have not only causes, but also reasons.
R. Scruton
Arsura
L'arsura della terra
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Forza clemente
Io so a che mi vincolano le mie insufficienze, vetrata se il fiore si separa dal sangue della giovine estate. Il cuore d'acqua nera del sole ha preso il posto del sole, ha preso il posto del mio cuore. Questa sera la grande ruota errante del desío, cosí pesante, forse è visibile solo per me. Finiró per naufragare altrove?
René Char
Trad.genseki
René Char
Trad.genseki
Rigogolo
Il rigogolo entró nella capitale dell'alba
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
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